Il segreto di nonna Berta

Chi sta cercando il Barone del Pixel? Fantascienza e atmosfere calviniane si miscelano in questo racconto di Ambra Stancampiano.

 
Servo da tre lustri, insieme a mia moglie Ermengarda, il Marchese Arnaldo Ruggeri dell’Ingranaggio, con profondo rispetto per il suo stile di vita nobile e tradizionale.
 
Eravamo con lui quando, disgustato dai disdicevoli appetiti per la modernità della moglie, colpevole di aver proposto una scuola pubblica per l’educazione della Marchesina Petronilla, ci ordinò di fare i bagagli e, afferrata la manina dell’infante, partì alla volta della villa di campagna dei suoi avi.
Potrà sembrarvi un gesto estremo, e penserete che il mio padrone sia un uomo egoista e cocciuto che rifiuta di mostrare il mondo alla figlia per gelosia. Non posso darvi torto, ma guardare solo a questo lato del mio signore sarebbe come giudicare un’intera montagna dalle rocce alla sua base.
Il Marchese adora la sua bambina, e le ha regalato una vita sì isolata, ma piena d’agi e di affetto. Si è occupato lui stesso della sua istruzione, e le ha garantito la riservatezza e il divertimento della villa in cui hanno avuto corpo i suoi ricordi più gioiosi.
La marchesina è libera di correre per il parco alberato in sella al suo pony e di esplorare ogni ala della residenza, in cui tutto è rimasto gloriosamente immutato da più di cinque decadi.
 
La sua sala preferita è quella in cui fa bella mostra di sé nonna Berta, un gigantesco organo di Barberìa che il nonno del Marchese si fece spedire dal Far West, ignorando la sua provenienza francese.
Più alta del Marchese e tutta laccata di una vernice nera lucida che la sua vetustà non ha intaccato, nonna Berta era considerata alla stregua di un avo, ed era lo strumento preferito di Petronilla, che l’avviava quotidianamente caricando una grossa manovella in ottone accanto a un maestoso rullo chiodato, che azionava una vera e propria orchestra di martelletti e percussioni nascosta all’interno del cassone di risonanza.
La Marchesina adorava nonna Berta e il padre l’aveva lasciata crescere nella convinzione di essere l’unica in grado di suonarla.
In qualche modo, questo aveva contribuito a fare di nonna Berta l’unica amica di Petronilla, che passava ore a dialogare con lei, girando il rullo solo di mezzo o un quarto di giro, a seconda della risposta che immaginava.
Il Marchese era stato informato di questa stravaganza e aveva provato a rimediare con un’ancella. Per amore della figlia era passato sopra al suo disgusto i macchinari di quest’epoca corrotta, recandosi in paese per telefonare a un’agenzia.
 
La Marchesina, però, non era per niente interessata alle conversazioni frivole della compagna, e subire di continuo una seconda voce a cui non si è abituati può diventare una vera tortura.
Dopo una settimana Petronilla si era stancata, si era rinchiusa nella stanza della musica e aveva azionato nonna Berta a ripetizione, dichiarando che non avrebbe smesso finché la sgradita ospite non fosse andata via.
Ben presto fu palese che oltre l’ossessione per nonna Berta, la Marchesina non presentava altri squilibri; la faccenda fu perciò liquidata come una di quelle stranezze – parenti di certo del genio – così frequenti nell’albero genealogico da rappresentare la regola più che l’eccezione, e quindi lasciata cadere.
 
Quella sera ricorrevano i 10 anni da quando il marchese e la sua nobile prole avevano abbandonato la civiltà moderna. Erano le 7:00 in punto, mia moglie aveva suonato il campanello della cucina già da dieci minuti e il Marchese attendeva la figlia tamburellando con le dita sul lunghissimo tavolo di mogano che aveva visto cibarsi sei generazioni di Ruggeri Dell’Ingranaggio, sotto l’occhio severo di decine di antenati a guardia della sala dall’alto delle loro cornici. In un’altra ala della villa, Nonna Berta stava suonando.
Ultimamente la Marchesina era parecchio scontrosa e passava molto tempo a cavallo nel parco padronale, oppure sola con nonna Berta.
Ermengarda sosteneva che era un comportamento del tutto normale: le erano da poco cominciati i corsi, ma il mio signore non intendeva darla in sposa. L’affetto e la complicità tra padre e figlia si erano trasformati in astio e sospetto, e la Marchesina sfidava di continuo l’autorità del padre.
 
Uno scampanellìo, prolungato rispetto a quello che aveva invitato i signori al desco, irritò il Marchese, che interruppe il suo tamburellare per fissarmi con disappunto. Un secondo ricorso al campanello da parte del cuoco è una gravissima forma di scortesia.
Mi diressi trafelato verso la cucina, ma Ermengarda mi liquidò con un’alzata di spalle: lei non aveva suonato alcun campanello.
Proprio mentre stavo per replicare che le regali orecchie del Marchese non potevano essersi sbagliate venimmo colti da un altro trillo, più insistente, dall’ingresso.
Sobbalzai, mia moglie mi restituì uno sguardo basito: nessuno si avvicinava più alla proprietà da quando il padrone aveva comprato i cani per scacciare gli avvocati della consorte. Quei maledetti azzannavano qualsiasi cosa si muovesse, e più di una volta anche il mio sedere c’è andato di mezzo.
 
Mi avvicinai alla porta con un po’ di timore. Il Marchese, incuriosito, si sporse dalla sala degli antenati, in fondo al corridoio.
Lo spioncino mi restituì l’immagine di un giovane riccamente vestito:
«Chi è?» chiesi.
«Sono il Barone Commodore del Pixel, di una nobile e antica casata. Partecipavo a una battuta di caccia nei boschi vicini, ma ho perso la compagnia e temo di essermi smarrito. Mi gioverebbe ospitalità, e delle indicazioni.»
 
Lo sconosciuto parlò senza mai prendere fiato, con una voce monocorde che non tradiva alcun accento.
Rivolsi uno sguardo interrogativo al Marchese, che dal fondo del corridoio fece un cenno d’assenso mentre rientrava nella sala degli antenati.
Nonna Berta era in silenzio ora, e mi parve di intravvedere una figura snella spiarmi in penombra dalla cima delle scale mentre accoglievo il nostro ospite.
 
Il Barone del Pixel stupì tutti con la profonda conoscenza dell’etichetta che traspariva da ogni sua parola. Nel muoversi era un po’ rigido, e alcune sue movenze erano accompagnate da un sommesso ronzio, ma era così elegante e forbito nel parlare che non mi preoccupai di questa stranezza. Il Signore Iddio poi sa quanto io ormai sia abituato alle stranezze da non farci più caso!
L’inatteso ospite si presentò al Marchese come si conviene nelle corti, enumerando una sfilza di nobilissimi antenati, e poi si disse mortificato delle circostanze che lo portavano alla sua visita inattesa.
Il Marchese amava la vita nobiliare quanto detestava l’araldica. Non aveva una grande memoria per i nomi, motivo per cui non era mai riuscito a socializzare in città, e non gli parve di riconoscere i parenti del Barone del Pixel; ma quel giovane sembrava così sicuro del fatto suo che – mi confessò in seguito – non si era preoccupato di verificare.
Colpito dalla cortesia del giovane, lo invitò a sedere al tavolo e a unirsi alla famiglia per la cena. L’ospite accettò di buon grado.
A quel punto fece il suo ingresso la Marchesina, che si presentò al Barone con una civettuola reverenza e prese posto alla tavola, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
Fortunatamente Ermengarda aveva tenuto le pietanze in caldo e la cena andò avanti all’insegna della convivialità.
 
Io stavo, come di consueto, ad osservare i commensali accanto alla porta, pronto a fare da coppiere all’occorrenza. Guardavo la Marchesina, rimuginando sul fatto che doveva apprendere comportamenti più convenienti a una fanciulla in età da marito: Petronilla fissava il nostro ospite con una malizia che tutto a un tratto si trasfigurò sul suo volto in una sincera sorpresa. Incuriosito, mi avvicinai a lei con la scusa di colmarle il bicchiere dell’acqua, mezzo vuoto, giusto in tempo per intuire un gesto complice tra i due.
Il piatto del Barone era vuoto.
Anche il mio signore aveva notato l’intesa, e mi fece un cenno perché portassi via l’ultima portata di dessert per passare ai liquori. Rivolse alla Marchesina uno sguardo eloquente: quando gli uomini bevono, le donne si ritirano. Petronilla fece una smorfia di dispetto, ma a quel punto il Barone declinò l’invito:
«La ringrazio, signor Marchese. Ma lei è stato fin troppo cortese con me e io mi sento in difetto, perché non sono stato completamente sincero con voi.»
Il Marchese fissò l’ospite:
«Spiegatevi meglio.»
«Mi trovavo in queste terre sì, per una battuta di caccia, ma sono in viaggio da molto tempo. La mia famiglia è quasi estinta, e sono alla ricerca dei miei antenati e di alcuni rami secondari della nostra genealogia.»
Il Marchese espresse il suo apprezzamento per questa nobile causa.
«Stasera ho perso la mia compagnia perché sono stato attirato da una voce, da un suono che non avevo mai udito prima, ma che mi pare di conoscere da sempre. Appena sono stato accolto in questa villa, ho sentito un atmosfera simile a quella della mia casa, e ne sono rimasto commosso.»
 
A me qualcosa in quel discorso non suonava; forse la voce atona con cui parlava della sua commozione?
 
«Quando sono arrivato qualcuno suonava uno strumento musicale. Posso chiedere il permesso di vederlo?»
Petronilla scattò in piedi, emozionata:
«Ero io che suonavo nonna Berta!» Disse, e poi uscì dalla stanza, diretta alla sala della musica.
Il Marchese accordò all’ospite il permesso di seguirla e lo scortò.
 
I candelieri della Sala della Musica splendevano sulla vernice laccata della nonna Berta, che suonava maestosa in mezzo agli altri strumenti, muti di fronte a tale potenza.
La Marchesina girava orgogliosa la manovella, dandosi arie da soprano. Appena la vide, il Barone del Pixel si gettò in ginocchio.
Petronilla, trepidante, lasciò il rullo per avvicinarglisi ma questi, prima che lo raggiungesse, si voltò verso il Marchese:
«Mio signore, ciò che ho appena visto va ben al di là di ogni mia più rosea speranza. Io vi supplico di concedermi in sposa la mia cugina di ottavo grado Berta di Barberia, discendente come me dalla famiglia degli automi.»
 
Il Barone del Pixel si frugò nelle tasche e ne estrasse un cofanetto di velluto che aprì davanti al Marchese, conteneva un bullone in oro massiccio.

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