Rosso di sera

La vita che può sorprenderti e da oscurità trasformarsi in luce. Finalista nella Novantanovesima Edizione di Minuti Contati con Franco Forte come guest star, un racconto di Monica Patrizi.

 
Rosso di sera
 
Da che ricordo, non ho mai visto Lia sorridere.
Se da questo dettaglio sia possibile dedurre la presenza di pensieri lugubri e che la sua vita non le piacesse, non sarò certo io a dirlo.
Lia macinava chilometri al Centro Diurno per persone disabili in cui lavoravo come tirocinante psicologa molti anni fa. Scivolava per i corridoi sulle ruote della sua carrozzina, silenziosa come un gatto, senza salutare o parlare con nessuno, osservando il mondo dalla sua montatura di occhiali rosa. La ricordo vestita in tuta e scarpe da tennis, i capelli unti, tirati indietro da un cerchietto. La paresi alle gambe era stata la conseguenza di un parto difficile. Mamma e figlia avevano rischiato di morire, legate da quel momento e per gli anni a venire a un triste futuro. La fortuna per la piccola fu che la mancanza di ossigeno alla nascita le lasciò intatta l’area del linguaggio. Di questa buona sorte tuttavia Lia non seppe che farne. Sebbene sapesse parlare, infatti, non divenne mai una simpatia di ragazza. La ricordo saccente, dispensare giudizi e rimproveri. Il suo talento migliore era fare la spia. Lia la Carestia la chiamavano i compagni.
Raramente accennava ai suoi affetti. Ho sempre pensato fosse figlia unica.
Non credo fosse felice di venire al Centro. Non si era mai adattata a quella vita da disabile tra i disabili. Eppure non era mai mancata. Per questo, quando non la vidi quel lunedì mattina, e il giorno seguente, sentii una certa inquietudine. Al telefono di casa non rispondeva nessuno. I genitori erano separati. Il cellulare della madre risultava irraggiungibile. Il papà era all’estero per lavoro. Pensammo a un’influenza.
Il terzo giorno tuttavia, ci chiamò la sorella. Ci avvertiva che Lia e sua madre erano scomparse. Non avevano notizie dalla domenica. Avevano allertato le forze dell’ordine.
Le cercarono ovunque.
Soltanto una volta entrati nel loro appartamento trovarono, in camera di Lia, una lettera.
Chiunque le conoscesse, in modo più o meno inconscio, pensò al doppio suicidio.
D’altronde, con una vita come la loro, ci si sarebbe ammazzati per molto meno.
Immagino il tremolio delle mani di chi aprì la busta e lo stupore nel trovarvi una cartolina.
Quando la sorella me la mostrò, al Centro, ne feci una copia, che conservo come una reliquia. Come una speranza. Come una sterzata inaspettata che talvolta le persone riescono a imprimere alla ruote della carrozzina della propria vita.
L’immagine ritraeva un tramonto, con il sole di corallo che lambiva una spiaggia caraibica. Dietro Lia aveva scritto:
Io e mamma abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare una crociera.
Non credo torneremo presto, finché i soldi della pensione di invalidità me lo consentiranno, girerò il mondo con lei.
D’altronde per fare la vita da disabile ho sempre tempo.
Rosso di sera bel tempo si spera. Lia.