L'Altro Presente
Inviato: giovedì 15 giugno 2017, 0:33
Il professor Sacchi aveva pubblicato un libro di poesia, qualcosa come trent'anni prima, e aveva avuto un certo successo.
A noi che dovevamo sorbirci le lezioni di filosofia interessava poco. Sara non la pensava così. Appena dopo le vacanze di Natale aveva estratto un libriccino scarno dallo zaino e adulato Sacchi proclamando il suo amore per la poesia, e spalleggiata dal gruppo di ragazze che le stava dietro era riuscita a strappare l'ultima ora dell'ultimo venerdì di ogni mese alla filosofia.
Era una palla mortale, l'ora di poesia, ma almeno somigliava a quella di religione: tutte chiacchiere, se sapevi giocartela bene anche un'occhiata positiva dal prof e magari mezzo voto in più.
Le occhiate di Sacchi, a dire il vero, erano pesantemente filtrate dagli occhiali più spessi del mondo, tanto che qualunque cosa dicessi era un'impresa capire se avevi sparato una gran cazzata o se gli eri piaciuto. I minuti seguenti li passavi nel dubbio ad aspettare che il vecchio ti scrutasse, che facesse mente locale provando a ricordare chi stava seduto dove – ripeteva a mezze labbra tutto l'elenco – per avere il verdetto, scelto tra una manciata di frasi: «Mi piace la tua visione d'insieme, Modigli», o «Le possibilità sono due: non hai ascoltato me o non hai ascoltato la tua testa, Lelli», oppure «Sì e no, Percaso, sì e no».
Quell'ora mi stava sulle palle più per le sviolinate delle ragazze che per altro; finivo per passarla in uno stato quasi catatonico: per Sacchi se stavi zitto eri praticamente invisibile.
Forse per questo ci avevo messo tanto per capire cosa stava succedendo. Un giorno, troppo annoiato anche per distrarmi, avevo guardato in direzione dello sciame, che lavorava su qualche rima dall'altra parte della classe: di Sara non c'era traccia. Eppure era lì l'ora prima, ne ero certo perché era stata interrogata dalla Stia.
Alla fine della lezione ancora niente Sara, quindi non è che fosse andata in bagno.
Il mese dopo era toccato a Maia: per l'ora della Stia era lì, con una maglia giallo vomito, e per quella di Sacchi era scomparsa. Al tavolo le ragazze fregavano il prof usando testi di canzoni come se fosse roba originale, tutte con quelle maglie gialle e jeans scuri, neanche fossero fatte con lo stampino...
Avevano davvero tutte maglia gialla e jeans. Il mese prima non erano vestite di blu?
Questo mese ormai ci faccio caso, e per tutte le lezioni di Sacchi le ragazze vestono uguale. Anche stavolta ne manca una, Vale Masi, e le altre giù a ridere.
«Masi» chiama Sacchi, puntuale come il destino. Mi raddrizzo per vedere come la risolvono.
«Presente» si alza Cinzia, e comincia e leggere la poesia del giorno. Sacchi non fa una piega. Mi scappa da ridere e si rivolge a me.
Ripenso all'ultima strofa e mi invento qualcosa: «Niente, prof, era l'immagine del cactus inavvicinabile: le radici le hanno senza spine, no?»
Tre lunghi minuti di mistero, e poi: «Ben pensato.»
Guardo Sara e ce la metto tutta per non ridere.
«Oh, Fra'!» mi giro «La prossima volta tutti in rosso, ok?»
A noi che dovevamo sorbirci le lezioni di filosofia interessava poco. Sara non la pensava così. Appena dopo le vacanze di Natale aveva estratto un libriccino scarno dallo zaino e adulato Sacchi proclamando il suo amore per la poesia, e spalleggiata dal gruppo di ragazze che le stava dietro era riuscita a strappare l'ultima ora dell'ultimo venerdì di ogni mese alla filosofia.
Era una palla mortale, l'ora di poesia, ma almeno somigliava a quella di religione: tutte chiacchiere, se sapevi giocartela bene anche un'occhiata positiva dal prof e magari mezzo voto in più.
Le occhiate di Sacchi, a dire il vero, erano pesantemente filtrate dagli occhiali più spessi del mondo, tanto che qualunque cosa dicessi era un'impresa capire se avevi sparato una gran cazzata o se gli eri piaciuto. I minuti seguenti li passavi nel dubbio ad aspettare che il vecchio ti scrutasse, che facesse mente locale provando a ricordare chi stava seduto dove – ripeteva a mezze labbra tutto l'elenco – per avere il verdetto, scelto tra una manciata di frasi: «Mi piace la tua visione d'insieme, Modigli», o «Le possibilità sono due: non hai ascoltato me o non hai ascoltato la tua testa, Lelli», oppure «Sì e no, Percaso, sì e no».
Quell'ora mi stava sulle palle più per le sviolinate delle ragazze che per altro; finivo per passarla in uno stato quasi catatonico: per Sacchi se stavi zitto eri praticamente invisibile.
Forse per questo ci avevo messo tanto per capire cosa stava succedendo. Un giorno, troppo annoiato anche per distrarmi, avevo guardato in direzione dello sciame, che lavorava su qualche rima dall'altra parte della classe: di Sara non c'era traccia. Eppure era lì l'ora prima, ne ero certo perché era stata interrogata dalla Stia.
Alla fine della lezione ancora niente Sara, quindi non è che fosse andata in bagno.
Il mese dopo era toccato a Maia: per l'ora della Stia era lì, con una maglia giallo vomito, e per quella di Sacchi era scomparsa. Al tavolo le ragazze fregavano il prof usando testi di canzoni come se fosse roba originale, tutte con quelle maglie gialle e jeans scuri, neanche fossero fatte con lo stampino...
Avevano davvero tutte maglia gialla e jeans. Il mese prima non erano vestite di blu?
Questo mese ormai ci faccio caso, e per tutte le lezioni di Sacchi le ragazze vestono uguale. Anche stavolta ne manca una, Vale Masi, e le altre giù a ridere.
«Masi» chiama Sacchi, puntuale come il destino. Mi raddrizzo per vedere come la risolvono.
«Presente» si alza Cinzia, e comincia e leggere la poesia del giorno. Sacchi non fa una piega. Mi scappa da ridere e si rivolge a me.
Ripenso all'ultima strofa e mi invento qualcosa: «Niente, prof, era l'immagine del cactus inavvicinabile: le radici le hanno senza spine, no?»
Tre lunghi minuti di mistero, e poi: «Ben pensato.»
Guardo Sara e ce la metto tutta per non ridere.
«Oh, Fra'!» mi giro «La prossima volta tutti in rosso, ok?»