Sgorbio

C’è un gatto fuori dalla finestra, immobile, che mi fissa. Ha il musetto bianco, una macchia nera che gli copre un occhio e il dorso rosso con qualche macchia nera. Mi fissa coi suoi occhietti gialli, le orecchie sono puntate in alto. Cosa vuole da me?
Giro la maniglia e faccio scorrere la finestra, il gatto guarda dentro casa come se dovesse decidere se è di suo gradimento.
«Be’, cosa vuoi?»
Miagola. Bella risposta. Non sembra molto in carne, avrà fame? Forse ho ancora una fetta di crudo in frigo.
Il gatto poggia le zampine sul bordo, si sporge un po’ e si lascia cadere. Miagola di nuovo.
«Sì, va bene, ho capito.»
Apro il frigo, il gatto mi si struscia sulle gambe. Che venduto. Prendo la vaschetta con l’ultima fetta di affettato, la appoggio a terra e spezzetto la fetta di prosciutto in pezzettini. Il gatto ci si fionda sopra.
«Mangia piano, sgorbio.»
Non ha il collare, il pelo è lercio e sembra non mangiare da giorni, però è molto confidente. Forse è stato abbandonato. Povero bastardo. So come ci si sente, ma non ho intenzione di farmi carico di lui, ho a malapena i soldi per provvedere a me.
«Senti, ora mangi e poi vai a cercare qualcun altro, okay? Questo monolocale è piccolo per tutti e due.»
Mi ignora e continua a mangiare.
Appena finisce lo sbatto fuori di casa, ‘sto parassita.
 
***
 
Sgorbio batte la zampina sulla finestra. Sono già le nove? L’orologio sul muro indica le otto e mezzo, o si è fermato o Sgorbio è in anticipo. Gli apro la finestra e lui si getta sul pavimento. Il muro sotto la finestra ormai è annerito dalle zampate che tira per scendere e salire. Chissà dove va a spasso durante il giorno.
«Sei in anticipo oggi.»
Mi si struscia sulle gambe e miagola.
«Sì, ora ti do il tuo umido.»
Prendo una scatoletta dalla pila e gliela svuoto nella sua ciotola accanto alla finestra. E pensare che non volevo farla diventare un’abitudine.
Sgorbio si butta di faccia sulla ciotola. Gli accarezzo il pelo, diventa ogni giorno più liscio. Forse dovrei fargli il bagno.
Emette un rumore soffuso. Sta facendo le fusa?
Ho letto su internet che i tricolore maschi come lui sono molto rari. È proprio uno Sgorbio.
 
***
 
L’orologio segna le undici. Ticchetta. Ticchetta. Apro la finestra e guardo fuori. I campi sono immersi nel buio, la luce della luna rimbalza fioca tra le erbacce. Nessun movimento.
Dove sarà finito Sgorbio? Non ha mai fatto così tardi, si sarà trovato un’altra casa? Magari ha già mangiato, non dovrei preoccuparmi così tanto. I gatti sono volubili.
L’orologio ticchetta. Ticchetta. Ticchetta.
 
***
 
La strada sterrata è piena di buchi e sassi. La torcia del cellulare illumina i campi quasi a giorno. Dov’è quel piccolo bastardo? Perché mi deve far stare in pensiero? Domani mattina devo svegliarmi per andare al lavoro, sennò con che soldi gli compro le scatolette?
«Sgorbio? Sgorbio!»
Un rantolo.
C’è qualcosa in mezzo all’erba, a qualche metro dalla strada. Lo illumino con la torcia, Sgorbio è sdraiato a terra, il pelo bianco attorno alla bocca è macchiato di sangue.
«Sgorbio!»
Mio dio, fa che non sia morto!
Mi getto su di lui. Respira ancora, è cosciente. I suoi occhietti gialli mi guardano. Solleva un po’ la testa, ma gli ricade a terra.
«Resisti Sgorbio, non mi morire qui!»
Cosa posso fare? Un veterinario, ho bisogno di un veterinario! Dove ne trovo uno aperto a quest’ora? Dio, ci sarà qualcuno, un ambulatorio d’emergenza! Come lo trovo? Chi si chiama in questi casi?
Sollevo Sgorbio da terra, gli sorreggo la testa con una mano e cerco di non scuoterlo.
Il 118, loro sapranno dove mandarmi!
Corro verso la macchina.
 
***
 
Il veterinario esce dalla sala, scatto in piedi.
«Come sta?»
Sorride.
«Sta meglio.»
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. È vivo.
«Grazie dottore. Grazie, davvero.»
«Ha ingerito veleno per topi. Gli abbiamo somministrato della vitamina K, faccia più attenzione in futuro. Dobbiamo tenerlo sotto osservazione per stanotte, se vuole può entrare a salutarlo.»
Mi asciugo le lacrime con la manica e annuisco.
Il veterinario mi fa strada, Sgorbio è sdraiato sul lettino di ferro al centro della stanza. Ora scoppio di nuovo a piangere.
Emette un debole miagolio. Gli accarezzo il pelo, è sporco come la prima volta che ci siamo visti.
Mi asciugo un’altra lacrima.
«Tu non ti schiodi più da casa mia. Mai più. Intesi?»