LOGOUT
Inviato: domenica 16 luglio 2017, 1:43
«BASTA, TI PREGO BASTA! L'HO AMMAZZATA IO, MA ORA SMETTILA BASTARDO!»
«Questo non è il mio sogno.» Pronunciò il comando la console apparve nel suo campo visivo come di consueto, accompagnata da una voce di donna sintetizzata.
«…Selezionare comando…»
«Logout»
«…disconnessione in corso…»
Il mondo si bloccò di scatto e lentamente i colori affievolirono; tutto rimase nero finché Simon aprì gli occhi e si trovò cosparso di cavi, disteso sul lettino degli interrogatori. Come al solito i due che avrebbero dovuto essere li a controllare la sessione, erano da qualche parte a fumare e bere un caffè. Accanto a lui, l’uomo del sogno, dormiva ancora. Tolse l’elmetto, lo posò sul cuscino e inevitabilmente pensò a come tutto era iniziato dieci anni prima, quando passò da "cavia" a operatore DSS.
Delle risate lo ridestarono dai suoi pensieri e Mike e Jasper comparvero dietro la parete di vetro in fondo alla stanza.
Mike è un omone alto e pelato, piuttosto in gamba ma sempre con la testa tra le nuvole e molto spesso commette errori grossolani. Aveva l’abitudine, ad esempio, di chiudere la porta della sala controllo a chiave e più di una volta l’aveva persa, lasciando Simon bloccato dentro.
«Già di ritorno? Sei entrato nel sogno solo da cinque minuti..» Lavorava con Simon da ormai sette anni ma ancora non riusciva a calcolare i tempi di viaggio.
Al suo fianco Jasper non avrebbe potuto essere più diverso: Basso, tanto basso, con i capelli spettinati e una barbetta da ragazzino. Molto sveglio e volenteroso, arrivato da poco per sostituire Marco che dopo 11 anni di onorata carriera aveva deciso di mollare.
«Mike, cinque minuti sono..»
«Nel DSS i pensieri viaggiano a un milionesimo della velocità della luce, ovvero un secondo da noi corrisponde a 300 secondi nel sogno. 5 minuti sono 300 secondi, ovvero 90000 secondi onirici, quindi 25 ore.» Jasper imparava in fretta.
«Bravo pivello, vai avanti cosi e a breve potrai iniziare l’iter da operatore. Io ci ho rinunciato, troppi zeri per i miei gusti.»
«Mike, Jas ha solo letto la tabella appesa al muro… potresti dargli un occhio anche tu ogni tanto.»
«Lascia perdere, sto bene così. Piuttosto, scoperto qualcosa?» chiese Mike.
«Si, è stato lui.. aveva trovato su internet dei video della moglie che faceva sesso con atri e non ha retto, cosi l’ha strangolata per poi farsi pestare da degli ubriachi, poi ha chiamato i carabinieri inscenando una rapina durante la notte. Non male, ma non aveva fatto i conti con il DSS... e ora se non vi dispiace vado a farmi una doccia e torno a casa, per voi sono stati 5 minuti, ma per me è passato più di un giorno.»
Il corridoio per gli spogliatoi era freddo e spoglio, le sbarre alle finestre gli ricordavano terribilmente un carcere e il solo pensiero bastò a fargli scorrere un brivido lungo tutta la schiena. Aprì la porta dello spogliatoio e si denudò velocemente, lo specchio rifletteva l’immagine di un uomo sulla quarantina con barba incolta e capelli brizzolati, gli addominali che aveva vent’anni prima lo avevano abbandonato lasciando il posto a una pancetta da birra contornata da pelo nero.
Sulla spalla spuntava tatuato il numero 9.
Girando lentamente su se stesso dando la schiena allo specchio, il tatuaggio si rivelò completamente mostrando il numero 1899 e una ragnatela di cicatrici che partivano dal bacino fino alle scapole, vecchi ricordi di oltre dieci anni prima. Entrò in doccia.
Simon non ne aveva parlato mai con nessuno, e chi lo sapeva non si trovava più in quel posto. Dieci anni prima era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Redneck Island, con l’accusa di aver assassinato i suoi genitori e la sua sorellina durante una notte di oltre vent’anni prima. Dopo dieci anni di inferno si era offerto volontario per un test sperimentale che avrebbe potuto constatare la sua innocenza, e così fu. Venne scagionato grazie proprio al primo tecnico del DSS, Marco, che lo convinse a diventare a sua volta operatore, e da allora non aveva fatto altro nella sua vita. O quasi.
Spense l’acqua, uscì dalla doccia, si asciugò, e dopo essersi rivestito riprese il corridoio fino ad una porta blindata che dava nell’atrio principale della sede. Passò il badge e sul display si illuminarono le parole “SIMON FREUD, USCITA”, salutò la guardia e si diresse alla sua auto.
«Ho bisogno di bere.»
***
I tuoni si intervallano con luce dei lampi fuori dalle sbarre sul muro di quella cella troppo piccola. Lo sciabordio cadenzato delle onde lo aiutava a mantenere quella poca salute mentale che gli era rimasta.
Le lacrime calde gli rigavano il viso, mentre lo straccio che aveva usato per tamponare l’emorragia diventava inesorabilmente rosso. Questa volta avevano usato un tubo preso dalle docce, questa volta era stato più doloroso che mai.
BIP-BIP-BIP
BIP-BIP-BIP
BIP-BIP-BIP
«Dio benedica le sveglie» e sicuramente era tra i pochi al mondo a pensarlo. Aveva il braccio addormentato e quando aprì gli occhi ne capì il motivo. A giudicare dalla bionda nuda al suo fianco doveva essere stata proprio una bella serata, peccato che il suo ultimo ricordo fosse un pugno in faccia ricevuto da uno sconosciuto al bar, e come a conferma dei suoi ricordi, una fitta di dolore passò attraverso il naso.
Sfilò il braccio da sotto la ragazza e andò a fare colazione, a lei avrebbe pensato dopo.
Il profumo e il sapore del caffè servì a ridestarlo, tornò in camera dove la ragazza era ancora immobile sul letto. La guardò e l'accarezzò, il suo corpo freddo gli diede un brivido lungo la schiena, provò a muoverle un braccio ma era già rigida. Si rivestì, e attento a non calpestare le macchie di sangue andò al lavoro.
***
«Simon, si è aggiunto un interrogatorio per questa mattina, è una prima seduta quindi bisognerà far firmare il consenso all’imputato..» Mike era seduto con i piedi poggiati sulla scrivania e reggeva un bicchiere di caffè americano in una mano e una serie di fogli nell’altra.
«Può pensarci Jas. Nelle ultime settimane ha visto come si fa e può iniziare a nuotare da solo.. di che si tratta?»
«Omicidio. Un certo John Coffey, accusato di aver ucciso e violentato due bambine… poi in carcere è impazzito e ha ucciso un altro detenuto, ma il suo avvocato ha chiesto la prova del DSS perché secondo lui è innocente, è rinchiuso a Redneck Island»
«Redneck Island? Mai sentita nominare.» disse Jasper.
«Redneck Island è il posto dove viene rinchiuso chi non è degno della condanna a morte, non c’è redenzione per chi si trova li.»
Il poco colore sul volto di Simon scomparve, si alzò e si diresse verso il bagno.
«Si.. ci pensa Jasper.. modulo standard, primo cassetto.» e usci senza dire più una parola.
Jasper si trovava davanti alla porta, non si aspettava che avrebbe iniziato a lavorare da solo cosi presto, ma ormai si stava abituando alle stranezze dei suoi colleghi. Apri la porta e trovò di fronte a se un uomo magrolino della stessa età di Simon, il suo volto olivastro era scavato e i lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo mostravano numerose ciocche bianche, segno dell’età. L’uomo come di consueto era bendato, e il suo sguardo fu attratto da numerosi tagli e lividi su ogni parte visibile del corpo. Accese il registratore.
«Benvenuto signor Coffey, sono Jasper White, componente del team che provvederà ad analizzare i suoi ricordi mediante il DSS. Ora andrò a spiegarle il funzionamento del dispositivo e alla fine mi dirà se è d’accordo e desidera firmare il consenso. Dovrà rispondermi solo con “Si” o “No” a patto che non le sia espressamente chiesto diversamente, tutto chiaro?»
«Si»
«Come sa è stato accusato di omicidio, e grazie al DSS potremo capire se è colpevole o meno.
Il DSS, ovvero “Dream Sharing System” è un metodo di condivisione di sogni, un particolare caschetto che le varrà messo la farà addormentare, e tramite impulsi neurali le verrà indotto un sogno ambientato in un luogo a lei familiare o direttamente correlato al crimine. Un nostro operatore prenderà parte a questo sogno, con la possibilità di adattare e modificare leggermente situazioni e circostanze, in modo da poter dimostrare la sua eventuale innocenza o colpevolezza; per fare ciò ci serviranno dalle tre alle cinque sedute. Inoltre le sarà utile sapere che l’interfaccia neurale è strettamente collegata con lei: se nel sogno dovesse essere ferito, nel suo corpo verrebbero attivate le aree cerebrali corrispondenti, quindi proverebbe lo stesso dolore in entrambe le dimensioni, e se per caso dovesse morire, anche la sua vita finirebbe.
La disconnessione dal DSS avviene solo per mano nostra o se lei dichiarerà ad alta voce la sua colpevolezza. So che suona strano ma è cosi, e non provi a mentire: il DSS lo capirebbe. Se è d’accordo a procedere, dica si.»
«…..Si.»
«Perfetto, tra poco verrà scortato nella sala degli interrogatori e inizieremo subito con la prima sessione. Ha qualche domanda?»
«…No.»
Alla luce dei monitor, Simon osservava l’uomo addormentato sul lettino chiedendosi dove l’avrebbe portato. Si sedette sul lettino, Jasper gli mise il bracciale della pressione e degli elettrodi sul petto, indossò il caschetto del DSS e guardò Mike dall’altro lato del vetro. Mike controllava i loro parametri vitali su un Ipad: era stato lui a proporre l’acquisto del tablet, cosi poteva controllare se fossero vivi anche davanti a un caffè.
Mike ricambiò lo sguardo e alzò il pollice.
Simon si sdraiò e chiuse gli occhi, nella mano destra stringeva un pulsante che avviava il DSS, fece un bel respiro e lo premette.
Da nero, il suo mondo diventò completamente bianco.
«...Connessione in corso… Utente: Simon Freud. Bentornato Simon…»
Pian piano il nuovo mondo prese forma, e le prime sensazioni iniziarono ad arrivare al cervello di Simon.
I rumori erano ovattati, ma dopo qualche secondo i tuoni furono ben udibili, come i singhiozzi di un uomo e lo sciabordio delle onde fuori da una finestra con le sbarre. Vide un uomo steso per terra e lo riconobbe subito: era Coffey, la stessa persona che si trovava sdraiata accanto a lui in quel momento. Una chiazza di sangue gli si allargava sul cavallo dei pantaloni e le lacrime gli rigavano il volto.
Si voltò verso l’ingresso della cella e per un attimo il suo cuore si fermò. Conosceva quei segni sulla porta, li aveva fatti lui più di dieci anni fa. Il respiro si fece più veloce, le gambe non reggevano più il suo peso e cadde per terra. L’uomo si girò di scatto verso la porta e lanciò una esclamazione di sorpresa nel trovarsi un estraneo nella cella.
«QUESTO NON È IL MIO SOGNO!»
«…Selezionare comando…»
«Logout, LOGOUT!!»
«…disconnessione in corso…»
Si alzò di soprassalto dal lettino, i monitor suonavano senza sosta, sentiva il cuore battere come impazzito e immediatamente senti Mike e Jasper precipitarsi dentro la stanza.
«Simon!! Cosa è successo amico? Non ho fatto in tempo a girarmi che i monitor sono impazziti e tu sei ritornato!»
Non poteva raccontare la verità a Mike, sarebbe stato spedito dallo psicologo della sede e non voleva perdere tempo con quell’idiota. Doveva inventare qualcosa ma i fischi dei monitor non lo lasciavano pensare e si sentiva ancora un blocco in gola che non lo faceva respirare bene.
«C’è stato un problema di connessione, un glitch grafico ha fatto sparire il pavimento e mi sono trovato sospeso nel vuoto, sai che soffro di vertigini, così mi sono “sloggato”...» sperava che Mike se la bevesse.
«Tranquillo Simon, io e Jas diamo un occhio al programma, tu vai a bere qualcosa che sei pallido come un lenzuolo, tra un’oretta riproviamo se te la senti.»
Simon si tolse i fili di dosso e barcollando uscii dalla porta evitando altre domande. Aveva un’ora per riprendersi, si diresse sotto la doccia e seduto sotto il getto freddo dell’acqua scoppiò a piangere.
«Mike vieni per favore, ho controllato il software e non ho trovato comportamenti anomali nel codice della missione, dev’essere successo qualcosa li dentro...» Da quando Simon era uscito, Jasper non aveva fatto altro che controllare le sequenze del DSS.
«Anche secondo me, da quando lo conosco Simon non ha mai perso il controllo in questo modo.. secondo me ha a che fare con il detenuto che stiamo interrogando.»
«In che senso?»
«Mi è tornato in mente poco fa... Quando ero un pivello come te, Marco si lasciò sfuggire qualcosa riguardo una voce su Simon e sulla prigione di Redneck Island, pare che sia stato li dentro per molti anni e solo grazie al DSS sia riuscito a uscirne.»
«Scusa, ma se è vero allora non dovrebbe continuare questo interrogatorio.»
«Era solo una voce, non so se sia vero o meno, e comunque non devi farne parola con nessuno capito? Se non ci ha mai detto nulla ci sarà un motiv.. SIMON! Come ti senti amico?» Mike si interruppe quando Simon aprì la porta della stanza.
«Meglio Mike, ti ringrazio, siamo pronti a ricominciare?»
***
I tuoni rimbombavano nei corridoi di pietra di Redneck Island, fece un lungo respiro e mosse il primo passo. Era stato uno stupido a scappare prima, lui li dentro ora era come un dio, la console gli permetteva di fare di tutto e non doveva più avere paura.
Camminando per i corridoi alla ricerca di Coffey si ritrovava a vivere i dieci anni di tormenti subiti in quel dannato posto, e gli venne la nausea. Corse per il corridoio ed entrò in una porta alla sua destra, dentro lo accolse una fila di gabinetti sporchi e incrostati, ne scelse uno e ci vomitò dentro.
Lentamente si alzò e si diresse ai lavandini. L’acqua fredda lo aiutava a stare meglio. Alzato lo sguardo si vide riflesso in uno specchio dietro una grata di ferro. Di solito quando entrava in un sogno, il suo abbigliamento era lo stesso della realtà, ma con enorme disgusto notò che questa volta indossava la sua vecchia uniforme da carcerato e sul petto, cucito in rosso, c’era il numero “1899”.
«Questo non è il mio sogno.»
«…Selezionare comando…»
«Cambiami i vestiti, voglio una divisa da guardia carceraria.»
«...Download divisa in corso, attendere...»
La console scomparve e la tenuta da carcerato si trasformò improvvisamente in una divisa da guardia. Simon osservò soddisfatto il risultato, si voltò e uscì dal bagno.
Quando riprese il corridoio, risuonò la campana del pranzo. Sicuramente avrebbe trovato Coffey in mensa, quindi girò a sinistra e si diresse li.
Nella stanza si dispose lungo la parete con le altre guardie e cercò Coffey con lo sguardo. Lo trovò seduto ad un tavolo poco lontano da lui, solo e con lo sguardo rivolto verso il piatto. Ripensando al suo primo ingresso nel sogno e a vederlo cosi, Simon provò un moto di affetto nei suoi confronti, sapeva come doveva sentirsi. Coffey era bersaglio di continui scherni: gli altri detenuti gli lanciavano le ossa del pollo servito per pranzo, lo deridevano e, passando dietro di lui, lo spintonavano o gli rovesciavano l’acqua delle brocche addosso. Solo dopo che l’ennesimo pezzo di osso lo colpì, Coffey si alzò e diede un pugno in faccia ad un altro detenuto, e si sa come funziona in prigione: ogni scusa è buona per una bella rissa.
Gli altri detenuti impazzirono e iniziarono a picchiarsi selvaggiamente, di colpo le guardie armate di teaser si scagliarono sui detenuti che cambiarono bersaglio, rivoltandosi contro di loro.
Simon rimase contro al muro finche un detenuto non di girò verso di lui e gli corse incontro brandendo un coccio di ceramica piuttosto appuntito.
Aveva solo un attimo per pensare:
«Questo non è il mio sogno!»
«…Selezionare co…»
«PAUSA!»
E tutto si bloccò.
Simon aveva messo il sogno in pausa, così poteva muoversi liberamente per la stanza. Si avvicinò al detenuto e gli tolse il ciocco dalla mano, per poi spostarsi una decina di metri più indietro.
«Avvio.»
Il fragore della rissa riprese e qualcosa lo colpì alla tempia: senza accorgersene si era messo sulla traiettoria di un vassoio volante. Migliaia di puntini bianchi gli offuscarono la vista, cadde in ginocchio e tutto si fece nero.
«Simon… Simon!?» si sentiva scuotere per le spalle, e all’improvviso una doccia di acqua fredda lo fece riprendere completamente, la tempia pulsava e faceva male e il dolore rischiava di farlo vomitare di nuovo.
Mike aveva attivato l’uscita di emergenza, salvandolo da quello che avrebbero potuto fargli se fosse rimasto svenuto.
«Sono stato colpito da un vassoio durante una rissa, per oggi direi basta… Jas mi porteresti del ghiaccio?» Jasper corse fuori dalla stanza.
«Senti Simon, se non te la senti domani potrei andare io nel sogno, non sono bravo come te ma..»
« Sto bene, è stato solo un contrattempo.. potresti svegliare Coffey mentre vado a farmi una doccia? Poi portalo nelle nostre celle, a un povero diavolo come lui quel buco sembrerà un paradiso.. e stanotte credo dormirò qua, stamattina passavano i disinfestatori a casa per... per le tarme, sarebbe meglio non entrarci per un paio di giorni..»
«No vai pure Simon, vuoi che ti mando qualcuno nel dormitorio? Anche solo per un antidolorifico..»
«Tranquillo Mike, passo io prima di andare in stanza. Ci vediamo domani.»
Simon uscì dalla stanza; sapeva che Mike lo osservava, cosi prese la strada per l’infermeria. Quando fu abbastanza lontano cambiò direzione andando verso le cucine; l’unico antidolorifico di cui aveva bisogno era una confezione da sei lattine di birra fresca, e quando si distese sul letto, delle birre non restava atro che latta vuota.
***
«...Connessione in corso… Utente: Simon Freud. Benvenuto Simon…»
Era nello stesso corridoio del giorno prima, stranamente si era ritrovato con la tenuta da carcerato quando era sicuro di aver impostato dal terminale quella da secondino, e poi quel benvenuto… qualcosa non tornava.
Un dubbio si infilò nella testa, doveva trovare Coffey.
E poi lo trovò, steso per terra in una pozza di sangue: Delle guardie lo avevano notato aggirarsi per i corridoi vestito da secondino e lo avevano riconosciuto come uno dei detenuti, pensando a un tentativo di fuga lo avevano pestato fino quasi ad ammazzarlo.
«NO!!» le guardie attirate dall’urlo di Simon si voltarono e corsero verso di lui con i teaser e i manganelli spianati.
«Questo non è il mio sogno!»
Non successe nulla.
In un attimo le guardie gli furono addosso e due teaser lo colpirono, Simon cadde a terra e perse i sensi.
***
Mike stava bevendo il suo caffè mattutino con Jasper quando un allarme sul tablet iniziò a suonare; lo prese dalla borsa e impallidì.
«I parametri di Simon sono alle stelle, ha una frequenza cardiaca di 180. Jas, dobbiamo correre!»
In pochi secondi furono nel corridoio della sala di controllo, Jasper superò Mike e si fiondò ancora correndo contro la porta, abbassò la maniglia e si schiantò contro un muro di legno massiccio.
«Mike le chiavi!»
«Non le trovo, devo averle perse… di nuovo, CAZZO!»
***
Simon era seduto in un angolo del pavimento e pian piano assomigliava sempre più all’uomo che si era lasciato alle spalle dieci anni prima, stava impazzendo. Erano quasi due settimane che si trovava in carcere, e ormai era sicuro che quell’idiota di Mike nel trambusto del giorno prima avesse scambiato i caschetti del DSS e l’unico che poteva tirarlo fuori da quel posto era Coffey. Peccato che a detta del secondino fuori dalla cella, fosse entrato in coma.
Eppure non capiva perché Mike non attivasse l’uscita di emergenza.. ci mancava solo che avesse perso nuovamente le chiavi e solo il pensiero lo terrorizzava.
Non poteva resistere ancora in quell’inferno.
In quel momento gli venne un’idea, con lo scambio dei caschetti era lui ad essere sotto l’analisi del DSS e quindi esisteva un modo per uscirne: confessare ad alta voce quello che non aveva mai detto in oltre vent’anni, avrebbe pensato dopo alle conseguenze.
Prese coraggio, si alzò e fece un lungo respiro.
«SONO STATO IO A UCCIDERE LA MIA FAMIGLIA, MA ORA BASTA, FAMMI USCIRE!!»
Fuori dalla cella la guardia rise.
«Ce ne hai messo di tempo per confessare eh? Iniziavo a perdere le speranze.»
Simon sgranò gli occhi, poi la guardia parlò ancora.
«Questo non è il mio sogno… Logout.»
Sentiva il corpo pesante, lentamente apri gli occhi. Mario ricambiava il suo sguardo dal lettino accanto al suo e la realtà lo colpì come un pugno nello stomaco.
«Simon Freud, ti dichiaro in arresto.»
«Questo non è il mio sogno.» Pronunciò il comando la console apparve nel suo campo visivo come di consueto, accompagnata da una voce di donna sintetizzata.
«…Selezionare comando…»
«Logout»
«…disconnessione in corso…»
Il mondo si bloccò di scatto e lentamente i colori affievolirono; tutto rimase nero finché Simon aprì gli occhi e si trovò cosparso di cavi, disteso sul lettino degli interrogatori. Come al solito i due che avrebbero dovuto essere li a controllare la sessione, erano da qualche parte a fumare e bere un caffè. Accanto a lui, l’uomo del sogno, dormiva ancora. Tolse l’elmetto, lo posò sul cuscino e inevitabilmente pensò a come tutto era iniziato dieci anni prima, quando passò da "cavia" a operatore DSS.
Delle risate lo ridestarono dai suoi pensieri e Mike e Jasper comparvero dietro la parete di vetro in fondo alla stanza.
Mike è un omone alto e pelato, piuttosto in gamba ma sempre con la testa tra le nuvole e molto spesso commette errori grossolani. Aveva l’abitudine, ad esempio, di chiudere la porta della sala controllo a chiave e più di una volta l’aveva persa, lasciando Simon bloccato dentro.
«Già di ritorno? Sei entrato nel sogno solo da cinque minuti..» Lavorava con Simon da ormai sette anni ma ancora non riusciva a calcolare i tempi di viaggio.
Al suo fianco Jasper non avrebbe potuto essere più diverso: Basso, tanto basso, con i capelli spettinati e una barbetta da ragazzino. Molto sveglio e volenteroso, arrivato da poco per sostituire Marco che dopo 11 anni di onorata carriera aveva deciso di mollare.
«Mike, cinque minuti sono..»
«Nel DSS i pensieri viaggiano a un milionesimo della velocità della luce, ovvero un secondo da noi corrisponde a 300 secondi nel sogno. 5 minuti sono 300 secondi, ovvero 90000 secondi onirici, quindi 25 ore.» Jasper imparava in fretta.
«Bravo pivello, vai avanti cosi e a breve potrai iniziare l’iter da operatore. Io ci ho rinunciato, troppi zeri per i miei gusti.»
«Mike, Jas ha solo letto la tabella appesa al muro… potresti dargli un occhio anche tu ogni tanto.»
«Lascia perdere, sto bene così. Piuttosto, scoperto qualcosa?» chiese Mike.
«Si, è stato lui.. aveva trovato su internet dei video della moglie che faceva sesso con atri e non ha retto, cosi l’ha strangolata per poi farsi pestare da degli ubriachi, poi ha chiamato i carabinieri inscenando una rapina durante la notte. Non male, ma non aveva fatto i conti con il DSS... e ora se non vi dispiace vado a farmi una doccia e torno a casa, per voi sono stati 5 minuti, ma per me è passato più di un giorno.»
Il corridoio per gli spogliatoi era freddo e spoglio, le sbarre alle finestre gli ricordavano terribilmente un carcere e il solo pensiero bastò a fargli scorrere un brivido lungo tutta la schiena. Aprì la porta dello spogliatoio e si denudò velocemente, lo specchio rifletteva l’immagine di un uomo sulla quarantina con barba incolta e capelli brizzolati, gli addominali che aveva vent’anni prima lo avevano abbandonato lasciando il posto a una pancetta da birra contornata da pelo nero.
Sulla spalla spuntava tatuato il numero 9.
Girando lentamente su se stesso dando la schiena allo specchio, il tatuaggio si rivelò completamente mostrando il numero 1899 e una ragnatela di cicatrici che partivano dal bacino fino alle scapole, vecchi ricordi di oltre dieci anni prima. Entrò in doccia.
Simon non ne aveva parlato mai con nessuno, e chi lo sapeva non si trovava più in quel posto. Dieci anni prima era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Redneck Island, con l’accusa di aver assassinato i suoi genitori e la sua sorellina durante una notte di oltre vent’anni prima. Dopo dieci anni di inferno si era offerto volontario per un test sperimentale che avrebbe potuto constatare la sua innocenza, e così fu. Venne scagionato grazie proprio al primo tecnico del DSS, Marco, che lo convinse a diventare a sua volta operatore, e da allora non aveva fatto altro nella sua vita. O quasi.
Spense l’acqua, uscì dalla doccia, si asciugò, e dopo essersi rivestito riprese il corridoio fino ad una porta blindata che dava nell’atrio principale della sede. Passò il badge e sul display si illuminarono le parole “SIMON FREUD, USCITA”, salutò la guardia e si diresse alla sua auto.
«Ho bisogno di bere.»
***
I tuoni si intervallano con luce dei lampi fuori dalle sbarre sul muro di quella cella troppo piccola. Lo sciabordio cadenzato delle onde lo aiutava a mantenere quella poca salute mentale che gli era rimasta.
Le lacrime calde gli rigavano il viso, mentre lo straccio che aveva usato per tamponare l’emorragia diventava inesorabilmente rosso. Questa volta avevano usato un tubo preso dalle docce, questa volta era stato più doloroso che mai.
BIP-BIP-BIP
BIP-BIP-BIP
BIP-BIP-BIP
«Dio benedica le sveglie» e sicuramente era tra i pochi al mondo a pensarlo. Aveva il braccio addormentato e quando aprì gli occhi ne capì il motivo. A giudicare dalla bionda nuda al suo fianco doveva essere stata proprio una bella serata, peccato che il suo ultimo ricordo fosse un pugno in faccia ricevuto da uno sconosciuto al bar, e come a conferma dei suoi ricordi, una fitta di dolore passò attraverso il naso.
Sfilò il braccio da sotto la ragazza e andò a fare colazione, a lei avrebbe pensato dopo.
Il profumo e il sapore del caffè servì a ridestarlo, tornò in camera dove la ragazza era ancora immobile sul letto. La guardò e l'accarezzò, il suo corpo freddo gli diede un brivido lungo la schiena, provò a muoverle un braccio ma era già rigida. Si rivestì, e attento a non calpestare le macchie di sangue andò al lavoro.
***
«Simon, si è aggiunto un interrogatorio per questa mattina, è una prima seduta quindi bisognerà far firmare il consenso all’imputato..» Mike era seduto con i piedi poggiati sulla scrivania e reggeva un bicchiere di caffè americano in una mano e una serie di fogli nell’altra.
«Può pensarci Jas. Nelle ultime settimane ha visto come si fa e può iniziare a nuotare da solo.. di che si tratta?»
«Omicidio. Un certo John Coffey, accusato di aver ucciso e violentato due bambine… poi in carcere è impazzito e ha ucciso un altro detenuto, ma il suo avvocato ha chiesto la prova del DSS perché secondo lui è innocente, è rinchiuso a Redneck Island»
«Redneck Island? Mai sentita nominare.» disse Jasper.
«Redneck Island è il posto dove viene rinchiuso chi non è degno della condanna a morte, non c’è redenzione per chi si trova li.»
Il poco colore sul volto di Simon scomparve, si alzò e si diresse verso il bagno.
«Si.. ci pensa Jasper.. modulo standard, primo cassetto.» e usci senza dire più una parola.
Jasper si trovava davanti alla porta, non si aspettava che avrebbe iniziato a lavorare da solo cosi presto, ma ormai si stava abituando alle stranezze dei suoi colleghi. Apri la porta e trovò di fronte a se un uomo magrolino della stessa età di Simon, il suo volto olivastro era scavato e i lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo mostravano numerose ciocche bianche, segno dell’età. L’uomo come di consueto era bendato, e il suo sguardo fu attratto da numerosi tagli e lividi su ogni parte visibile del corpo. Accese il registratore.
«Benvenuto signor Coffey, sono Jasper White, componente del team che provvederà ad analizzare i suoi ricordi mediante il DSS. Ora andrò a spiegarle il funzionamento del dispositivo e alla fine mi dirà se è d’accordo e desidera firmare il consenso. Dovrà rispondermi solo con “Si” o “No” a patto che non le sia espressamente chiesto diversamente, tutto chiaro?»
«Si»
«Come sa è stato accusato di omicidio, e grazie al DSS potremo capire se è colpevole o meno.
Il DSS, ovvero “Dream Sharing System” è un metodo di condivisione di sogni, un particolare caschetto che le varrà messo la farà addormentare, e tramite impulsi neurali le verrà indotto un sogno ambientato in un luogo a lei familiare o direttamente correlato al crimine. Un nostro operatore prenderà parte a questo sogno, con la possibilità di adattare e modificare leggermente situazioni e circostanze, in modo da poter dimostrare la sua eventuale innocenza o colpevolezza; per fare ciò ci serviranno dalle tre alle cinque sedute. Inoltre le sarà utile sapere che l’interfaccia neurale è strettamente collegata con lei: se nel sogno dovesse essere ferito, nel suo corpo verrebbero attivate le aree cerebrali corrispondenti, quindi proverebbe lo stesso dolore in entrambe le dimensioni, e se per caso dovesse morire, anche la sua vita finirebbe.
La disconnessione dal DSS avviene solo per mano nostra o se lei dichiarerà ad alta voce la sua colpevolezza. So che suona strano ma è cosi, e non provi a mentire: il DSS lo capirebbe. Se è d’accordo a procedere, dica si.»
«…..Si.»
«Perfetto, tra poco verrà scortato nella sala degli interrogatori e inizieremo subito con la prima sessione. Ha qualche domanda?»
«…No.»
Alla luce dei monitor, Simon osservava l’uomo addormentato sul lettino chiedendosi dove l’avrebbe portato. Si sedette sul lettino, Jasper gli mise il bracciale della pressione e degli elettrodi sul petto, indossò il caschetto del DSS e guardò Mike dall’altro lato del vetro. Mike controllava i loro parametri vitali su un Ipad: era stato lui a proporre l’acquisto del tablet, cosi poteva controllare se fossero vivi anche davanti a un caffè.
Mike ricambiò lo sguardo e alzò il pollice.
Simon si sdraiò e chiuse gli occhi, nella mano destra stringeva un pulsante che avviava il DSS, fece un bel respiro e lo premette.
Da nero, il suo mondo diventò completamente bianco.
«...Connessione in corso… Utente: Simon Freud. Bentornato Simon…»
Pian piano il nuovo mondo prese forma, e le prime sensazioni iniziarono ad arrivare al cervello di Simon.
I rumori erano ovattati, ma dopo qualche secondo i tuoni furono ben udibili, come i singhiozzi di un uomo e lo sciabordio delle onde fuori da una finestra con le sbarre. Vide un uomo steso per terra e lo riconobbe subito: era Coffey, la stessa persona che si trovava sdraiata accanto a lui in quel momento. Una chiazza di sangue gli si allargava sul cavallo dei pantaloni e le lacrime gli rigavano il volto.
Si voltò verso l’ingresso della cella e per un attimo il suo cuore si fermò. Conosceva quei segni sulla porta, li aveva fatti lui più di dieci anni fa. Il respiro si fece più veloce, le gambe non reggevano più il suo peso e cadde per terra. L’uomo si girò di scatto verso la porta e lanciò una esclamazione di sorpresa nel trovarsi un estraneo nella cella.
«QUESTO NON È IL MIO SOGNO!»
«…Selezionare comando…»
«Logout, LOGOUT!!»
«…disconnessione in corso…»
Si alzò di soprassalto dal lettino, i monitor suonavano senza sosta, sentiva il cuore battere come impazzito e immediatamente senti Mike e Jasper precipitarsi dentro la stanza.
«Simon!! Cosa è successo amico? Non ho fatto in tempo a girarmi che i monitor sono impazziti e tu sei ritornato!»
Non poteva raccontare la verità a Mike, sarebbe stato spedito dallo psicologo della sede e non voleva perdere tempo con quell’idiota. Doveva inventare qualcosa ma i fischi dei monitor non lo lasciavano pensare e si sentiva ancora un blocco in gola che non lo faceva respirare bene.
«C’è stato un problema di connessione, un glitch grafico ha fatto sparire il pavimento e mi sono trovato sospeso nel vuoto, sai che soffro di vertigini, così mi sono “sloggato”...» sperava che Mike se la bevesse.
«Tranquillo Simon, io e Jas diamo un occhio al programma, tu vai a bere qualcosa che sei pallido come un lenzuolo, tra un’oretta riproviamo se te la senti.»
Simon si tolse i fili di dosso e barcollando uscii dalla porta evitando altre domande. Aveva un’ora per riprendersi, si diresse sotto la doccia e seduto sotto il getto freddo dell’acqua scoppiò a piangere.
«Mike vieni per favore, ho controllato il software e non ho trovato comportamenti anomali nel codice della missione, dev’essere successo qualcosa li dentro...» Da quando Simon era uscito, Jasper non aveva fatto altro che controllare le sequenze del DSS.
«Anche secondo me, da quando lo conosco Simon non ha mai perso il controllo in questo modo.. secondo me ha a che fare con il detenuto che stiamo interrogando.»
«In che senso?»
«Mi è tornato in mente poco fa... Quando ero un pivello come te, Marco si lasciò sfuggire qualcosa riguardo una voce su Simon e sulla prigione di Redneck Island, pare che sia stato li dentro per molti anni e solo grazie al DSS sia riuscito a uscirne.»
«Scusa, ma se è vero allora non dovrebbe continuare questo interrogatorio.»
«Era solo una voce, non so se sia vero o meno, e comunque non devi farne parola con nessuno capito? Se non ci ha mai detto nulla ci sarà un motiv.. SIMON! Come ti senti amico?» Mike si interruppe quando Simon aprì la porta della stanza.
«Meglio Mike, ti ringrazio, siamo pronti a ricominciare?»
***
I tuoni rimbombavano nei corridoi di pietra di Redneck Island, fece un lungo respiro e mosse il primo passo. Era stato uno stupido a scappare prima, lui li dentro ora era come un dio, la console gli permetteva di fare di tutto e non doveva più avere paura.
Camminando per i corridoi alla ricerca di Coffey si ritrovava a vivere i dieci anni di tormenti subiti in quel dannato posto, e gli venne la nausea. Corse per il corridoio ed entrò in una porta alla sua destra, dentro lo accolse una fila di gabinetti sporchi e incrostati, ne scelse uno e ci vomitò dentro.
Lentamente si alzò e si diresse ai lavandini. L’acqua fredda lo aiutava a stare meglio. Alzato lo sguardo si vide riflesso in uno specchio dietro una grata di ferro. Di solito quando entrava in un sogno, il suo abbigliamento era lo stesso della realtà, ma con enorme disgusto notò che questa volta indossava la sua vecchia uniforme da carcerato e sul petto, cucito in rosso, c’era il numero “1899”.
«Questo non è il mio sogno.»
«…Selezionare comando…»
«Cambiami i vestiti, voglio una divisa da guardia carceraria.»
«...Download divisa in corso, attendere...»
La console scomparve e la tenuta da carcerato si trasformò improvvisamente in una divisa da guardia. Simon osservò soddisfatto il risultato, si voltò e uscì dal bagno.
Quando riprese il corridoio, risuonò la campana del pranzo. Sicuramente avrebbe trovato Coffey in mensa, quindi girò a sinistra e si diresse li.
Nella stanza si dispose lungo la parete con le altre guardie e cercò Coffey con lo sguardo. Lo trovò seduto ad un tavolo poco lontano da lui, solo e con lo sguardo rivolto verso il piatto. Ripensando al suo primo ingresso nel sogno e a vederlo cosi, Simon provò un moto di affetto nei suoi confronti, sapeva come doveva sentirsi. Coffey era bersaglio di continui scherni: gli altri detenuti gli lanciavano le ossa del pollo servito per pranzo, lo deridevano e, passando dietro di lui, lo spintonavano o gli rovesciavano l’acqua delle brocche addosso. Solo dopo che l’ennesimo pezzo di osso lo colpì, Coffey si alzò e diede un pugno in faccia ad un altro detenuto, e si sa come funziona in prigione: ogni scusa è buona per una bella rissa.
Gli altri detenuti impazzirono e iniziarono a picchiarsi selvaggiamente, di colpo le guardie armate di teaser si scagliarono sui detenuti che cambiarono bersaglio, rivoltandosi contro di loro.
Simon rimase contro al muro finche un detenuto non di girò verso di lui e gli corse incontro brandendo un coccio di ceramica piuttosto appuntito.
Aveva solo un attimo per pensare:
«Questo non è il mio sogno!»
«…Selezionare co…»
«PAUSA!»
E tutto si bloccò.
Simon aveva messo il sogno in pausa, così poteva muoversi liberamente per la stanza. Si avvicinò al detenuto e gli tolse il ciocco dalla mano, per poi spostarsi una decina di metri più indietro.
«Avvio.»
Il fragore della rissa riprese e qualcosa lo colpì alla tempia: senza accorgersene si era messo sulla traiettoria di un vassoio volante. Migliaia di puntini bianchi gli offuscarono la vista, cadde in ginocchio e tutto si fece nero.
«Simon… Simon!?» si sentiva scuotere per le spalle, e all’improvviso una doccia di acqua fredda lo fece riprendere completamente, la tempia pulsava e faceva male e il dolore rischiava di farlo vomitare di nuovo.
Mike aveva attivato l’uscita di emergenza, salvandolo da quello che avrebbero potuto fargli se fosse rimasto svenuto.
«Sono stato colpito da un vassoio durante una rissa, per oggi direi basta… Jas mi porteresti del ghiaccio?» Jasper corse fuori dalla stanza.
«Senti Simon, se non te la senti domani potrei andare io nel sogno, non sono bravo come te ma..»
« Sto bene, è stato solo un contrattempo.. potresti svegliare Coffey mentre vado a farmi una doccia? Poi portalo nelle nostre celle, a un povero diavolo come lui quel buco sembrerà un paradiso.. e stanotte credo dormirò qua, stamattina passavano i disinfestatori a casa per... per le tarme, sarebbe meglio non entrarci per un paio di giorni..»
«No vai pure Simon, vuoi che ti mando qualcuno nel dormitorio? Anche solo per un antidolorifico..»
«Tranquillo Mike, passo io prima di andare in stanza. Ci vediamo domani.»
Simon uscì dalla stanza; sapeva che Mike lo osservava, cosi prese la strada per l’infermeria. Quando fu abbastanza lontano cambiò direzione andando verso le cucine; l’unico antidolorifico di cui aveva bisogno era una confezione da sei lattine di birra fresca, e quando si distese sul letto, delle birre non restava atro che latta vuota.
***
«...Connessione in corso… Utente: Simon Freud. Benvenuto Simon…»
Era nello stesso corridoio del giorno prima, stranamente si era ritrovato con la tenuta da carcerato quando era sicuro di aver impostato dal terminale quella da secondino, e poi quel benvenuto… qualcosa non tornava.
Un dubbio si infilò nella testa, doveva trovare Coffey.
E poi lo trovò, steso per terra in una pozza di sangue: Delle guardie lo avevano notato aggirarsi per i corridoi vestito da secondino e lo avevano riconosciuto come uno dei detenuti, pensando a un tentativo di fuga lo avevano pestato fino quasi ad ammazzarlo.
«NO!!» le guardie attirate dall’urlo di Simon si voltarono e corsero verso di lui con i teaser e i manganelli spianati.
«Questo non è il mio sogno!»
Non successe nulla.
In un attimo le guardie gli furono addosso e due teaser lo colpirono, Simon cadde a terra e perse i sensi.
***
Mike stava bevendo il suo caffè mattutino con Jasper quando un allarme sul tablet iniziò a suonare; lo prese dalla borsa e impallidì.
«I parametri di Simon sono alle stelle, ha una frequenza cardiaca di 180. Jas, dobbiamo correre!»
In pochi secondi furono nel corridoio della sala di controllo, Jasper superò Mike e si fiondò ancora correndo contro la porta, abbassò la maniglia e si schiantò contro un muro di legno massiccio.
«Mike le chiavi!»
«Non le trovo, devo averle perse… di nuovo, CAZZO!»
***
Simon era seduto in un angolo del pavimento e pian piano assomigliava sempre più all’uomo che si era lasciato alle spalle dieci anni prima, stava impazzendo. Erano quasi due settimane che si trovava in carcere, e ormai era sicuro che quell’idiota di Mike nel trambusto del giorno prima avesse scambiato i caschetti del DSS e l’unico che poteva tirarlo fuori da quel posto era Coffey. Peccato che a detta del secondino fuori dalla cella, fosse entrato in coma.
Eppure non capiva perché Mike non attivasse l’uscita di emergenza.. ci mancava solo che avesse perso nuovamente le chiavi e solo il pensiero lo terrorizzava.
Non poteva resistere ancora in quell’inferno.
In quel momento gli venne un’idea, con lo scambio dei caschetti era lui ad essere sotto l’analisi del DSS e quindi esisteva un modo per uscirne: confessare ad alta voce quello che non aveva mai detto in oltre vent’anni, avrebbe pensato dopo alle conseguenze.
Prese coraggio, si alzò e fece un lungo respiro.
«SONO STATO IO A UCCIDERE LA MIA FAMIGLIA, MA ORA BASTA, FAMMI USCIRE!!»
Fuori dalla cella la guardia rise.
«Ce ne hai messo di tempo per confessare eh? Iniziavo a perdere le speranze.»
Simon sgranò gli occhi, poi la guardia parlò ancora.
«Questo non è il mio sogno… Logout.»
Sentiva il corpo pesante, lentamente apri gli occhi. Mario ricambiava il suo sguardo dal lettino accanto al suo e la realtà lo colpì come un pugno nello stomaco.
«Simon Freud, ti dichiaro in arresto.»