Tutto sa di pollo

Sesto classificato nella 120° Edizione di Minuti Contati con Enrico Pandiani come guest star, un racconto di Marco Travaglini.

 
«Chi sono davvero?»
Guardo il pollo dritto negli occhi. Lui mi ignora. E’ rivolto verso il basso, con l’occhio destro guarda verso la console. Schiaccia il pulsante verde con la zampa sinistra. Il tubo trasparente si riempie di fumo e lo inietta direttamente nell’apparecchio collegato all’attaccatura del becco, all’altezza delle narici. Il pollo tira una svapata di cinque secondi.
«Menta. Io voleva sapore di menta. Menta.» dice, squadrandomi con l’occhio sinistro.
«Non dire cazzate pollo, ho aspettato cinque giorni per farlo arrivare dal distretto orientale, al vapor shop mi hanno assicurato che il sapore è quello, lo hanno ricostruito.»
«Non menta. Modenese. Questo è sapore di pollo Modenese. Non menta.»
Con il becco stacca l’ampolla di essenza dal vano a destra della console e me lo ributta sul tavolo. Sa il fatto suo, vecchio diavolo. Prendo l’ampolla e me la infilo nella tasca della giacca.
«Via ora, ho da fare, altri clienti. Via ora.»
Dalla tasca interna caccio un astuccio d’argento. Lo poso sul tavolo con calma. Il pennuto continua a squadrarmi, alterna l’occhio destro con il sinistro. Apro l’astuccio, e prendo una sigaretta. Il pollo ora ha l’occhio destro fisso sull’astuccio. Caccio il mio zippo e mi accendo la sigaretta con calma. Tiro una lunga boccata, me la tiro nei polmoni, faccio rimanere il fumo tre interi secondi. Butto tutto il fumo sul muso del pennuto.
«Mentolo! Mentolo!»
Lascio scivolare l’astuccio verso di lui.
«Ora parla. Fai in modo che ne valga la pena.»
Col becco e la zampa sinistra afferra avidamente l’astuccio, dà una botta con l’ala destra spennata ad un pulsante: si apre un vano, ripone con cura l’astuccio.
«Nero. Tu sei uomo nero.» dice, senza guardarmi.
«Grazie.»
«Distretto Acero. Tu abiti in distretto acero.»
«Graziella…»
«Potere. Tu uno dei pochi neri rimasti a Roma. Tu uomo ricco, di potere.»
«…e grazie al cazzo. Dimmi quello che non so.»
«Tu hai occhi. Che vede davanti a te, con tuoi occhi?»
«Un pollo che mi ha appena fregato uno degli ultimi pacchetti di sigarette al mentolo rimasti in città. E ti avviso che se non sarò soddisfatto,» gli sparo l’indice dritto in faccia, «me le riprenderò con gli interessi.»
Il pollo si para davanti al vano con le sigarette.
«Sbagliato. Io non solo pollo. Io pollo Chabo, antica razza. Io evoluto, mie zampe cresciute, io non muore. Io fuma, sì?» mi guarda fisso con l’occhio destro. «Anche tua razza antica, molto antica, uomo sbagliato. Ma tu non hai cosa che pollo Chabo ha. Io ha cultura dei Chabo. E sigarette.»
Cazzate.
«Io sono romano, la mia cultura è quella romana.»
Mi salta di fronte inviperito e mi piazza l’occhio sinistro a dieci centimetri dalla faccia.
«Sbagliato! Cosa è diverso in tua cultura da cultura di altro posto o altro uomo? Sbagliato!»
Stronzo. «Noi abbiamo gli hamburger rossi, non ce li ha nessun altro posto.»
«Davvero? Bucatini era risposta giusta. Pasta. Ah, ma voi mai conosciuto vero cibo! Hamburger rosso sa di pollo. Hamburger nero sa di pollo. Tutto sa di pollo. Ma niente sa davvero di pollo. Tranne svapata di prima, quella sa di pollo Modenese, davvero.»
«Voi uomini come vostri hamburger: città piena di neri, rossi, gialli. Ma dentro tutti uguali, tutto senza sapore. Voi non sa chi è. Voi uomini come hamburger.»
Rimango come uno scemo. «Allora chi sono?»
«Tu hamburger che sa di pollo.»