Classifiche giurati e Classifica Generale Parziale Aggiornata

La 64ª Edizione (la 63ª è il Contest Best - non te la sarai mica perso, vero?) è denominata Contest Live. Questa edizione speciale si è tenuta il 28 febbraio 2015 alla Biblioteca Ginzburg di Torino. Quindici scrittori selezionati hanno partecipato alla sfida sul tema: Il passato è una bestia feroce, il titolo del primo thriller di Massimo Polidoro, Edizioni Piemme.
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antico
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Classifiche giurati e Classifica Generale Parziale Aggiornata

Messaggio#1 » martedì 17 marzo 2015, 13:03

Ricordiamo che i primi tre della Classifica Finale saranno ammessi di diritto alla vetrina del sito e che gli stessi tre più i migliori due (esclusi quei tre) che verranno fuori dalle classifiche dei Giurati saranno inviati a Massimo Polidoro per lettura e commento.

Ricordiamo inoltre che ulteriori racconti potranno essere selezionati per la vetrina a insindacabile giudizione della Redazione di Minuti Contati e che in tale selezione verranno considerati anche gli elaborati corretti in seguito alle indicazioni ricevute durante l'Edizione (che dovranno essere spediti alla mail scrivi@minuticontati.com, NON MODIFICATE I RACCONTI ORIGINALI)

Ecco a voi la Classifica Generale Parziale (aggiornata alle classifiche dei partecipanti e dei giurati)
 



























































P.Titolo raccontoAutoreCons.Punti
1)Non cambia maiMarco Roncaccia16.3454
2)Solo tu puoi prenderloFilippo Santaniello16.5778
3)PerfectionEleonora Rossetti15.31104
4)RimpiantoEnrico Nottoli16.47106
5)L'assurda colpa di esistereJacqueline Nieder15.51113
6)OmbreCarolina Pelosi15.40115
7)Buried TownViviana Spagnolo16.18159

 
Sono state assegnate le seguenti penalità:

- 1 punto a Viviana Spagnolo per avere omesso di postare due commenti nel tread delle classifiche. La penalità corretta sarebbe stata di 10 punti, ma l'autrice ha commentato i racconti mancanti nei tread e la sua va considerata come una svista e il punto di penalità è da considerarsi alla stregua di un buffetto stile "stacci più attenta la prossima volta".

- 5 punti a Nicolas Lozito per avere commentato quattro racconti con meno di 300 caratteri. La penalità corretta sarebbe stata di 10 punti, ma dimezzandola intendiamo onorare comunque il fatto che i commenti fossero tutti sopra i 250 caratteri, diciamo una svista anche questa, anche se più grave rispetto a quella della Viviana Spagnolo.

- 10 punti a Giulio Lepri per avere commentato quattro racconti con meno di 300 caratteri. In questo caso non abbiamo concesso sconti perché due commenti risultano di una sola riga e poche parole, un po' poco!



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ceranu
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Messaggio#2 » martedì 17 marzo 2015, 22:04

Ciao a tutti, è stato un piacere leggere e commentare i vostri racconti.
 
Ecco i commenti in ordine sparso.
 
 
La Bestia di fuoco di Giulio Lepri
 
Ciao Giulio.
Trovo il racconto confuso, sia nell'intreccio, sia nella scrittura.
 
Stile:
qualche passaggio è poco scorrevole. Ci sono delle D eufoniche, che di per se non sono un errore, ma la tendenza è quella di evitarle. Ho trovato un paio di parole tronche, vale la stessa cosa delle d, non è un errore, però...
Altra cosa che non mi piace è l'utilizzo della parola Sciaff, decisamente più da fumetto che da racconto. Ultimo appunto sulla realizzazione: spesso manca la punteggiatura a fine dialogo, è stato un modo per recuperare battute?
 
Trama: decisamente poco originale.
Il figlio di una relazione precedente o del tradimento. Cambia poco. Non capisco il comportamento della donna, o meglio non mi dai un motivo che lo renda minimamente plausibile. Il cane compare solo per morire, lasciando poco al lettore, e anche lo psicologo c'è e basta.
Spesso è difficile seguire i salti temporali.
 
Conclusione:
tenendo conto dei vari problemi non posso valutare la prova positivamente, e questo è un peccato perché la tua scrittura è ricca di sentimenti.
Spero ci siano altre occasioni di leggerti.
 
 
Perfection di Eleonora Rossetti
 
Ciao Eleonora, bel racconto.
L'idea è molto interessante e l'esecuzione precisa.
Ci sono un paio di cose che non mi convincono, ma sono sottigliezze.
I comandi manuali, che rimandano al mondo attuale, mi sembrano un tantino fuori contesto. Connessione neurale con un telecomando e senza un tasto per l'emergenza? Si può fare di meglio.
Non mi piace molto la parte in cui ricorda di aver letto nelle istruzioni... è un modo efficace per rendere reale la scena dopo, ma un po' troppo infodump. Avrei preferito si trovasse davanti la sua parte arrabbiata e basta.
Nel complesso è un buon lavoro.
Ciao e alla prossima.
 
 
Solo tu puoi prenderlo di Filippo Santaniello
 
Ciao Filippo.
Lettura piacevole, bel racconto.
La storia è interessante, in due scene rendi bene i sentimenti del protagonista, senza cadere nel patetico. Bravo.
Lo stile è buono, non ho nulla da dire.
L'unico neo è il modo in cui non ci fai vivere la morte del padre: “Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi.”
E ci confondi dopo: Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo.
Io non l'ho visto, non puoi dirmi che lo rivedi, altrimenti non ho modo di immedesimarmi, di vivere quell'angoscia. Ma è solo un dettaglio.
Invece volevo farti i complimenti per altre immagini nitide, una su tutte : scostò i capelli dalla fronte con un colpo di testa come se qualcuno avesse crossato un pallone
Nel complesso una buona prova.
Ciao e alla prossima.
 
 
La bestia del Gévaudan
 
Ciao Francesco, ho trovato il racconto abbastanza scorrevole, ma con alcuni problemi.
 
Stile:
Prima di tutto un appunto che riguarda il mio gusto personale. Non adoro le storie completamente raccontate. Le trovo troppo fredde.
purtroppo ci sono troppe ripetizioni, sia di singole parole che di concetti ripetuti almeno un paio di volte di troppo. Cose come Lo sfidò e lui accettò la sfida vanno evitate. Occhio anche a chiudere e aprire due frasi attaccate con la stessa parole. C'è anche qualche errore più banale, ma niente di che. Occhio ai dialoghi, ogni nuova voce è maiuscola. In alcuni punti ho avuto anche l'impressione che il tempo verbale sia vacillato.
 
Trama:
poco originale, ma funzionale. Bambini morti, bestia feroce sia fisica che immaginaria. Lo scontro il ragazzo che picchia (penso fosse quella la bestia del passato). Lui fallito che trova la rivalsa. C'è tutto perché sia un buon intreccio, ma manca di sentimento.
 
Conclusione:
può essere un buono spunto, ma va rivisto.
Ciao
 
 
Aida di Nicolas Lozito
 
Ciao Nicolas.
Parto subito dalla parte del racconto che mi piace meno:
“Trent’anni anni prima, Aida è una diciassettenne sordo-cieca”
Perché hai scelto il presente. Se ci porti indietro nel tempo passa al passato.
“da quando ha iniziato imparato a parlare.”
Iniziato o imparato.
“Vive con i genitori, nessun fratello, in campagna, ma ama la vita di città, i colori che può solo immaginarsi, tutto quel movimento intorno.”
Fatico a capire questa frase. Mi spiego, il concetto è chiaro, la costruzione un po' meno.
“Conosce delle amiche negli istituti che ha frequentato, ma sono distanti. Ha un assistente che ogni settimana va da lei...”
O conosce delle ragazze, o ha delle amiche. Le amiche o le conosci o non sono tali.
 
Insomma, questa parte è un casino. Di conseguenza, lo stile è da rivedere.
Trama: molto interessante la prima parte e la chiusura. La parte centrale invece non mi piace. Vada per la sordociecità arrivata in età non meglio precisata. Vada per un padre che prima accetta la malattia della figlia, ma poi la rinnega perché incinta (questo è difficile da comprendere perché non hai contestualizzato gli eventi). Però lo stupro da parte di Michele no. Perché di stupro si deve parlare in questa situazione. E poi lei, sola, sorda e cieca, come fa a vivere? Capisco che cercavi il dramma, ma penso che tu abbia esagerato.
 
Ciao e alla prossima
 
 
Radioman, di Sharon Galano
 
Ciao Sharon, ben trovata.
Premetto che non mi piacciono le storie ambientate negli USA, ma questo è un dettaglio.
Racconto dalle due facce, da una parte la storia intrigante, e i toni allegri e allo stesso tempo malinconici. Dall'altra la sensazione di non aver capito cosa volevi dire.
Il protagonista è interessante. Quest'anziano dal passato avvolto nel mistero o nella confusione generata dall'alcol. Però a un certo punto ho la sua stessa sensazione di confusione. Era veramente un soldato? I suoi ricordi sono veri o frutto delle allucinazioni? Era già un barbone? Troppi interrogativi per un solo racconto.
 
Stile:
in generale il tuo modo di scrivere mi piace, ma ho un paio d'appunti da farti.
Non usare il – per i dialoghi. Ci sono molti segni che possono far partire il dialogo, ma non quello.
Non mi sono piaciuti un paio di passaggi, ti faccio un esempio: “i compagni dell’Alcolisti Anonimi per poco non caddero dalle sedie.”
Qui hai specificato una cosa che eri riuscita a far capire senza doverla nominare, tra le altre cose ci eri riuscita anche bene. Mentre la leggevo dell’Alcolisti Anonimi mi è sembrata una forzatura. Va bene, il lettore dev'essere trattato come un bambino ottuso, ma forse alcune cose le possiamo omettere, facciamogli credere che sia sveglio.
Ciao e alla prossima.
 
 
Rimpianto di Enrico Nottoli
 
Ciao Enrico,
racconto molto carino, ma con parecchi limiti.
Lo stile mi piace, c'è qualche ripetizione, ma poca cosa.
Il problema è la storia. Finita la lettura, dove crei un'ottima atmosfera, rimane poco. Non c'è un vero motivo per leggere questo racconto, la trama di per se non è nulla di particolare. Un uomo come molti che paga per una cazzata fatta. Non regge lo stress e va fuori di testa.
Non so, mi sembra un po' poco.
A tratti ho avuto l'impressione che surreale e normalità si mischiassero. Non mi sono stupito leggendo che il suo amico era un cinghiale, ma l'ho fatto quando hai scritto che da solo l'ha spinto oltre il Guardrail. Quanto pesa un cinghiale?
In quella scena ci sono altre imprecisioni, la realtà ha bisogno di coerenza. Se urti il cinghiale e freni solo dopo, l'animale sarà dietro l'auto e non davanti.
Nel complesso una buona prova, leggera ma buona.
Ciao e alla prossima
 
 
Non cambia mai di Marco Roncaccia
 
Ciao Marco, ben ritrovato.
Bel racconto, delicato e intelligente. Usi il mondo zombie in maniera perfetta. Forse è un po' lento, ma rende benissimo.
Ammetto di faticare parecchio a trovare dei difetti nel racconto, ma sono qui per giudicare, quindi lo farò :P
I tre uomini, nonostante siano in un mondo che dovrebbe livellare tutti, mantengono le caratteristiche precedenti alla catastrofe. Forse ci sei andato un po' troppo sul pesante con gli stereotipi. La svastica è un particolare che avresti potuto omettere, la scena avrebbe mantenuto la stessa forza e avrebbe trasmesso la stessa idea. Anzi, probabilmente sarebbe stata più forte.
Mi piace molto lo zombie, il suo tentativo di normalità. Buona anche l'intuizione finale.
Però non ho capito quale sia la bestia del passato, il nazismo?
Nel complesso un ottimo racconto. Complimenti.
 
 
Incenso di Cristina Danini
 
Ciao Cristina.
Bel racconto, forse un po' troppo drammatico.
 
Iniziamo dalla parte tecnica. C'è qualche refuso, piccoli errori, alcuni tempi imprecisi e decisamente troppe ripetizioni. La parola “passato” viene ripetuto fino alla nausea.
 
“Era il passato, ma non poteva non sapere che potesse essere anche il futuro”
 
Questa frase è da rivedere completamente. Inizierei togliendo il doppio non.
 
La trama è molto semplice e decisamente abusata, tanto che avresti potuto chiamare il racconto: “Insonnia d'amore”. Non succede nulla, c'è una ragazza che soffre perché lui l'ha lasciata e l'amica prova a farla ricominciare. Manca almeno un elemento nuovo, qualcosa che la possa far distinguere dalle altre.
 
Nonostante tutti i difetti viene fuori una bella storia. Mi piacciono i sentimenti che emergono, adoro le immagini che tratteggi. Sei brava e anche parecchio. C'era dolore e angoscia, ma non quella raccontata, bensì quella che si può vivere leggendo.
Ciao e alla prossima
 
 
Se solo sapessero... di Viviana Tenga
 
Ciao Viviana, ben rivista.
Racconto dalle due facce, da una parte l'idea migliore che abbia visto fino a ora, dall'altra dei dialoghi che non mi hanno per nulla convinto.
Provo a spiegarmi meglio. L'intreccio è ottimo, mi piace l'alternarsi delle due storie. Ma quando i personaggi aprono bocca ho sempre la sensazione di sentire un'unica voce, la tua. Capisco che questo racconto abbia una morale e che questa debba passare, ma hai calcato troppo la mano.
Nel secondo paragrafo la madre dice al nonno di non raccontare al bambino dei lager, ok. Peccato che due righe sotto lo stesso bambino inizi a parlare dei diritti dei manifestanti. Le due parti stridono. Anche i dialoghi della madre sono troppo forzati.
Peccato, perché la storia è decisamente interessante.
Nel complesso il racconto mi piace, brava.
Ciao e alla prossima.
 
 
Buried Town di Viviana Spagnolo
 
Ciao Viviana.
Bell'esercizio di scrittura. Si legge tutto bene, senza intoppi e trovo il tuo stile frizzante e coinvolgente. Eppure il mio commento deve finire qui, perché non c'è altro da analizzare. Non posso dire neppure che questo sia un buon incipit, perché non ho la più pallida idea di chi parli e di quale sia il suo scopo. A dire il vero non ho capito nemmeno il mezzo. Sta scrivendo una lettera, rilascia un'intervista? Chi ha davanti? Perché lui è così importante.
Non so, ci sono parecchie domande senza risposta.
Ciao e alla prossima
L'assurda colpa di esistere di Jacqueline Nieder
Ciao Jacqueline.
Hai raccontato un bel dramma, e hai toccato un argomento molto delicato. Ci vuole coraggio e lo apprezzo. Apprezzo meno la scelta stilistica che hai fatto.
Il racconto, sebbene sia ricco e ben scritto, alla lunga (paradosso di un racconto breve) diventa pesante. Vada per il sentimento, ma entrare così tanto nel personaggio diventa claustrofobico. Non c'è un momento di luce, non uno spiraglio di speranza. In questo caso ho sentito la mancanza dei dialoghi, parte che personalmente apprezzo molto negli scritti.
Nel complesso è una buona prova.
Ciao e alla prossima
 
 
Ombre, di Carolina Pelosi
 
Ciao Carolina, è stato un piacere leggere il tuo racconto.
Storia non originalissima, ma ben strutturata. Mi piace la tua scrittura e come hai sfruttato al meglio la trama. All'inizio siamo nell'incubo dell'uomo, qualcosa ce lo fa capire, ma non sei tu a dirlo direttamente, brava. Poi arriva lo psicologo. Personalmente è la parte che ho apprezzato meno, ma ci sta ed è ben fatta. Qui ci indirizzi verso la rivelazione finale, che arriva con la sorella. Mi è piaciuta molto anche l'immagine del braccialetto di riconoscimento ribaltato con il nome suo alter ego.
Non mi resta che farti le congratulazioni per l'ottimo lavoro.
Ciao e alla prossima
 
 
Tutto torna di Diego Ducoli
 
Ciao Diego.
Partiamo dalla nota positiva. Sebbene l'idea di base non fosse particolarmente originale, ho apprezzato il modo in cui l'hai affrontato. Rivivere i momenti brutti della propria vita in punto di morte è abbastanza abusato, farlo dal punto di vista di chi hai fatto soffrire è decisamente interessante. Peccato che in alcune parti la lettura sia ostica, specialmente quando ci catapulti in una bara. Lì ho faticato a orientarmi.
Nel complesso un buon lavoro che necessita di essere rivisto per renderlo più comprensibile.
Ciao
 
 
Le radici del futuro di Patty Barale
 
Ciao Patty.
Racconto interessante, scritto in maniera ottima. C'è azione e sentimento, e cavalca a pieno l'onda del momento. L'unica pecca è la trama. Non è un'idea originale. Una donna che torna nel passato affinche il futuro cambi. Ammetterai che è una storia già sentita, persino Terminator si basa su quella. Questo non sminuisce l'ottima prova.
Nel complesso il racconto è avvincente.
Ciao e alla prossima.
 
 
Ecco la mia classifica:
1. Ombre di Carolina Pelosi
2. Non cambia mai di Marco Roncaccia
3. Perfection di Eleonora Rossetti
4. Solo tu puoi prenderlo di Filippo Santaniello
5. Se solo sapessero... di Viviana Tenga
6. Le radici del futuro di Patty Barale
7. Radioman di Sharon Galano

ilaria.tuti
Messaggi: 1

Messaggio#3 » mercoledì 18 marzo 2015, 10:37




Ciao a tutti. È stato un piacere leggervi, nessuno escluso. Minuti Contati è una sfida dura, per concorrenti coraggiosi che non hanno paura di mettersi in gioco e fare del tempo che scorre il vero avversario. A volte il risultato è molto buono, altre un po’ meno, ma resta comunque la bravura di essere riusciti a produrre un racconto completo e quella, soprattutto, di avere trovato un’idea da spremere in poco tempo.


Ecco la mia classifica, accompagnata da quelle che sono, senza dubbio, impressioni del tutto personali.



1. Non cambia mai, di Marco Roncaccia


Racconto sorprendente sotto vari aspetti: per la sicurezza con cui è stato condotto dall’inizio alla fine, per lo stile asciutto e pulito, per come l’elemento horror è stato amalgamato perfettamente con quello umano, emotivo, per la trama ben pensata e l’ottima chiusa. Quando l’horror incontra la riflessione nasce, come in questo caso, un racconto di spessore e insieme avvincente.


2. Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello


Ottimo stile, stesura accurata. Una storia dall’ambientazione resa in modo ineccepibile e personaggi a tutto tondo. Si legge in modo scorrevole e con un senso di malinconia che si fa più forte man mano che ci si avvicina al finale e lo si intuisce, e che risalta per contrasto con l’ambientazione vacanziera. La presenza del nipote, nell’ultima parte, in qualche modo compensa l’amarezza della morte e fa pensare al senso della vita, al passaggio di testimone che rende ogni vita scintilla iniziale di un’altra.


3. L’assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder


Un bel racconto, originale, che tratta di un periodo storico poco indagato e per questo interessante. All’inizio ho avuto qualche difficoltà a mettere a fuoco chi stava facendo cosa. Ho preferito la parte in cui è stata narrata la guerra, più intensa e chiara, e soprattutto quella del parto, davvero ottima e toccante. Il finale fa chiudere un occhio anche sull’incipit non proprio perfetto.


4. Rimpianto, di Enrico Nottoli


Una prova molto buona con un’idea alla base non originalissima, ma resa in modo originale dal continuo alternarsi tra realtà e visione/immaginazione malata. Il testo trasuda tutto il rimpianto del titolo, solitudine e un mal di vivere che lascia, nel finale, con una certa inquietudine addosso. Personaggio descritto molto bene.


5. Aida, di Nicolas Lozito


Un ottimo inizio, con un punto di vista originale reso bene da uno stile di buon livello e una stesura accurata. Purtroppo, nella seconda parte si ha una caduta di qualità, sia per stile, sia per stesura, e il testo si fa molto raccontato. Il finale torna a essere buono, con un colpo di scena intelligente e una ripresa del ritmo. Nel complesso, un lavoro altalenante con un potenziale solo in parte espresso.


6. Perfection, di Eleonora Rossetti


Una bella storia, che si legge con piacere. Peccato per l’infodump presente circa a metà racconto (specifiche sul manuale), che fa cadere il ritmo e rovina lo stile fino a quel momento pulito. Ne risentono un po’ anche i dialoghi. Il finale non mi ha convinta del tutto, non l’ho trovato incisivo. Piuttosto, mi è sembrato sbrigativo.


7. Se solo sapessero, di Viviana Tenga


Un buon racconto, corretto e scorrevole, che però non mi ha convinta del tutto. Sembra manchi qualcosa, un twist potente che sovverta il ritmo. Lo trovo un po’ raccontato, ci si affida più alle informazioni che alla suggestione evocata dalle parole per immaginare la vicenda. Per esempio, l’uomo che avvicina Dario viene definito strano, un po’ pazzo, ma il lettore questo dalla caratterizzazione non lo percepisce, lo deve dare per buono perché scritto dall’autrice. Anche il “piccolo congegno elettronico” avrebbe meritato qualche parola in più, visto che è la chiave di volta della vicenda. Il finale non è del tutto all’altezza delle aspettative, lo avrei voluto molto più forte, un pugno allo stomaco che non c’è stato.


E ora, in ordine casuale, i commenti agli altri racconti:


– Ombre, di Carolina Pelosi


L’idea che ho avuto subito leggendo questo racconto è quello di un’eccessiva velocità degli eventi, che aumenta arrivando verso il finale. Questo si traduce sì in un ritmo incalzante, ma anche, e soprattutto, in una perdita di sapore del tutto. È molto raccontato e poco mostrato. La velocità, inoltre, crea anche confusione in alcuni passaggi, tanto che ho dovuto tornare indietro di un paio di righe per rileggere. È come una pellicola che scorre velocemente: si fa fatica a mettere a fuoco qualche fotogramma. Purtroppo già prima della metà del racconto ho intuito gli sviluppi successivi e questo ha tolto mordente al finale.


– Buried Town, di Viviana Spagnolo


Un racconto ben scritto, che dalle prime righe promette bene e ha una voce importante, aggressiva, che ti costringe a proseguire la lettura e detta il ritmo. Purtroppo, manca la trama e la storia si regge quasi esclusivamente sulle promesse (impegnative) della voce narrante e sulla curiosità del lettore. Curiosità che, per quanto mi riguarda, non è stata soddisfatta del tutto, nel senso che ho trovato il finale un po’ vago, fumoso, non incisivo come me lo aspettavo.


– Incenso, di Cristina Danini


Un racconto, un doppio giudizio. Il primo è positivo e riguarda la resa molto buona dei sentimenti, del dolore sordo della protagonista. Così ben reso che la lettura lascia un certo amaro in bocca, perché si sperava almeno in un twist finale che la facesse uscire dall’apatia per riappropriarsi del gusto di vivere. Il secondo è negativo e riguarda la trama, povera, la scrittura a volte ridondante e il ricordo del nonno, troppo lungo se paragonato all’intero racconto e non funzionale alla storia. Anche l’arrivo dell’amica si risolve in poche righe e nulla cambia nello scorrere degli eventi.


– Le radici del futuro, di Patty Barale


Un’idea interessante che parte con un’ambientazione molto suggestiva. Purtroppo la trama risente di qualche imperfezione e alla fine il cerchio non si chiude come dovrebbe. Non si capisce il senso della frase “potrò avere quella vita che mi è stata rubata” se lei è sparita perché non più esistita. Molto debole anche il fatto che abbia lasciato la registrazione come testimonianza di quanto accaduto; penso che avrebbe avuto più senso lasciare un messaggio direttamente ai media. I pochi dialoghi non sono molto efficaci, soprattutto quello in cui lei parla della foto.


– Tutto torna, di Diego Ducoli


Un’ambientazione intrigante, così come anche l’idea, ma la realizzazione è a mio parere confusa. La stesura del testo non è stata molto accurata, la mano dell’autore sembra ancora incerta e il punto di vista è traballante. Si avverte la necessità di dare un ordine agli eventi e chiedersi se, così come sono stati scritti, arrivino al lettore in modo chiaro ed efficace.


– Radioman, di Sharon Galano


Un personaggio senz’altro interessante, ma non sono sicura di aver capito il messaggio di questo racconto. Belle le informazioni sul passato di lui, che si mescolano e diventano un tutt’uno con il presente. Convincente il modo in cui è stata resa l’atmosfera da gruppo di alcolisti anonimi e tagliente la frase della moderatrice alla fine, ma… dove si voleva andare a parare? Resto con questa domanda.


– La bestia di Gévaudan, di Francesco D’Amore


Un’idea molto buona, che forse avrebbe avuto bisogno di più spazio per essere ben realizzata. Così com’è a mio parere presenta il problema di condensare troppo gli eventi. È partita con un’ottima ambientazione, che però è sfumata quando si è parlato della gabbia e dell’incontro con Creolina: ho faticato a capire di che cosa si stesse parlando, ho avuto l’impressione di uno stacco troppo veloce, affrettato, e di una mancata messa a fuoco del perché e del come.


– La bestia di fuoco, di Giulio Lepri


Un soggetto interessante, un dramma familiare con due personaggi molto forti, sebbene opposti. Ho trovato la realizzazione un po’ affrettata, in alcuni passaggi il ritmo si inceppa e rovina la scorrevolezza della storia. Forse troppi elementi messi assieme. Sarebbe stato preferibile concentrarsi su alcuni di essi e dare loro maggiore sviluppo.



beppe
Messaggi: 27

Messaggio#4 » mercoledì 18 marzo 2015, 21:27

CLASSIFICA
 
1. Perfection, di Eleonora Rossetti
2. Non cambia mai, di Marco Roncaccia
3. Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
4. Rimpianto, di Enrico Nottoli
5. Incenso, di Cristina Danini
6. Buried Town, di Viviana Spagnolo
7. L'assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder

 
 
 
GIUDIZI (in ordine sparso)
 
Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
 
Ciao Filippo, ben ritrovato sul nuovo forum.
 
Ho apprezzato molto il tuo racconto, è delicato, circolare, ben scritto.
La scena della morte del padre va abbastanza bene anche così, forse potevi rafforzarla con un dettaglio tattile, visivo o uditivo che si riproponesse identico nel passato e nel presente. Mi spiego. Tu richiami le unghie della madre nella spalla di Luca, ma questo non succede, è solo ricordato. Se ci fosse un dettaglio come un suono di una sirena, realmente identico nei due quadri, l’accostamento sarebbe molto più forte. Basterebbe riportare due volte identico l’inciso, tipo: “Uno squillo di sirena.”
Tu invece metti un finto ricordo nel quadro presente:
Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca e le eliche che lasciano una scia rossa come la boa mentre mia madre mi ferisce con le unghie e urla a mio padre di spostarsi.

La parte di “il motoscafo mi assorda” l’ha vissuta il padre, non Luca. È vista “ad altezza acqua”.
Io ti proporrei una struttura alternativa di questo tipo (mie le parti in corsivo):
Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi. Uno squillo di sirena.
[…]
Emergo. Uno squillo di sirena. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca […]

In ogni caso buona prova! Bravo! :)
 
 
 
Tutto torna, di Diego Ducoli
 
Caro Diego, ben ritrovato.
 
Troppi quadri confusi nel tuo racconto. Un uomo ha avuto un incidente d’auto e letteralmente “si vede passare tutta la vita davanti”, o meglio, solo i momenti brutti, senza un filo di speranza.
Forse eccessiva anche la caratterizzazione “dantesca” delle bestie metaforiche che gli danno la caccia.
Attenzione però. I singoli pezzi del patchwork, presi singolarmente, non sono così male… Hai un certo gusto visivo nelle tue rappresentazioni (show, don’t tell). È solo che non stanno bene assieme, non formano un tutto solido e una trama coesa.
È un peccato che tu abbia strappato le tele di tanti piccoli quadretti carini per farne un collage impreciso.
Attento anche alla punteggiatura.
Alla prossima!
 
 
 
L'assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder
 
Ciao Jacqueline e benvenuta a Minuti Contati! :)
 
Ti dico subito che “scrivere quel che si conosce” non è solo un consiglio. È quasi una necessità. Tu scegli un punto di vista molto difficile, perché descrivi un periodo storico che per ragioni cronologiche non puoi aver vissuto se non per racconto indiretto, la guerra in Croazia nei primi anni Novanta.
Per esempio:
hai delle lenzuola addosso, lenzuola che sono pulite, siamo in Italia, qui si sopravvie meglio, qui non senti scoppiare il colpo di un carrarmato alle undici di mattina, qui non fanno irruzione negli ospedali e uccidono gli uccisi, sei al sicuro

C’è qualcosa di esterno in queste considerazioni. Dovuto forse alla troppa precisione, come la notazione “il colpo di un carrarmato alle undici di mattina” mi suono strano. E non fa parte di quello che la madre, presto nonna, narra successivamente. Lei non è mai stata in un ospedale in cui hanno fatto irruzione uccidendo gli uccisi. Questo lo abbiamo visto noi, dall’Italia, nei reportage, dall’esterno. Lei che era all’interno della situazione può aver visto solo la sua “fetta” di mondo (come quando descrivi la cantina con la caldaia).
Anche le considerazione sul dare la vita che riecheggiano la creazione divina mi suonano troppo auliche, ma forse è una mia impressione.
È bello quello che descrivi, probabilmente centra bene il sentimento di questa donna che vede la figlia partorire in circostanze del tutto diverse dalle proprie e torna con la mente nel suo passato. Ma, mi pare, che tu ce la presenti troppo filtrata da una sensibilità da narratore esterno.
Per il resto un bel pezzo, molto caldo, struggente. :)
Attenta qui: distrazione: “per la settimana volta”, invece di “settima” volta. Refuso: “sopravvie” per “sopravvive”.
 
 
 
Buried Town, di Viviana Spagnolo
 
Ciao Viviana, benvenuta a Minuti Contati!
 
Non starò a ripeterti quello che ti hanno già detto e consigliato gli altri: voce accattivante, bel ritmo, manca un minimo di trama etc. Cerco di farti notare altre cose che possano esserti utili.
Questa frase uccide il racconto – il lettore ti ha seguito, ha avuto pazienza già fino a metà racconto, e tu gli dici:
Forse l’unica cosa importante è che io non ho fatto niente di importante. Niente di diverso dal resto del mondo, dico.

Se questo tizio non ha fatto niente di eccezionale, perché me ne parli?
L’importanza della situazione va settata nel primo periodo, nell’incipit (del tuo lungo incipit). Come nel mio amato e sempre citato Anna Karenina di Tolstoj: “Tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre tutte le famiglie disgraziate sono infelici a modo loro.”
La tua frase incipit è messa alla fine:
te lo assicuro, l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale

È sepolta (Buried) troppo lontano dal tuo mondo (Town) del racconto, che solo ci fai intravedere. Anche se tieni questo racconto di Minuti Contati come l’incipit di una storia più lunga, tieni conto di questi consigli: come in un frattale, il tutto sta anche nel dettaglio. Anche nell’incipit, in nuce, nel suo DNA, devi dare al lettore TUTTO il tema della tua storia… E poi lo devi sviluppare. A rilleggerci! ;-)
 
PS
Alcuni perché sbagliati: “perchè, ora come ora”; “Perciò perchè dovrei sentirmi in colpa”; “perchè no, divinità.”; “Perchè dovrei provare rimorso”; “Perchè, te lo assicuro,” – perché vuole sempre l’accento acuto: “perché”. In altri casi lo scrivi giusto.
 
 
 
Se solo sapessero…, di Viviana Tenga
 
Ciao Viviana, ben ritrovata.
 
Nel tuo racconto vedo un problema: l’espediente, la machina, è troppo esplicito. Un piccolo congegno elettronico che fa rivivere gli orrori dell’olocausto.
Un’arma del genere è come l’Anello di Sauron del Signore degli Anelli e non può essere trattato con tanta leggerezza.
Né si capisce bene perché Mattia se la prenda con Dario. Se è una vittima casuale, non ha molto senso. Se è una vittima perché non ha aiutato l’altra vittima precedente del primo quadro… ma come poteva farlo? Lo hanno portato via subito gli altri due…
Insomma, lo dici tu stessa nell’epilogo:
Non gli è chiaro perché quel pazzo gli abbia voluto fare una cosa del genere,

Né a lui né al lettore.
Alla prossima!
 
 
 
Non cambia mai, di Marco Roncaccia
 
Ciao Marco, ben approdato al nuovo forum! :)
 
È stato un piacere leggere il tuo racconto e non voglio trovare il pelo nell'uovo. Il ribaltamento su chi sia il mostro fra lo zombie e il neo-nazi è un tocco davvero di classe, degno della migliore letteratura non-morta.
Il tema della tua storia si evince dalla battuta razzista che metti in bocca al tizio con la svastica quasi perfettamente a metà della storia:
«A te stanno sul cazzo più gli zombie o i negri?»

La tua risposta - con efficace schioppetta finale - è già nel titolo e nell'anafora che accompagna in tre battute il dipanarsi del testo:
«Non cambia mai un cazzo!»

La tesi pessimistica ci sta. La vendetta e rivendicazione, a suo modo ugualmente "razzista", del protagonista, pure. Come se dicesse: a me non stanno sul cazzo né gli zombie né i negri, a me stanno sul cazzo i fottuti nazisti razzisti del cazzo.
Ecco, forse solo questa morale abbastanza terra-terra, da occhio per occhio e dente per dente, è l'unico punto un po' debole della trama.
Per il resto storia molto bella e magistralmente narrata. Avrei tagliato l'ultima frase. Il vero explicit del racconto è il tuo:
«Abbastanza.»

Che contiene la parola "BASTA!" - che io interpreto essere l'urlo mentale del protagonista davanti a cotanta malsana sopravvivenza di un razzismo che nemmeno la "fine del mondo" è riuscita a sradicare.
Complimenti. :)
 
 
 
La Bestia di Fuoco, di Giulio Lepri
 
Ciao Giulio, benvenuto a Minuti Contati.
 
Nel tuo racconto lo stile è OK ma la trama i passaggi logici lasciano molto a desiderare.
Appellarsi alla realtà, dicendo:
Che cosa pensa la madre? Boh, chi lo sa. L’interpretazione è libera

è una scusa che il tuo lettore non ti farà mai passare per buona.
Sta a te, non al lettore, “l’onere della prova”. Il lettore non cerca di convincerti di qualcosa, sei tu, il narratore, che cerchi di trasmettergli le tue visioni. Se il lettore ti obietta che l’idea non è passata, non c’è appello.
Ed è un peccato, perché a parte qualche svista epocale come la frase troppo esplicita:
«Babbo, ma perché tu e la mamma avete gli occhi marroni e io ce li ho azzurri?»

la storia scorre bene e promette bene.
Attento anche agli spazi e alla punteggiatura, te ne sei lasciati dietro parecchi, probabilmente per la fretta. Ti è scappato anche un “ed poteva chiederlo a sua madre” che probabilmente sta per “e non poteva chiederlo a sua madre”.
Alla prossima!
 
 
 
Incenso, di Cristina Danini
 
Ciao Cristina, benvenuta a Minuti Contati. :)
 
Racconti il paesaggio interiore della tua protagonista e per farlo hai scelto un setting a te noto: Torino, una donna, il suo appartamento, le sue notti, il suo amore, la sua amica. Giusto, è sempre buona regola raccontare ciò che si conosce, arricchendolo di dettagli personali, che rendono la storia più viva. Frasi come:
l’illuminazione rende il cielo arancione

e
i raggi verdi dell’alba

permettono al lettore di “vedere” con gli occhi del narratore – e nel tuo caso anche della protagonista, perché sebbene tu scelga la narrazione in terza persona capiamo chiaramente che si tratta del suo punto di vista. A tal proposito: hai scelto intenzionalmente o inconsapevolmente la terza persona? Io ci vedo una scelta felice, perché questa è una “prima persona estraniata”, come quando si parla di sé come di una persona assente. La protagonista si osserva da fuori perché un trauma – la fine di un amore – l’ha allontanata da sé. Ci ho visto giusto?
Per il resto, ti direi di stare attenta alle ripetizioni delle “frasi chiave” del racconto. Farle tornare più volte, molto simili, non le rafforza, ma le indebolisce. Mi riferisco ai richiami tematici espliciti, in particolare:
da farfalla era tornato larva […] La farfalla si era trasformata in una larva carnivora

e
Non sapeva di che natura fosse la bestia feroce […] Dal passato, come una bestia feroce.

Come ho già scritto a un tuo collega, e come ti sentirai certo ripetere mille volte da coloro che danno consigli sulla scrittura: Less is more. E aggiungo: Implicit is the true explicit.
Ti muovi bene quando tracci linee delicate come ali di farfalla e lasci riecheggiare nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente la parola “sinistra”, il lato sinistro del letto, il lato sinistro del divano… (Non l’emisfero sinistro del cervello, però, perché quello sarebbe la parte razionale e non la parte emotiva… o forse no? Forse volevi dire che la tua protagonista è tutta persa nell’emisfero destro e non riesce a razionalizzare la perdita? Se sono solo mie elucubrazioni, dimmelo pure, non mi offendo – fanno parte del diritto inalienabile dei lettori di vedere molto di più di quello che hai scritto, in quello che hai scritto :)).
Un’unica amarezza, per me, è che succede poco nel racconto, che la protagonista è bloccata, la larva rimane larva. Non individui una via d’uscita per la tua protagonista. Va bene anche così, ci sono due tipi di “fiaba”, quella che racconta un trauma superato e quello che racconta le conseguenze di un trauma distruttivo, da cui non si rinasce (il vero finale di Cappuccetto Rosso, senza il Cacciatore che arriva a salvare la Nonna e la ragazzina sventrando il Lupo).
Allora forse devi arrivare ancora più a fondo. Cacciare giù il coltello fino alla giunzione fra il corpo e l’anima. In Scarpette Rosse, per esempio, sempre per citare una fiaba, la bambina che non riesce a smettere di danzare quando indossa le scarpette maledette (probabile simbolo di una dipendenza), deve farsi tranciare i piedi dal boia e rimane una storpia per sempre.
Ecco, osa di più. Un pezzo dell’epilogo (punto importantissimo) sembra da superamento del trauma:
L’aria nella stanza era limpida.

Mentre quello che tu comunichi è l’esatto contrario. Meglio rimaneggiare la frase o, meglio ancora, toglierla del tutto (less is more):
Non c’era più fumo di sigaretta da tempo. L’incenso non sarebbe più bruciato se non si fosse potuto mischiare a lui..

Dice già tutto ed è più forte senza la prima parte.
Attenta a un “felice refuso” di meravigliosa ambiguità:
Avrebbe doluto buttarlo fuori da sé

Voluto o dovuto?
É il passato.

Attenta, “È” vuole l’accento grave, non acuto (su pc si fa con il codice ALT + 0200).
Per il resto brava, una buona prova.
 
 
 
Rimpianto, di Enrico Nottoli
 
Ciao Enrico, benvenuto a Minuti Contati. :)
 
Il tuo è un racconto ricco di particolari, una buona pratica che serve a evitare le frasi fatte e le espressioni trite e scontate, già sentite o lette mille volte. Per esempio ho apprezzato questa semplice descrizione di vita quotidiana:
Il caffè venne fuori, lo tirai via dal fuoco non appena vidi schizzarne una parte sul piano cottura.

Il dettaglio del caffè schizzato sul piano cottura – e a chi non è mai capitato? – ci mette a nostro agio nel mondo del protagonista: è uno di noi, ha i nostri stessi problemi, le nostre stesse speranze.
Come in tutte le cose, però, ci vuole misura. Alcuni dettagli possono essere eccessivi e del tutto irrealistici, anche se precisi ed esatti. La frase che balza all’occhio in tal senso è questa:
lo centrai in pieno sulla coscia posteriore destra.

Troppe informazioni, e fuori dal punto di vista dell’io narrante. Per il protagonista non è importante il dettaglio della “coscia posteriore destra”. Probabilmente, nel mood del momento, avrebbe potuto pensare piuttosto qualcosa del tipo “lo centrai in pieno sul culo.” Molto meno preciso, ma più reale di una precisa descrizione anatomica, dato il contesto. O addirittura soltanto “lo centrai in pieno.” E basta. Less is more. (E ricorda anche che difficilmente il protagonista avrebbe potuto registrare il punto preciso dell’impatto fra la sua auto e il cinghiale: da dietro il volante, non poteva affatto assistere all’impatto.)
Ti dico questo perché il diavolo, come si dice, è nei dettagli. Se vuoi essere dettagliato, devi essere davvero preciso, altrimenti il lettore, anche se non saprà verbalizzare le sue sensazioni, avvertirà qualcosa che stride, qualcosa di troppo o di sopra le righe nella tua storia.
Altro piccolo dettaglio, a una prima lettura la frase: "Ora parlava però." mi è suonata strana perché fin dalla sua prima apparizione il personaggio di Sebastiano è presentato come “parlante”, a modo suo:

Urlò. […] Grugniva, di un grugnito disperato che pareva gridarmi:
“Ehi, brutta merda! Mi hai preso! Non sai chi sono io! Io ti pelo, hai capito? Ti porto per avvocati e ti pelo! Chiama un’ambulanza, muoviti, Cristo!”

Personalmente sentirei il bisogno di un davvero. “Ora parlava davvero, però.”
Al contrario, bella scelta quella dell’ambiguo Grugnì. alla prima apparizione del coinquilino bestiale nel presente.
Per il resto, il racconto si legge con piacere, è aderente al tema, lascia il giusto amaro in bocca che promette nel titolo, “Rimpianto”. Ottima la scelta della forma dialogica per dare voce al dramma interiore che inchioda il protagonista al proprio passato, come la presenza di un coinquilino molesto che non può mandar via.
Una buona prova. Bravo.
 
 
 
Perfection, di Eleonora Rossetti
 
Ciao Eleonora, ben ritrovata. :)
 
Sarò breve. Bel racconto, scritto bene, mi è piaciuto. Brava.
Avrei solo preferito un’ambientazione italiana (una neonata Olivetti nel Canavese?) ma questo perché credo che dare nomi inglesi ai personaggi e una vaga collocazione geografica americana agli eventi non sia necessario.
Trovare un punto debole si può: perché il raptus omicida? Perché limitare tutto alla compagnia? Non sarebbe stato meglio ambientare questo racconto “all’esterno”? Potrei dirti che “E’” accentata maiuscola si scrive “È” (ALT + 0200)… Potrei certo, ma…
Ma perché dovrei farlo? Il tuo lavoro mi lascia soddisfatto. Complimenti. Non proprio Perfection ma quasi! ^___^
 
 
 
La bestia del Gévaudan, di Francesco D'Amore
 
Ciao Francesco, benvenuto a Minuti Contati. :-)
 
Mi lascia un po’ perplesso l’anticlimax della tua storia:
Una iena resta sempre una iena.

Per il resto, tu hai scelto una storia di avventura e una scena di lotta. La “battaglia finale” dell’eroe è una vera e propria battaglia e il genere del racconto è il pulp. Non è un noir, solo per l’ambientazione avventurosa, per il resto la “voce” del tuo personaggio è come quella di Humphrey Bogart ne Il Falcone Maltese.
Non mi convince molto. Soprattutto per le esagerazioni come:
mi staccò la mano dal polso

Che cosa ci volevi comunicare veramente? Che un eroe è un eroe solo per fama e un mostro è un mostro solo per spaventata credenza e non nella realtà.
Forse dovevi scegliere un'altra “voce”, un altro “punto di vista” per farlo (e magari anche un altro genere).
Alla prossima!
 
Virgola mancante: “perché dalle testimonianze, somigliava” dopo “perché”.
Virgola fra soggetto e verbo: “Mio fratello Dario e la sua quasi moglie Elena, erano spaventati”, probabilmente causata dalla caduta di un’altra virgola prima di “Elena”.
Altra virgola fra soggetto e verbo per virgola mancante: “Quell’essere che ho visto io invece, non era affatto una iena,” mettere virgola prima di “invece”.
Manca accento su “sé”: “Giravano storie su quegli studenti pieni di se”.
Manca la maiuscola: “quanto pensi di durare se continui così?”
“cane ammaestrato” mi suona male, idiomatico sarebbe “cane al guinzaglio” o “scimmia ammaestrata”.
Consecutio temporum: “Tornai a casa, presi il coltello che il mio migliore amico mi regalò” ci vorrebbe “che il mio migliore amico mi aveva regalato”.
Qui non ci vuole né il congiuntivo né il tempo imperfetto: “non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.” Bensì, visto che non c’è incertezza: “ha subito capito quali sono le mie intenzioni”.
 
 
 
Radioman, di Sharon Galano
 
Ciao Sharon, benvenuta a Minuti Contati! :-)
 
Anch’io, come altri, ho dovuto lasciar “decantare la tua storia” come un buon vino per riuscire a (o tentare di) capirla.
L’ho letta per prima e l’ho lasciata da parte. Ora che la rileggo mi rimangono ancora degli interrogativi.
C’è della bellezza in quello che scrivi, ma non vedo il filo del racconto. Ho provato a chiedermi perché.
Forse la risposta è una delle più ovvie: una voce narrante “annebbiata” dall’alcool, produce una visione sulla storia egualmente annebbiata.
È bella l’ironia del vecchio (Barbone? Capitano? Generale? Alcolista? Bugiardo? Sincero?), carini i ribaltamenti di situazioni topiche, ma nel complesso rimangono un po’ fini a sé stessi, perché non vedo il filo del racconto.
E non capisco il titolo.
O meglio, lo interpreto come: un uomo allo sbando nel cui cranio passano di continuo interferenze e suoni sconnessi come una radio a cui si cambi continuamente la stazione, è “l’uomo-radio” non sintonizzato. È così?
In tal caso l’idea è buona, ma devi metterla nella trama, non nella voce narrante, pena perdere per strada il lettore, che spegne la radio, o la sintonizza altrove.
Alla prossima! ;-)
 
 
 
Le radici del futuro, di Patty Barale
 
Ben ritrovata a Minuti Contati. :-)
 
Il racconto è ben scritto e l’ambientazione interessante, purtroppo rilevo varie debolezze nei fili della trama. È sempre difficile scrivere un racconto in cui il viaggio nel tempo sia credibile, ma non è solo questo che mi lascia perplesso.
Il presupposto che basti uccidere “Paolo Cirri” perché cessi di esistere nel futuro il “Gruppo Armato Della Superiorità di Genere” mi pare molto debole. Ancora più debole se il registratore era idealmente destinato alla gente del passato per non ripetere gli errori futuri: dal loro punto di vista sarebbe stato preso per il gesto di una mitomane, tanto più in assenza della protagonista (sparita perché mai concepita?). Da un punto di vista “materiale” se sparisce lei, con i vestiti e tutto, perché non spariscono anche la pistola e il registratore? Sono sempre “materia” che ha fatto con lei il viaggio nel tempo, no?
Quindi trovo che il tuo racconto sia un’interessante spunto del tema fantascientifico: “Torno indietro nel tempo e uccido Hitler [sostituiscilo pure con Stalin, Pol Pot, Mussolini o Paolo Cirri…] e…” ma con uno sviluppo insufficiente, soprattutto sul finale.
Da un punto di vista di mia preoccupazione sulla degradazione della donna nel mondo fondamentalista, temo che non le avrebbero torturate così apertamente, ma in modo molto più terribile e sottile, costringendole in casa a figliare, senza diritti, stuprate e picchiate da mariti e altri uomini, ma non incarcerate e torturate tutte in quanto donne… in qualche modo i torturatori dovevano salvare l’apparenza di decenza e sentirsi “i buoni”, almeno ai propri occhi. Parere personale. Però. E forse il Vaticano avrebbe collaborato e non sarebbe stato distrutto? Chissà…
Ocio a qualche errorino di battitura: “quel l’oscurità” per “quell’oscurità”; “perché sei li” per “lì”, “Foreign Figheter” per “Fighter”.
Allo prossima, e complimenti per lo stile e le scene visive! :-)
 
 
 
Ombre, di Carolina Pelosi
 
Ciao Carolina, ben approdata a Minuti Contati! :)
 
Come dico sempre, è importante scrivere di quello che si conosce. Nel tuo caso la malattia mentale. La conosci direttamente, hai visto persone che hanno fatto cose gravi come quelle compiute da Julian? Conosci le fasi della loro pazzia e sofferenza o ti sei ispirata ad altri racconti, ad altri film? Perché il realismo del delirio è importantissimo.
5.115 giorni sono 14 anni. Mi sembra troppo per lo stadio in cui è Julian. Chi lo avrebbe mai incoraggiato a tenere il conto? Riuscire a tenere il conto, preciso, in questo modo, implica una certa lucidità e razionalizzazione degli eventi. Invece mi pare che tu descriva Julian in uno stato di shock post-traumatico, diciamo, entro qualche mese dall’evento, non nello spazio di 14 anni.
Le motivazioni per il suo atto. Non ci sono. Scrivi soltanto:
“Non mi ha permesso di essere quello che volevo, mi ha sempre ostacolato”.

È troppo poco. Troppo poco specifico. Già è difficile entrare nella mente di una persona folle, se non ci dai qualche appiglio sulla nostra psiche, tutto resta lontano, poco credibile, e senza possibilità di empatia nei confronti del tuo protagonista. Prendi Hannibal the Cannibal: quello che è inquietante di quel personaggio è che ci si immedesima in lui… si finisce per pensare come lui, anche per ammirarlo… ci fa vedere la follia e il cannibale in noi, per come viene descritto dall’autore.
Altro punto importante, collegato a questo: non bisognerebbe mai, mai e poi mai prendere come protagonista un pazzo. È un espediente. Ti permette di fare cose “sorprendenti” senza giustificarle appieno. La giustificazione è sempre la stessa: “era pazzo”. È come quelle storie che finiscono ed era tutto un sogno… Hai preso la via più facile, ma non necessariamente quella migliore, per la tua narrazione.
Per il resto hai un buon ritmo e ottime potenzialità. Ciao, alla prossima!
 
 
 
Aida, di Nicolas Lozito
 
Ciao Nicolas, ben arrivato a Minuti Contati! :)
 
Il tuo pezzo è interessante ma ha un grave difetto. Scegli una situazione estrema, come la storia di “Anna dei miracoli” e ti esponi al rischio di essere accusato di aver puntato tutto sul patetico: la povera ragazza sordo-cieca, tanto brava, che per di più è stata violentata dal suo assistente, e che per il colmo ha addirittura perso il bambino nato morto… Troppo.
Se vuoi raccontare questa storia, devi essere davvero molto convincente, quello che narri deve suonare in qualche modo necessario, inevitabile. L’inaspettato puro non funziona se non è preparato, e tu non ci prepari minimamente alla violenza di Michele: perché l’ha fatto? Bada, nella realtà una situazione del genere può benissimo capitare, ma in un racconto no, perché il racconto, appunto, è rielaborazione e non cronaca.
Distrazione: “da quando ha iniziato imparato a parlare.”
Costruzione non del tutto corretta: “Si chiama Michele, a cui piace la musica” avresti dovuto scrivere: “Si chiama Michele, gli piace la musica”, la subordinata relativa sembra dare un altro significato alla frase: un particolare Michele, quello a cui piace la musica, in contrapposizione ad altri Michele. Invece sarebbe stato corretto: “un assistente a cui piace la musica”. Questo perché Michele è determinato, “un assistente”, come dice l’articolo, è indeterminato.
Refuso: “ogni nota e parole” ci vuole “parola”, singolare.
Alla prossima!

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erika.adale
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Messaggio#5 » giovedì 19 marzo 2015, 12:08

CLASSIFICA
 
1- Solo tu puoi prenderlo di Filippo Santaniello

2- Rimpianto di Enrico Nottoli

3- Non cambia mai di Marco Roncaccia

4- L’assurda colpa di esistere di Jacquelin Nidier

5- Ombre di Carolina Pelosi

6- Se solo sapessero di Viviana Tenga

7- Aida di Nicolas Lozito
 
Solo tu puoi prenderlo – Filippo Santaniello

Il tema è affrontato da uno dei punti di vista forse più prevedibili (la ferita di un dramma durante l’infanzia) eppure reso con tali abilità e pacatezza narrativa da suscitare in me sincera emozione. Mi piace la costruzione circolare del racconto pur senza cadere in ripetizioni di maniera, ottime le descrizioni minime che rendono vivido lo scenario. L’immagine del giovane padre che emerge e butta indietro i capelli mi ha ricordato “La grande bellezza” e dunque, in qualche modo, mi aspettavo il motoscafo. Non intendo ci sia una scopiazzatura, solo un’atmosfera comune: infanzia (o gioventù) e mare estivo, un binomio che spesso, in letteratura e cinematografia, guida verso un clima mitico. Ho apprezzato anche il fatto che l’incidente del padre sia solo accennato, non spiegato nei minimi particolari: ne aumenta l’impatto emotivo, a mio giudizio. Un’ottima prova.
 
Rimpianto - Enrico Nottoli

Un bel racconto, dove il passato non è proprio feroce ma bestia sicuramente sì. Al di là della battuta, mi è piaciuto molto il delirio di quest’uomo che si trova a convivere con i propri sensi di colpa e con la propria voglia di vivere uscita dal corpo e materializzata in una specie di amico immaginario. Mi è venuto in mente l’armadillo di Zero Calcare (forse perché anche nel fumetto c’è un rozzo personaggio con le fattezze di un cinghiale). Il primo paragrafo (fino a “venga ricambiato”) non mi aveva convinto completamente, un po’ convoluto nel voler “raccontare” la disperazione del protagonista: un “cappello” superfluo, visto che poi viene mostrata al meglio con i fatti, in modo più coinvolgente e toccante. Un po’ di confusione con i nomi: a un certo punto la moglie chiama il protagonista “Sebastiano”, lui la chiama “Veronica” invece che Valeria. Aggiustabile dopo una buona rilettura.
 
Non cambia mai – Marco Roncaccia

Le d eufoniche sarebbero da evitare: un punto in meno. Parli di zombie: un punto in più. Sei tornato in pari.

A parte gli scherzi, questo racconto mi è piaciuto molto. Gli zombie cinematografici sono nati come metafora sociale e mi piace quando tornano a esserlo, fuoriuscendo dai soliti triti meccanismi scappa-spara-mangia e permettendo ancora di raccontare delle buone storie come questa. Mi piace anche la scelta di frasi brevi, asciutte, che regalano descrizioni accurate e mai noiose degli eventi. Lo zombie di colore, che cerca invano di arrampicarsi sulla bicicletta, reiterando un atto della propria vita precedente è un’immagine forte, che genera sincera pietà nel lettore… per altro solo minimamente condivisa dal protagonista.Mi resta il dubbio che la congruità al tema proposto non sia piena, qui il passato, per il protagonista, non mi sembra rappresentare una bestia feroce quanto un noioso loop. Ma il tema, per me, è solo un pretesto.
 
L'assurda colpa di esistere – Jacqueline Nieder

Un bel racconto, congruo al tema proposto, che affronta argomenti importanti: maternità, violenza, guerra, perdono. Il rischi sono due: scivolare nel melodrammatico e mettere troppa carne al fuoco vista la brevità, imposta, del racconto. Il primo è evitato da un tono che non scivola mai nel patetico, pur nella scelta pericolosa di raccontare molto e mostrare poco. Il secondo è sfiorato: forse ci sono aspetti che meriterebbero più approfondimento, uno per tutti il rapporto con la figlia che al di là dei momenti estremi ( nascita e parto), riassunto nel crudele gioco con le formiche, ma insufficiente per capire il rapporto fra le due donne oltre la carnalità del legame di sangue.

Al di là di questo mi è piaciuto e ho trovato il tono sempre congruo. Solo alcune frasi mi sono sembrate un po’ “sospese” e non posso dire di averle comprese completamente.

“sì credo che tu le piaccia in un altro modo” in che senso?

“scotti come quando il gelo è troppo freddo” il gelo oltre un certo limite diventa caldo?

“Se fosse stato così, ne sarebbe bastata una manciata di macchine della morte, perché oramai le anime, anche nei vivi, non ne erano rimaste” non l’ho capita
 
Ombre – Carolina Pelosi

Un racconto interessante, che trova la sua forza nello sbilenco rapporto fra realtà e sogno. Le cinquemilacentoquindici croci che corrispondono ai giorni dall’omicidio, la personalità assassina letta a rovescio sul braccialetto identificativo del paziente sono degli agganci interessanti. Ho apprezzato anche gli eventi sospesi, il fatto che nella visione iniziale non ci sia l’esatta copia dell’omicidio reale ma una rappresentazione modificata, anche se forse l’incubo è un po’ troppo lungo nell’economia di un racconto comunque breve ( nel momento in cui ho capito che si trattava del delirio di un pazzo, ho cominciato a “correre” un po’ nella lettura, alla ricerca di spiegazioni reali oltre alla messa in scena quasi teatrale del mondo onirico).

Mi è piaciuta molto meno il rapporto con lo psichiatra, l’ho trovato cinematografico e poco realistico. Prima di tutto perché imperniato su un on/off legato ai farmaci poco verosimile. Un paziente psichiatrico non viene addormentato al volo solo perché balza in piedi durante un colloquio, deve manifestare degli atteggiamenti aggressivi ( o auto aggressivi) non gestibili con altri metodi. Soprattutto dopo tanto tempo. Inoltre, dopo tutti quegli anni e in una condizione di tale confusione mentale, difficilmente il terapista continuerebbe a insistere sulle ragioni dell’omicidio, ma si occuperebbe più ragionevolmente del rapporto del paziente con la realtà presente. Mi aspetterei di più delle domande su Nailuj, sulla sorella che lo segue con affetto che insistenze sulla madre.

Comunque si tratta di una buona prova, che ho letto con piacere.
 
Se solo sapessero… – Viviana Tenga

Una storia interessante, dove il passato non è solo una bestia feroce ma una reale punizione per chi non lo conosce. Un racconto sull’uso dela memoria collettiva e il suo salvataggio. Io vi ho trovato anche un metaracconto sul fatto che il “tell”, raccontare, non potrà mai dire tanto quanto lo “show”, il mostrare, come confermano tutte le scuole di scrittura. Non è un libro che elenca fatti a poter narrare gli orrori del passato, bisogna vederli e viverli. L’argomento è interessante e gestito in modo piuttosto originale. Ci sono tanti personaggi per un racconto così breve e non nascondo, alla prima lettura, di aver fatto un po’ di confusione: per altro Michele sembra esserci solo per accrescere il caos, in fondo per l’evento clou del racconto ci bastano Mattia e Dario. A proposito del congegno, credo che il finale, in cui si spiega l’effettiva funzione dell’oggetto, sia un po’ troppo veloce rispetto il resto del racconto. Capisco che riuscire a “mostrare” l’orrore sia difficile ed è più semplice “raccontare” (e in fondo è il tema stesso della narrazione), ma “Per un tempo che non sa quantificare, la sua mente è stata altrove, ha vissuto in prima persona gli orrori dell’Olocausto” è una spiegazione troppo riassuntiva per essere letteraria: avrei preferito che cercassi di descrivere, anche con pochi cenni, l’orrore vissuto da Dario.
 
Aida - Nicolas Lozito

Un racconto con vette e abissi. Bella l’idea, perfetta l’aderenza al tema, apprezzo anche la scelta del nome della protagonista, legato indissolubilmente al melodramma e alla musica. Notevole la descrizione iniziale di Aida sordo-cieca, che costringe lo scrittore a usare sensi in genere trascurati per mostrare la realtà del personaggio e creare identificazione con mezzi inusuali. Questa parte viene gestita molto bene, è emozionante e coinvolgente.

Nella parte centrale invece è come se l’autore si distraesse: concordanze verbali poco curate, amiche che Aida si limita a conoscere ( e allora non si possono definire amiche), una frase goffa per descrivere il contesto che fa a pugni con l’eleganza precedente (“Trent’anni anni prima, Aida è una diciassettenne sordo-cieca da quando ha iniziato imparato a parlare.”)

Poi ancora l’ottima narrazione della violenza, sempre mediata da sensi inconsueti, fino a sfociare in un’altra frase che mi ha lasciato perplessa.

“Nasce morto da trent’anni, una volta all’anno, ogni giorno, ogni istante in cui il cuore di Aida batte o si ferma.” Se il racconto si svolge il 14 ottobre è perché per Aida è una tragica ricorrenza che ritualizza: dunque non ha senso dire che nasce ogni istante o ogni giorno ( in quel caso non avrebbe senso la contestualizzazione). Mi è sembrata una frase patetica senza un reale contenuto collegato alla vicenda.
 
La bestia del Gèvaudan – Francesco D’Amore

Sono sempre grata a chi mi fa conoscere una leggenda e un mostro: quindi grazie per avermi costretta a scoprire la bestia del Gèvaudan. Credo che il senso del racconto sia la demistificazione. Alcune persone o cose sono forti dell’aura che le circonda, poi se osservate con imparzialità si coglie la loro banalità. Il protagonista “smonta” l’invincibilità del bullo del paese e poi sconfigge una belva che si rivela essere poco più di un cagnaccio. OK, fin qui ho capito ed è un tema interessante.

Due aspetti della storia però mi sono poco chiari: il senso del primo incontro con la bestia (che, se come si dice alla fine è una banalissima iena, cosa avrà potuto mai vedere nell’animo del protagonista? E perché il nipote non la vede?) e la storia della gabbia in cui dice di chiudersi la voce narrante. Non ho colto se si tratti di una gabbia metaforica o reale, e perché, visto che lo stesso personaggio dichiara la propria volontà di essere libero ( per esempio dal matrimonio, quando rimbecca il fratello).

Attenzione alle concordanze e alle ripetizioni.
 
Radioman di Sharon Galano

Non nascondo di essermi un po’ persa in questo racconto. Un veterano del Vietnam partecipa a un incontro di una specie di Alcolisti Anonimi (dico una specie perché la riunione non mi pare avere le caratteristiche proprie di AA, c’è una moderatrice invece degli sponsor, che propone un proprio libro al posto del classico testo con i sette passi; inoltre il clima “giudicante” finale non è in linea con i principi dell’auto-aiuto del gruppo) e racconta il proprio passato, fra fantasia e dolorosa realtà. La lingua che utilizza è senz’altro interessante e la lettura piacevole, anche se talvolta ho faticato a distinguere i passaggi fra eventi del passato e del presente e non sono riuscita a cogliere se nella vicenda ci sia qualcosa di più oltre la cronaca della ricaduta di un alcolista nel proprio vizio. La storia legata al Vietnam mi è sfuggita, non sono riuscita a riordinare gli eventi. Può essere anche colpa mia.

La domanda che pongo sempre in questi casi: perché un’ambientazione americana? La storia non potrebbe essere declinata all’italiana?
 
Incenso – Cristina Danini

Clara, la protagonista, ci rende partecipi di una serie di riflessioni sull’amore e sull’abbandono. Ci pensa durante la nottata insonne, ci pensa insieme all’amica che cerca di riportarla alla vita, ci pensa dopo che Alessandra se n’è andata. Clara è disperata all’inizio ed è disperata alla fine del racconto. Nel mezzo ha condiviso con noi il suo dolore, ma non è successo nulla. Neppure a livello interiore. E questo è, a mio avviso, il principale difetto del racconto. Non mi fraintendere, non mi aspetto l’invasione aliena o il principe azzurro che entra dalla finestra. Non è necessario che si tratti di eventi eclatanti, non pretendo un lieto fine ne’ un finale tragico. Da un racconto mi aspetto che succeda qualcosa, anche una minima trasformazione nel sentito della protagonista. Un nuovo pensiero che si affaccia alla sua mente, una trasformazione che la renda più combattiva o più prona al dolore, la scoperta di un punto di vista che prima non aveva preso in considerazione. Una nuova consapevolezza che si affaccia all’improvviso alla sua coscienza. Qui ho l’impressione che si parli di una notte come altre, seguita da un’altra comunissima giornata nell’ambito della sofferenza: Clara non fa che ribadire a se stessa pensieri di cui è convinta. Lei medesima, credo, non ricorderà i momenti narrati, se non come frames qualunque nello scorrere del suo dolore (tranne, forse, per la scritta sul muro, che comunque non è che una riaffermazione del suo sentito iniziale). Si tratta di una bella rappresentazione psicologica, ma è una foto. E in un racconto, secondo me, ci vuole movimento, anche se minimo, per dare origine a una storia. Attenzione all’uso della punteggiatura.
 
Buried Town – Viviana Spagnolo

Un lungo monologo gestito da una voce forte, un punto di vista certamente ben gestito, credibile e con un notevole ritmo. Forse un po’ verboso, ma con stile: ricorda un poco, in ambito completamente differente, il Tony Pagoda di “Hanno tutti ragione”. Peccato che (mi) sfugga la storia. La vicenda è appena accennata e, benché io non ritenga che in letteratura tutto debba essere spiegato nei minimi particolari (soprattutto se si vuole ottenere una specifica atmosfera) mi sono trovata spiazzata per non aver capito gli eventi. Forse è un limite mio. O forse il problema è la sproporzione fra la…logorrea della voce narrante e la scarsità delle informazioni utili date al lettore. Alla fine la vicenda motore di tutto quanto viene sbrigata via con poche battute. Insomma, potrebbe essere un grande incipit di una novella di lunghezza medio/lunga, dove resta spazio sufficiente anche per i fatti …sicuramente non di un “corto”. E, in ogni caso, non mi pare che sia un racconto che stia in piedi da solo perché il grande interesse stimolato dall’ottima voce narrante alla fine non viene soddisfatto. Io credo che varrebbe la pena allargare e allungare questa storia al di là del contest, per farne un’opera più ampia, che potrebbe essere assai godibile.
 
Le radici del futuro di Patty Barale

C’è molto “Terminator” in questo racconto. O “L’Esercito delle Dodici Scimmie”. Forse i racconti sui viaggi del tempo in contesto catastrofista tendono ad assomigliarsi un po’ tutti. C’è sempre qualcuno che vuole cambiare il presente con un gesto estremo nel passato, senza rendersi conto che anche le proprie radici affondano negli eventi che vuole cancellare: manca dunque l’originalità. L’aderenza al tema proposto, invece, c’è. Queste storie portano il lettore (soprattutto gli appassionati di fantascienza), prima che a godersi la narrazione, a cercare eventuali fili pendenti, neanche le storie fossero dei rebus della “Settimana Enigmistica” E qui ne trovo uno evidente: è carina l’idea del registratore che serve a spiegare la storia (a una Michela dimentica del passato se le cose fossero andate bene o semplicemente al lettore, vista la piega…genitoriale presa dagli incontri) ma se lei fosse scomparsa nell’omicidio anteconcepimento del proprio genitore, anche il registratore sarebbe scomparso perché mai esistito. E quindi addio spiegazione al lettore.

Un'altra osservazione: se costruisci uno scenario postcatastrofista in un’ambientazione molto nota come Roma, partendo oltre tutto da un luogo celeberrimo come piazza San Pietro, devi essere molto precisa con i luoghi. La protagonista non deve raggiungere “una” piazza, ma devi dire quale. Perché il brivido di questo tipo di racconti è proprio osservare posti conosciuti con la lente deformante della distopia. Altrimenti tanto valeva ambientare il tutto in un paesino qualunque. Al di là di queste osservazioni, il racconto scorre piacevolmente.

Non entro nel merito della credibilità della distopia che hai ideato perché anche molti degli articoli che leggo sul giornale, anni fa mi sarebbero sembrati improbabili. Comunque il “Nobel per la scienza” non esiste e, per la piega che stanno prendendo le cose, in futuro la tendenza sarà rendere ancora più superspecialistici i premi, piuttosto che generici.
 
PERFECTION – Eleonora Rossetti

Un’idea non proprio originale per chiunque abbia frequentato letture cyberpunk, un genere che ha raggiunto vette altissime per poi ritirarsi come la marea una volta spolpato completamente. Questo per dire che è davvero difficile dire qualcosa di nuovo dopo Philip Dick e compagnia, che per altro erano straordinariamente attenti alla coerenza interna delle loro narrazioni. Il racconto è aderente al tema proposto, ma non mi ha convinto completamente per varie ragioni. Non amo la narrazione alla prima persona presente, mi sembra un trucco letterario senza una giustificazione di contenuto oltre che stilistica: a chi sta parlando il protagonista e perché? Questa scelta costringe all’infodump (quando gli sovviene del volantino con le istruzioni dello strumento) perché normalmente una persona non racconta a sé stessa in tempo reale cosa ricorda o sa. Inoltre non si correla all’articolo sul giornale che chiosa la vicenda. Chi lo legge, perché? Fra le varie spiegazioni, per altro, manca la più utile: perché i ricordi, semplicemente immagazzinati in una memoria esterna, vengono improvvisamente manipolati da una coscienza? Il salto fra informazione e consapevolezza è un passaggio enorme, non può essere lasciato nel vago. Chi è questa consapevolezza virtuale, un bug del sistema, una manipolazione della ditta produttrice o il tutto è semplicemente un’allucinazione ed è stato il protagonista a riscaricare involontariamente le memorie dolorose? Questo per altro giustificherebbe l’aspetto dell’interlocutore virtuale, perché non capisco altrimenti perché debba avere le fattezze del narratore e non quelle dell’assistente informatico caricato preventivamente dalla ditta.
 
La Bestia di Fuoco di Giulio Lepri

Un racconto scorrevole, aderente al tema proposto, che tuttavia non mi ha completamente convinto.

Si alternano due scenari, uno presente (la seduta psicoanalitica) e uno passato ( la narrazione del trauma che ha portato il protagonista dal terapista). Chi racconta la storia? Sembrerebbe la cosiddetta terza interna, cioè una terza persona non onnisciente, che riferisce solo il punto di vista del ragazzino. Come se il flusso di coscienza della seduta fosse “tradotto” in immagini. E’ una scelta interessante, ma non totalmente efficace.

La storia raccontata dal paziente non può essere scevra da rielaborazioni. Se Daniele a 11 anni poteva non aver capito o, quanto meno, rielaborato le ragioni dell’astio di sua madre (senso di colpa del tradimento, sensazione di essere incastrata in una realtà non desiderata) da adulto è molto probabile di sì. E, se anche il protagonista fosse così offuscato dai traumi da non riuscire a mettere a fuoco la propria illegittimità e le colpe della donna, cercherebbe comunque delle giustificazioni o delle ragioni al comportamento della madre, che qui non ci sono. Il racconto è troppo distaccato per essere frutto di una terza interna ( anche a distanza di anni), ma troppo parziale per essere una terza esterna onnisciente e, in entrambi i casi, diventa poco realistico: non per la storia in sé ( succede anche di peggio) ma a causa delle scelta stilistica della voce narrante..

Unica nota improbabile legata ai fatti duri e puri: che dopo tre giorni di digiuno un cane attacchi il proprio padrone per sbranarlo.
 
Tutto torna di Diego Ducoli

Al di là della trama, un racconto difficile da seguire, i personaggi si confondono e i piani sono così tanti da non permettere sempre di capire dove ci si trovi e chi sia il narratore, se ci sia un filo conduttore di tutta la vicenda. Al narratore sfila la vita di fronte negli ultimi istanti di vita, e questo è certo un contesto quanto mai onirico, ma ugualmente servono dei punti di riferimento più chiari che qui non colgo. Forse le ragioni vanno cercate nel fatto che la coppia padre-figlio si ripropone nei due paragrafi e servirebbero delle definizioni più univoche per capire in quale generazione ci si trovi. Compare anche la madre, ma senza regalare ulteriori chiarimenti. Al di là di queste osservazioni, che potrebbero essere legate a un mio difetto di comprensione, servirebbe più attenzione a grammatica e sintassi, perché anche i numerosi errori formali, certo correggibili dopo una rapida revisione, rappresentano dei veri e propri inciampi nella scorrevolezza del testo, rendendo ancora più faticosa la lettura. Emerge comunque un vero talento per la descrizione visiva, che ritengo la parte migliore del racconto. Tema rispettato.

silver
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Messaggio#6 » giovedì 19 marzo 2015, 21:21

Ciao a tutti! Ecco la mia classifica e di seguito i commenti in ordine sparso. È stato un piacere!

Classifica:
1. Solo tu puoi prenderlo
2. Aida
3. Tutto torna
4. L'assurda colpa di esistere
5. Se solo sapessero...
6. Non cambia mai
7. Perfection

Commenti in ordine sparso:

Perfection, di Eleonora Rossetti
Lettura molto scorrevole, merito dello stile fluido dell'autrice, che per la maggior parte scivola senza intoppi. Il racconto mi è piaciuto, anche se non l'ho trovato originalissimo: il gestire i ricordi tramite macchinari collegati alla persona non è nuovo. Mi ha sorpresa, invece, la parte in cui si crea un consulente, anche se la frase con cui è spiegato come funziona mi è sembrata un po' complessa e ha rallentato la lettura, ritrovandomi a dover rileggerla per capire cosa intendesse l'autrice. Tra l'altro credo che proprio in quella frase sia sfuggito un “potesse” al posto di un “possa”.
La frase “In caso di indecisione sulla rimozione”, messa lì dove sta, in un primo momento disorienta: quale indecisione? Rimozione? Non era archiviare? Per me rimuovere significa eliminare, non “salvare” da qualche parte. E fino a quel momento avevamo il protagonista che voleva semplicemente mettere da parte i suoi ricordi brutti. Lui non è indeciso (al massimo è la macchina che non sa se archiviarli o meno, fino a portare il suo possessore a creare un consulente).
Comunque un buon racconto, anche se sicuramente da sistemare.

Ombre, di Carolina Pelosi
Il racconto parte con un numero ripetuto più volte, il che incuriosisce di sicuro il lettore. Devo dire che come ambientazione (la casa, il fiume, il bosco, il crollo della casa e il risveglio nello studio dello psichiatra) mi è abbastanza piaciuto. Però a fine lettura restano in sospeso dei punti. Ti faccio un esempio:
“È solo, è sempre stato solo in quella casa nascosta tra gli alberi di una fitta foresta. Va, come ogni giorno, a controllare il canale, a pochi metri da casa sua, per assicurarsi che non ci siano topi a sporcare le acque. Cammina tra le foglie e gli alberi dalla forte corteccia e dai forti rami, scalzo. Si fida di quella terra, la sua terra.”
Qui parli di un canale da controllare, poche righe più sotto lo rinomini e così facendo, quindi, dai importanza a questo passaggio. Il punto è che questo canale, in realtà, non serve a niente. Alla fine dei conti ci ritroviamo nella mente di Julian e, se da una parte potrei pensare che lui abbia ucciso la madre affogandola e quindi ne stia rielaborando l'accaduto nei sogni, dall'altra (cosa che è successa, in effetti) a fine lettura ci si deve render conto che l'uccisione della madre non aveva niente a che fare con un canale né con l'acqua, visto che è morta soffocata. Oltretutto se uno vuole salvare una persona dall'annegare, non la trasporta fino a casa sua, ma la poggia sulla riva e inizia a rianimarla.
Altro punto in sospeso: la ferita al piede. Sembra importante e invece poi sparisce nel nulla.
O ancora la frase del dottore al risveglio. Perché chiede di uomini ragno e non del canale, o del bosco? Se Julian è da lui e sta raccontando una storia o è addormentato, al massimo racconterà quella che sta vivendo nella sua testa al momento.
Trovo, inoltre, che non si sia dato abbastanza peso al problema di Julian, a ciò che lo ha spinto a uccidere sua madre.
Racconto che, secondo me, va rivisto in più parti.

L'assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder

Un bel racconto che, seppure si intoppa su qualche frase, riesce a mantenere alta l'attenzione del lettore che vuole scoprire di più su questa madre e questa figlia. Si capisce sin da subito che sono straniere in Italia, ci si chiede però da dove vengano. Quando ci viene svelato, non è difficile arrivare al resto. Ma non è questo lo scopo del racconto, non è sorprendere il lettore, ma portarlo a riflettere sull'amore di una madre verso la figlia, nonostante il modo in cui è stata concepita (almeno io l'ho percepito così). Apprezzo che la protagonista, che è anche la voce narrante, si rivolga alla figlia direttamente con la seconda persona, nonostante si tratti solo dei pensieri che tali sono e tali resteranno fino alla fine del racconto. C'è stato un punto, però, in cui l'autrice mi ha scaraventatoa fuori da questo ritmo a cui mi stavo pian piano abituando, ossia nel momento in cui dice:
“Damir, mio marito, lo hanno ucciso nell’agosto del ’92. Era andato a cercare qualcosa da mangiare.”
Qui la madre racconta a noi, lettori, cosa è successo al marito. Ma noi eravamo solo “spettatori” dei suoi pensieri e, proprio perché questi sono rivolti alla figlia, il passaggio risulta poco realistico visto che comunque lei ha venticinque anni e qualcosa della madre l'avrà pure saputa.
Un racconto che, sistemato, risulterebbe davvero molto toccante.

Buried Town, di Viviana Spagnolo
Questo racconto parte non bene, ma benissimo. L'ho letto tutto d'un fiato, almeno per la prima parte e l'inizio della seconda, poi mi sono accorta che invece di arrivare al punto, si continuava sullo stesso tono, sulle stesse frasi (scrivere la storia, dire o non dire la verità, tanto la si può inventare ecc.) e quindi inizia, almeno secondo me, a perdere l'attenzione del lettore. Si arriva a un finale che non soddisfa le aspettative create e ciò è molto triste perché davvero l'autrice ha usato uno stile che scorre bene e ha saputo gestire il dire e non dire in modo da catturare e mantenere alta la curiosità del lettore, almeno nella prima parte, appunto. Questo racconto mi lascia perplessa. Ho una doppia sensazione, nel rileggerlo: o l'autrice non ha avuto spazio per finirlo, o non ha saputo gestire quello che aveva a disposizione. Manca qualcosa, ecco.

Se solo sapessero..., di Viviana Tenga
Questo racconto ha un bell'intreccio, un zig-zag fra passato e presente, uno sconosciuto che pian piano assume un volto e una storia che nel frattempo si sviluppa. Mi piace l'attaccamento del nipote al nonno, tanto da portarlo a trovare il modo di realizzare il desiderio del vecchio. Mi piace come l'autrice ha creato curiosità nel lettore grazie al gruppetto di tre ragazzi, di cui uno seduto a terra a piangere. Aggiungo che la scrittura è pulita e scorre bene.
C'è un solo e unico punto che secondo me non va. Solo che è così importante che toglie molto a tutto il racconto. Sto parlando del finale. Si tratta di soddisfare le aspettative create nel lettore, ossia il nonno vuole che la gente di oggi non dimentichi quanto sia fortunata. La frase chiave, che è anche il titolo, è “se solo sapessero...”. Ma cosa? Si parla di lager, quindi ci si può fare un'idea, ma finché resta idea, non sveglia emozioni nel lettore. Il momento in cui queste emozioni si sarebbero dovute scatenare su di lui, il momento in cui il lettore sa che sta per “vedere” quello che si nasconde dietro a quel “se solo sapessero...” è il finale. Ma...
“L’oggetto che Dario tiene in mano inizia a vibrare, la testa comincia a girargli…

Quando si riprende, Dario è seduto per terra, appoggiato al muro di un palazzo”

Tutto ciò che ci si aspettava finisce in quella riga bianca tra i due paragrafi.

“la sua mente è stata altrove, ha vissuto in prima persona gli orrori dell’Olocausto.”

Quali? Certo, sappiamo di cosa si parla, ma in un racconto così, almeno qualcosa bisognava sbatterlo in faccia al lettore per sconvolgerlo e per far arrivare il messaggio dietro al testo.

Incenso, di Cristina Danini

Come tutti i racconti che ho letto finora, anche questo parte bene. Abbiamo un punto d'inizio, ci caliamo in una situazione. La storia inizia a svilupparsi, più che altro riflessioni sul suo stato d'animo, sulla sofferenza, sulla bestia che la divora da dentro, sulla farfalla che torna a essere una larva. Sono tutte immagini molto carine ed espressive, bastano a far capire cosa vuole trasmettere l'autrice. Il problema, per me, sorge quando continuando a leggere ci si accorge che anche tutto il resto è così. In pratica? Non succede nulla. Il punto più interessante della storia è quando arriva l'amica, ma dopo poche righe sono già a dormire. Certo, non era l'azione ciò che doveva caratterizzare questo racconto, ma la riflessione sul dolore della protagonista, questo mi è chiaro, ma anche così non rende come avrebbe potuto. Secondo me il racconto necessita di un bel taglio e di una sistematina per risultare più apprezzabile. Così com'è, sempre secondo il mio personalissimo parere, dopo un po' fa perdere interesse.

Non cambia mai, di Marco Roncaccia

Non amo gli zombie. Mi fanno ribrezzo e per questo non mi sono mai piaciuti, ma ultimamente ho ripreso a leggere di loro perciò quando ho iniziato la lettura del tuo pezzo mi sono detta: vediamo se propone qualcosa di nuovo. Ecco che appare ciò che cerco quando lo zombie prende la bicicletta. Mi hai quasi convinta che in effetti lo zombie si fosse evoluto in qualche modo, che uno zombie fosse diverso dagli altri. Forse il virus che aveva causato l'epidemia stava cambiando o forse, se si trattava di un esperimento, qualcosa in quello zombie non era andato come dovuto. Quindi la storia mi prende e voglio arrivare al finale, per capire come mai questo zombie vuole riprendere a pedalare, come mai questa reminescenza del passato stia durando così tanto e in maniera così intensa da fargli dimenticare perfino la fame quando arrivano gli umani! E poi... niente. Muore. Muoiono gli umani. Tutto nella norma, insomma. Devo ammettere che il finale mi ha delusa, forse mi aspettavo qualcosa in più, ecco. Però bello sviluppo, bravo. Domanda: ma ho interpretato bene il fatto che i due nella Hummer (credo si scriva così, non con la “a”) fossero militari? In questo caso, io avrei dato qualche accenno già nei paragrafi precedenti, giusto per rendere più concreta l'ambientazione e le condizioni di vita postapocalittiche. Ma questo è gusto personale.

Rimpianto, di Enrico Nottoli
Il racconto non mi ha convinta, devo dire. La prima frase la troverei più d'impatto se invece della virgola ci fosse un punto. Per il resto, tutto il primo paragrafo mi sembra piuttosto confuso, poco chiaro. Bisogna rileggerlo per capirlo davvero.
Qui:
“Eppure, tutto quello che deve ancora venire, dipende da ciò che è già stato fatto.”
va tolta la virgola dopo “venire”, perché l'intera frase (tutto quello che deve venire) è soggetto e quindi non va separato da “dipende”.
La frase che segue si riattacca a questa, in particolare a “è già stato fatto”, ma è troppo lunga e alla fine non ha un effetto forte sul lettore.
Poi, sempre nell'incipit, trovo che le ripetizioni (volute, immagino) siano comunque un po' troppe. Così se una volta le si usa e svolgono la loro funzione e la seconda volta anche, la terza, però, iniziano a perdere di importanza.
Abbiamo: sono sempre meno – sono sempre meno; un'altra volta – un'altra volta – un'altra volta; priva – priva; ad aspettare – ad aspettare; tutto quello – tutto quello. Solo nel primo paragrafo.
Altra cosa che mi è saltata all'occhio è che dopo l'incipit al presente, passi al passato per raccontare la storia di Sebastiano e va bene. Ciò che mi lascia perplessa è che a fine racconto non torni al presente, ma termini con un “sarei morto trentadue anni più tardi”. E io mi chiedo come fa a saperlo chi racconta la storia, visto che coincide con cui muore? Se è già morto, non quadra l'incipit, a meno che non si tratti di un fantasma, ma non ci sono cenni a questo particolare (o non li ho visti io), se invece non è morto nemmeno al presente (quindi i trentadue anni ancora non sono passati), come fa a sapere quando sarebbe morto?
È un vero peccato, perché l'idea che prende forma nella parte centrale, con Sebastiano uomo e fantasma cinghiale che lo segue fino a casa, mi era piaciuta.

Aida, di Nicola Lozito
Di tutti i racconti letti finora, devo dire che questo è quello che mi è piaciuto di più. Ha una storia intera raccontata in pochi caratteri, mi sembra anche meno di tutti (sempre finora letti). Se con una prima lettura alcune cose mi erano sfuggite, con la seconda ho colto i particolari. Ci sono diverse sviste (“affianco”, “insegnava” – credo sia meglio usare “ha insegnato”, visto l'uso del presente – “ha iniziato imparato”). E in più non condivido del tutto la scelta di raccontare il passato al presente. È qualcosa che porta il lettore a fermarsi un attimo e a rileggere per capire dove, o meglio quando, si trova. Insomma, la forma va sicuramente sistemata, ma il tema che hai scelto e l'idea per lo sviluppo mi sono piaciuti. Bravo.

Le radici del futuro, di Patty Barale
Bel racconto e scritto bene. Non ho capito bene la suddivisione in capitoli, visto che a me sembra che la storia si svolga in modo lineare. Io avrei fatto uno stacco solo prima del quarto pezzo, dove ormai lei è sparita. E qui arriviamo a quella che secondo me è un'incongruenza:
“Lui morirà e io, che all’epoca di questo fatto non sono ancora nata, potrò avere quella vita che mi è stata rubata.”
Questa frase crea un po' di confusione e solo rileggendo più volte il pezzo ho capito che in realtà non è sbagliata, ma che un'altra frase, nel secondo pezzo, non resta impressa come dovrebbe:
“Mia mamma ha sempre detto di averla scattata il giorno in cui, pochi minuti prima che mio padre lasciasse Roma, nel bagno di un bar mi ha concepita! Poi non l’ha più visto e non ha mai voluto dirmi chi fosse.”
Qui a una prima lettura, si pensa che la madre l'abbia concepita e poi non abbia mai più visto Paolo, se così fosse, non avrebbe senso incontrarla poi con lui alla fermata dei bus. Forse sarebbe meglio farne due frasi, per mettere in risalto che la madre era con lui, quando lui prese il bus per lasciare Roma (senza sapere che lui poi non sarebbe più tornato). Così vorrebbe dire che Michela era già stata concepita e la frase finale assumerebbe di nuovo un significato.
Per il resto, mi è piaciuto.

Tutto torna, di Diego Ducoli
Sarò sincera, come sempre: ho iniziato a capirci qualcosa solo da “Nella mente si agitavano ricordi confusi, i suoi e quelli di sua madre”. E se prima tutto sembrava poco chiaro e ho addirittura pensato che tu avessi fatto confusione con i personaggi, poi ho capito. Aldo è il carnefice, colui che compie i torti. Aldo è morto. Aldo scappa dalle bestie feroci che sono le sue azioni cattive fatte da vivo. O i familiari a cui le ha fatte. Quando entriamo nei ricordi, Aldo a volte si ritrova nelle persone che hanno subito i torti, prova il loro dolore e le loro sensazioni. Si muove, quindi, all'interno delle loro coscienze e della sua. Credo che questo spostamento debba essere reso più chiaro nella prima parte, per evitare di lasciare perplesso il lettore che non sa più chi è chi. L'idea mi piace molto, così come il mettere in scena anche Cerbero, il guardiano dell'Ade.

Radioman, di Sharon Galano
Mi piace molto lo stile di questa autrice. Ma questo è uno dei racconti che credo di non aver capito fino in fondo. All'inizio ho creduto che il vecchio fosse un ex-militare alcolizzato che va alle sedute degli alcolisti anonimi. E fin qui tutto bene, immagino. Poi lui che cerca di sintonizzarsi su un canale radio in attesa di ordini mi è sembrato un po' strano, ma soprattutto ho iniziato a pensare che il tipo non avesse tutte le rotelle a posto. Però, di nuovo, quello che i militari gli hanno detto la sera prima è descritto così bene che sembra essere reale. E qui inizio a sentirmi confusa. Il finale, con la moderatrice che vuole vendere il suo libro e il barbone sulla strada sembrano cose staccate del tutto dal resto del racconto. Insomma, mi piace lo stile, ma... cosa hai voluto dire? Anche tutta questa attesa per le dieci poi si rivela inutile: non succede niente alle dieci! Così com'è il racconto non mi convince.

La bestia di Gévaudan, di Francesco D'Amore

A fine lettura mi sono chiesta: cosa voleva comunicarci l'autore? Mi piace molto l'idea della bestia, il fatto che si rifaccia a una leggenda, le vittime, la sfida. Ma trovo che siano stati introdotti alcuni argomenti e poi non siano stati approfonditi a dovere. A che serve il fratello? Lui e sua moglie sono personaggi del tutto inutili alla storia. Perché la gabbia? Cosa rappresenta la gabbia per il protagonista, dove si tengono gli incontri? E il protagonista non mostra paura, non mostra rabbia, non mostra pietà. Sembra voler essere il duro della situazione, va e si scontra contro Creolina, vince; va e si scontra con la bestia, vince; insomma a me non sembra reale come personaggio. Non mi è piaciuto nemmeno come hai descritto la lotta fra la bestia e l'uomo, mi mancava l'azione, mi mancava sentirmi in ansia e coinvolta per il protagonista ma soprattutto mi è sembrata frettolosa. Ti faccio un esempio banalissimo:
“Arrivai al fiume, vidi la bestia dissetarsi. Rimasi immobile ad ammirare il suo colore rosso come la rabbia, la stessa che ho soffocato per anni.
La bestia sentì il mio sguardo su di lei, si voltò; non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.
Lei mi azzannò alla gamba, sentii le sue sciabole entrare ferocemente nella mia carne, ma lasciai perdere. Non c’era tempo per il dolore.”
Prima la besta si sta dissetando al fiume, poi lo nota (attenzione al pdv, “sentì il mio sguardo su di lei” - non siamo nella testa delle bestia), si volta e... gli sta già azzannando la gamba. Manca suspense. Manca l'avvicinamento della bestia: arriva correndo? Si studiano prima? Si avvicina lentamente ringhiando? No, gli sta già azzannando la gamba e io penso: ma... se stava giusto bevendo? Non mi dai il tempo di entrare nel racconto, di temere per il protagonista.
Mi dispiace, ma il tuo racconto non mi ha convinta.

Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello

Bel racconto, buon racconto. Storia che fila dal principio alla fine. C'è un attimo di smarrimento tra la prima parte (in cui Luca è bambino) e la seconda (in cui Luca è padre), che sarebbe risolvibile in un modo veramente semplice: ossia nominando più spesso Luca nella prima parte, in modo che il nome resti impresso e quando appare Nicola, si capisca che ci si è spostati dalla storia iniziale. In generale, mi è piaciuto.

La bestia di fuoco, di Giulio Lepri
Bel racconto, mi piace l'impostazione che gli hai dato, la struttura scelta e anche la storia in sé. Ma qualcosa non va. La storia ci riporta a quando Daniele aveva 11 anni e la madre iniziava a trattarlo male. Siccome non ci è dato sapere chi fosse il vero padre e come Daniele fosse stato concepito (dalla foto sembra che la madre amasse il padre di Daniele, ma per tutto il racconto lei lo tratta così male che ormai si crede quasi che il ragazzo sia il risultato di un rapporto violento) non si spiegano le violenze della madre e l'odio per i suoi occhi diversi e per quello che il bambino rappresenta. Non si spiega nemmeno perché inizi a essere violenta quando il ragazzo ha 11 anni e non prima. Anche il padre (l'uomo che abita con loro), che per tutto il racconto sembra una persona normalissima, ma molto impegnata (è stato rimarcato così spesso che quasi si pensa che lui abbia un'amante), alla fine torna sempre a casa. Nell'ultima parte non ho capito se lui abbia ucciso lei e poi messo fuoco alla casa senza pensare al ragazzo o se sia stata lei a fare fuori lui e a mettere fuoco alla casa. Per un po' ho anche pensato che l'uomo avesse rapito la donna tenendola prigioniera in qualche posto isolato, ma poi appunto stava via una settimana e loro due uscivano a prendersi cura deglli animali, quindi anche questa ipotesi è stata scartata.
Insomma, ci sono cose che andrebbero riscritte in modo da risultare più comprensibili.

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Messaggio#7 » venerdì 20 marzo 2015, 17:26

Eccomi. Complimenti a tutti: i racconti sono validi e avete condotto un'edizione ineccepibile commentando tutti, consegnando nei tempi, accettando il confronto. Bravi, questo è lo spirito di Minuti Contati.
 
Due parole sulle mie scelte perché la composizione di una classifica non è solo la sommatoria di un insieme di commenti. Ho deciso di premiare Jacqueline Nieder con il primo posto perché autrice di un racconto che, oltre a essere molto buono, è stato in grado più degli altri di ergersi intorno al tema dell'edizione non limitandosi a usarlo come "musa", ma arrivando anche ad argomentarlo e a esporre una propria tesi. Ottimo, proprio quello che cerco in un MC. Secondo posto per Roncaccia, autore di un racconto solido, molto controllato, anche originale. Per il terzo posto ho optato per Nottoli, c'è molta potenza nel suo racconto e un grande potenziale nel suo stile. Quarto Santaniello, che paga una seconda parte non all'altezza della prima, forse un pelo passiva. Quinta la Rossetti, un po' penalizzata da quel web journal finale. Sesta la Pelosi che paga nei confronti di chi la precede un uso della metafora un poco eccessivo e settima la Danini, che ho premiato per la grande sincerità che ho sentito trasparire tra le righe di un racconto molto vissuto. Dispiace aver lasciato fuori gli altri, ma ho cercato di essere il più chiaro possibile nei miei commenti e spero non rimangano dubbi.
 
E con un "bravi" collettivo, ecco nel dettaglio la mia classifica:

 
1) L'assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder
Sono rimasto indeciso a lungo, alla fine ho deciso che il racconto m’è piaciuto. Il tema dell’edizione lo permea fin dalle fondamenta e Jacqueline non si ferma a quello, lo sviluppa andando ad argomentare la necessità di scendere a patti con la bestia feroce del nostro passato, che la vita va avanti, che siamo come fenici e rinasciamo dalle nostre ceneri ed è sbagliato e controproducente rimanere, appunto, cenere. Non m’inoltro nella questione della verosimiglianza o meno riguardo ai fatti narrati, ma faccio notare che Patty Barale, che fra gli autori e i giurati è stata l’unica a dire di avere in certo modo respirato quell’atmosfera, sostiene ci sia verità nelle parole dell’autrice e a me basta e mi sarebbe bastato comunque perché non posso giudicare su argomenti che non conosco e il racconto stesso tratta quella guerra per declinare, appunto, il tema e lo fa bene. A livello di problematiche faccio notare, come altri, la difficoltà per il lettore di distinguere da subito fra madre e figlia che sta partorendo, serve un inserto, anche poche parole che lo definisca da subito in modo da indirizzare “pronti, via” la lettura.
2) NON CAMBIA MAI, di Marco Roncaccia
Quando leggo la parola zombie mi si rizzano le antenne e spesso vengo colto da un inizio di attacco d’orticaria, ormai è un cliché pari ai vampiri e il rischio è di leggere sempre qualcosa di riciclato o, peggio, inutilmente banale. Poi il tuo errabondo protagonista è arrivato alla bicicletta e ho capito che non sarebbe stato questo il caso. Molto bella quella scena, con le reminiscenze dal passato che emergono dando una parvenza d’umanità al mostro. Ma non ti fermi qui e, conscio del vero messaggio di cui è portatrice la letteratura zombie, introduci nel finale i mostri veri e propri: gli umani. La chiusa è perfetta: non c’è salvezza per nessuno e le tre pallottole rimaste vanno usate indistintamente. Il tema è presente, il passato si manifesta sia nei “ricordi” dello zombie che nei comportamenti reiterati degli uomini, non si sfugge, quello siamo e quello rimaniamo. Un consiglio per un’eventuale rielaborazione: fornisci, sparse qua e là, informazioni anche sul protagonista, contribuirebbero a dare maggiore respiro al testo e in generale lo miglioreresti perché un poco se ne sente la mancanza. Ed elimina le D eufoniche! ;) Detto questo, il mio giudizio è decisamente positivo: complimenti.
3) Rimpianto, di Enrico Nottoli
C’è un solo errore, a mio avviso, in questo racconto: “Così mi alzai anche quella mattina… Sarei morto trentadue anni più tardi”. Dov’è l’errore? Che quello che sta in mezzo è il resoconto di un inizio giornata tipo per il protagonista, una come tante cui ne seguiranno tante altre. Quel “Così mi alzai anche quella mattina” promette qualcosa di straordinario, qualcosa che invece non arriva. Va modificato, va normalizzato.
Sul resto, invece, poco da dire. Mi piace lo stile, ho apprezzato la conduzione del racconto, il controllo esercitato dall’autore, il punto di vista leggermente deviato (la scena di lui che guarda E BASTA il cinghiale morire è da antologia), i dialoghi. Sì, forse il fatto che il tutto si regga su un rimpianto per un amore perduto cozza un pelo con il cinismo che sprizza da ogni parola e forse l’evoluzione qui sta nel cercare di coniugare questo impeto verso sentimenti banali con la visione generale o forse è meglio dire con l’istinto di chi scrive… Ma c’è molta potenza qui.
4) Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
Uno stile incredibilmente più morbido di quello cui ci hai abituati, ottimo, riesci a controllare registri diversi con pari risultati, davvero bravo. Il racconto mi è piaciuto, concentri l’attenzione su un focus ben preciso (la caccia al polipo) e gli fai ruotare tutto intorno dimostrando, anche qui, un mirabile controllo. Forse pecchi in eccessiva leggerezza nel momento del passaggio all’inversione dei ruoli e ti limiti a evocare il trauma attraverso l’immagine del motoscafo, però qualcosa in più poteva trasparire dalle righe, quel pizzico di tristezza e consapevolezza che contraddistingue a prescindere l’età che avanza e che qui sarebbe stata ancora più giustificata. Ecco, prima parte a mio avviso perfetta mentre alla seconda manca un po’ di cuore in più.
5) Perfection, di Eleonora Rossetti
Molto buona l’idea. Certo, il concetto di un doppio virtuale che acquisisce sostanza fino a divenire entità separata non è nuovo, ma qui è declinato in modo originale con l’aggiunta della macchina che permette di fare pulizia nei propri pensieri (vera idea originaria del testo). E così abbiamo due spunti vincenti che si uniscono per dare vita a un racconto che se solo fosse riuscito a introdurne un terzo davvero originale nella fase finale sarebbe stato quasi “perfection” (mi permetto di giocare anch’io sul titolo). Questo però non accade e la conclusione appare un pelo stanca, quasi passiva, ridondante con quell’inserto del web journal che poteva essere evitato e con quell’attacco diretto alla società di produzione che appare, appunto, troppo diretto. Un racconto più che buono, sia chiaro. E l’idea va ripresa assolutamente per essere trattata su “distanze” maggiori.
6) Ombre, di Carolina Pelosi
Il punto di vista di chi ha commesso un atto atroce e ne paga le conseguenze per il resto della vita. Ottimo l’esordio con la descrizione in toni pacati e rassicuranti del luogo mentale in cui il protagonista cerca di fuggire. Poi l’ombra, il trick subito manifesto (il nome è chiaro) del doppelganger e l’insinuazione di qualcosa che non torna. Infine la realtà, il rimorso, l’impossibilità della fuga più che dalle istituzioni, da se stessi. Ho trovato poco chiara la questione di chi è stato assassinato. Certo, la bambina rappresenta la coscienza di Julian che assume i tratti della madre, ma l’impressione è che lì sia tutto troppo metaforico. Inoltre, avrei puntato più direttamente all’assassinio di una bambina vera che non della madre o magari della moglie e della figlia, tanto per stare in sintonia con i fatti di cronaca attuali.
7) Incenso, di Cristina Danini
Parti bene, fino all’arrivo dell’amica si sente che stai controllando la storia mantenendola equilibrata. Il problema è che da lì in poi il racconto è come se andasse in testa coda, si ritorce su se stesso, tende a ripetere concetti e, soprattutto, l’amica e la scritta sul muro non risaltano per quanto avrebbero dovuto, non rilanciano o meglio, tentano di rilanciare, ma il botto è soffocato e tutto torna al punto di partenza. Si percepisce molto anche la tua urgenza di richiamare il tema, preoccupatene meno… Un tema non dev’essere esplicitato, viene fuori da solo se la storia nasce intorno a lui, è inevitabile. Puoi anche non nominarlo, puoi fare finta che non esista, ma se quello che scrivi è nato in risposta a quel determinato tema il lettore non faticherà a identificarlo. Ribadisco il concetto espresso da Patty: ci sai fare, qui perdi solo in quanto a misura, un po’ come un Sayan incapace di controllare e incanalare la propria potenza… (cavolo, questa battuta dragomballiana dovevo farla in un commento a un autore, non a un’autrice!)
 
Buried Town, Viviana Spagnolo
Ottimo lo stile, avvinghia subito il lettore grazie al suo essere diretto e senza fronzoli. Mancano dialoghi, ma chi se ne frega, non se ne sente la mancanza. C’è però un grosso divario fra prima parte (avvincente, completa, ben condotta) e seconda parte (necessariamente frettolosa per concludere quando invece, come l’autrice stessa sottolinea, avrebbe avuto bisogno di spazio maggiore per esprimere tutte le proprie potenzialità). Vero, ciò che vuol essere è espresso (bellissima la considerazione con cui si chiude il racconto “l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale”), ma rimane in superficie e il finale risulta, di conseguenza troppo “leggero” e “accennato” rispetto a quanto precede. La risultante è un disequilibrio fra le parti che non giova al giudizio finale. Certo è che le potenzialità dell’idea, unite allo stile dell’autrice, sono elevate e che il consiglio è di rielaborare il tutto senza limiti di caratteri a limitarlo.
Se solo sapessero, di Viviana Tenga
Racconto formalmente corretto, si legge bene, l’autrice dimostra controllo. Il problema è che “ci va troppo leggera”. Per colpire nel segno avrebbe dovuto sferrare un pugno diretto allo stomaco del lettore, mettere maggiormente in contrasto i giovani d’oggi (perché è lì che vuole colpire) con quelli del passato, la facile protesta troppo spesso vista come occasione per “fare qualcosa di diverso” (da molti, perlomeno) con la vera protesta nata dal non avere niente o poco. In più qui c’è l’ingrediente dell’Olocausto, sempre drammaticamente delicato da toccare perché molto si è detto e se se ne vuol parlare lo si deve fare con una prospettiva e un linguaggio e una forza nuovi e diversi. Poi c’è il tema delle relazioni intergenerazionali con la madre che sceglie la facile via del rinchiudere l’anziano padre (nonno del protagonista) in una casa di riposo. E, ancora, c’è l’ingrediente dell’aggeggio un poco fantascientifico che, però, poco è legato al resto del racconto presentandosi alla fine per chiuderlo, ma riducendosi così a mero artificio, poco sviluppato ai sensi della trama. Insomma, c’è tanta roba, troppa. Si legge bene grazie alla capacità narrativa dell’autrice, cosa che però non è sufficiente a sorreggere l’impianto della storia.
Tutto torna, di Diego Ducoli
Confusione voluta, questa è la mia idea. Semmai non è sufficientemente disordinata, vado controcorrente. Come intervenire? Quello che dev’essere più chiaro al lettore è l’incidente, arriva troppo tardi, va seminato meglio. Una volta incastonato meglio il racconto nella cornice, puoi liberare l’anarchia dei pensieri scomposti che si alternano in fase terminale e lasciare spazio al flusso apparentemente disordinato dei sensi di colpa che braccano la coscienza dilaniandola fino alla morte. Allo stato attuale appare tutto troppo “in potenza” e necessariamente da confondere con maggior controllo.
Radioman, di Sharon Galano
L’ho inteso così: il vecchio è davvero colui che dice di essere e concordo appieno con la riflessione sulla radio de-sintonizzata di Beppe. Il racconto è ben condotto fino alle sue fasi finali, laddove avresti dovuto rendere un pelo più manifesta la fantasia in cui si è rinchiuso il protagonista. La frase finale, che avrebbe dovuto spiegare e dare il colpo lasciando la giusta sensazione al lettore, si rivela come un nuovo quesito che però tende ad appesantire il tutto anche perché il racconto non conduce verso quella riflessione così amara, manca di un qualcosa nell’ultimo terzo che lo disveli rispondendo ad alcuni degli interrogativi che avevi aperto. Intendiamoci, lo stile mi piace molto, è tutto molto solido. La mancanza qui sta nella conduzione della parte finale.
La bestia del Gevaudan, di Francesco D'Amore
Mi piace il tema del racconto: i mostri sono solo nella mente e la loro creazione è un’opera collettiva, tipico caso di memoria dovuta a narrazione orale, modificata di bocca in bocca fino a divenire altro. Il percorso del protagonista diventa allora quello di colui che si oppone, che pensa di vedere oltre, ma che solo dopo aver toccato con mano (e averla anche persa) capisce di essere caduto egli stesso nel tranello. Una iena è una iena, un ragazzo è un ragazzo, una leggenda è una leggenda. Detto questo, devo sottolineare a mia volta come i piani temporali tendano a confondersi dal dialogo del protagonista con il fratello in avanti. Personalmente ho sentito la necessità di una migliore definizione del protagonista, parti sottolineando che è in giro con il nipote e subito si pensa a un nonno. Più avanti lasci intendere che in verità sia ancora giovane e il nipote sia il figlio del fratello. Credo che lì stiano molti dei problemi legati ai piani temporali, va specificato meglio da subito. Riprendilo assolutamente perché se riesci a chiudere più efficacemente le fila intorno al discorso della tradizione orale e della creazione di conoscenza collettiva può uscirne un lavoro davvero valido.
Aida, di Nicolas Lozito
Cercando di interpretare il senso del tuo racconto, non sono contrario a tutte le sfighe della protagonista, ma servono più parole per Michele e il padre. La frase finale, inoltre è sbagliata perché fornisce una chiave errata, non allineata con quanto precede. Per come l’ho inteso, dovevi andare verso una critica della società, più sorda e più cieca della protagonista stessa. Ma per farlo serve 1) qualche parola in più, non troppe, sui personaggi che ti ho indicato e 2) una conclusione che non punti al patetico, ma, appunto, verso il vero disabile protagonista: il Sistema. Se concordi con le mie osservazioni, aggiustalo, credo che il possibile risultato finale meriti lo sforzo.
Le radici del futuro, di Patty Barale
Un bel racconto di genere che necessita di diverse riparazioni che spero proprio vorrai operare, tanto più che ce n’è la possibilità, anche in ottica di eventuale ripescaggio. Parti bene e inciampi per la prima volta sul registratore. Vuole essere una semina, è chiaro, un qualcosa che aiuti più avanti il lettore a capire il contesto, ma che si trasforma in un pericoloso e mai totalmente gradito infodump, pur ben mascherato, e va inoltre a scontrarsi con la questione del paradosso del viaggio temporale: se sparisce la protagonista, sparisce anche il registratore (e la pistola), non se ne esce. Ti segnalo anche qualche altra “riparazione”: 1) perché la torturano? Perché le uccidono le bambine? Per caso è più importante di altre donne? 2) perché Roma è distrutta? Ok, è diventato un uomini contro donne, ma esplicitalo meglio… Bella comunque l’idea di ambientare il tutto presso “il covo” di altri maschilisti convinti quali sono al Vaticano, magari faccela una battuta sopra, non stonerebbe 3) non può risolversi tutto con l’assassinio di un singolo uomo, a meno che tu non ci faccia capire perché proprio quell’uomo è stato quello giusto nel momento storico giusto. Detto questo, è stato un piacere rileggerti e già te lo dico: per le tue caratteristiche non puoi proprio mancare all’edizione di Minuti Contati di aprile, no no, non puoi mancare… ;)
La bestia di fuoco, di Giulio Lepri
Credo che questo racconto abbia risentito pesantemente del taglione di caratteri che hai dovuto apportare. Sono convinto che molte pennellate che avrebbero contribuito a delineare meglio il carattere della madre siano state asportate in quella fatidica mezz’ora finale in cui ti sei accorto d’essere andato lungo. Ed è un peccato perché è vero che il personaggio di lei aveva bisogno di più spazio, occhio che non intendo spiegoni, solo di più spazio. E anche il personaggio del cane ne ha risentito, magari hai proprio cancellato il momento in cui la madre lo chiude nello scantinato. Riscrivilo, dagli il respiro che si merita, mostracelo per quello che doveva essere. E alla prossima edizione di Minuti Contati stai attento alle specifiche perché anche il rispettarle e costruire un lavoro nei loro limiti fa parte della palestra dello scrittore.

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