Io e la luna - Raffaele Marra
- raffaele.marra
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Io e la luna - Raffaele Marra
Io e la luna
(di Raffaele Marra)
Conosco i pensieri della gente; una volta li leggevo dagli sguardi, ora non serve neanche più aprire gli occhi.
È quando passo per strada che li sento su di me, quei pensieri, ruvidi e inquieti come stoppie di campo tormentate dal fuoco. E le loro mani a serrare le bocche spaventate, e a formare croci frettolose fatte di vento e di fruscii di miseri panni.
E sento la loro pietà avvolgere i bambini con abbracci di padre e di madre, cupi e sacri nell’additarmi da lontano, nello scuotere il capo, nel nominarmi al tramonto come monito per chi disobbedisce.
Il tramonto.
È lì che inizia il mio mondo, a sentirli. E forse non mentono, forse davvero sono creatura del buio, cane ramingo di giorno, bestia feroce di notte.
“Uvì, uvì, lupomannaro!”, urla scandalizzato Mingone mentre sua sorella Anna, che per sessant’anni di pazzia lo ha accudito, lo tira via cantandogli una ninnananna piena di santi.
Pochi passi ancora tra me e la fontana, poi sarà solo il cammino di ritorno, come ogni giorno. Ma c’è ancora da udire la voce rauca di Mastro Peppe che inchioda suole sull’uscio e mi maledice tra i denti. E, ovviamente, non manca donna Rosetta, eternamente china a battere panni, che elenca le mie malefatte scuotendo il capo e cantilenando come fa la domenica mattina davanti alla fossa del suo povero marito.
Raccolgo acqua alla fontana. Per trentatrè minuti nessuno oserà bere dopo il mio passaggio. Mi volto e riprendo il mio polveroso cammino mentre persino don Pino, dal sagrato, mi condanna con gli occhi mentre la bocca mastica rosari.
Il tramonto, dicevo.
Lo adoro per due motivi. Innanzitutto perché la gente di questo paese arroccato sui calanchi torna finalmente nelle case a consumare gli ultimi istanti dei suoi giorni tutti uguali. E così, mentre il sonno sopraggiunge, sento i loro pensieri allontanarsi da me come corvi ormai sazi.
Il secondo motivo riguarda me soltanto.
Ne ho delle scorte abbondanti, per tutta la primavera e l’estate: rosso, bianco, rosato, dolce, pastoso, amaro, novello. Il mio irrinunciabile segreto, la mia impareggiabile ricchezza. È con il vino che, ogni notte, mi elevo da questa gente cattiva, arida e rugosa come l’argilla. Salgo sul tetto, là dove l’aria è ancora fresca, dove i pensieri dei nottambuli non possono raggiungermi, e bevo.
E cerco di non pensare ad Anna, che sessant’anni fa avvelenò colei che le avrebbe portato via suo fratello, o a Mastro Peppe, che rubò casa e bottega. O a donna Rosetta, che fece sparare a suo marito sotto un ulivo, o a don Pino che prestava denaro a usura.
Io sono il male, dicono, ma il mio vino è buono, e nelle notti di primavera, qui sul tetto, riesco a sentirmi persino felice. Un altro sorso, prima di andare a letto, certo che dormirò senza rimorso, io.
Un altro sorso ancora e, visto che la luna è piena e laggiù tutti dormono sereni, prima che si sveglino e tornino a caricarmi le spalle del loro male, lasciate che io mi metta in piedi e apra la bocca.
E, visto che c’è silenzio, lasciate che mi metta a cantare.
(di Raffaele Marra)
Conosco i pensieri della gente; una volta li leggevo dagli sguardi, ora non serve neanche più aprire gli occhi.
È quando passo per strada che li sento su di me, quei pensieri, ruvidi e inquieti come stoppie di campo tormentate dal fuoco. E le loro mani a serrare le bocche spaventate, e a formare croci frettolose fatte di vento e di fruscii di miseri panni.
E sento la loro pietà avvolgere i bambini con abbracci di padre e di madre, cupi e sacri nell’additarmi da lontano, nello scuotere il capo, nel nominarmi al tramonto come monito per chi disobbedisce.
Il tramonto.
È lì che inizia il mio mondo, a sentirli. E forse non mentono, forse davvero sono creatura del buio, cane ramingo di giorno, bestia feroce di notte.
“Uvì, uvì, lupomannaro!”, urla scandalizzato Mingone mentre sua sorella Anna, che per sessant’anni di pazzia lo ha accudito, lo tira via cantandogli una ninnananna piena di santi.
Pochi passi ancora tra me e la fontana, poi sarà solo il cammino di ritorno, come ogni giorno. Ma c’è ancora da udire la voce rauca di Mastro Peppe che inchioda suole sull’uscio e mi maledice tra i denti. E, ovviamente, non manca donna Rosetta, eternamente china a battere panni, che elenca le mie malefatte scuotendo il capo e cantilenando come fa la domenica mattina davanti alla fossa del suo povero marito.
Raccolgo acqua alla fontana. Per trentatrè minuti nessuno oserà bere dopo il mio passaggio. Mi volto e riprendo il mio polveroso cammino mentre persino don Pino, dal sagrato, mi condanna con gli occhi mentre la bocca mastica rosari.
Il tramonto, dicevo.
Lo adoro per due motivi. Innanzitutto perché la gente di questo paese arroccato sui calanchi torna finalmente nelle case a consumare gli ultimi istanti dei suoi giorni tutti uguali. E così, mentre il sonno sopraggiunge, sento i loro pensieri allontanarsi da me come corvi ormai sazi.
Il secondo motivo riguarda me soltanto.
Ne ho delle scorte abbondanti, per tutta la primavera e l’estate: rosso, bianco, rosato, dolce, pastoso, amaro, novello. Il mio irrinunciabile segreto, la mia impareggiabile ricchezza. È con il vino che, ogni notte, mi elevo da questa gente cattiva, arida e rugosa come l’argilla. Salgo sul tetto, là dove l’aria è ancora fresca, dove i pensieri dei nottambuli non possono raggiungermi, e bevo.
E cerco di non pensare ad Anna, che sessant’anni fa avvelenò colei che le avrebbe portato via suo fratello, o a Mastro Peppe, che rubò casa e bottega. O a donna Rosetta, che fece sparare a suo marito sotto un ulivo, o a don Pino che prestava denaro a usura.
Io sono il male, dicono, ma il mio vino è buono, e nelle notti di primavera, qui sul tetto, riesco a sentirmi persino felice. Un altro sorso, prima di andare a letto, certo che dormirò senza rimorso, io.
Un altro sorso ancora e, visto che la luna è piena e laggiù tutti dormono sereni, prima che si sveglino e tornino a caricarmi le spalle del loro male, lasciate che io mi metta in piedi e apra la bocca.
E, visto che c’è silenzio, lasciate che mi metta a cantare.
- Simone Cassia
- Messaggi: 153
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Ciao Raffaele,
è un po' che manco da Minuti Contati e mi sono un po' arrugginito nello scrivere i commenti, mi affido al tuo racconto per ricominciare.
Racconto ben scritto, trasmette quell'aria di piccolo borgo in cui ci si conosce e si sa tutto di tutti, o almeno così sembra, perché pare che il protagonista sappia veramente troppo e per questo sia additato come "male" da emarginare e tenere a distanza.
L'inversione dell'asse bene/male, colpevole/innocente centra il tema in modo originale.
Unico "neo" dello scritto è forse il finale. Il protagonista, nelle fresche notti di privamavera, sale sul tetto della propria casa, si gode un bicchiere di troppo e canta alla luna. Il segreto è svelato, ma come conclusione non riesce, a parer mio, ad essere brillante. In ogni caso, un buon racconto.
A rileggerci :)
è un po' che manco da Minuti Contati e mi sono un po' arrugginito nello scrivere i commenti, mi affido al tuo racconto per ricominciare.
Racconto ben scritto, trasmette quell'aria di piccolo borgo in cui ci si conosce e si sa tutto di tutti, o almeno così sembra, perché pare che il protagonista sappia veramente troppo e per questo sia additato come "male" da emarginare e tenere a distanza.
L'inversione dell'asse bene/male, colpevole/innocente centra il tema in modo originale.
Unico "neo" dello scritto è forse il finale. Il protagonista, nelle fresche notti di privamavera, sale sul tetto della propria casa, si gode un bicchiere di troppo e canta alla luna. Il segreto è svelato, ma come conclusione non riesce, a parer mio, ad essere brillante. In ogni caso, un buon racconto.
A rileggerci :)
- eleonora.rossetti
- Messaggi: 553
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Ciao Raffaele, gira e rigira ci si ribecca nei gironi ;)
Mi è piaciuta molto la voce narrante del tuo protagonista. Riesce a descrivere la particolarità dei piccoli borghi, il senso di superstizione che vi aleggia, la semplicità di piccoli gesti e situazioni tipici della vita rurale.
Non so perché, ma il filone del racconto mi ha fatto ripensare a La Tempesta del Secolo dove tutti gli abitanti conservavano un grave segreto e lo straniero/demone li conosceva tutti e li metteva a nudo. Associazione strana, vista la diversità dell'ambientazione ma mica è una cosa negativa XD
Tuttavia, nonostante l'idea "già vista" mi è piaciuto come l'hai saputa esprimere.
Un piccolo neo (Se no l'Antico mi bastona) lo trovo nel "il tramonto, dicevo". Mi dà forse un po' troppo tono da "intervista". Ma come dicevo, solo un piccolo neo.
Alla prossima ;)
Mi è piaciuta molto la voce narrante del tuo protagonista. Riesce a descrivere la particolarità dei piccoli borghi, il senso di superstizione che vi aleggia, la semplicità di piccoli gesti e situazioni tipici della vita rurale.
Non so perché, ma il filone del racconto mi ha fatto ripensare a La Tempesta del Secolo dove tutti gli abitanti conservavano un grave segreto e lo straniero/demone li conosceva tutti e li metteva a nudo. Associazione strana, vista la diversità dell'ambientazione ma mica è una cosa negativa XD
Tuttavia, nonostante l'idea "già vista" mi è piaciuto come l'hai saputa esprimere.
Un piccolo neo (Se no l'Antico mi bastona) lo trovo nel "il tramonto, dicevo". Mi dà forse un po' troppo tono da "intervista". Ma come dicevo, solo un piccolo neo.
Alla prossima ;)
Uccidi scrivendo.
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- Messaggi: 171
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Io e la luna, di Raffaele Marra
Perchè ti affibiano la nomea di iettatore, nessuno lo sa. E' naturale che non lo sappia neanche il protagonista senza nome di questa storia. Il quale però rovescia abilmente sugli altri l'origine della sua nomea: ognuno di loro è il male e scaricano questo male sul vignaiolo (chiamiamolo così). Il quale se ne frega e canta alla luna, di notte, sbronzo. Il racconto è un buon bozzetto, ma non riesce a scrollarsi di dosso l'indeterminatezza propria dei bozzetti. Cioè buone descrizioni che non arrivano a conclusioni. Trovo anch'io un po' stonata la colloquialità dei quei “lasciate che” nelle due frasi finali. E un po indeterminato quel “per sessant’anni di pazzia lo ha accudito”. Pazzia di chi? Di lei? Di lui?
Perchè ti affibiano la nomea di iettatore, nessuno lo sa. E' naturale che non lo sappia neanche il protagonista senza nome di questa storia. Il quale però rovescia abilmente sugli altri l'origine della sua nomea: ognuno di loro è il male e scaricano questo male sul vignaiolo (chiamiamolo così). Il quale se ne frega e canta alla luna, di notte, sbronzo. Il racconto è un buon bozzetto, ma non riesce a scrollarsi di dosso l'indeterminatezza propria dei bozzetti. Cioè buone descrizioni che non arrivano a conclusioni. Trovo anch'io un po' stonata la colloquialità dei quei “lasciate che” nelle due frasi finali. E un po indeterminato quel “per sessant’anni di pazzia lo ha accudito”. Pazzia di chi? Di lei? Di lui?
- luigi.brasili
- Messaggi: 12
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Lettura molto gradevole, le immagini scorrono piacevolmente nonostante la narrazione manchi di dialoghi come un racconto orale d'altri tempi; incuriosisce e spinge a continuare senza stanchezza, lasciando forse un briciolo di delusione nel finale, cosa del resto difficile da evitare vista la lunga ma piacevole preparazione all'attesa della conclusione. Il primo che leggo e se è vero che il buon giorno si vede dal mattino penso che sarà un'ottima giornata.
- Andrea Partiti
- Messaggi: 1042
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Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Scrivi un monologo, di un personaggio "del paesello di campagna" e dedito al vino da come ce lo presenti, mai spostato dal paese suppongo, altrimenti non sarebbe tornato dove viene considerato così male.
Allora questo protagonista stona con il linguaggio così aulico che usa, così pieno di immagini suggestive e complesse. Non è la voce del tuo narratore, è la tua voce di autore, ed è molto ingombrante, guasta l'immagine rurale, superstiziosa e datata del piccolo universo che crei attraverso i personaggi che presenti e le loro attività.
Questa stonatura a parte, è un grande racconto, lavori benissimo sui personaggi, usando letteralmente due pennellate per crearli, la facciata pubblica che il protagonista vede passando dalla piazza e il loro segreto caratterizzante su cui riflette quando è solo.
Allora questo protagonista stona con il linguaggio così aulico che usa, così pieno di immagini suggestive e complesse. Non è la voce del tuo narratore, è la tua voce di autore, ed è molto ingombrante, guasta l'immagine rurale, superstiziosa e datata del piccolo universo che crei attraverso i personaggi che presenti e le loro attività.
Questa stonatura a parte, è un grande racconto, lavori benissimo sui personaggi, usando letteralmente due pennellate per crearli, la facciata pubblica che il protagonista vede passando dalla piazza e il loro segreto caratterizzante su cui riflette quando è solo.
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Ciao,
ho qualche problema col tuo racconto. In prima lettura mi hai letteralmente rapito. Sono rimasco incatenato nel tuo borgo, nelle sue dinamiche e nel cammino del tuo protagonista. Il problema è che poi, quando l'incantesimo si è sciolto, mi sono chiesto: "Vabbé e che cosa c'è di diverso dal solito cliché dei 'cattivi vicini'?".
Hai una prosa notevole, inutile ripeterlo, ma qui mi sembra un po' sprecata e non così approprita al protagonista avvinazzato di un paesello che immagino isolato e ignorante (o la superstizione non regnerebbe sovrana).
C'è qualcosa che stona, ma, ci tengo a ribadirlo, questo mi ronza in testa solo dopo, quando finisco di leggere.
ho qualche problema col tuo racconto. In prima lettura mi hai letteralmente rapito. Sono rimasco incatenato nel tuo borgo, nelle sue dinamiche e nel cammino del tuo protagonista. Il problema è che poi, quando l'incantesimo si è sciolto, mi sono chiesto: "Vabbé e che cosa c'è di diverso dal solito cliché dei 'cattivi vicini'?".
Hai una prosa notevole, inutile ripeterlo, ma qui mi sembra un po' sprecata e non così approprita al protagonista avvinazzato di un paesello che immagino isolato e ignorante (o la superstizione non regnerebbe sovrana).
C'è qualcosa che stona, ma, ci tengo a ribadirlo, questo mi ronza in testa solo dopo, quando finisco di leggere.
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Ciao Raffaele,
il tuo racconto è secondo me quello che ha meglio sfruttato il tema, svolgendo il capovolgimento in maniera assolutamente piacevole ed efficace: come una pistola pronta a sparare hai inserito naturalmente i vari vicini e poi li hai esplosi alla fine con le loro bassezze.
Mi è piaciuto anche l'immagine finale, poetica.
Le critiche le muovo alla voce narrante e - di riflesso - al personaggio principale: io non ho capito benissimo perché è considerato il male...durante la lettura ho addirittura pensato a qualche mostro, ma poi sembra un "semplice" presunto iettatore. Non aiuta in questo senso a comprendere - come ti hanno fatto notare - lo stile utilizzato che non ha nulla a che vedere con un personaggio di compagna. Abbassarlo secondo me ti avrebbe anche aiutato a dare più forza al finale.
il tuo racconto è secondo me quello che ha meglio sfruttato il tema, svolgendo il capovolgimento in maniera assolutamente piacevole ed efficace: come una pistola pronta a sparare hai inserito naturalmente i vari vicini e poi li hai esplosi alla fine con le loro bassezze.
Mi è piaciuto anche l'immagine finale, poetica.
Le critiche le muovo alla voce narrante e - di riflesso - al personaggio principale: io non ho capito benissimo perché è considerato il male...durante la lettura ho addirittura pensato a qualche mostro, ma poi sembra un "semplice" presunto iettatore. Non aiuta in questo senso a comprendere - come ti hanno fatto notare - lo stile utilizzato che non ha nulla a che vedere con un personaggio di compagna. Abbassarlo secondo me ti avrebbe anche aiutato a dare più forza al finale.
- raffaele.marra
- Messaggi: 397
Re: Io e la luna - Raffaele Marra
Grazie a tutti per i commenti e scusate se sono stato un po' assente in questi ultimi giorni.
Cercherò con questo unico messaggio di rispondere un po' a tutti voi.
Vedo che alcuni di voi hanno dubbi sulla coerenza tra stile e personaggio principale. La critica è accettata. Ciò che però mi è piaciuto fare in questo racconto è mantenere una certa ambiguità sul protagonista, visto da tutti come un mostro, un lupo mannaro per l'esattezza. Egli in realtà sembra essere una persona comune, forse un po' solitario, e debole al vizio del bere; per tale vizio, le sue notti spesso finiscono in un "canto alla luna" che la gente facilmente equivoca alimentando le maldicenze. Tutto ciò mentre il vero male è altrove, nelle persone che additano senza pensare alle proprie malefatte, realtà fin troppo diffusa in ogni dove, ahimè! L'ambiguità è dovuta al fatto che il racconto non svela in realtà la natura del protagonista, sebbene non dia alcun segno che avvalori la tesi del mostro, del licantropo o di un essere soprannaturale. Un piccolissimo elemento dovrebbe essere il fatto che costui sa tutto di tutti, e comunque si "eleva" (spiritualmente e materialmente) rispetto ai suoi compaesani riconoscendo una sorta di superiorità che viene puntualmente sublimata nelle notti a bere. Insomma, mi piaceva lasciar intendere che il personaggio avesse una certa complessità che a noi non è dato indagare, e a tal fine lo stile un po' più "alto" mi sembrava quanto mai opportuno. Del resto gli ubriachi, si sa, spesso sono tra i migliori poeti!
Cercherò con questo unico messaggio di rispondere un po' a tutti voi.
Vedo che alcuni di voi hanno dubbi sulla coerenza tra stile e personaggio principale. La critica è accettata. Ciò che però mi è piaciuto fare in questo racconto è mantenere una certa ambiguità sul protagonista, visto da tutti come un mostro, un lupo mannaro per l'esattezza. Egli in realtà sembra essere una persona comune, forse un po' solitario, e debole al vizio del bere; per tale vizio, le sue notti spesso finiscono in un "canto alla luna" che la gente facilmente equivoca alimentando le maldicenze. Tutto ciò mentre il vero male è altrove, nelle persone che additano senza pensare alle proprie malefatte, realtà fin troppo diffusa in ogni dove, ahimè! L'ambiguità è dovuta al fatto che il racconto non svela in realtà la natura del protagonista, sebbene non dia alcun segno che avvalori la tesi del mostro, del licantropo o di un essere soprannaturale. Un piccolissimo elemento dovrebbe essere il fatto che costui sa tutto di tutti, e comunque si "eleva" (spiritualmente e materialmente) rispetto ai suoi compaesani riconoscendo una sorta di superiorità che viene puntualmente sublimata nelle notti a bere. Insomma, mi piaceva lasciar intendere che il personaggio avesse una certa complessità che a noi non è dato indagare, e a tal fine lo stile un po' più "alto" mi sembrava quanto mai opportuno. Del resto gli ubriachi, si sa, spesso sono tra i migliori poeti!
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