Soli (Luca P.)
Inviato: martedì 18 luglio 2017, 0:54
Vi amiamo.
Avevano risolto tanti misteri: avrebbero risolto anche questo.
Così pensavano mentre la navicella vomitava fiamme e violentava l’aria, Rudy ci tenne a dire che il fuoco usciva dal retro e che quindi più che vomito quello era BIP – intervenne la subroutine di censura a rovinargli la battuta. Nessuno rise.
Sulla via del ritorno Ellie ebbe l’impulso di togliersi il casco. La bombola d’ossigeno ciondolava vuota sulla schiena, rimbalzava a ogni passo, oscillante nell’aria satura di azoto. Non lo fece. Era una regola imposta dai Padroni – la finzione mimetica metteva i bambini veri a proprio agio, ogni discrimine con i loro gemelli in metallo era da cancellare. Rivestimenti in proto-ceramica e giunture in tungsteno, tutti uguali e tutti compagni di giochi.
Quando arrivarono in città la scoprirono vuota. Le automazioni domotiche trasformavano il silenzio in una vibrazione – aria condizionata, tapparelle, frigoriferi, le rotazioni assiali delle case di Ordine Esterno con le quali le facciate si nascondevano da Mizar la mattina e da Alcor il pomeriggio, per sfuggire al calore. Sotto la cupola fabbriche, luce artificiale e calore elettrico.
I Simulanti adulti ciondolavano spenti in giro per la città. Solo i Padroni potevano accenderli. Si guardarono perplessi di fronte al corpo immobile che replicava le forme della madre di Pauline.
Al lavoro Banda, ghignò Jimmy. La sua spavalderia rinsaldò gli animi.
Vi amiamo, ma il tempo stringe e lo spazio manca.
Passarono due giorni. Non erano mai stati così tanto tempo da soli. Erano abituati ad avere un gemello ciascuno e almeno quattro genitori, e ora non avevano altro che se stessi – nessun Padrone a indicargli la strada, sono gli input dettati dai computer quantici che gli facevano da cervello.
Esplorarono la seconda città con la gaiezza dettata dalla loro natura. Doveva essere uno scherzo – i padroni erano sottoterra, nascosti, la navicella era un trucco per distrarre un gruppo di invasori. Oppure no, una gigantesca caccia al tesoro, avrebbero trovato gli indizi scritti col gesso sulle lavagne, mappe e bigliettini nascosti nei luoghi più impensati.
Quand’erano al centro della piazza si innescò una sub-routine ludica. Si presero per mano e iniziarono un girotondo – ridevano, giocavano. Poi finì. Al lavoro, Banda.
Mentre camminavano verso la terza città Julia alzò gli occhi. Le stelle non erano della notte – appartenevano al giorno, due ed enormi e violente. Sempre più violente. Se Julia fosse stata di carne, si sarebbe già ustionata.
Vi amiamo – tutti, i bottoni con cui spegnervi e i sorrisi con cui vi accendete. Ma il tempo stringe e nella fretta si nascondono le disattenzioni. Le dimenticanze. Una vigliaccheria, forse, mascherata di pietà. In fondo rifarvi è così facile. Spegnervi così crudele.
Esplorarono ogni città. Attraversarono ogni deserto. A ogni piazza vuota Jimmy ghignava e li guardava. Al lavoro, Banda.
Non trovavano indizi di una spiegazione plausibile, perciò la notte esploravano le possibilità facendone storie vissute da altri. I Padroni erano stati rapiti dagli alieni, i Padroni erano diventati invisibili, era tutto un sogno ad occhi aperti oppure forse, forse, forse erano precipitati in una dimensione parallela dove volavano navicelle fantasma e tutto era inspiegabilmente spento e vuoto.
I loro cervelli sviluppavano fino a 20 pentaFLOPS. Nel giro di un secondo elaboravano più storie di quante ne avrebbero potute verbalizzare in un millennio. Esploravano racconti e città, la notte riposavano pur non avendone bisogno – se i Padroni li avessero visti, l’avrebbero voluto. Camminavano nella circolarità cannibale della propria programmazione, una CPU come anima e i comandamenti inscritti in sequenze infinite di “zero” e “uno” – abitudini e nozioni assegnategli dai Padroni.
Nessuna capacità di apprendere. Nessuna capacità di dubitare. Non ne avevano bisogno – serviva loro solo ciò che i Padroni reputavano necessario. Personalità sbozzate di eterni bambini, saldi nella convinzione che animava la loro ricerca, formulata nell’anima in codice binario e che li condannava a non poter risolvere il mistero:
Vi amiamo. Siete i nostri bambini. Non vi lasceremo mai.
Camminano sulla sabbia, fra sabbia e colline di vetro. Mizar e Alcor non tramontano da giorni. L’alternanza fra mattina e pomeriggio è diventata onnipresenza. Insieme, le due giganti occupano un decimo della porzione di cielo visibile. Molte città sono già andate a fuoco. La proto-ceramica inizia a cedere, si aprono buchi nelle guance. Il tungsteno resiste.
Camminano sulla sabbia. Fra sabbia e colline di vetro. A volte, fra i fuochi, si prendono per mano e ballano.
Avevano risolto tanti misteri: avrebbero risolto anche questo.
Così pensavano mentre la navicella vomitava fiamme e violentava l’aria, Rudy ci tenne a dire che il fuoco usciva dal retro e che quindi più che vomito quello era BIP – intervenne la subroutine di censura a rovinargli la battuta. Nessuno rise.
Sulla via del ritorno Ellie ebbe l’impulso di togliersi il casco. La bombola d’ossigeno ciondolava vuota sulla schiena, rimbalzava a ogni passo, oscillante nell’aria satura di azoto. Non lo fece. Era una regola imposta dai Padroni – la finzione mimetica metteva i bambini veri a proprio agio, ogni discrimine con i loro gemelli in metallo era da cancellare. Rivestimenti in proto-ceramica e giunture in tungsteno, tutti uguali e tutti compagni di giochi.
Quando arrivarono in città la scoprirono vuota. Le automazioni domotiche trasformavano il silenzio in una vibrazione – aria condizionata, tapparelle, frigoriferi, le rotazioni assiali delle case di Ordine Esterno con le quali le facciate si nascondevano da Mizar la mattina e da Alcor il pomeriggio, per sfuggire al calore. Sotto la cupola fabbriche, luce artificiale e calore elettrico.
I Simulanti adulti ciondolavano spenti in giro per la città. Solo i Padroni potevano accenderli. Si guardarono perplessi di fronte al corpo immobile che replicava le forme della madre di Pauline.
Al lavoro Banda, ghignò Jimmy. La sua spavalderia rinsaldò gli animi.
Vi amiamo, ma il tempo stringe e lo spazio manca.
Passarono due giorni. Non erano mai stati così tanto tempo da soli. Erano abituati ad avere un gemello ciascuno e almeno quattro genitori, e ora non avevano altro che se stessi – nessun Padrone a indicargli la strada, sono gli input dettati dai computer quantici che gli facevano da cervello.
Esplorarono la seconda città con la gaiezza dettata dalla loro natura. Doveva essere uno scherzo – i padroni erano sottoterra, nascosti, la navicella era un trucco per distrarre un gruppo di invasori. Oppure no, una gigantesca caccia al tesoro, avrebbero trovato gli indizi scritti col gesso sulle lavagne, mappe e bigliettini nascosti nei luoghi più impensati.
Quand’erano al centro della piazza si innescò una sub-routine ludica. Si presero per mano e iniziarono un girotondo – ridevano, giocavano. Poi finì. Al lavoro, Banda.
Mentre camminavano verso la terza città Julia alzò gli occhi. Le stelle non erano della notte – appartenevano al giorno, due ed enormi e violente. Sempre più violente. Se Julia fosse stata di carne, si sarebbe già ustionata.
Vi amiamo – tutti, i bottoni con cui spegnervi e i sorrisi con cui vi accendete. Ma il tempo stringe e nella fretta si nascondono le disattenzioni. Le dimenticanze. Una vigliaccheria, forse, mascherata di pietà. In fondo rifarvi è così facile. Spegnervi così crudele.
Esplorarono ogni città. Attraversarono ogni deserto. A ogni piazza vuota Jimmy ghignava e li guardava. Al lavoro, Banda.
Non trovavano indizi di una spiegazione plausibile, perciò la notte esploravano le possibilità facendone storie vissute da altri. I Padroni erano stati rapiti dagli alieni, i Padroni erano diventati invisibili, era tutto un sogno ad occhi aperti oppure forse, forse, forse erano precipitati in una dimensione parallela dove volavano navicelle fantasma e tutto era inspiegabilmente spento e vuoto.
I loro cervelli sviluppavano fino a 20 pentaFLOPS. Nel giro di un secondo elaboravano più storie di quante ne avrebbero potute verbalizzare in un millennio. Esploravano racconti e città, la notte riposavano pur non avendone bisogno – se i Padroni li avessero visti, l’avrebbero voluto. Camminavano nella circolarità cannibale della propria programmazione, una CPU come anima e i comandamenti inscritti in sequenze infinite di “zero” e “uno” – abitudini e nozioni assegnategli dai Padroni.
Nessuna capacità di apprendere. Nessuna capacità di dubitare. Non ne avevano bisogno – serviva loro solo ciò che i Padroni reputavano necessario. Personalità sbozzate di eterni bambini, saldi nella convinzione che animava la loro ricerca, formulata nell’anima in codice binario e che li condannava a non poter risolvere il mistero:
Vi amiamo. Siete i nostri bambini. Non vi lasceremo mai.
Camminano sulla sabbia, fra sabbia e colline di vetro. Mizar e Alcor non tramontano da giorni. L’alternanza fra mattina e pomeriggio è diventata onnipresenza. Insieme, le due giganti occupano un decimo della porzione di cielo visibile. Molte città sono già andate a fuoco. La proto-ceramica inizia a cedere, si aprono buchi nelle guance. Il tungsteno resiste.
Camminano sulla sabbia. Fra sabbia e colline di vetro. A volte, fra i fuochi, si prendono per mano e ballano.