Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
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Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Io, il male, l’ho visto con i miei occhi, l’ho vissuto sulla mia pelle. Io, il male, l’ho visto negli occhi degli altri. Non era nei gesti, no, quello è scontato. Io e il male, in realtà, siamo tutt’uno. Sapete, chi sostiene di conoscere il dolore perché l’ha provato non capisce di avere una visione ridotta di una struttura complessa; vede due dimensioni quando ce ne sono quattro, almeno. Sì, perché il male si palpa, si annusa, si gusta, e un po’ ma solo in parte, si ode. Vederlo be’, quello sono capaci tutti. Se uno non lo fa, è perché non vuole, non perché i suoi occhi non funzionino. Certo, a qualcuno verrà da ribattere: d’accordo, e i ciechi allora? Appunto, i ciechi provano il male senza vederlo, proprio perché quel mezzo è secondario. Prendete gli animali, loro percepiscono il male. Siamo noi che ci siamo ridotti a vederlo perché tappiamo le orecchie, vestiamo il corpo e ci riempiamo di profumi. Se non ci fossero questi mezzi, allora, sareste tutti in grado di trovarlo, a occhi chiusi, appunto.
Io, il male, l’ho conosciuto a diciotto anni appena compiuti. Non ero un fiore, ed ero spensierato come uno che doveva badare a quattro fratelli perché la madre, quella stronza di madre, preferiva giocare ai parchetti con gli spacciatori per un po’ di metamfetamina piuttosto di portarci i suoi figli. Suoi poi, è una parola grande. I figli sono di chi li cresce, no? No, cazzate. I figli non appartengono a nessuno, sono l’eredità che lasciamo al mondo di tutti, perché se tuo figlio sarà un Hitler o un Gandhi di peso nel mondo ne avrà parecchio, e mica puoi venirmi a dire che quello è di tua proprietà. Sapete, gli inuit lassù al nord non usano gli aggettivi possessivi quando descrivono i figli. Sono semplicemente figli, di tutti, della comunità. Ma probabilmente sto prendendo la tangente. Ho tanto da dire e poco spazio per farlo, perciò torniamo al punto, anche se ormai penso l’abbiate capito.
Io, il male, l’ho conosciuto appunto poco dopo i miei diciott’anni, quando ho dovuto vendermi per svolgere quella parte che la donna che mi ha messo al mondo non faceva. Ho cominciato vendendo pezzi minori, come i capelli. Lo sapevate che ne esiste un mercato enorme? Ora lo sapete. Poi ho venduto le mutande ai giapponesi, creando un sito su misura per i loro feticismi. Si possono scegliere le mutande che si preferiscono: studentessa, manager, impiegata. Sì, quelle da studentessa vanno per la maggiore e sì, sono usate non c’era bisogno di specificarlo. Se v’interessa in un’altra occasione posso passarvi l’indirizzo. Poi sono arrivati altri due fratelli e le cose si sono complicate. Vendevo già il sangue, ma quello non bastava più, quindi ho fatto il grande passo: la strada. Una storia già nota, semplicemente maligna come molte altre, quello che però non è così semplice è che io, il male, non l’ho conosciuto allora, tutto questo è arrivato dopo. Io, il male, l’avevo già conosciuto al tempo del mio primo fratello. Perché sono anche suo padre.
Io, il male, l’ho conosciuto a diciotto anni appena compiuti. Non ero un fiore, ed ero spensierato come uno che doveva badare a quattro fratelli perché la madre, quella stronza di madre, preferiva giocare ai parchetti con gli spacciatori per un po’ di metamfetamina piuttosto di portarci i suoi figli. Suoi poi, è una parola grande. I figli sono di chi li cresce, no? No, cazzate. I figli non appartengono a nessuno, sono l’eredità che lasciamo al mondo di tutti, perché se tuo figlio sarà un Hitler o un Gandhi di peso nel mondo ne avrà parecchio, e mica puoi venirmi a dire che quello è di tua proprietà. Sapete, gli inuit lassù al nord non usano gli aggettivi possessivi quando descrivono i figli. Sono semplicemente figli, di tutti, della comunità. Ma probabilmente sto prendendo la tangente. Ho tanto da dire e poco spazio per farlo, perciò torniamo al punto, anche se ormai penso l’abbiate capito.
Io, il male, l’ho conosciuto appunto poco dopo i miei diciott’anni, quando ho dovuto vendermi per svolgere quella parte che la donna che mi ha messo al mondo non faceva. Ho cominciato vendendo pezzi minori, come i capelli. Lo sapevate che ne esiste un mercato enorme? Ora lo sapete. Poi ho venduto le mutande ai giapponesi, creando un sito su misura per i loro feticismi. Si possono scegliere le mutande che si preferiscono: studentessa, manager, impiegata. Sì, quelle da studentessa vanno per la maggiore e sì, sono usate non c’era bisogno di specificarlo. Se v’interessa in un’altra occasione posso passarvi l’indirizzo. Poi sono arrivati altri due fratelli e le cose si sono complicate. Vendevo già il sangue, ma quello non bastava più, quindi ho fatto il grande passo: la strada. Una storia già nota, semplicemente maligna come molte altre, quello che però non è così semplice è che io, il male, non l’ho conosciuto allora, tutto questo è arrivato dopo. Io, il male, l’avevo già conosciuto al tempo del mio primo fratello. Perché sono anche suo padre.
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Ciao Aristide! Tutto ok anche per te i parametri, buona CENTESIMA!
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Sì, no, nì.
Mi spoglio un attimo di ogni morale e cerco di capire dove si inghippa tutto.
Tema forte, molto ben affrontato, però molta carne al fuoco. Fino all'ultima battuta ho creduto che la voce narrante fosse una donna e se tanto mi da tanto più che il male la voce narrante è un masochista del cavolo, perché passi l'incesto -ammettiamo che passi- comunque come puoi incazzarti con tua madre che hai messo incinta 1-2-3-4 volte ammesso che anche le altre volte sia stato tu, se lei da madre non ti ha fatto? Più che "il male" mi sembri un povero scemo che invece di mandare a battere la sua donna -veloce facile ed economicamente più remunerativo- tanto come la scopi tu, la fai scopare e ci mantieni la famiglia. Non lo so mi sembra inutilmente troppo crudo come tema e sebbene la struttura a spirale mi piaccia molto non mi hai convinto.
Forse andrebbe sviluppato caratterizzando meglio il personaggio.
In ogni caso: la scelta del tuo lessico è molto bella e curata. la struttura della frase mi piace da matti, se un giorno arriverò a scrivere con la stessa cura della forma e dei passaggi che hai avuto tu mi riterrò davvero fortunata!
Mi spoglio un attimo di ogni morale e cerco di capire dove si inghippa tutto.
Tema forte, molto ben affrontato, però molta carne al fuoco. Fino all'ultima battuta ho creduto che la voce narrante fosse una donna e se tanto mi da tanto più che il male la voce narrante è un masochista del cavolo, perché passi l'incesto -ammettiamo che passi- comunque come puoi incazzarti con tua madre che hai messo incinta 1-2-3-4 volte ammesso che anche le altre volte sia stato tu, se lei da madre non ti ha fatto? Più che "il male" mi sembri un povero scemo che invece di mandare a battere la sua donna -veloce facile ed economicamente più remunerativo- tanto come la scopi tu, la fai scopare e ci mantieni la famiglia. Non lo so mi sembra inutilmente troppo crudo come tema e sebbene la struttura a spirale mi piaccia molto non mi hai convinto.
Forse andrebbe sviluppato caratterizzando meglio il personaggio.
In ogni caso: la scelta del tuo lessico è molto bella e curata. la struttura della frase mi piace da matti, se un giorno arriverò a scrivere con la stessa cura della forma e dei passaggi che hai avuto tu mi riterrò davvero fortunata!
#AbbassoIlTerzoPuntino #NonSmerigliateLeBalle
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!
- Eugene Fitzherbert
- Messaggi: 486
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Ciao, Aristide!
uh, che pugno nello stomaco! È questo che mi viene in mente dopo aver letto e riletto il tuo racconto. Lo stile ricorda un po' Palahniuk, un po' sordido e beffardo, in grado di inanellare un'atrocità dopo l'altra come se fosse una lista della spesa scritta male. Però mi pare che alla fine il tuo racconto non arrivi a qualcosa di concreto: c'è la descrizione e il ricordo di una vita dannata, lesionata, quasi in frantumi, ma lo stesso il male non si vede davvero. Si vede che è tutto sbagliato, dalla vendita dei pezzi del proprio corpo fino all'incesto, ma alla fine di tutto, quel che davvero spinge il protagonista a fare quel che fa è il senso di responsabilità che ha verso i suoi fratelli/figli. Cosa sarebbe successo se avesse venduto una delle sue sorelline, per esempio? O se avesse usato il suo fratello come ricettacolo di sangue da offrire al migliore offerente? Ecco, forse il male in questa storia è un Male a metà...
uh, che pugno nello stomaco! È questo che mi viene in mente dopo aver letto e riletto il tuo racconto. Lo stile ricorda un po' Palahniuk, un po' sordido e beffardo, in grado di inanellare un'atrocità dopo l'altra come se fosse una lista della spesa scritta male. Però mi pare che alla fine il tuo racconto non arrivi a qualcosa di concreto: c'è la descrizione e il ricordo di una vita dannata, lesionata, quasi in frantumi, ma lo stesso il male non si vede davvero. Si vede che è tutto sbagliato, dalla vendita dei pezzi del proprio corpo fino all'incesto, ma alla fine di tutto, quel che davvero spinge il protagonista a fare quel che fa è il senso di responsabilità che ha verso i suoi fratelli/figli. Cosa sarebbe successo se avesse venduto una delle sue sorelline, per esempio? O se avesse usato il suo fratello come ricettacolo di sangue da offrire al migliore offerente? Ecco, forse il male in questa storia è un Male a metà...
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Ciao, Aristide!
Il tuo racconto mi sembra la bozza di un racconto molto più ampio ed intenso. Così, per come è ora, mi sembra affrettato, ed è un peccato, perché si perde molto l’effetto drammatico della comunicazione di una storia tanto tragica. Anche le considerazioni iniziali sulla percezione del male potrebbero essere introdotte meglio all’interno di un discorso più fluido e coeso. Inoltre non ho capito come mai il protagonista (uomo) venda slip da donna, e non slip maschili. Credo che questa stranezza possa creare un equivoco sul sesso del protagonista e credo anche che la vendita di slip maschili sarebbe risultata più originale agli occhi del lettore.
Infine, penso che qualche “a capo” in più potrebbe risultare utile ai fini di una lettura più pacata e ragionata.
Ad ogni modo, l’idea è particolare e mi auguro che vorrai svilupparla senza limiti di tempo e caratteri.
Ciao, alla prossima!
Il tuo racconto mi sembra la bozza di un racconto molto più ampio ed intenso. Così, per come è ora, mi sembra affrettato, ed è un peccato, perché si perde molto l’effetto drammatico della comunicazione di una storia tanto tragica. Anche le considerazioni iniziali sulla percezione del male potrebbero essere introdotte meglio all’interno di un discorso più fluido e coeso. Inoltre non ho capito come mai il protagonista (uomo) venda slip da donna, e non slip maschili. Credo che questa stranezza possa creare un equivoco sul sesso del protagonista e credo anche che la vendita di slip maschili sarebbe risultata più originale agli occhi del lettore.
Infine, penso che qualche “a capo” in più potrebbe risultare utile ai fini di una lettura più pacata e ragionata.
Ad ogni modo, l’idea è particolare e mi auguro che vorrai svilupparla senza limiti di tempo e caratteri.
Ciao, alla prossima!
- raffaele.marra
- Messaggi: 397
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Di solito mi piacciono molto i racconti con il colpo finale, in cui si verifica o una sorpresa inaspettata o un qualcosa di eclatante, che comunque dà maggiore spessore al resto del racconto. Nel tuo caso, il finale, che risuona con un certo clamore, non è altro che uno dei tanti elementi che utilizzi per descrivere "il male" della tua storia. Tutto il racconto, così, è la lunga elencazione di questi elementi la cui somma giustifica l'aderenza al tema in maniera più o meno credibile. Che dire, il racconto è scritto bene, ma non mi colpisce in maniera decisa come quella battuta finale probabilmente vorrebbe. Ci vedo un tentativo riuscito solo in parte, e qui ci sarebbe da capire perché, se dipende da una mia carenza di sensibilità o da qualcosa nel testo che non contribuisce come dovrebbe a creare la giusta interazione emotiva tra scritto e lettore.
- alberto.dellarossa
- Messaggi: 230
Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Uhm. Ha un suo perché, non lo nego, ma manca di controllo. Una sorta di flusso di coscienza che lascia trasparire comunque uno stile un po' acerbo (è la prima volta che ti leggo, quindi non è certo un giudizio assoluto: potrebbe essere solo uno scivolone come succede a tutti!). Ha quella potenza di chi si mette giù a scrivere col pensiero "SPACCO I CULI AI FRINGUELLI" e si trova a essere trascinato dalla penna, invece di controllarne l'andamento.
- patty.barale
- Messaggi: 349
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Re: Quattro dimensioni di Aristide Capuzzo
Flusso di coscienza non indifferente!
Dal punto di vista del contenuto mi ha colpito molto il modo in cui riesci a rendere il senso di colpa di un individuo vittima di pedofilia: se è il padre del suo primo fratello significa che la madre ha abusato di lui quando era bambino e lui, in ogni suo atto, in ogni suo gesto vede un lato negativo, un’incapacità a fare qualcosa di buono, nonostante tutto questo sia fatto per mantenere i fratelli.
Devo ammettere che il sistema di scatole cinesi, divagazioni ed elucubrazioni che hai creato mi ha lasciata perplessa, forse necessita di una gestione un po’ più controllata…
Dal punto di vista del contenuto mi ha colpito molto il modo in cui riesci a rendere il senso di colpa di un individuo vittima di pedofilia: se è il padre del suo primo fratello significa che la madre ha abusato di lui quando era bambino e lui, in ogni suo atto, in ogni suo gesto vede un lato negativo, un’incapacità a fare qualcosa di buono, nonostante tutto questo sia fatto per mantenere i fratelli.
Devo ammettere che il sistema di scatole cinesi, divagazioni ed elucubrazioni che hai creato mi ha lasciata perplessa, forse necessita di una gestione un po’ più controllata…
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