Un tipo spigoloso

La vita spiegata attraverso forme geometriche. Un racconto di Fernando Nappo.

 
«Buongiorno, il mio nome è triangolo. Triangolo isoscele, per la precisione.»
«Buongiorno, triangolo isoscele» risposero in coro i presenti alla riunione.
«Come ben sapete, sono arrivato qui per via del mio carattere piuttosto spigoloso».
Alcuni, tra i presenti, forse quelli che avevano avuto a che fare con triangolo, si scambiarono brevi sguardi d’intesa.
«Eppure, credetemi, io ci ho provato a cambiare.»
Fece una pausa, giusto il tempo di riordinare le idee.
«All’inizio, ho creduto che la soluzione fosse quella di diventare un tipo perfettino, come un triangolo equilatero, ma non è stata una grande idea. Il carattere era comunque spigoloso e per di più, con i lati tutti uguali, gli angoli tutti uguali e le bisettrici tutte così uguali, la vita era di una noia pazzesca.»
In seconda fila un ottagono, un tipo paffutello e molto simmetrico, annuì con un certo fervore.
«E non parliamo di quando ho pensato che la soluzione fosse di prendere la forma di un triangolo rettangolo. Un tipo impettito, ritto, all’apparenza, ma quel porsi costantemente a novanta gradi, no, proprio non faceva per me.»
Un triangolo rettangolo bofonchiò qualcosa. Forse, girò poi la voce a fine seduta, che per certe cose è necessaria la giusta predisposizione.
«Allora» proseguì triangolo «ho deciso di prendere la questione di petto: basta spigolosità, basta asperità. Con grande sforzo mi sono trasformato in un cerchio. Un carattere liscio, dolcissimo, ricercato da tutti. Se non fosse che a poco a poco, tutti hanno cominciato ad approfittarsi di me. E io non dicevo mai di no. Avrei voluto, ma non ne ero più capace. E non vi dico dei problemi di stabilità. Sempre a rotolare di qua o di là, in perenne movimento, senza mai un attimo di sosta.»
Probabilmente indispettito da quelle affermazioni, un cerchio si lasciò cadere dalla sedia sulla quale s’era sistemato e rotolò verso l’uscita.
«Alla fine ho provato di tutto: quadrato, rettangolo, trapezio. Niente da fare, non c’è forma che non abbia qualche problema, qualche difficoltà.»
A quelle parole, in sala si diffuse un brusio di assenso.
«Se ne sono uscito, è stato grazie al nostro supervisore.» Indicò un pentagono che stava in fondo alla sala. «Mi ha presentato un altro triangolo isoscele con problemi simili ai miei. Abbiamo fatto amicizia e cominciato a passare molto tempo assieme. Abbiamo imparato ad apprezzare ognuno le spigolostà dell’altro.»
Un timido applauso sottolineò le parole di triangolo.
«Ma soprattutto» riprese triangolo «abbiamo scoperto che se ci stringiamo forte quando si alza il vento, anziché venire spazzati via, possiamo trasformarci in un grande acquilone e il vento non ci fa più paura.»
L’applauso in sala prese vigore.
Un altro triangolo isoscele andò ad affiancarsi a triangolo: aveva la stessa base e un’altezza di poco superiore. Non erano proprio uguali, ma nessuno avrebbe mai detto che non stavano bene insieme.

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