Imploro con tutta la forza che le costole prese a calci mi permettono.
«Ok basta, ora ce ne andiamo!»
L’uomo barbuto piazza un gancio al mento di Fulvio, piroetta su se stesso e con un calcio al petto lo fa volare sullo scivolo con un rimbombo metallico.
I genitori bofonchiano approvazioni e cingono le spalle dei loro figli con le braccia.
«Ben ti sta, pezzo di merda!»
«Dagliene ancora…»
«Droga ai ragazzini di quattordici anni, che figli di puttana…»
Lascio la presa sull’altalena.
«Ok…basta…»
Mi tengo il fianco come a trattenere dentro le budella, il dolore sordo mi lascia fare soltanto due passi. Cado con le ginocchia su una pozzanghera erbosa.
Si girano tutti a guardarmi.
Barbuto dispiega le maniche arrotolate e viene verso di me.
«La prossima volta che vi pizzichiamo in questo parco» mi punta contro un dito tozzo «finite in terapia intensiva.»
Se ne va seguito dagli altri genitori che gli percuotono amorevolmente la schiena ampia come una libreria.
Alzo la testa.
Il cielo plumbeo sopra il parco promette pioggia.
«Fede…» il rantolo di Fulvio proviene da un altro pianeta «se non piazziamo la roba entro domani sera, Ulcera ci ammazza.»
–
Entro in macchina con lentezza da paralitico; quando riesco a chiudere la portiera con un gemito ormai il collo del giaccone è fradicio di pioggia.
Fulvio mette la prima e parte.
Ghigna, l’orbita violacea dell’occhio destro fa male solo a guardarla.
Il finestrino mostra case tutte uguali, bersagliate da mitragliate d’acqua.
«Cazzo ridi, Fulvio? Stasera ci faranno il culo quando scoprono che non abbiamo venduto manco una dose. Mica possiamo fare il reso come su Amazon, perdio.»
«Se ti ho chiamato è perché ho la soluzione, no?» mi da una pacca sulla coscia «Ulcera ci pagherà un giro delle sue battone di lusso quando vedrà l’incasso!»
«O forse ci offrirà un giro con il Senegalese. Porca troia, quello fa i tornei MMA!»
Fulvio allarga ancora di più il sorriso; un buco nero spicca tra i dentini belli dritti da modello.
«L’idea che ho avuto è buona ed è tutto pronto. Da stasera si cambia musica.»
Solo quando Fulvio parcheggia mi accorgo che siamo fuori città.
Usciamo dalla macchina.
La pioggia torrenziale è divenuta una pisciatina leggera che tintinna sul cofano e punzecchia le strisce del parcheggio.
Fulvio fa il giro, apre il cofano e si mette a tracolla una borsa porta PC.
Lo stomaco mi precipita fino alle punte ai piedi.
«Ma sei coglione? Porti la roba così come se andassi a un corso di aggiornamento?»
Lo stronzo si infila un paio di occhiali da sole.
«Forza. Ci aspettano.»
Una villa a tre piani compare da dietro un’altra siepe color smeraldo, piegata dall’acquazzone di prima. Un sentiero di ghiaia colloso aggira una fontana e ci porta all’entrata.
Porca troia, è troppo bello per essere vero.
Fulvio ha beccato un paio di ricconi a cui piazzare tutta la droga? Tipo Cruise e la Kidman in Eyes Wide Shut? La speranza di non finire male mi si diffonde sul petto come un balsamo.
Una reception sulla sinistra, subito dopo il portone.
Due donne armeggiano con fogli e pc a testa bassa.
Fulvio appoggia le braccia e si china sulla fessura della vetrata.
«Sono qui per il signor Condorelli.»
«Secondo piano.» risponde una delle due senza manco alzare la testa.
Io e Fulvio entriamo. Una musichina sulla destra mi fa voltare.
«Ommerda…»
Un imbecille in frac, su di un palchetto, estrae un mazzo di rose bianche da un cilindro ad un pubblico di…vecchi.
File e file di teste bianche e glabre, incassate in spalle flosce e cadenti.
Sedie a rotelle e poltrone cirondano il palco.
Volo sulle scale per raggiungere Flavio che è già al piano di sopra.
Le costole urlano di dolore ma voglio solo strangolare quel pezzo di…
Lo stronzo entra nella prima stanza a sinistra. Entro anch’io, pronto a dargli un pugno.
«Ciao, nonno.» saluta Fulvio.
Un anziano tracagnotto coi baffetti e il gilè si stacca da un gruppetto di nonnini e lo abbraccia.
«Hai portato tutto?»
Come il peggiore dei venditori porta a porta, quel coglione apparecchia un tavolo con spinelli già rollati, mucchietti di pasticche bianche e un paio di siringhe col colpo in canna.
I vecchietti si avvicinano come cagnolini curiosi, alcuni poggiati sui deambulatori.
Chiudo la porta, afferro un avambraccio di Flavio e lo tiro a me.
«Droga ai vecchi? Ma sei rincoglionito?»
«E perché? Guarda che questo è un ospizio di prima classe, qua ci ricoverano ex direttori di banca e primari, mica cazzi. Hanno soldi da buttare e non gliene frega un cazzo se ci restano secchi. Vogliono solo godersi quel poco che hanno da vivere.»
Guardo oltra la spalla di Fulvio: suo nonno si è già preparato un rigone di coca sul tavolo e sta arrotolando una banconota da cento.
Una vecchia in carrozzina col viso scavato da mummia si accende uno spinello stretto tra le labbra secche.
Una voce da oltretomba alle spalle mi fa sobbalzare.
Mi giro.
Un vecchio in tuta e pigiama con un ciuffone di capelli candidi mi guarda con aria da invasato.
«Figliolo, avete pure del Viagra? Ho un’amica che mi aspetta in stanza.»