L'assurda colpa di esistere - Jacqueline Nieder

La 64ª Edizione (la 63ª è il Contest Best - non te la sarai mica perso, vero?) è denominata Contest Live. Questa edizione speciale si è tenuta il 28 febbraio 2015 alla Biblioteca Ginzburg di Torino. Quindici scrittori selezionati hanno partecipato alla sfida sul tema: Il passato è una bestia feroce, il titolo del primo thriller di Massimo Polidoro, Edizioni Piemme.
jacqueline.nieder
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L'assurda colpa di esistere - Jacqueline Nieder

Messaggio#1 » sabato 28 febbraio 2015, 15:51

Sono ancora indecisa, indecisa su cosa sentire, in quale ordine, secondo quale priorità. A quale emozione permettere di governarmi e per quanto tempo. Come se, davvero, potessi decidere.
Le urla che mandi sono come quelle del nulla quando è diventato materia. Immagina lo strappo del buio, l’agonia di quello squarcio che ha buttato fuori la Creazione.
Sei sdraiata su un letto, al caldo, il ginecologo ti ha controllata per la settimana volta - sì ho contato – e ora dice che va tutto bene e ogni cosa sta seguendo il suo ordine naturale, che sei dilatata e l’infermiera ti danza intorno – sì credo che tu le piaccia in un altro modo –, hai delle lenzuola addosso, lenzuola che sono pulite, siamo in Italia, qui si sopravvie meglio, qui non senti scoppiare il colpo di un carrarmato alle undici di mattina, qui non fanno irruzione negli ospedali e uccidono gli uccisi, sei al sicuro. Sei al sicuro mentre ti senti come Dio quando ha creato il mondo.
Eleonora. Le hai dato un nome di questa terra. Ma tua figlia sarà figlia di questa terra, amore mio? E noi che siamo? Di che cosa siamo figlie, di chi sei figlia?
Ecco, non riesco a guardarti, perdonami ti prego se la mia mano fugge la tua, se scotti come quando il gelo è troppo freddo. Tua madre non riesce a guardarti.
Non volevo guardarti neanche la prima volta, non te l’ho detto mai. Sei nata tre anni dopo l’inizio della guerra, nel ’93 e non riuscirò mai a descriverti cosa furono per la Croazia, per Vukovar quegli anni. C’erano più carri armati che anime. O forse mi sbaglio. Se fosse stato così, ne sarebbe bastata una manciata di macchine della morte, perché ormai le anime, anche nei vivi, non ne erano rimaste.
A Vukovar avevano gettato delle bombe con la stessa leggerezza con cui da bambina facevi piovere della terra sbriciolata sui formicai, per vedere impazzire quelle povere bestiole. E ti sgridavo e ti odiavo e mi facevi paura. Sì, è vero, a volte ti ho odiata e ho avuto paura del sangue che portavi dentro.
C’erano come i buchi dei tuoi formicai, centinaia di buchi di mitragliatrice su ogni muro della città. Poi avevano cominciato a crescere le erbacce ai lati delle strade dove il cemento aveva ceduto sotto la prepotenza dei carrarmati. Si erano coperte di detriti, di mattoni rossi, pezzi di vita, rottami. Qualcuno, uno di quegli eroi senza volto, aveva rubato alcune lamiere dal cadavere di un carrarmato e ci aveva costruito una croce che aveva piantato a cinque o sei metri sul lato della strada vicino a casa mia. C’è l’acquedotto che dovresti vederlo, ti ricorda cosa è successo anche quando alzi gli occhi per cercare un po’ di pulito. Non so se è ancora così, non torno in Croazia da più di quindici anni.
Damir, mio marito, lo hanno ucciso nell’agosto del ’92. Era andato a cercare qualcosa da mangiare. A volte si spingeva fin nelle campagne sperando di trovare qualcosa nelle sterpaglie dei campi abbandonati. Ho mangiato anche dell’erba medica una volta. Non mangiavamo da due giorni e Damir ha portato a casa un fascio d’erba. Quando l’ho visto, ho pianto. Credevo che saremmo morti di fame. Quella volta era per strada e si è avvicinato a un cane randagio, forse per vedere se era abbastanza sano da poterlo mangiare. È passato un soldato e gli ha sparato alla schiena. La pallottola gli è uscita dall’anca e ha colpito il cane. Li ho trovati così. Due figli bastardi che Dio non ha riconosciuto.
Alle figlie bastarde invece Dio faceva fare una fine diversa. Quando ho scoperto di essere incinta del serbo che mi aveva violentata ho cercato di perderti. Mi sono presa a pugni la pancia, mi sono infilata degli oggetti nella vagina, ho pensato persino di aprirmi il ventre con un pezzo di vetro. Ma non te ne sei andata, per fortuna, non te ne sei andata.
Prima che mi crescesse troppo la pancia, sono scappata in un paese vicino. Avevo camminato per quattro giorni fin quando non avevo trovato una casa dove si erano nascoste una decina di donne ormai sconosciute anche a se stesse che vivevano con quattro uomini tra fratelli, cognati e mariti. Alcune di loro erano incinte come me, alcune erano impazzite, alcune avevano smesso di parlare. Ricordo due ragazze in particolare, una di quattordici anni che perse il bambino al secondo mese, l’altra, di trenta, lo partorì e lo abbandonò su un mucchio di macerie in mezzo alla strada. Credo sperasse che i suoi violentatori vedessero in quel bambino la sua vendetta e il suo odio. Ma fu un gesto che la spense del tutto.
Tu, invece, sei venuta d’inverno. Dovevano esserci venti gradi sotto zero. La neve era alta un metro e rendeva tutto più sopportabile, nascondeva le cose. Sei venuta di notte, quando dovevamo chiudere tutte le luci per evitare che gli aerei bombardassero le case. Ti ho maledetto. Tremavo dal freddo e dalla fame. Due uomini mi hanno portata nella cantina e mi hanno lasciata vicina alla caldaia. Hanno detto che così, forse, non sarei morta e forse non saresti morta neanche tu. Ricordo il sudiciume, ricordo i ratti che correvano lungo i muri e avevo paura che cominciassero a mordermi e non riuscissi a difendermi. Sono rimasta sola per poco, perché alcune donne sono venute ad aiutarmi. Mi hanno coperta e hanno fatto pressione sul mio stomaco per aiutarti a uscire. Urlavo come il giorno in cui hai iniziato a esistere. Sei venuta in fretta. Ho sperato che fossi nata morta, non avrei avuto il coraggio di lasciarti su un cumulo di neve. Invece hai cominciato a piangere e io con te. Ed è stato in quel momento, credo, nella spinta che è partita dalla schiena e ha proteso tutti i muscoli in avanti, dalle spalle alle braccia, alle mani, fin alla punta di ogni singolo dito, che ha cambiato tutto. E come ti ho avuta, ti ho stretta, nascosta dentro il seno, sotto la coperta, vicina alla caldaia. E ti alitavo in fronte, per non farti congelare e ti baciavo come se fossi un miracolo e ti ringraziavo, sì continuavo a ringraziarti di essere venuta da me. E ti chiedo anche ora, qui, grazia e perdono. Mentre spingi, mentre la volta buia del nulla si squarcia ti chiedo grazia e perdono.
Finalmente senti il vagito di Eleonora, così ti posso guardare protenderti in avanti anche tu, con le ultime forze che ti sono rimaste dopo un travaglio di tredici ore e osservo come la prendi e la baci e la stringi e ringrazi Dio e me. Me. Ringrazi guardandomi con Eleonora negli occhi. E capisco solo ora, dopo venticinque anni, che tu il perdono me lo avevi già dato quel giorno, in quella cantina, in quella Croazia, respirando mentre ti alitavo sul viso per non farti congelare.



cristina.danini
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Messaggio#2 » domenica 1 marzo 2015, 12:45

Racconto davvero toccante, complimenti. Non è facile commuovere senza diventare patetici con i racconti storici, ma questo ci riesce eccome. Ho solo qualche dubbio sull'incipit, secondo me partendo dal secondo capoverso è comunque esplicito quel che prova quella donna e perché. Comunque anche il primo non risulta fastidioso, anche perché è molto breve.

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Filippo Santaniello
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Messaggio#3 » domenica 1 marzo 2015, 20:31

Ciao Jacqueline,
complimenti per le emozioni che offre il tuo racconto, anche se la comprensione del testo, soprattutto all'inizio, si fa difficile perché oscilli spesso dalla prima alla seconda persona singolare. Fino a metà racconto, per colpa di alcune frasi macchinose, ero distante anni luce dalla storia, non mi riuscivo a immergere nella vicenda, tanto che sono stato costretto a interrompere la lettura per rileggere il pensiero precedente, invece molto ben riuscita la descrizione del parto durante la guerra. Se tutto il racconto avesse mantenuto quell'andamento, il mio giudizio sarebbe sicuramente più positivo.
Ho notato un paio di refusi: "il ginecologo ti ha controllata per la settimana volta" e "carrarmato".
A presto e buona serata!

beppe
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Messaggio#4 » giovedì 5 marzo 2015, 17:15

Ciao Jacqueline e benvenuta a Minuti Contati! :)
Ti dico subito che “scrivere quel che si conosce” non è solo un consiglio. È quasi una necessità. Tu scegli un punto di vista molto difficile, perché descrivi un periodo storico che per ragioni cronologiche non puoi aver vissuto se non per racconto indiretto, la guerra in Croazia nei primi anni Novanta.
Per esempio:
hai delle lenzuola addosso, lenzuola che sono pulite, siamo in Italia, qui si sopravvie meglio, qui non senti scoppiare il colpo di un carrarmato alle undici di mattina, qui non fanno irruzione negli ospedali e uccidono gli uccisi, sei al sicuro

C’è qualcosa di esterno in queste considerazioni. Dovuto forse alla troppa precisione, come la notazione “il colpo di un carrarmato alle undici di mattina” mi suono strano. E non fa parte di quello che la madre, presto nonna, narra successivamente. Lei non è mai stata in un ospedale in cui hanno fatto irruzione uccidendo gli uccisi. Questo lo abbiamo visto noi, dall’Italia, nei reportage, dall’esterno. Lei che era all’interno della situazione può aver visto solo la sua “fetta” di mondo (come quando descrivi la cantina con la caldaia).
Anche le considerazione sul dare la vita che riecheggiano la creazione divina mi suonano troppo auliche, ma forse è una mia impressione.
È bello quello che descrivi, probabilmente centra bene il sentimento di questa donna che vede la figlia partorire in circostanze del tutto diverse dalle proprie e torna con la mente nel suo passato. Ma, mi pare, che tu ce la presenti troppo filtrata da una sensibilità da narratore esterno.
Per il resto un bel pezzo, molto caldo, struggente. :)
Attenta qui: distrazione: “per la settimana volta”, invece di “settima” volta. Refuso: “sopravvie” per “sopravvive”.

sharon.galano
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Messaggio#5 » giovedì 5 marzo 2015, 22:04

Ciao Jacqueline,

partiamo dal titolo: è già un racconto, ottimo come trampolino di lancio per la lettura.

Operi delle scelte ben precise: la cornice non appare subito ben delineata, si intravede una creazione, ma non si sa bene ancora di che natura. Le vicende della guerra funzionano solo laddove la protagonista le vive in prima persona. L'emozione nasce in quel continuo diverbio interiore : abortire, abbandonare, perdonare, vivere.

Ti consiglierei maggiore chiarezza sin dalla prima battuta. La storia è forte, non avere paura di osare.

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marco.roncaccia
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Messaggio#6 » lunedì 9 marzo 2015, 13:43

Ciao Jacqueline,
mi è piaciuto il tuo racconto soprattutto per la capacità che dimostri nel saper trasmettere emozioni.
Trovo però che la seconda e prima persona che si alternano ostacolino la lettura e l’eccesso di particolari in alcune scene (Vukovar ad esempio) e la velocità con cui liquidi altre potenzialmente drammatiche (lo stupro della mamma/nonna) rendano squilibrato il racconto nelle sue parti.
Anche l’accostamento (ripetuto) del parto alla creazione più che aggiungere solennità al momento sembra togliere scorrevolezza ed essere un po’ sopra le righe.
In ogni caso complimenti.

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ceranu
Messaggi: 738

Messaggio#7 » lunedì 9 marzo 2015, 15:06

Ciao Jacqueline.
Hai raccontato un bel dramma, e hai toccato un argomento molto delicato. Ci vuole coraggio e lo apprezzo. Apprezzo meno la scelta stilistica che hai fatto.
Il racconto, sebbene sia ricco e ben scritto, alla lunga (paradosso di un racconto breve) diventa pesante. Vada per il sentimento, ma entrare così tanto nel personaggio diventa claustrofobico. Non c'è un momento di luce, non uno spiraglio di speranza. In questo caso ho sentito la mancanza dei dialoghi, parte che personalmente apprezzo molto negli scritti.
Nel complesso è una buona prova.
Ciao e alla prossima

viviana.tenga
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Messaggio#8 » lunedì 9 marzo 2015, 21:36

Ciao Jacqueline,

Il tuo è un racconto molto intenso, pieno di emozioni forti, ma secondo me non riesce a rendere al meglio delle sue potenzialità. L'idea con cui hai impostato il racconto (protagonista che racconta la sua storia rivolgendosi alla figlia che sta partorendo) è bella, ma secondo me non funziona del tutto la voce narrante, a tratti decisamente troppo altisonante, anche tenendo conto delle origini umili della protagonista. Da questo punto di vista, la parte centrale è quella che funziona meglio, inizio e finale risultano fin pesanti alla lettura, quasi retorici. Comunque, hai scelto una storia impegnativa e nel complesso ne sei uscita più che bene.

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eleonora.rossetti
Messaggi: 553

Messaggio#9 » martedì 10 marzo 2015, 10:39

Mi sono un po’ persa all’inizio, lo ammetto. Ho dovuto rileggere più volte per capire (sempre se ho capito bene ^^'') che a parlare è la nonna che vede venire al mondo sua nipote. Superato questo ostacolo la narrazione ha cominciato a filare, con la reminiscenza. All’inizio sei inciampata un po’ nelle descrizioni che, pur curate, mi hanno un po’ allontanata dalla vicenda della nonna, mentre invece avrei voluto che il punto di vista fosse suo e basta. Meglio nella seconda parte, con la descrizione del parto che ci proietta proprio di fronte a lei e ci fa vivere nel dettaglio ogni sua emozione.

Ho notato refusi sparsi (già segnalati dagli altri) ma nel complesso una prova ben riuscita, i miei complimenti ^^
Uccidi scrivendo.

carolina.pelosi
Messaggi: 72

Messaggio#10 » martedì 10 marzo 2015, 12:08

Ciao Jacqueline. Anche a me, come a  Sharon, è piaciuto il titolo. Una garanzia, praticamente, che descrive già il dramma della storia. Ma, come Eleonora, mi sono persa un pochino all'inizio: ho finito di leggere il racconto e poi ho capito che a parlare è sua madre, non lei che partorisce.
Mi sono piaciute le descrizioni dei luoghi, mi sono piaciute tanto certe frasi ("Le hai dato un nome di questa terra. Ma tua figlia sarà figlia di questa terra, amore mio? E noi che siamo? Di che cosa siamo figlie, di chi sei figlia?", "Li ho trovati così. Due figli bastardi che Dio non ha riconosciuto"), altre invece non mi hanno convinta ("mi sono infilata degli oggetti nella vagina"). Ho trovato toccante l'amore incondizionato verso sua figlia, nonostante fosse frutto di uno stupro, e la parte finale.

Alla prossima

francesco.damore
Messaggi: 19

Messaggio#11 » martedì 10 marzo 2015, 13:47

Nonostante l'intesità emotiva del testo, mi sono perso un po' all'inizio del racconto e ciò ha scaturito in me una perdita d'attenzione. Spesso mi domandavo se succedesse davvero qualcosa perché non riuscivo a seguire bene il tutto. Forse è stato proprio questo accumulo di emozioni che ha appesantito il testo. Troppo e niente hanno più o meno riscontri simili.
Nel complesso la reputo comunque una buona prova.

enrico.nottoli
Messaggi: 82

Messaggio#12 » venerdì 13 marzo 2015, 14:51

Ciao Jacqueline!

Questo è stato uno dei racconti più difficili da giudicare per me. Da un lato ho una bella storia, ricca di pathos, bella e intrigante; inoltre hai un gran bel modo di scrivere, mi piace molto e la narrazione fila bene. Però io (come chiunque altro) sono un fan di Hemingway e dei suoi insegnamenti cerco sempre di trarne qualcosa. Forse sai già che lui disse qualcosa del tipo "scrivi di quello che sai", e in effetti non aveva tutti i torti. Chiaramente non si deve solo scrivere cose accadute o vicine a noi, altrimenti avremmo solo biografie, però penso che bisogni stare attenti agli argomenti che affrontiamo.

Detto ciò ti ripeto che la storia in sé è notevole, ma non mi convince al cento per cento per questa ragione.

Spero di leggerti ancora. Ciao :)

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patty.barale
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Messaggio#13 » venerdì 13 marzo 2015, 15:47

Questo racconto mi ha molto colpita non solo per la descrizione del parto nella cantina e del legame che subito unisce la donna con quella figlia della violenza, ma anche perché mi ha riportato ai racconti dolorosi dei molti sopravvissuti alla guerra dei Balcani che ho conosciuto quando vivevo a Sarajevo.

Il tuo sguardo vivido sugli orrori di quella guerra mi ha fatto pensare che tu possa essere originaria di lì e che, quindi, quello che racconti possa appartenerti come ricordo indiretto e se non è così... brava!

La critica che mi permetto di fare è sull'uso della prima e seconda persona: ho faticato un po' a capire chi era l'io narrante.

In ogni caso bella prova!

Alla prossima.

viviana.spagnolo
Messaggi: 20

Messaggio#14 » lunedì 16 marzo 2015, 21:45

Ciao Jaqueline! La tua scrittura è agile e corretta. Ho apprezzato molto quelle frasi brevissime che inserisci qua e là e che colpiscono puntuali nel segno. Purtroppo anch'io sono caduta un po', in confusione all'inizio... per il resto, però, il racconto fila bene e la storia tocca e coinvolge. E credo sia questo l'importante! Brava.

diego.ducoli
Messaggi: 265

Messaggio#15 » lunedì 16 marzo 2015, 22:48

Ciao Jacqueline

Un racconto ricco di sentimenti e disperazione, tanta disperazione forse un po' troppa.

Rende il racconto un po' pesante, non posso dire molto sull'ambientazione e sul contesto ho solo qualche racconto di gente che l'ha vissuto, ma si parla di molti anni addietro.

In verità non mi piacciono molto i brani nel quale si avvicendano le disgrazie sembrano fatti apposta per commuovere,ma do il beneficio del dubbio in quanto il contesto storico è reale.

 

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Peter7413
Messaggi: 558

Messaggio#16 » venerdì 20 marzo 2015, 11:14

Sono rimasto indeciso a lungo, alla fine ho deciso che il racconto m'è piaciuto. Il tema dell'edizione lo permea fin dalle fondamenta e Jacqueline non si ferma a quello, lo sviluppa andando ad argomentare la necessità di scendere a patti con la bestia feroce del nostro passato, che la vita va avanti, che siamo come fenici e rinasciamo dalle nostre ceneri ed è sbagliato e controproducente rimanere, appunto, cenere. Non m'inoltro nella questione della verosimiglianza o meno riguardo ai fatti narrati, ma faccio notare che Patty Barale, che fra gli autori e i giurati è stata l'unica a dire di avere in certo modo respirato quell'atmosfera, sostiene ci sia verità nelle parole dell'autrice e a me basta e mi sarebbe bastato comunque perché non posso giudicare su argomenti che non conosco e il racconto stesso tratta quella guerra per declinare, appunto, il tema e lo fa bene. A livello di problematiche faccio notare, come altri, la difficoltà per il lettore di distinguere da subito fra madre e figlia che sta partorendo, serve un inserto, anche poche parole che lo definisca da subito in modo da indirizzare "pronti, via" la lettura.

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