Quinto Piano, Scala B

Disperazione e speranza in questo racconto di Viviana Tenga selezionato direttamente nel Laboratorio.

 
Di fronte alla finestra della camera di Irene, nel grosso palazzone di cemento identico al suo, c’era una stanza con la luce sempre accesa. A Irene capitava di svegliarsi nel cuore della notte, magari dopo un brutto sogno; allora alzava un po’ le tapparelle e guardava fuori. Ogni volta, la luce era lì. Non una luce fredda e malaticcia come quelle dei lampioni, no, una luce calda, che faceva bene al cuore.
Civico 47, quinto piano, scala B. Tutti nel quartiere sapevano che lì abitava la signora Emilia. Signorina, a dir la verità, perché non si era mai sposata. Conosciuta da tutti per la sua gentilezza e perché la luce del suo salotto rimaneva sempre accesa tutta la notte.
Durante il giorno, a Irene piaceva andare a trovare sua nonna Rosa, nell’appartamento al piano di sopra. La nonna aveva sempre molte storie da raccontare; Irene le adorava tutte, ma quella che parlava della signorina Emilia era la sua preferita. Lei e sua nonna si erano trasferite lì nello stesso periodo, Rosa appena sposata, Emilia in cerca di una nuova vita dopo una lite con la famiglia. Entrambe si sentivano sperdute in quell’ambiente grigio così diverso dai paesini che avevano lasciato.
Si erano conosciute per caso in mezzo a quella quantità inaudita di volti sconosciuti e presto erano diventate amiche.
Rosa era forse l’unica, oltre a Emilia stessa, a sapere cosa fosse successo la notte in cui tutto era iniziato, ma per quanto Irene insistesse non voleva raccontarlo.
«Non ha importanza» diceva. «Aggiungere dettagli toglierebbe solo significato alla storia. Quella notte a Emilia successe qualcosa di molto brutto e da allora cominciò ad avere paura del buio. Per questo prese a lasciare accesa la luce del salotto. Ci vollero quindici anni perché tutto cambiasse di nuovo.»
Anche quella era una storia nota in tutto il quartiere, un’altra storia che Irene non si stancava mai di ascoltare. La storia di una ragazza che una notte era arrivata lì per caso, vagando senza meta nel tentativo di sfuggire al buio che sempre più spesso riempiva la sua anima. Non voleva tornare a casa, perché aveva paura del suo balcone al decimo piano, paura che quella potesse essere la notte in cui non si sarebbe limitata a sporgersi e guardare giù. Avrebbe voluto chiedere aiuto a qualcuno, ma era così tardi e le strade erano così deserte…
Poi aveva visto la luce al quinto piano del palazzo all’angolo. A quel punto, era stato l’istinto a guidarla.
Emilia stava dormendo, ma si era svegliata al suono del campanello. Aveva esitato davanti alle parole sconnesse che arrivavano dal citofono; per alcuni istanti era rimasta immobile, con la paura di far entrare in casa il buio, poi il dito si era mosso da solo ad aprire il portone. Appena arrivata nel salotto, la ragazza era scoppiata a piangere, aveva raccontato a quella sconosciuta tutti i suoi tormenti. Emilia aveva capito subito che stava cercando riparo da un buio molto simile a quello che aveva incontrato lei anni prima, così le due avevano passato la notte a scambiarsi confidenze e parole di conforto. Poi era arrivata l’alba ed Emilia si era accorta che qualcosa era cambiato negli occhi della ragazza: ora vi si scorgeva un accenno di sorriso, una maggior determinazione a combattere l’impulso di saltare nel vuoto.
«Dopo quella notte, la ragazza tornò altre volte e, per effetto di qualche strano passaparola, da allora di tanto in tanto ne arrivano altre» raccontava Rosa. «Emilia ha sempre continuato a tenere la luce accesa, ma anche in lei qualcosa è cambiato.»
«Nel senso che ha smesso di avere paura del buio?» chiedeva Irene, desiderosa di sentire la risposta che già conosceva.
«Quando hai conosciuto davvero il buio, un po’ di paura ti rimarrà per sempre. Però adesso la luce di Emilia non rappresenta più la paura, ma la speranza. È per questo che a tutti noi dei palazzi intorno capita di svegliarci la notte e guardarla. Perché abbiamo bisogno di ricordare che, non importa quanto siano profonde le tenebre che stiamo attraversando, da qualche parte troveremo sempre una piccola luce capace di sconfiggerle.»