Tre notti

Consigli direttamente dal mondo onirico in questo racconto di Ambra Stancampiano.

 
Luci. Sento il brusio della folla sotto di me, ma non mi giro a guardarla; il mio sguardo è totalmente assorto nella luce abbagliante al centro del ring, il mio avversario sta per emergere dall’oscurità.
Sono la campionessa mondiale di pesi mosca, ma la sagoma gigantesca di quell’uomo mi spaventa: è Balrog, il pugile di Street Fighter. Lo attacco come attaccherei la mia ansia, con colpi a casaccio e agilità serpentina; sembrerebbe una buona tattica, che mi fa andare avanti gloriosamente per tre riprese. Alla quarta, l’energumeno riesce a penetrare la mia guardia e mi scaraventa a terra con un destro-sinistro-destro che sconvolge il mio naso, parte della mascella e un orecchio.

 
Mi risveglio all’improvviso, un rumore assordante nell’orecchio sinistro. Si chiama tìnnito e dipende dalla pressione, me l’ha detto un amico che studiava medicina. Chissà che fine ha fatto.
Mi carezzo la faccia, come per consolarmi della sconfitta onirica, e arrivata all’altezza del naso mi risponde un dolore acuto; mi passo le dita umide di sangue sulle labbra, il sapore ferroso mi dà la forza di alzarmi a sedere.
Mi guardo intorno attraverso lo specchio dell’armadio; la luce grigia di un’alba malsana illumina il disordine intorno a me: vestiti ammonticchiati ovunque, involucri di cibo spazzatura sul pavimento, cicche di sigarette e spinelli, bottiglie vuote e semivuote intorno al letto, lenzuola e cuscino macchiati di sangue e sudore e poi me, con la faccia striata di rosso come un guerriero indiano.
Chissà cosa direbbe mia nonna di questo casino, lei che ha passato tutta la vita perseguendo l’ordine e la pulizia.
“Meno male che non può vedermi” penso, e mi ributto sotto le coperte. So che non riuscirò ad addormentarmi, ma non sono pronta ad alzarmi. Resto a fissare il soffitto a occhi spalancati finché la sveglia non suona.
 
Sono nel mio letto, insolitamente comoda. In genere faccio a pugni con questo vecchio materasso bitorzoluto, ma stanotte i suoi bozzi sembrano ben disposti nei miei confronti, mi stanno massaggiando la schiena. E le lenzuola, Oh, le lenzuola! Non so da quanto non mi sentivo così amata: Mi coccolano, mi accarezzano, mi stringono in un abbraccio morbido e interminabile, continuano a stringermi forte, sempre più forte, alla gola… la gola… qualcosa non va, la gola mi preme troppo forte!
 
Mi rendo conto che sto urlando, è il suono della mia stessa voce strozzata a svegliarmi.
Balzo fuori dal letto, fisso il materasso. E’ ancora buio.
Mi guardo intorno, le ante spalancate dell’armadio sembrano una bocca pronta a inghiottirmi; le chiudo, rimango per un istante a fissarmi allo specchio. Nell’aria si spande un odore che conosco e che mi fa attorcigliare le budella: caffè riscaldato.
Il caffè riscaldato era uno dei motivi più frequenti di lite tra me e mia nonna: lei non tollerava di caricare la caffettiera se era avanzato del caffè, e ogni mattina intorno alle cinque, quando si svegliava, scaldava quello del giorno prima in un pentolino; l’odore era così forte da svegliarmi.
Una botta di nausea mi prende alla bocca dello stomaco, corro in bagno a vomitare evitando gli ostacoli sul pavimento. Dovrei dare una pulita, non ne ho alcuna voglia.
Dopo essermi liberata entro in cucina, accendo la luce. Ovviamente non c’è alcun pentolino col caffè sul fuoco, solo una montagna di piatti sporchi che comincia a puzzare.
Torno in camera da letto e mi blocco: le lenzuola sono ancora macchiate di sangue e io ormai sono sveglia, anche se mi sento uno straccio. Il sole fa capolino dal palazzo di fronte.
 
Sono ospite da mia nonna in paradiso, lei occupa la sua eternità facendo la lavandaia per gli angeli e mi ha chiesto di darle una mano a stendere il bucato. Sono lenzuola bianche, montagne di lenzuola bianche che si materializzano nella bacinella accanto a me ogni volta che la svuoto per metà. Sono stremata, il filo per stendere mi sembra sempre più alto e io non ho le ali; mia nonna mi guarda scuotendo la testa, mi rendo conto di essere nuda, e sono l’unica ad avere il sesso in paradiso: gli angeli mi stanno prendendo in giro con cantilene degne dei bambini delle elementari. Vado a lamentarmi da Dio, un vecchio barbuto con un triangolo in testa, e lui mi risponde che non posso pretendere amore se non me ne do; comincia a scuotere la testa come mia nonna, i due sono uno di fronte all’altra e capisco che stanno ballando, che quelle che credevo nuvole sono fumo da discoteca e che gli angeli ridono perché sono strafumati.
 
Mi sveglio, con l’euforia lucida di chi ha avuto un’illuminazione.
Balzo fuori dal letto tirando via con me le lenzuola, le appallottolo e senza guardarmi intorno corro a scaraventarle in lavatrice, poi passo ai vestiti ammonticchiati in giro.
Avvio la lavatrice, mi armo di una busta e raccolgo tutto ciò che mi sembra sporco; i miei migliori amici oggi sono scopa, aspirapolvere e detersivi.
Torno a dormire sul materasso spoglio, e dopo pochi secondi mi sento avvolta dal sonno più profondo. Casa profuma di pulito, e da qualche parte una vecchia rompipalle sta sorridendo.