Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Franco Forte. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Franco Forte assegnerà la vittoria.
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maria rosaria
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Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#1 » sabato 18 novembre 2017, 23:25

IL VOLO DELLE FARFALLE

1.
Se provavo a toccare la terra intorno, non sentivo altro che umidità.
Era buio, non riuscivo a vedere nulla e me ne stavo fermo lì, in quell’angolo, in quel buco di mondo dove ero arrivato non ricordo più come, né quando.
C’era puzza lì sotto, ma quella l’avevo avvertita solo dopo un po’ che ero arrivato. Poi, con il passare del tempo, ci avevo fatto l’abitudine e non l'avevo più sentita.
Anche il buio era fastidioso. Ma a quello mi ero abituato in fretta così da riuscire a vedere grazie alla flebile luce che filtrava da chissà dove.
Camminavo da tempo, non avrei saputo dire da quanto perché il tempo era impossibile da misurare.
Rimpiansi presto la luce del sole.
Imparai presto a evitare i posti troppo umidi dove era facile scivolare o incrociare topi famelici.
Come ero arrivato fin là? Avevo ricordi sfocati, come sfocata era la vista di ciò che mi circondava. Nella mente si disegnavano immagini sbiadite: un letto in una stanzetta grigia, adulti intorno a me i quali non facevano altro che gridare, altri che mi dicevano ogni giorno quello che dovevo fare, poi una fuga, un camion sul quale ero salito di nascosto, luci abbaglianti per la strada, e paura. Tanta paura.
Il mezzo su cui ero salito clandestinamente dopo un po’ di strada si era fermato, una frenata brusca mi aveva sballottato nel vano e avevo fatto rumore, mi avevano scoperto, ero stato strattonato, spinto, mi avevano urlato contro. A quanto pare le persone intorno a me non sapevano far altro che urlare. Ero caduto, avevo percorso alcuni metri rotolando e poi di nuovo correndo e mi ero ritrovato in quel posto. Umido e buio.
Per un attimo pensai di essere morto e che fossi arrivato dritto dritto all’inferno. Peggio di quello da dove ero fuggito.
Però, a pensarci bene, non era una cosa tanto possibile. Primo perché ero troppo piccolo, avevo circa otto anni e i bambini così piccoli non possono andare all’inferno. Anzi, qualcuno doveva avermi parlato di un luogo dove vanno a finire i bambini morti. La parola aveva un suono morbido e vischioso come il fango su cui camminavo.
Inoltre l’inferno, così come lo ricordavo io, era un luogo caldo, pieno di fiamme e invece lì dove mi trovavo, quello che riuscivo a percepire era solo umidità e buio.
A quel punto ne fui quasi certo.
Dovevo essere per forza nel limbo.
Ero scappato dall’inferno per ritrovarmi nel limbo.
Chissà, mi dissi. Con un po’ di fortuna potrei arrivare in paradiso.


2.
Quella specie di tunnel in cui ero capitato ad un certo punto era diventato molto stretto e così dopo un po’ che annaspavo carponi nella melma, lo sconforto cominciò a impadronirsi di me e mi sembrò di non avere più speranza.
Ad un tratto mi sentii strattonare. Qualcuno mi aveva preso per un braccio e mi aveva trascinato per alcuni metri, quanti non so., per poi scaraventarmi in un punto insolitamente asciutto e illuminato da faretti.
A fatica mi abituai alla luce, e così lo notai. Era un ragazzo, avrà avuto il doppio dei miei anni e della mia stazza, si faceva chiamare Orso e la prima cosa che mi chiesi fu il perché di quel nome.
Perché Orso? Lui però non volle dirmelo.
“Devi stare al tuo posto, ragazzino, se vuoi sopravvivere qui. Devi rispettare le regole e non fare troppe domande perché i curiosi fanno sempre una brutta fine.”
Io annuii, più per timore che per convinzione. Ero fuggito da un posto in cui tutti gridavano e davano ordini e guarda dove ero andato a capitare.
Lui non sembrava aspettarsi da me delle risposte, infatti continuò dicendo che bisognava avere pazienza, prendere confidenza con quei luoghi e abituarsi ad essi perché un giorno ce l’avremmo fatta, saremo riusciti a tornare su, nel luogo da dove eravamo scesi. Forse, secondo Orso, avremo anche potuto riprendere il controllo delle nostre case o, perlomeno, vivere come si faceva un tempo, ma senza nessuno che ci dicesse cosa fare o non fare. Nel frattempo quella era il nostro territorio e lì dovevamo imparare a stare.
Io non sapevo se aveva ragione, sapevo però che quel posto non mi piaceva per niente, non avevo nessuna intenzione di abituarmici e l’ottimismo di Orso mi sembrava una grossa illusione.

Con il passare dei giorni mi accorsi che tutti avevano un gran rispetto di Orso. In poco tempo mi feci un’idea del perché. Sono un tipo curioso, è vero, ma sono anche un tipo socievole e gli altri in genere parlano facilmente con me. Così venni a sapere che Orso era, per tutti, una sorta di padre.
“È lui che ci ha salvato facendoci trovare riparo qui sotto.”
“Sì, ha ragione Pietro” confermò un altro con una brutta cicatrice sull’occhio destro. “È stato al tempo della Grande Nube. Quando tutto è diventato buio e l’aria era irrespirabile lui ci ha portato qui sotto e ora…”
“Cos’è la grande nube?” chiesi curioso.
“Otto anni fa, eravamo tutti in giardino a giocare. C’era il sole, faceva caldo ma si stava bene. Era primavera. Io stavo sull’altalena e guardavo le farfalle svolazzarmi intorno” raccontò Anna, una ragazzina dai capelli che un tempo dovevano essere stati biondi, e il cui volto si intuiva doveva essere puntinato di lentiggini sotto lo strato di sporcizia che lo ricopriva. Un sorriso nostalgico le si disegnò sul volto.
“Io giocavo a pallone con Orso” continuò Pietro, un piccoletto pelle e ossa che si muoveva claudicando . “Ci andavamo tutti i pomeriggi a giocare in quel giardino.”
“E allora?” feci io.
Sul viso di Anna il sorriso si spense e lasciò il posto a un’espressione amara.
“Il sole ha cominciato a coprirsi, tutto è diventato nero come la pece, anche il cielo, e una puzza ha invaso l’aria. Era irrespirabile.”
“Orso ha avuto la prontezza di chiamarci a raccolta, ha sollevato un tombino che stava proprio lì vicino all’altalena e ci ha ordinato di entrare lì sotto se non volevamo morire soffocati .”
“E poi? Perché non siete più usciti?”
Pietro e Anna si lanciarono un’occhiata come per dirsi che era incredibile che io non sapessi nulla.
“Ma tu da dove vieni? Ci fai o ci sei?” chiese Pietro con sarcasmo.
“Forse è troppo piccolo” intervenne Anna. “Non può o non riesce a ricordare.”
“Bah. Fatto sta, caro il mio piccoletto, che l’aria era diventata veramente irrespirabile. Alcuni di noi, quelli che sono voluti uscire a tutti i costi, sono morti. Così siamo rimasti qui sotto ad aspettare che le cose migliorassero.”
“Nel frattempo lì sopra qualcosa deve essere andato storto e qualcuno ha fatto sigillare i tombini per impedirci di risalire.”
Un abbaiare improvviso mi distolse dai racconti dei ragazzi. Ho sempre avuto paura dei cani, devo averne incontrato qualcuno un po’ aggressivo che mi ha lasciato addosso questo terrore inspiegabile.
Feci un balzo all’ indietro e gli altri presero a sghignazzare.


3.
“Hanno messo i mastini a guardia delle uscite.” Orso mi spiegò il perché di quell’abbaiare. “Forse si sono avvicinati e hanno sentito le nostre voci. È da un po’ che non parliamo tra noi così a lungo.”
“Non capisco che bisogno c’è dei cani. Non mi avevate detto che i tombini sono sigillati da tempo?”
“Forse hanno paura che qualcuno riesca in qualche modo a tornare su e quindi si sono organizzati.” replicò Orso.
Sentivamo il latrare di quelle bestie e io mi tappai le orecchie con le mani. Non riuscivo a sopportarlo mentre vedevo gli altri ridere a crepapelle.
“Spesso lo facciamo apposta” mi spiegò Anna, quasi per tranquillizzarmi. “Qualcuno di noi si avvicina ai tombini da sotto e fa rumore, solo per dar fastidio a quelle povere bestie e farle incazzare. È un passatempo come un altro.”
A me sembrava una follia. E questa volta glielo dissi chiaro e tondo, alzando oltremodo il tono della mia voce.
“Io non voglio restare qui, voglio andarmene. Non sono certo fuggito da un posto che non mi piaceva per venire qui a rompere le palle ai cani”.
D’improvviso il latrare dei cani si interruppe e quello che udimmo furono solo guaiti pian piano più lontani.
Orso mi lanciò uno sguardo cattivo. Ricordo lo stupore negli occhi degli altri, forse, pensai, era la prima volta che qualcuno osava rispondergli così a tono.
“Io me ne vado”, dissi e senza voltarmi, ma con il terrore dentro lo stomaco, ricominciai a camminare lungo quei cunicoli melmosi e maleodoranti.
Passarono un paio d’ore circa, ero stremato quando sentii una voce alle mie spalle.
“Ehi, piccoletto, torna qui. Dove credi di andare?”, mi voltai e riconobbi nell’oscurità la sagoma di Orso.
Mi raggiunse e notaiora mi guardava con occhi diversi.
Prese a camminare accanto a me e mentre avanzavamo nel fango iniziò a parlarmi con meno astio.
Aveva scoperto che ero nato proprio il giorno della Grande Nube e io lo apprendevo da lui.
“Come fai a saperlo?” chiesi, un po’ scettico. “Neanche io so quando sono nato.”
“È per via del tatuaggio” e mi indicò un punto sul lato del collo. “Ci ho fatto caso prima, alla luce dei faretti. Tutti i bambini nati quel giorno sono stati marchiati per distinguerli dagli altri. Siete diversi dagli altri, avete dei poteri diversi e la gente ha paura di voi, lì sulla terra, sopra le nostre teste.
Non ci potevo credere. Sapeva cose che io avrei dovuto, o perlomeno ricordare e invece ero completamente all’oscuro di tutto ciò.
“Quindi vuoi dire che mi rimanderete da dove sono venuto?” quel timore ce l’avevo da giorni, in realtà, e mi dispiaceva perché in fondo quei ragazzi mi stavano simpatici e io non avevo mai avuto amici.
“Qui sotto, per fortuna sei uno dei tanti. Ce ne sono altri come te, anche tra di noi, alcuni però non sono voluti rimanere con noi. Hanno preferito creare gruppi separati.”
Quando Orso mi aveva fatto notare il tatuaggio sul collo mi ero ricordato. Il posto dal quale vengo dove tutti mi trattavano come un nemico. C’erano uomini e donne che si avvicinavano a me con tute bianche e ogni tanto mi iniettavano qualcosa nelle vene.
Comunque sia, lui non sembrava avere paura di me. Credo, inoltre, si fosse ammorbidito perché sapeva che avevo la stessa età che aveva lui quando si era dovuto prendere quella grossa responsabilità di accudire gli altri.
Mi convinse a tornare indietro, lì dove si erano accampati tutti.
E, da quel giorno, cominciò a portarmi con sé lungo le sue perlustrazioni.
“Era da tempo”, confessò un giorno, “che cercavo un compagno per trovare una via d’uscita da questo luogo infame. Ho camminato per ore, per giorni, ma non sono mai riuscito a trovare una via d’uscita da questi cunicoli infami.”
“Non capisco, allora quello che dicevi di abituarsi a questo posto… di avere pazienza…”
“Non posso far capire agli altri la smania che ho di riuscire ad andarmene. Voglio dare fiducia e sicurezza, non voglio eccitare gli altri”.
Mi sembrava saggio.
Una mattina mi svegliò, mentre dormivo rilassato come non mi capitava da tempo.
“Ho trovato una mappa”, disse sventolandomi davanti un foglio sporco di terra e umidità. “Forse questa è la volta buona.”


4.
Orso diceva che ero speciale, più speciale degli altri. Lì ognuno aveva un potere particolare, l’avevo potuto constatare di persona.
Anna e Pietro parlavano con gli insetti: sembrava impossibile ma loro erano in grado di tenerli lontani da noi o comunque di comunicare con loro. Altri captavano strane vibrazioni nel terreno.
Quello che ancora non riuscivo a capire era cosa ci stavo a fare io lì.
Comunque quella mattina Orso mi convinse ad andare in perlustrazione con lui.
“Te la senti di venire con me?” mi chiese svegliandomi prima del solito e offrendomi una tazza fumante di chissà quale brodaglia. Aprii gli occhi a fatica e nella penombra, dopo la mappa, vidi due zainetti. Orso li teneva uno sulla spalla destra, uno sulla sinistra.
“Sarà un viaggio lungo. Ho preso qualche provvista e dell’acqua. Potremo impiegare giorni prima di tornare.”
In effetti la nostra perlustrazione durò un bel po’. Tutto sembrava procedere alla grande quando a un certo punto, il tunnel in cui camminavamo si divise in due e ci trovammo davanti a un bivio.
Ci fu un attimo d’indecisione, quando sentii le parole uscirmi quasi come una magia: “A sinistra”, dissi.
Orso mi diede una pacca sulla spalla e mi fece l’occhiolino. Io ancora non mi rendevo conto di quello che avevo fatto, mi guardavo intorno incredulo e pian piano riuscivo a comprendere il mio posto tra loro.
Lo seguii e camminammo per ore, nella melma, con la luce di una sola torcia a dinamo che ogni tanto Orso caricava girando la manovella.
Dopo un paio di giorni avemmo la sensazione di essere arrivati al mare. Si vedeva una luce e uno strano luccichio in fondo al sentiero che avevamo percorso. Orso era molto agitato.
“Dobbiamo stare attenti, potrebbero esserci dei guardiani.”
“Cosa pensi di fare? Hai un piano?” chiesi timoroso.
Lui mi guardò e in quel momento la sua faccia, forse più illuminata del solito, mi ricordò qualcuno. Lineamenti familiari ma non ben definiti.
“Voglio solo vedere se c’è un modo per uscire senza pericolo da questo cunicolo, poi torniamo indietro e portiamo tutti in salvo. Che ne dici?”
“Dico che è una cosa fica, molto coraggiosa, ma anche molto pericolosa. Potremmo morire tutti…”
Un rumore ci distolse dalle nostre chiacchiere, poi un latrato e una figura di cane mostruoso apparve ai nostri occhi, le fauci spalancate e la schiena curva irta di peli.
Non potei trattenermi da lanciare un urlo, e mi sentii in quel momento uno stupida femminuccia.
La bestia però sembrò ritrarsi, quasi impaurita.
Allora Orso mi toccò una spalla. “Rifallo!”
“Cosa?”, chiesi tremando dal terrore.
“Urla!”
Io presi fiato e con tutta la forza che avevo spinsi fuori l’aria che avevo nei polmoni in un grido forte che risuonò a lungo in quei cunicoli.
La bestia continuò a indietreggiare e con lei le altre che nel frattempo erano sopraggiunte.
“Possiamo farcela” disse Orso.
Io non credevo a quello che stava accadendo.
Tornammo sui nostri passi per raggiungere il nostro accampamento.
Lì avremmo informato i compagni della nostra scoperta e elaborato un piano per fuggire.
“Se dovessimo incontrare altri?” chiesi ancora tremante per quell’incontro spaventoso.
“Chi? I cani?”
“Sì, appunto, quella specie di mostri.”
“Ci penserai tu, fratello mio.” Orso strizzò un occhio e mi diede una bella pacca su una spalla.


5.
Orso è mio fratello, l’ho capito solo ora. Ho visto che anche lui ha un tatuaggio come il mio, ma anziché sul collo ce l’ha dietro l’orecchio.
“Ci hanno scaraventato qui sotto perché non ce la facevano a crescerci”, mi ha detto una sera.
“Chi?”
“I nostri genitori. I genitori di tutti quelli che stanno qui.”
“Ma, e la nube?”, ho chiesto un po’ confuso. Non riuscivo molto a seguire il suo discorso e dentro di me sentivo uno strano dolore invadermi.
“Quella è stato un po’ di tempo dopo. Prima c’è stata la miseria, la povertà nera. Nostro padre aveva perso il lavoro e la mamma non faceva che piangere.”
“Quindi tu te li ricordi?”
“Immagini sbiadite. E poi”, a quel punto il suo viso si incupì “non me ne importa niente. Voglio dimenticare quelle brutte facce.”
“E la nube?”
“Arrivò improvvisa, ma alcuni già ci avevano avvisato. Lo dicevano anche a scuola. C’era chi diceva che sarebbe stato l’inquinamento, chi temeva un’esplosione nucleare. C’era anche chi sosteneva che la terra stessa si sarebbe ribellata e ci avrebbe intossicato con i fumi dei suoi vulcani”.

Ora mi sentivo quasi al sicuro, e la consapevolezza di avere un fratello accanto mi dava coraggio.
Convincemmo gli altri a mettersi in cammino con noi, per raggiungere il mare.
Qualcuno storse la bocca, altri accettarono con entusiasmo, poi ci fu chi non mostrò alcuna reazione, sembravano rassegnati a qualunque cosa tenesse in serbo per il loro il futuro. Ci seguirono come automi.
Quando la nostra colonna si fermò all’uscita del tunnel li vedemmo.
Erano i riflessi luccicanti del mare che ci abbagliavano. Il sole esiste ancora, sentii dire a qualcuno.
Orso ci abbracciò uno per uno, poi fece un piccolo discorso dicendo che da lì in poi sarebbe stato difficile rimanere uniti, che forse ognuno di noi doveva continuare da solo, o in coppia. Ma che rimanere in gruppo ci avrebbe solo creato problemi, avremmo dato nell’occhio e saremmo stati più vulnerabili.
“Se i calcoli che ho fatto non sono sbagliati, pochi chilometri a nord dell’uscita c’è una foresta dove sarebbe possibile rifugiarsi. A sud, invece, dovrebbe esserci un lago. Anche quello potrebbe essere un ottimo punto in cui trovare riparo. Ognuno di voi ha una mappa che ho disegnato appositamente per darvi uno strumento per l’orientamento.”
Tutti ci siamo guardati increduli.
“Ma da soli non ce la faremo mai!” esclamò Pietro con la voce tremante di paura ed emozione.
“Ha ragione Pietro!” gridarono in coro un gruppetto rimasto indietro timoroso.
“Ce la possiamo fare se formiamo delle coppie, al massimo tre, in cui un piccolo è accompagnato dai più grandi. Il rischio c’è, lo so, ma dobbiamo correrlo se vogliamo ritornare a vivere.”
Io decisi che con noi doveva venire Anna, la ragazzina dai capelli un tempo color del grano.
Io, Anna e Orso sbucammo dal cunicolo parandoci la vista con il taglio di una mano.
Il sole era accecante, faceva male agli occhi e alla pelle.
Vidi Anna cominciare a correre avanti ed ebbi paura.
“Anna, torna qui. Dove vai?”
Lei si voltò a guardarci e sembrò in quel momento magicamente più grande di tutti noi. Indicava qualcosa nell’aria con la sua manina piccola e magra.
“Non le vedete? Le farfalle! Sono tornate a volare.”


Maria Rosaria

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SalvatoreStefanelli
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#2 » domenica 19 novembre 2017, 11:44

Una storia che si muove lenta, come spesso è giusto che sia per dare il tempo di gustarne ogni parte. Mi ha ricordato l'isola che non c'è e il mondo di Peter Pan. La poetica del finale è tra le cose che ho amato di più. Non so come si procurassero del cibo e questa cosa mi ha un po' lasciato perplesso, non che sia così importante, ma sopravvivere nel sottosuolo così in tanti e per così tanto tempo senza darne una spiegazione mi rende quel mondo un po' meno "reale". Direi, comunque una buona prova.

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wladimiro.borchi
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#3 » domenica 19 novembre 2017, 17:17

Un racconto gradevole e scritto dignitosamente. Forse, qualche dialogo incoerente con i relativi personaggi. Trama originale e abbastanza pertinente al tema, seppur costituendone una variazione. Stile scorrevole e privo di refusi, ripetizioni involontarie e frasi fatte. Qualche eccesso di esposizione all'inizio.

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Sonia Lippi
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#4 » mercoledì 22 novembre 2017, 13:48

bello e poetico, mi è piaciuto un sacco, mi ha emozionato.
nulla da dire, bello e basta!

Ottima prova!

buona giornata

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maria rosaria
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#5 » mercoledì 22 novembre 2017, 15:10

Eccomi, ci sono.
Vi sto leggendo tutti con grande piacere.
E con altrettanto piacere vi ringrazio dei commenti, Salvatore, Wladimiro e Sonia.
E' un periodo un po' faticoso per me, questo, ma conto di postare commenti e classifica al più presto.
Un abbraccio
Maria Rosaria

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Vastatio
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#6 » giovedì 23 novembre 2017, 21:36

Ciao,

che vai dritta come un fuso senza far quasi inciampare mai i tuoi protagonisti già immagino tu lo sappia. Personalmente non amo le storie con bambini protagonisti, tanto più quando si riuniscono in gruppi per sopravvivere in ambienti ostili e ce la fanno! Almeno i tuoi hanno i superpoteri e la cosa può essere digerita con meno alka seltzer. Butti parecchia carne al fuoco senza svilupparla a dovere (da che pulpito, guarda cosa mi fai dire!). Onore a te per averlo postato, ma per me avevi ancora tante cose da dire e il tempo ti è scivolato via (ok devo stare zitto, visto che io l'ho scritto in quattro ore il giorno della consegna). La fine, più di tutte, risente di questo effetto "fretta". Però l'immagine delle farfalle è bella.

diego.ducoli
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Re: Il volo delle farfalle - di M.R. Del Ciello

Messaggio#7 » lunedì 27 novembre 2017, 22:51

Ciao,
al contrario di Roberto non mi disturbano le storie con bambini protagonisti e aggiungendoci i superpoteri guadagni sicuramente dei punti.
Ma, perché c'è sempre un ma, trovo anche io che la carne al fuoco sia molta, troppa, ne hai talmente tanta che potresti tirarci fuori un romanzo. Gli ingredienti li hai, ci aggiungi conflitti, qualche contrattempo e soprattutto indaga meglio i personaggi.
Anche la parentela con Orso arriva con troppa semplicità, forse tutto scorre troppo liscio.
Ti invito ad approfondire la storia e ne potresti tirar fuori un bel romanzetto in stile "Gregor".

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