Tom Struker
Inviato: sabato 29 agosto 2020, 16:13
ciao a tutti.
questo è il primo capitolo di un lavoro che ho iniziato un po' per allenamento, un po' per noia, essendo totalmente al di fuori dei miei campi di competenza.
è un poliziesco "vecchio stile", con tutti gli stereotipi del caso, ma più di ciò non so dirvi, visto che di thriller e simili me ne intendo davvero poco.
per il momento ho (sorprendentemente) scritto 15.000 parole, e sono ancora lontano dalla fine.
la scaletta che avevo buttato giù all'inizio era piuttosto povera, ma via via che scrivevo arricchivo sempre di più, e non so come, mi sono trovato per le mani un qualcosa di ben più corposo del previsto.
Devo ancora pensare al titolo, non riesco a trovarne uno attinente che non spoileri la trama.
qualsiasi commento è benaccetto, ovviamente.
grazie del vostro tempo.
AVVERTENZA
il racconto nel suo svolgimento presenta un linguaggio volgare, scene crude, riferimenti più che espliciti al sesso, alla droga e un sacco di cose brutte. se preferite l'educazione e l'eleganza, Tom Struker vi farà storcere il naso.
buona lettura
21-10-2019 06.57
Tom appoggiò il caffè bollente sulla sua scrivania, la terza dall'ingresso, già invasa da quattro o cinque cartelle gialle. Si sfilò il lungo cappotto e la sciarpa, li appese al gancio nell'angolo e si sedette.
Il beep del computer lo salutò, mentre prendeva posto sulla sedia in pelle. In attesa che la foto del Colosseo romano apparisse sul desktop, sfogliò pigramente i fascicoli, con gli occhi ancora pesanti.
Era parecchia roba.
La porta che dava sulla sala d'ingresso si aprì, lasciando entrare per un attimo voci indistinte, passi affrettati e telefoni incalzanti. Poi tornò il silenzio.
Il Capitano Phillmore attraversò la stanza a rapide falcate, dritto verso il fondo, dove una vetrata coperta da veneziane impolverate divideva il suo ufficio personale da quello dei poveri plebei. Non indossava il suo impermeabile grigio, né il Fedora abbinato. Senza fermarsi, fece cenno di seguirlo.
Tom raccolse i fascicoli, prese il bicchiere facendo attenzione a non scottarsi e obbedì.
La puzza di portacenere, chiuso e moquette marcia da arredamento anni settanta lo colpì allo stomaco. Stomaco vuoto, perché erano le 7.00 del mattino. Un'ora e mezzo prima del solito.
«Buongiorno capo. C'è fermento stamattina...»
«Non ti sfugge nulla, eh? Hai letto?» indicando la pila di scartoffie con la testa brizzolata.
«Sono appena arrivato...»
«Cinque cadaveri stanotte. Tre di overdose, due ammazzati.»
«Cinque morti in una sola notte? Collegamenti possibili?» chiese Tom tenendo davanti agli occhi il primo foglio di ogni risma.
«Cazzo, Tom. Ti paghiamo apposta.»
Il Capitano Brian Phillmore sarebbe stato amato da tutti quanti, se fosse stato il personaggio di una serie tv. Scontroso e irascibile, non perdeva mai occasione di sfoggiare il suo sarcasmo. Purtroppo, nella vita vera, tipi del genere erano una rottura di coglioni. Specialmente alle sette del mattino, prima del caffè, e con in mano quella che sembrava essere una rogna gigante.
Tom buttò giù una golata di arabica, fissando i rettangoli rossi nei quali erano scritte le principali informazioni di ogni caso. «Tre morti di overdose... una partita tagliata male. Uno ai moli, due alle fabbriche. Gli omicidi sono avvenuti uno alle fabbriche, l'altro a Preston Park. Tutti postacci pieni di gentaglia. Gente troppo povera per permettersi la cocaina. L'eroina, per quanto sia diluita, non ti da certo voglia di lanciarti in una rissa, quindi no. L'LSD non da overdose, e poi non va più di moda da quarant'anni.»
«Cosa rimane?»
Il Capitano Phillmore era un rompicoglioni, ma non uno stupido. Lo sapeva fare il suo lavoro, e anche bene, o non lo avrebbe fatto per trentasei anni. Cazzo voleva?
«Direi Crack. Oppure anfetamine. Vanno parecchio, ultimamente. Facili da produrre, costano poco e funzionano. Abbiamo già i tossicologici?»
«Soltanto uno. Non è meth.»
Tom aggrottò la fronte.
«O per lo meno, non la solita meth che conosciamo.» Il Capitano aprì un cassetto della scrivania, e Tom pregò che non tirasse fuori una delle sue granate al catrame e nicotina. Per fortuna era solo una cartella, l'ennesima, che conteneva il referto dell'autopsia preliminare della prima vittima.
Un tossico di ventisei anni lo fissava dalla foto segnaletica, con aria annoiata. John Woran non aveva fissa dimora, ed era stato schedato più volte per reati minori. Una vita passata per strada, tra droga e furtarelli, fino a (secondo il coroner) le ultime ore del 20 ottobre. Poco dopo la mezzanotte, un gruppo di portuali lo aveva trovato accasciato dentro una vecchia rimessa. Avevano chiamato l'ambulanza, ma quello era già stecchito da un pezzo.
«Insomma capo, cosa dovrei fare di preciso? Senza i tossicologici di tutte le vittime non possiamo neanche azzardare ipotesi. Si, ok, c'è una partita di anfetamina tagliata male, e allora? Non è certo la prima volta che una manciata di tossici crepano tutti insieme.»
«Ecco, non si tratta di una manciata di vermi. C'è di mezzo anche Emma Redler, figlia di...?» Il capitano si portò la mano all'orecchio.
« Andrew Ivan Redler? Il colosso delle vetrerie?»
«Esatto. Capisci perché il sovrintendente mi ha buttato giù dal letto appena ha saputo?»
«E lei ha buttato giù dal letto me...»
«No. Prima sono andato al cesso. Comunque, pare che la nostra principessa si trovasse nei quartieri delle fabbriche, e sia in qualche modo coinvolta nell'omicidio di...» sfogliò rapidamente i fogli sparsi sul tavolo.
«...Nicolas Dweinn. Forse è testimone di qualcosa. In ogni caso, visto com'era conciata quando è arrivata qui, direi che non è stata la sua serata migliore.»
«Emma Redler è qui?» Strano immaginarsi una del genere nella stanzetta degli interrogatori. Si sarebbe messa a rifarsi il trucco nel finto specchio.
«Tieni giù l'uccello, Tom. Non ha detto una parola, ha chiamato gli avvocati di papà, che l'hanno portata via perché "in evidente stato confusionale". Hanno pure fatto storie perche avremo dovuto "portarla in ospedale e bla bla bla...".»
«La legge è il peggior dito in culo alla giustizia, giusto?»
«Giusto. Studiati i fascicoli, vai dalla Fomm e digli di muoversi con le autopsie. Voglio che parli con tutti i testimoni, e ti guardi i video degli interrogatori di stanotte. E senti quel tuo contatto, quel giapponese sfigato, li....»
«Yzawa? Ci proverò, ma non è proprio il suo genere di cose.»
«Non me ne frega un cazzo, compragli un dvd con le dodicenni che se la leccano vestite da gundam e fallo parlare.»
Il telefono scolorito sulla scrivania squillò.
Il capitano sbuffò quando lesse il nome sull'interfaccia. Frugò nel primo cassetto e fece cenno a Tom di uscire. L'agente raccolse la sua roba e si richiuse la porta alle spalle, appena in tempo per schivare la nube di fumo che invadeva l'ufficio.
Si sedette al suo tavolo e, dando il colpo di grazia al caffè ormai tiepido, lesse i cinque documenti, che riportavano più o meno le stesse cose.
John Woran.
Ventisei anni, pregiudicato (furto, ubriachezza), tossicodipendente, senza fissa dimora.
Trovato da quattro portuali alle 00.40, senza vita, in una rimessa del molo 14f.
Decesso avvenuto intorno alle 23.30, arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Darnel Brown.
Quarantuno anni, pregiudicato (rapina a un banco pegni), in libertà vigilata.
Trovato dai netturbini alle 04.20, senza vita, tra i cassonetti della fabbrica di ceramiche "BestPotter".
Decesso avvenuto intorno alle 01.00, arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Arthur Case.
Trentatre anni, incensurato, tossicodipendente in riabilitazione.
Trovato dagli agenti della pattuglia 7, ore 05.25, senza vita, nella discarica della fabbrica di ceramiche "BestPotter", durante il sopralluogo per il ritrovamento del corpo di Darnel Brown.
Decesso avvenuto intorno alle 15.00 di ieri (20.10.2019), arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Boris Bozilis
Trentasette anni, pregiudicato (spaccio, furto con scasso, aggressione a un agente).
Trovato dai netturbini, ore 4.50, Preston Park est, zona "Jefferson Monument".
Numerose coltellate al torace e al collo. Arteria giugulare recisa. Probabili lesioni ai polmoni.
Nicolas Dweinn
Trentatre anni, pregiudicato (spaccio, possesso illegale di armi, guida in stato alterato) tossicodipendente.
Aggressione da parte di ignoti alle ore 03.30, Lincoln Street, quartiere delle fabbriche.
Interrogata una presunta testimone.
Deceduto in ambulanza ore 04.17 durante il trasporto in ospedale. Emorragia celebrale interna. Ferite di contusione alla testa e al volto. Sbattuto ripetutamente contro un lampione.
Proprio una bella serie di sfortunati eventi. Cinque morti in una notte, tutti nel raggio di pochi chilometri dalla zona industriale. Sicuramente anche i due omicidi erano legati alla droga. Sperando che il medico legale avesse finito almeno le analisi preliminari, uscì dall'ufficio.
C'era fermento, nella sala comune. Tom la attraversò con calma, tra un "ciao Tom" e un "buongiorno Agente Struker". Tre lampadine rosse dall'altra parte indicavano che le stanze degli interrogatori erano tutte occupate.
Una donna grassa con un bambino per mano parlava agitatamente, gesticolando all'italiana, e strattonando il bimbo nell'agitazione. L'agente Swann era la metà di lei, forse meno, e cercava di farla calmare, col collo piegato all'insù di quarantacinque gradi.
Due ceffi barbuti e sporchi stavano ammanettati alle panche d'acciaio, vicino al banco di registrazione.
Tom imboccò il corridoio che portava ai laboratori.
Vari ritratti di eroi del Dipartimento di Polizia Di Dyersburg-Tennessee tappezzavano le pareti come i condottieri delle famiglie nobili, negli antichi castelli europei. L'unica differenza era che questi non avevano compiuto chissà quali grandi imprese. Si, qualcuno si era beccato una pallottola, qualcun altro aveva risolto dei casi importanti, ma la maggior parte era li solo per aver leccato culi e organizzato banchetti di beneficenza. Li superò, senza che a loro fregasse minimamente della sua presenza.
Quando spinse i maniglioni del laboratorio, una fredda ondata di puzzo ospedaliero lo accolse. Il pavimento lucido lo condusse ad un portellone metallico con due piccole finestrelle in plexiglas. Una targa d'ottone sopra al campanello recitava "Medico Legale Dottoressa Caroline Fomm".
Suonò e attese.
Jane Evans, l'assistente venticinquenne della dottoressa gli aprì la porta un minuto dopo. I capelli ricci neri come l'inchiostro erano infilati sotto il camice, la carnagione olivastra e lo strano taglio degli occhi tradivano qualche sottile discendenza pellerossa.
«Buongiorno Agente Struker.»
Era di quelli che ancora non avevano troppa confidenza.
«Immagino siate qui per i referti. Beh, abbiamo finito gli esami preliminari. Non c'è dubbio, overdose, tutte e tre. E si direbbe la stessa sostanza. Abbiamo notato una stranezza anche nei due morti per omicidio: i muscoli erano molto contratti, come sottoposti a un grosso sforzo. Si, la contrazione muscolare è comune nelle overdose, e anche negli omicidi perché si presume che la vittima si sia difesa, ma qui è a livelli molto alti, e la cosa fa coagulare prima il sangue. Poi abbiamo notato che....»
Chiunque al distretto avesse passato più di tre minuti con Jane Evans aveva lo stesso pensiero: sigillarle la bocca col nastro segnaletico.
Strano per una ragazza carina ed estroversa trovare entusiasmante sezionare cadaveri, o analizzare culografie di trafficanti di droga, ma si diceva in giro che fosse molto competente.
«Ciao tom.» Nemmeno Caroline era molto in tema col suo lavoro. Alta, bionda, i capelli lisci raccolti in una coda, gli occhiali rettangolari senza montatura sui lineamenti dolci. Un fisico che faceva invidia a tante donne quindici anni più giovani la categorizzava come porno dottoressa.
«Ehilà, Caroline. Mi servono quelle autopsie. E già che ci siamo, anche i tossicologici.»
«Si, Phillmore ha buttato giù dal letto anche me, stamattina.» Le occhiaie le davano ragione. «Ho già inviato i campioni di sangue al laboratorio, tra qualche ora dovrebbero mandarveli direttamente di la. Ho finito l'autopsia Nicolas Dweinn. Mi hanno detto che andava fatta per prima.» Dopo qualche click di mouse la stampante cominciò a sibilare, sfornando fogli pieni di scritte e immagini. «Per gli altri, ho compilato il rapporto iniziale, ma mi serviranno un paio di giorni per finire tutto. Però una cosa voglio fartela vedere.»
Caroline aprì una cartella del pc, una carrellata di foto invase il desktop. Ne selezionò una.
Un braccio muscoloso e gonfio stava appoggiato sul lettino metallico dell'obitorio. Scorrendo con la tastiera, l'immagine non cambiava di molto, il soggetto era sempre lo stesso. Cinque braccia destre, qualcuna tatuata, una più scura, un altra molto chiara, tutte coi muscoli in tiro.
«È strano. Tutti i muscoli del corpo sono contratti fino allo spasmo. Sembrano i risultati di un'attività fisica molto, molto intensa.»
«Cosa significa?»
«Beh, sei tu il detective. Io analizzo le cose. Se vuoi la mia opinione, si tratta di anfetamina mischiata a qualche tipo di steroidi. Ne girano di parecchi tipi nelle palestre, e anche in strada.»
Jane fu di ritorno con un vassoio, e tre tazze di caffè fumante.
«Se è troppo caldo, può metterlo in mano a un cadavere per un po'!»
Le due ridacchiarono. Che cazzo di battuta era?
«Me lo farò andare bene. Grazie, Jane.» disse Tom sforzandosi di sorridere.
Qualcosa sotto lo sterno gli ricordò che era il secondo della mattinata, e non aveva ancora fatto colazione. Si sarebbe fermato al subway una volta uscito.
«Come è morto Nicolas Dweinn?»
«Emorragia interna al cranio. Un oggetto cilindrico, molto grosso. Probabilmente lo hanno sbattuto contro il lampione.» Gli mostrò uno dei fogli sputati dalla stampante. Era la radiografia di un cranio. «Tre colpi alla nuca, uno parecchio forte.»
La parte posteriore del cranio vista di profilo risultava bombata verso l'interno. Non serviva avere una laurea per notare che nel reticolo di ombra azzurrine del cervello c'era una macchia troppo marcata nella zona del cervelletto che si estendeva verso l'interno, affievolendosi fino a mescolarsi col resto della foto.
«Una bella botta. Aggiungici la pressione arteriosa e capillare aumentata dalle anfetamine, ed eccolo qui sul mio tavolo.»
«Anche Nicolas Dweinn era fatto, quindi. Caroline, perché hai pensato subito alle anfetamine? Hai trovato qualcosa o...?»
«Esclusione.» rispose lei portandosi il caffè alle labbra color porpora. «Secondo le foto e i rapporti, nessuno dei tre morti di overdose ha vomitato, ne presenta segni di disidratazione. Non è ecstasy o mdma.»
«E in quanto al crack?»
«Nemmeno. Nessuno dei cinque ha le mucose irritate. Se prendi una dose così forte da stenderti, ne rimangono le tracce nel naso e nella gola, oltre che nel sangue. Non erano fumatori di crack, o cocainomani. Niente buchi, quindi niente eroina. Rimangono solo le anfetamine in pasticche, ma se credi che abbiamo ristretto il cerchio, ti sbagli.»
«Un'intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti.»
Jane Evans piegò la testa di lato sospirando rumorosamente con gli occhi socchiusi. La collega le lanciò un sorriso malizioso. Evidentemente Johnny Deep era uno dei loro argomenti preferiti.
«C'è di mezzo un pezzo grosso, vero?» chiese la dottoressa. «Non è normale che il Capitano svegli mezzo distretto. Non l'avrebbe fatto solo per qualche drogato.»
«No, infatti. Dicono che Emma Redler era presente al momento dell'omicidio di Nicolas Dweinn. Pare che l'abbiano portata qui per testimoniare, stanotte, ma gli avvocati l'hanno portata via subito.»
Jane sbuffò. «Come non la sopporto. È una troia svergognata. Fa tanto la brava ragazza in tv, poi la trovi nei locali a misurare il pacco ai ragazzi.»
Due paia di occhi perplessi prima si incrociarono, poi si voltarono verso l'assistente in cerca di spiegazioni.
«Si, davvero.» continuò. «Si mette una parrucca, va nei locali in periferia, e si mette a fare la scema con tutti. Si porta i ragazzi in bagno e gli misura il coso. Se è abbastanza ubriaca lo fa in pista davanti a tutti. Ci sono anche delle foto, su internet.»
Gli occhi si fecero da perplessi a sospettosi.
«Sicuri che è lei?»
«Beh, è travestita. E le foto non sono perfette...è buio, e tutto quanto...»
Tom e Caroline si guardarono, felici di far parte di una generazione e di un ceto sociale che non aveva problemi di social network.
«Ognuno ha i suoi feticci, mia cara, non è certo problema mio occuparmi di quelli degli altri. Vi ringrazio del caffè, adesso devo andare. Ho da interrogare dei testimoni, e se riesco, anche la Santa Emma.»
«Di nulla Tom, ti faccio avere i risultati finali appena possibile.» Occhiolino. «Buona fortuna al colloquio con la misuratrice.»
Guardami di nuovo in quel modo, e non sfigurerò di certo.
questo è il primo capitolo di un lavoro che ho iniziato un po' per allenamento, un po' per noia, essendo totalmente al di fuori dei miei campi di competenza.
è un poliziesco "vecchio stile", con tutti gli stereotipi del caso, ma più di ciò non so dirvi, visto che di thriller e simili me ne intendo davvero poco.
per il momento ho (sorprendentemente) scritto 15.000 parole, e sono ancora lontano dalla fine.
la scaletta che avevo buttato giù all'inizio era piuttosto povera, ma via via che scrivevo arricchivo sempre di più, e non so come, mi sono trovato per le mani un qualcosa di ben più corposo del previsto.
Devo ancora pensare al titolo, non riesco a trovarne uno attinente che non spoileri la trama.
qualsiasi commento è benaccetto, ovviamente.
grazie del vostro tempo.
AVVERTENZA
il racconto nel suo svolgimento presenta un linguaggio volgare, scene crude, riferimenti più che espliciti al sesso, alla droga e un sacco di cose brutte. se preferite l'educazione e l'eleganza, Tom Struker vi farà storcere il naso.
buona lettura
21-10-2019 06.57
Tom appoggiò il caffè bollente sulla sua scrivania, la terza dall'ingresso, già invasa da quattro o cinque cartelle gialle. Si sfilò il lungo cappotto e la sciarpa, li appese al gancio nell'angolo e si sedette.
Il beep del computer lo salutò, mentre prendeva posto sulla sedia in pelle. In attesa che la foto del Colosseo romano apparisse sul desktop, sfogliò pigramente i fascicoli, con gli occhi ancora pesanti.
Era parecchia roba.
La porta che dava sulla sala d'ingresso si aprì, lasciando entrare per un attimo voci indistinte, passi affrettati e telefoni incalzanti. Poi tornò il silenzio.
Il Capitano Phillmore attraversò la stanza a rapide falcate, dritto verso il fondo, dove una vetrata coperta da veneziane impolverate divideva il suo ufficio personale da quello dei poveri plebei. Non indossava il suo impermeabile grigio, né il Fedora abbinato. Senza fermarsi, fece cenno di seguirlo.
Tom raccolse i fascicoli, prese il bicchiere facendo attenzione a non scottarsi e obbedì.
La puzza di portacenere, chiuso e moquette marcia da arredamento anni settanta lo colpì allo stomaco. Stomaco vuoto, perché erano le 7.00 del mattino. Un'ora e mezzo prima del solito.
«Buongiorno capo. C'è fermento stamattina...»
«Non ti sfugge nulla, eh? Hai letto?» indicando la pila di scartoffie con la testa brizzolata.
«Sono appena arrivato...»
«Cinque cadaveri stanotte. Tre di overdose, due ammazzati.»
«Cinque morti in una sola notte? Collegamenti possibili?» chiese Tom tenendo davanti agli occhi il primo foglio di ogni risma.
«Cazzo, Tom. Ti paghiamo apposta.»
Il Capitano Brian Phillmore sarebbe stato amato da tutti quanti, se fosse stato il personaggio di una serie tv. Scontroso e irascibile, non perdeva mai occasione di sfoggiare il suo sarcasmo. Purtroppo, nella vita vera, tipi del genere erano una rottura di coglioni. Specialmente alle sette del mattino, prima del caffè, e con in mano quella che sembrava essere una rogna gigante.
Tom buttò giù una golata di arabica, fissando i rettangoli rossi nei quali erano scritte le principali informazioni di ogni caso. «Tre morti di overdose... una partita tagliata male. Uno ai moli, due alle fabbriche. Gli omicidi sono avvenuti uno alle fabbriche, l'altro a Preston Park. Tutti postacci pieni di gentaglia. Gente troppo povera per permettersi la cocaina. L'eroina, per quanto sia diluita, non ti da certo voglia di lanciarti in una rissa, quindi no. L'LSD non da overdose, e poi non va più di moda da quarant'anni.»
«Cosa rimane?»
Il Capitano Phillmore era un rompicoglioni, ma non uno stupido. Lo sapeva fare il suo lavoro, e anche bene, o non lo avrebbe fatto per trentasei anni. Cazzo voleva?
«Direi Crack. Oppure anfetamine. Vanno parecchio, ultimamente. Facili da produrre, costano poco e funzionano. Abbiamo già i tossicologici?»
«Soltanto uno. Non è meth.»
Tom aggrottò la fronte.
«O per lo meno, non la solita meth che conosciamo.» Il Capitano aprì un cassetto della scrivania, e Tom pregò che non tirasse fuori una delle sue granate al catrame e nicotina. Per fortuna era solo una cartella, l'ennesima, che conteneva il referto dell'autopsia preliminare della prima vittima.
Un tossico di ventisei anni lo fissava dalla foto segnaletica, con aria annoiata. John Woran non aveva fissa dimora, ed era stato schedato più volte per reati minori. Una vita passata per strada, tra droga e furtarelli, fino a (secondo il coroner) le ultime ore del 20 ottobre. Poco dopo la mezzanotte, un gruppo di portuali lo aveva trovato accasciato dentro una vecchia rimessa. Avevano chiamato l'ambulanza, ma quello era già stecchito da un pezzo.
«Insomma capo, cosa dovrei fare di preciso? Senza i tossicologici di tutte le vittime non possiamo neanche azzardare ipotesi. Si, ok, c'è una partita di anfetamina tagliata male, e allora? Non è certo la prima volta che una manciata di tossici crepano tutti insieme.»
«Ecco, non si tratta di una manciata di vermi. C'è di mezzo anche Emma Redler, figlia di...?» Il capitano si portò la mano all'orecchio.
« Andrew Ivan Redler? Il colosso delle vetrerie?»
«Esatto. Capisci perché il sovrintendente mi ha buttato giù dal letto appena ha saputo?»
«E lei ha buttato giù dal letto me...»
«No. Prima sono andato al cesso. Comunque, pare che la nostra principessa si trovasse nei quartieri delle fabbriche, e sia in qualche modo coinvolta nell'omicidio di...» sfogliò rapidamente i fogli sparsi sul tavolo.
«...Nicolas Dweinn. Forse è testimone di qualcosa. In ogni caso, visto com'era conciata quando è arrivata qui, direi che non è stata la sua serata migliore.»
«Emma Redler è qui?» Strano immaginarsi una del genere nella stanzetta degli interrogatori. Si sarebbe messa a rifarsi il trucco nel finto specchio.
«Tieni giù l'uccello, Tom. Non ha detto una parola, ha chiamato gli avvocati di papà, che l'hanno portata via perché "in evidente stato confusionale". Hanno pure fatto storie perche avremo dovuto "portarla in ospedale e bla bla bla...".»
«La legge è il peggior dito in culo alla giustizia, giusto?»
«Giusto. Studiati i fascicoli, vai dalla Fomm e digli di muoversi con le autopsie. Voglio che parli con tutti i testimoni, e ti guardi i video degli interrogatori di stanotte. E senti quel tuo contatto, quel giapponese sfigato, li....»
«Yzawa? Ci proverò, ma non è proprio il suo genere di cose.»
«Non me ne frega un cazzo, compragli un dvd con le dodicenni che se la leccano vestite da gundam e fallo parlare.»
Il telefono scolorito sulla scrivania squillò.
Il capitano sbuffò quando lesse il nome sull'interfaccia. Frugò nel primo cassetto e fece cenno a Tom di uscire. L'agente raccolse la sua roba e si richiuse la porta alle spalle, appena in tempo per schivare la nube di fumo che invadeva l'ufficio.
Si sedette al suo tavolo e, dando il colpo di grazia al caffè ormai tiepido, lesse i cinque documenti, che riportavano più o meno le stesse cose.
John Woran.
Ventisei anni, pregiudicato (furto, ubriachezza), tossicodipendente, senza fissa dimora.
Trovato da quattro portuali alle 00.40, senza vita, in una rimessa del molo 14f.
Decesso avvenuto intorno alle 23.30, arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Darnel Brown.
Quarantuno anni, pregiudicato (rapina a un banco pegni), in libertà vigilata.
Trovato dai netturbini alle 04.20, senza vita, tra i cassonetti della fabbrica di ceramiche "BestPotter".
Decesso avvenuto intorno alle 01.00, arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Arthur Case.
Trentatre anni, incensurato, tossicodipendente in riabilitazione.
Trovato dagli agenti della pattuglia 7, ore 05.25, senza vita, nella discarica della fabbrica di ceramiche "BestPotter", durante il sopralluogo per il ritrovamento del corpo di Darnel Brown.
Decesso avvenuto intorno alle 15.00 di ieri (20.10.2019), arresto cardio-respiratorio causato da sostanze stupefacenti e farmaci.
Boris Bozilis
Trentasette anni, pregiudicato (spaccio, furto con scasso, aggressione a un agente).
Trovato dai netturbini, ore 4.50, Preston Park est, zona "Jefferson Monument".
Numerose coltellate al torace e al collo. Arteria giugulare recisa. Probabili lesioni ai polmoni.
Nicolas Dweinn
Trentatre anni, pregiudicato (spaccio, possesso illegale di armi, guida in stato alterato) tossicodipendente.
Aggressione da parte di ignoti alle ore 03.30, Lincoln Street, quartiere delle fabbriche.
Interrogata una presunta testimone.
Deceduto in ambulanza ore 04.17 durante il trasporto in ospedale. Emorragia celebrale interna. Ferite di contusione alla testa e al volto. Sbattuto ripetutamente contro un lampione.
Proprio una bella serie di sfortunati eventi. Cinque morti in una notte, tutti nel raggio di pochi chilometri dalla zona industriale. Sicuramente anche i due omicidi erano legati alla droga. Sperando che il medico legale avesse finito almeno le analisi preliminari, uscì dall'ufficio.
C'era fermento, nella sala comune. Tom la attraversò con calma, tra un "ciao Tom" e un "buongiorno Agente Struker". Tre lampadine rosse dall'altra parte indicavano che le stanze degli interrogatori erano tutte occupate.
Una donna grassa con un bambino per mano parlava agitatamente, gesticolando all'italiana, e strattonando il bimbo nell'agitazione. L'agente Swann era la metà di lei, forse meno, e cercava di farla calmare, col collo piegato all'insù di quarantacinque gradi.
Due ceffi barbuti e sporchi stavano ammanettati alle panche d'acciaio, vicino al banco di registrazione.
Tom imboccò il corridoio che portava ai laboratori.
Vari ritratti di eroi del Dipartimento di Polizia Di Dyersburg-Tennessee tappezzavano le pareti come i condottieri delle famiglie nobili, negli antichi castelli europei. L'unica differenza era che questi non avevano compiuto chissà quali grandi imprese. Si, qualcuno si era beccato una pallottola, qualcun altro aveva risolto dei casi importanti, ma la maggior parte era li solo per aver leccato culi e organizzato banchetti di beneficenza. Li superò, senza che a loro fregasse minimamente della sua presenza.
Quando spinse i maniglioni del laboratorio, una fredda ondata di puzzo ospedaliero lo accolse. Il pavimento lucido lo condusse ad un portellone metallico con due piccole finestrelle in plexiglas. Una targa d'ottone sopra al campanello recitava "Medico Legale Dottoressa Caroline Fomm".
Suonò e attese.
Jane Evans, l'assistente venticinquenne della dottoressa gli aprì la porta un minuto dopo. I capelli ricci neri come l'inchiostro erano infilati sotto il camice, la carnagione olivastra e lo strano taglio degli occhi tradivano qualche sottile discendenza pellerossa.
«Buongiorno Agente Struker.»
Era di quelli che ancora non avevano troppa confidenza.
«Immagino siate qui per i referti. Beh, abbiamo finito gli esami preliminari. Non c'è dubbio, overdose, tutte e tre. E si direbbe la stessa sostanza. Abbiamo notato una stranezza anche nei due morti per omicidio: i muscoli erano molto contratti, come sottoposti a un grosso sforzo. Si, la contrazione muscolare è comune nelle overdose, e anche negli omicidi perché si presume che la vittima si sia difesa, ma qui è a livelli molto alti, e la cosa fa coagulare prima il sangue. Poi abbiamo notato che....»
Chiunque al distretto avesse passato più di tre minuti con Jane Evans aveva lo stesso pensiero: sigillarle la bocca col nastro segnaletico.
Strano per una ragazza carina ed estroversa trovare entusiasmante sezionare cadaveri, o analizzare culografie di trafficanti di droga, ma si diceva in giro che fosse molto competente.
«Ciao tom.» Nemmeno Caroline era molto in tema col suo lavoro. Alta, bionda, i capelli lisci raccolti in una coda, gli occhiali rettangolari senza montatura sui lineamenti dolci. Un fisico che faceva invidia a tante donne quindici anni più giovani la categorizzava come porno dottoressa.
«Ehilà, Caroline. Mi servono quelle autopsie. E già che ci siamo, anche i tossicologici.»
«Si, Phillmore ha buttato giù dal letto anche me, stamattina.» Le occhiaie le davano ragione. «Ho già inviato i campioni di sangue al laboratorio, tra qualche ora dovrebbero mandarveli direttamente di la. Ho finito l'autopsia Nicolas Dweinn. Mi hanno detto che andava fatta per prima.» Dopo qualche click di mouse la stampante cominciò a sibilare, sfornando fogli pieni di scritte e immagini. «Per gli altri, ho compilato il rapporto iniziale, ma mi serviranno un paio di giorni per finire tutto. Però una cosa voglio fartela vedere.»
Caroline aprì una cartella del pc, una carrellata di foto invase il desktop. Ne selezionò una.
Un braccio muscoloso e gonfio stava appoggiato sul lettino metallico dell'obitorio. Scorrendo con la tastiera, l'immagine non cambiava di molto, il soggetto era sempre lo stesso. Cinque braccia destre, qualcuna tatuata, una più scura, un altra molto chiara, tutte coi muscoli in tiro.
«È strano. Tutti i muscoli del corpo sono contratti fino allo spasmo. Sembrano i risultati di un'attività fisica molto, molto intensa.»
«Cosa significa?»
«Beh, sei tu il detective. Io analizzo le cose. Se vuoi la mia opinione, si tratta di anfetamina mischiata a qualche tipo di steroidi. Ne girano di parecchi tipi nelle palestre, e anche in strada.»
Jane fu di ritorno con un vassoio, e tre tazze di caffè fumante.
«Se è troppo caldo, può metterlo in mano a un cadavere per un po'!»
Le due ridacchiarono. Che cazzo di battuta era?
«Me lo farò andare bene. Grazie, Jane.» disse Tom sforzandosi di sorridere.
Qualcosa sotto lo sterno gli ricordò che era il secondo della mattinata, e non aveva ancora fatto colazione. Si sarebbe fermato al subway una volta uscito.
«Come è morto Nicolas Dweinn?»
«Emorragia interna al cranio. Un oggetto cilindrico, molto grosso. Probabilmente lo hanno sbattuto contro il lampione.» Gli mostrò uno dei fogli sputati dalla stampante. Era la radiografia di un cranio. «Tre colpi alla nuca, uno parecchio forte.»
La parte posteriore del cranio vista di profilo risultava bombata verso l'interno. Non serviva avere una laurea per notare che nel reticolo di ombra azzurrine del cervello c'era una macchia troppo marcata nella zona del cervelletto che si estendeva verso l'interno, affievolendosi fino a mescolarsi col resto della foto.
«Una bella botta. Aggiungici la pressione arteriosa e capillare aumentata dalle anfetamine, ed eccolo qui sul mio tavolo.»
«Anche Nicolas Dweinn era fatto, quindi. Caroline, perché hai pensato subito alle anfetamine? Hai trovato qualcosa o...?»
«Esclusione.» rispose lei portandosi il caffè alle labbra color porpora. «Secondo le foto e i rapporti, nessuno dei tre morti di overdose ha vomitato, ne presenta segni di disidratazione. Non è ecstasy o mdma.»
«E in quanto al crack?»
«Nemmeno. Nessuno dei cinque ha le mucose irritate. Se prendi una dose così forte da stenderti, ne rimangono le tracce nel naso e nella gola, oltre che nel sangue. Non erano fumatori di crack, o cocainomani. Niente buchi, quindi niente eroina. Rimangono solo le anfetamine in pasticche, ma se credi che abbiamo ristretto il cerchio, ti sbagli.»
«Un'intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti.»
Jane Evans piegò la testa di lato sospirando rumorosamente con gli occhi socchiusi. La collega le lanciò un sorriso malizioso. Evidentemente Johnny Deep era uno dei loro argomenti preferiti.
«C'è di mezzo un pezzo grosso, vero?» chiese la dottoressa. «Non è normale che il Capitano svegli mezzo distretto. Non l'avrebbe fatto solo per qualche drogato.»
«No, infatti. Dicono che Emma Redler era presente al momento dell'omicidio di Nicolas Dweinn. Pare che l'abbiano portata qui per testimoniare, stanotte, ma gli avvocati l'hanno portata via subito.»
Jane sbuffò. «Come non la sopporto. È una troia svergognata. Fa tanto la brava ragazza in tv, poi la trovi nei locali a misurare il pacco ai ragazzi.»
Due paia di occhi perplessi prima si incrociarono, poi si voltarono verso l'assistente in cerca di spiegazioni.
«Si, davvero.» continuò. «Si mette una parrucca, va nei locali in periferia, e si mette a fare la scema con tutti. Si porta i ragazzi in bagno e gli misura il coso. Se è abbastanza ubriaca lo fa in pista davanti a tutti. Ci sono anche delle foto, su internet.»
Gli occhi si fecero da perplessi a sospettosi.
«Sicuri che è lei?»
«Beh, è travestita. E le foto non sono perfette...è buio, e tutto quanto...»
Tom e Caroline si guardarono, felici di far parte di una generazione e di un ceto sociale che non aveva problemi di social network.
«Ognuno ha i suoi feticci, mia cara, non è certo problema mio occuparmi di quelli degli altri. Vi ringrazio del caffè, adesso devo andare. Ho da interrogare dei testimoni, e se riesco, anche la Santa Emma.»
«Di nulla Tom, ti faccio avere i risultati finali appena possibile.» Occhiolino. «Buona fortuna al colloquio con la misuratrice.»
Guardami di nuovo in quel modo, e non sfigurerò di certo.