Semifinale Diego Lama

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Franco Forte. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Franco Forte assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Diego Lama

Messaggio#1 » venerdì 1 dicembre 2017, 18:23



Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Cesare il conquistatore.
In risposta a questa discussione, gli autori semifinalisti del girone Diego Lama, hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Wladimiro e Roberto possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: domenica 03 dicembre alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 03 luglio. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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Wladimiro Borchi
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Re: Semifinale Diego Lama

Messaggio#2 » venerdì 1 dicembre 2017, 18:35

Viaggio allucinato

Era domenica. Non sarebbe passato il convoglio per condurli a scuola.
Carlo, Marco e Sabrina si erano riuniti nella sala dei giochi e attendevano che il vigilante si fosse addormentato dinanzi ai monitor, come accadeva regolarmente quando c’era lui di guardia.
La undicenne dai capelli rossi allungò il braccio sottile oltre il limitare del corridoio e, restando nascosta dietro la parete, esaminò la situazione, sul piccolo specchio che stringeva nel palmo. Il buzzurro coi baffi stava dormendo. Potevano sgattaiolare fuori non visti e recuperare il tesoro che, con infinita attenzione, qualche mese prima, avevano sepolto sull’isolotto di terra al centro del laghetto.
«Libero.»
Sussurrò la ragazzina ai coetanei che se ne stavano spalmati sulla parete vicino a lei.
Il primo a muoversi come un gatto fino alla via di fuga fu Carlo, che, mentre gli altri due lo raggiungevano a passi lenti e silenziosi, riuscì ad aprire la porta del complesso senza far risuonare nemmeno un minimo scatto.
In meno di un minuto il gruppo aveva ormai raggiunto la lunga scalinata che li avrebbe portati all’esterno.
Da quando il morbo si era diffuso era impensabile per dei ragazzini uscirsene da soli per raggiungere a piedi il parco abbandonato fuori dalle mura cittadine. Ma Marco era un biondino tutto coraggio e testardaggine e aveva convinto gli altri due a seguirlo in quella folle avventura.
Una volta giunti al portone rinforzato che dava sulla strada, l’ideatore della spedizione e autoproclamatosi capo indiscusso della compagnia, consegnò a tutti un sacchetto di sassi bitorzoluti e una fionda, costruita con un grosso elastico e un pezzo di legno a ipsilon,.
«Ragazzi, niente stupidaggini! Se gli zombie non ci attaccano non voglio che nessuno si metta ad attirare la loro attenzione con sassate inutili. Cerchiamo di non fare rumore e di raggiungere la zattera senza doverne far fuori nessuno.»
Il morettino, che aveva guidato la fuga, non era dello stesso avviso: «Scusa Marco, ma se ci vengono dietro come ci difendiamo, a parolacce?»
Sabrina sorrise e mise, come al solito, immediatamente pace fra i due litiganti.
«Nessuno ha detto di non difenderci», constatò accarezzando la testa di Carlo, «soltanto non c’è bisogno di attaccare tutto quello che si muove.»
Sorrise infine all’indirizzo del biondino: «Ho capito bene?»
Marco annuì e con lui anche l’amichetto, il volto decorato dal sorriso ebete dell’amore, che entrambi provavano segretamente per quella ragazzina, così diversa dalle coetanee e così simile a loro.
«Andiamo!»
Furono le ultime parole del capo spedizione, interessato più a chiudere con quella situazione imbarazzante, che ad accelerare la missione.
In un istante, il gruppo era già all’esterno. La via era sgombra di ritornanti. Dopo aver gettato uno sguardo in tutte le direzioni, i tre si infilarono nel cunicolo che conduceva fuori città. Procedettero in silenzio, a passi lenti, nel buio, con le orecchie tese anche al più piccolo rumore. Incontrare uno zombie là dentro voleva dire morte certa e i tre, nonostante la giovane età, lo avevano imparato da tempo, dopo che il morbo si era diffuso e le loro vite erano cambiate così drasticamente.
Trascorsi appena circa cinque minuti il sole del mattino illuminò ancora una volta i loro volti.
All’esterno la città era morta. Dalle molte buche sull’asfalto fuoriuscivano piante e altissimi filamenti d’erba. Qualche zombie si muoveva qua e là, reiterando i movimenti e il percorso della sua vecchia esistenza. Nessuno dei mostri, al momento, sembrava essersi avveduto della presenza dei tre ragazzi.
Il gruppo raggiunse il lato opposto del largo viale asfaltato procedendo con estrema cautela e balzando da un groviglio di piante all’altro, per nascondersi alla vista delle orribili creature.
Da lì in poi occorreva procedere con estrema attenzione. Il sentiero sterrato che conduceva al parco era quanto di più stretto, con alti muri da entrambi i lati. La presenza di anche solo un ritornante su quella via li avrebbe costretti a ingaggiare un combattimento per poter andare avanti, attirando così l’attenzione degli altri che si trovavano nelle vicinanze.
Scansando rovi e scavalcando robuste radici che ormai avevano preso il sopravvento sul quella che, un tempo, era una gradevole passeggiata per famiglie felici, i tre giunsero fino all’ingresso.
«Sta andando tutto troppo bene!»
Pensò Marco, mentre indicava agli amici una collinetta, oltre l’entrata, su cui si era riunito un capannello di non morti a imitare goffamente la vera vita, alcuni con in mano il giornale del giorno in cui erano stati uccisi, altri in tuta da jogging e scarpe da ginnastica ormai logore.
I tre girarono a largo dal piccolo poggio e presero a muoversi verso il laghetto, ruotando lo sguardo vigile in ogni direzione.
Mancavano meno di centro metri alla zattera, che, nella loro precedente escursione, avevano abbandonato in prossimità della riva, quando alle loro spalle risuonò l’inconfondibile grido di una dei quelle terribili creature.
Erano stati avvistati.
I tre amici iniziarono a correre come se non avessero mai fatto altro in tutta la vita. Con le gambette sottili che si muovevano veloci e sicure nell’erba alta e sul fango più scivoloso.
Intanto alle loro spalle, le grida di non morto si reiteravano e si amplificavano. Dovevano aver attirato l’attenzione di almeno cinque o sei di quei mostri. L’unica salvezza era prendere il largo, prima di essere raggiunti.
Gli zombie erano a meno di cinquanta metri da loro, quando i tre giunsero in prossimità della zattera. L’estate alle porte aveva abbassato il livello del bacino e la rudimentale imbarcazione era a oltre il doppio di distanza dal limite delle acque, rispetto a quando l’avevano abbandonata qualche mese prima, accanto a una vecchia scopa di saggina da utilizzare come remo.
«Tienili a distanza!»
Urlò il biondino a Sabrina, mentre assieme all’amico trascinavano con la forza della disperazione la zattera in acqua.
La ragazzina prese la mira, puntando alla testa della più vicina di quelle creature. Si udì un sibilo, seguito dal rumore di un melone caduto dal terzo piano e la testa del primo zombi esplose in una poltiglia di cervella e frammenti di ossa imputridite.
«Brava! Ci siamo quasi, fermane un altro!»
Marco non riuscì a finire la frase che già un’altra pietra aveva preso il volo, giungendo sul bersaglio col medesimo rumore di anguria marcia in cui il contadino distratto ha infilato il piede.
«Sali!»
La piccola imbarcazione aveva appena toccato l’acqua. Con un balzo la ragazzina raggiunse i compagni, che l’afferrarono al volo per non farla cadere. La forza di quell’ultima spinta portò rapidamente la zattera lontano dalla riva, su cui si accalcarono i ritornanti ululando e digrignando i denti in direzione dei ragazzi.
«Ci è andata di lusso!»
Constatò la piccola asciugandosi il sudore della fronte con la manica della maglia.
Un violento colpo dal fondo della traballante imbarcazione fece immediatamente capire al gruppo che i guai erano assai lontani dall’essere terminati.
«Sono i Takitaro!»
Disse il biondino, con un velo di preoccupazione sul volto: «Attenti a non sporgervi troppo dalla zattera, se vi afferrano per un braccio e per un piede vi portano sul fondo del lago e addio!».
Mentre i tre si stringevano al centro e Sabrina stava per mettersi a piangere, Carlo tentò di tranquillizzare gli amici.
«I Takitaro non hanno denti, se qualcuno viene afferrato, tiri con forza e non dovrebbe essere portato sotto. Non voglio fare la fine di Ulisse davanti a Scilla e Cariddi. Non voglio che vi mangino e restare con un equipaggio di pochi sopravvissuti.»
I tre ragazzi ridacchiarono, rassicurati da quella citazione che sapeva di scuola e di momenti ancora felici delle loro vita, abbracciandosi gli uni gli altri al centro dell’imbarcazione.
Ogni tanto qualche enorme pesce tirava fuori la grossa testa dal pelo dell’acqua per poi tornare a scomparire nelle profondità del lago.
Carlo remò con assoluta cautela fino a giungere in prossimità dell’isoletta, su cui i ragazzi issarono la zattera, mentre Sabrina iniziava a scavare sotto la pietra che indicava il punto esatto in cui era stato nascosto il tesoro.
Una volta recuperata la scatoletta di metallo con le figurine di Victoria Justice, il gruppo riprese la pericolosa traversata sullo specchio d’acqua, pieno di mostruosi pesci mutati, diretto sulla riva opposta, non occupata dagli zombi.
Fu quando ormai i ragazzi ritenevano di essere in salvo che delle mani robuste afferrarono il loro capo alle spalle.
Marco guardò gli amici con espressione disperata, ma ormai per lui e per nessuno di loro, c’era più niente da fare.


** * ** * **

«…e oltre ad aver divelto con la fionda le statue di polistirolo della mostra che si terrà al parco il mese prossimo, hanno insozzato di fango la scopa del guardiano, hanno smontato e gettato in acqua la porta di uno dei bagni e hanno spaventato con i loro schiamazzi i bambini più piccoli!»
Le tre mamme squadravano i ragazzi dalla testa ai piedi con uno sguardo a metà tra la rabbia e la commiserazione.
«Senza contare il fango che hanno lasciato qua nel mio ufficio con le loro scarpacce zuppe!»
Le donne si scusarono con il direttore del parco oltre l’inverosimile, ma l’omone corpulento e leggermente stempiato non volle sentir ragioni. Fotocopiò le carte d’identità di tutti i presenti e minacciò querele e azioni legali.
«E ora andatevene!»
Una volta fuori, ognuna delle madri portò via il proprio figliolo, a testa bassa, mentre l’imbarazzo aveva ammutolito e avviluppato tutti, come un enorme cubo di gelatina.
Una volta rimasta sola con il figlio Marco, Patrizia lo guardò fisso negli occhi.
«Mi dici perché avete fatto una cosa del genere?»
«Era il nostro viaggio avventura!»
Constatò il biondino con il sorriso più sincero di tutta la sua breve vita.
Lo scappellotto volò rapido alla nuca glabra del ragazzino, imprimendovi il segno delle dita ossute della madre.
«Ahi Ahi Ahi Ahi… Mamma cattiva… Ahi!»
Mentre il bimbo piangeva lacrime di vero dolore e dispiacere, la mamma lo spintonò verso l’uscita del parco, dandogli altri piccoli colpi sulla schiena.
«E se tuo padre si addormenta un'altra volta, quando bada a te e ai tuoi degni amici, domenica prossima, ti giuro che lo butto fuori di casa!»


Wladimiro Borchi
IMBUTO!!!

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Re: Semifinale Diego Lama

Messaggio#3 » domenica 3 dicembre 2017, 22:37

Progetto Itaca

Relazione Protocollo #342/02.
Conclusioni.
Con riferimento alla documentazione allegata si ritiene il soggetto 140 ormai giunto al termine del suo ciclo utile. Il soggetto in analisi ha ben tollerato il protocollo 32 che ha permesso di arrivare a una data teorica stimata sui 400/500 anni, tuttavia l’introduzione del protocollo 37 ne ha compromesso la stabilità. La stimolazione farmacologica ha raggiunto livelli tossici e la capacità preveggente ne risulta irrimediabilmente inficiata. Come dimostrato dai test effettuati sul soggetto la sua capacità è ora limitata a frammenti di massimo dieci secondi, insufficienti per recuperare informazioni attendibili su tempo e luoghi ancorati alla visione.

***


- Non aver paura, cosa vedi?
La ragazza aprì gli occhi - Buio.
- Lasciati andare. Fai un respiro profondo.
Chiuse le palpebre e inspirò senza fretta.
- Bravissima, cosa vedi adesso?
Le mani si serrarono di scatto, ma non c’erano appigli sul liscio metallo - Morte.

***

- Non capisco cosa cerchi di dimostrare. - Irene si appoggiò allo schienale della sedia mentre con lo sguardo cercava di evitare la dozzina di fogli sparsi sulla sua scrivania, pieni di calcoli che Veronica aveva insistito a spiegarle negli ultimi tre quarti d’ora.
L’amica la fissò svuotando i polmoni in un sospiro molto poco educato - Da quando sei diventata così lenta a seguire due conti?
Irene sollevò un braccio roteando il polso con indice e medio protesi. Il sistema di registrazione della stanza si mise in standby, cancellò l’intera conversazione e la sostituì con una rielaborazione fittizzia attingendo allo storico in memoria.
- E’ chiaro come i Soli dove vuoi arrivare: LA ROTTA E’ SBAGLIATA. Anche una risma piena di numeri non ti aiuterà a confutare il piano di volo stabilito dal computer di bordo. - Afferrò uno dei fogli in cui una equazione era stata cancellata e riscritta per sbatterlo in faccia alla donna - Lui non sbaglia!
Veronica glielo strappò di mano e cominciò a raccogliere gli altri dalla scrivania, senza curarsi dell’ordine.
- E’ una correzione. O vuoi forse dirmi che la nave non corregge mai la rotta? Sono stati così precisi trecento anni fa da prevedere ogni detrito sulla nostra strada?
Irene sentì lo stomaco contrarsi, non voleva litigare con la sua amica, forse l’unica che le era rimasta o che aveva mai avuto, ma aveva paura ad andare avanti.
- No, non hanno previsto tutto. Non hanno previsto gli attacchi dei Rixil, ma ci hanno fornito i mezzi per affrontare ogni emergenza che hanno potuto immaginare.
- La rotta è sbagliata! I miei calcoli lo provano.
Irene si alzò di scatto picchiando il pugno sul tavolo, gli anelli di comando risuonarono sulla superficie di plastacciaio. - Non porterò i tuoi fogli davanti al Nucleo, ci ricopriremo di ridicolo entrambe. Avrebbero più possibilità di attirare la loro attenzione i Predicatori del Vuoto, con la ridicola teoria dei buchi neri a matrioska, che tu con un errore di calcolo dei computer di analisi della Vecchia Terra e della Nave.
Cercati un uomo, sfogati ed usa il tuo cervello per qualcosa di più utile alla Colonia che a cercare falle che non esistono.

Veronica aprì la bocca per ribattere, ma si limitò ad emettere un grugnito disgustato. Girò sui tacchi e uscì dall’ufficio del Supervisore.
Irene sprofondò nella sedia, la sintopelle si adattò al cambio di posizione per assicurarle il massimo comfort. La porta si richiuse silenziosa, lasciandola sola. Una leggera vibrazione degli anelli le segnalò che il sistema di registrazione era di nuovo attivo.

***

- Cosa vedi?
La ragazza serrò con forza le palpebre - Non voglio più farlo.
- Lo so, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto.
- Cosa cambierà dall’ultima volta?
- Abbiamo apportato delle modifiche.
- Che tipo di modifiche?
- La nave ha difese attive e passive migliorate.
La ragazza aprì gli occhi e scrutò nel buio - Non sono bastate. Morte.

***

Veronica attraversò i corridoi in silenzio. Aveva allungato il tragitto dal Centro Comando all’Università per far sbollire la rabbia. Quell’idea almeno aveva funzionato.
Era stata una stupida a credere che Irene l’avrebbe ascoltata, da quando era entrata nella dirigenza non si erano quasi più frequentate, assorbita dalla nuova vita sovraccarica di impegni.
- Non vedi che è occupata?
Veronica trasalì, l’abitudine degli ultimi mesi l’aveva guidata dritta in Sala Ricercatori e alla postazione che usava di solito.
- Scusa, ero sovrappensiero. - Riuscì a dire alla sconosciuta mentre sfiorava il biochip sul polso per riattivare il Link ai sistemi dell’Università.
Non c’era da stupirsi che la sua postazione usuale fosse occupata: per quanto il giorno sulla Nave Colonia venisse diviso in tre cicli da dieci ore, l’Università utilizzava una sua turnazione interna su sei ore e non era concesso occuparne più di due. L’appuntamento con Irene e il display dell’orologio interno segnalava le 3.45 TC, in pieno quarto turno Universitario. Uno sguardo veloce ai presenti le confermò che, forse, conosceva di vista un paio di loro, intravisti magari al cambio del primo turno, quello a cui di solito iniziava lei a lavorare.

Cercò una scrivania libera e si sedette sulla sedia. I sensori sotto la superficie riflettente della postazione rilevarono il suo codice di accesso e iniziarono a caricare l’ultima configurazione.
Sui tre schermi olografici presero vita le formule e i grafici del giorno precedente, oltre a una rappresentazione schematica della rotta attuale della loro Nave Colonia IT-142 che si stava dirigendo verso la stella ITACA10/3/7. Solo che quella non era ITACA10/3/7.


***

- Chiusa la questione del budget per il progetto ITACA, il terzo punto prevede la valutazione del soggetto 140. - Il segretario tirò una riga sulla seconda voce della lista degli argomenti della giornata. Non sarebbero riusciti ad affrontarne nemmeno la metà. - Secondo la relazione, protocollo #342/02, non è più ritenuto affidabile. - Il segretario riassunse in cinque parole le oltre cinquanta pagine di relazione che, a parte forse il responsabile del progetto ITACA, nessun altro dei presenti aveva letto.

- Non vedo cosa ci sia da discutere al riguardo. Se c’è una relazione io direi di passare al punto successivo e…
- Sfortunatamente, - lo interruppe il segretario schiacciando un pulsante al suo fianco - il suo responsabile ritiene la relazione incompleta.
L’azionista che era stato interrotto si girò a fissare la porta che si stava aprendo per lasciar passare un uomo.
Il nuovo arrivato si sistemò sulla sedia che gli venne indicata dal segretario con un cenno del braccio.
- Il responsabile del soggetto 140 potrà ora spiegare all’assemblea la situazione. - Concluse il segretario.


***

- Un nuovo attacco? - Veronica fissava con disappunto la porta del suo alloggio che non voleva lasciarla uscire.
- Così sembra. - La voce impastata della sua coinquilina le giunse dalla cucina, insieme all’odore del caffè istantaneo.
- E quando è cominciato?
- Mentre eri sotto la doccia.
- Oh per la miseria!
- Già, e sembra anche bello grosso. Conviene che ti metti comoda.
Veronica si avvicinò alla cucina e sbirciò lo schermo che era acceso sul canale delle notizie. I numeri delle navette Rixil erano sopra la media abituale.
- Ti dispiace se…
- Tranquilla, - la interruppe mentre addentava un biscotto - oggi è il mio giorno di riposo e puoi fregarti tu tutta la banda di collegamento, ho già chiamato Diego per sapere se anche il suo battaglione era coinvolto.
- Diego? Non stavi con… vabbé lasciamo perdere. Grazie.
Veronica tornò in sala e si sedette alla console, inserì le sue credenziali e, dopo un tempo spropositato rispetto a quello di una postazione in Università, vide comparire sullo schermo olografico il suo lavoro.
In caso di attacco anche l’Università offriva supporto agli Echatoncheiros, i soldati che comandavano i droni di difesa all’esterno della nave, fornendo la potenza di calcolo necessaria alle IA di supporto e l’accesso di una ricercatrice come lei finiva in coda alle priorità.
- Per quando hai l’incontro con la tua amica?
- L’ho avuto ieri, ma non è andato affatto come speravo.
- Ah, mi spiace. - La sua coinquilina la fissava con la tazza del caffè in mano. - Bello quello, l’ho visto l’altro giorno in OloVisione: è Itaca, giusto?
Veronica si girò sorpresa verso la giovane. Vero, la console che avevano in casa non aveva schermi con filtro di sicurezza tarati sulle sue lenti a contatto, quindi anche lei poteva vedere cosa proiettavano.
- Sì, è Itaca. Fa parte del mio lavoro all’università.
La ragazza si avvicinò allo schermo e si piegò in avanti per vedere meglio, sfiorandole la spalla coi capelli. - Quando arriveremo a Itaca?
Veronica la osservò meglio. Non aveva mai pensato sul serio alla sua coinquilina. Le importava solo che pagasse la sua parte e che non fosse troppo indiscreta quando si portava a casa qualcuno: fino ad ora era stata irreprensibile su questi punti.
- In teoria dovremmo arrivarci tra duecentoventiquattro anni, sette mesi e dodici giorni. Ti risparmio ore e minuti - le rispose indicando il conto alla rovescia che aveva fatto comparire di fianco allo schema della rotta.
- In «teoria» se non ci distruggono prima i Rixil?
Veronica si chiese se era disposta ad accettare di essere presa in giro anche da una cassiera, se si ricordava il lavoro della ragazza, dopo esserlo stata dalla sua ex migliore amica.
- In «teoria» perché non ci arriveremo mai, o meglio, arriveremo a un pianeta che non è Itaca… secondo i miei calcoli. - L’ultima parte era quasi un bisbiglio.
- Ahhh, quindi era questo che sei andata a dire alla tua amica ieri.
- Sì.
- E non ti ha creduta.
- Esatto, ma la cosa è solo più lunga. - Veronica ci aveva pensato tutta la notte e, alla fine, aveva preso una decisione - In effetti lei era la scorciatoia, ora passerò per il consiglio della Facoltà. C’è tempo e… - Veronica si fermò, gli occhi puntati sulla siringa ipodermica in mano alla sua coinquilina.
- Ultimamente spuntate come funghi, è quasi impossibile starvi dietro. - Sorrideva mentre pungeva Veronica alla base del collo - Per fortuna il Supervisore è una persona intelligente e non crede a certe fantasie. Non hai idea di quanto sia difficile procurarsi un Chip di Ipnosi su questa nave.

***

- Cosa vedi?
La ragazza piangeva con gli occhi chiusi - Perché dovrei aiutarvi?
- Perché la Terra sta morendo e dobbiamo trovare una nuova casa.
- Mi drogate, mi costringete a vedere nel futuro per centinaia di anni e credete che non possa vedere quello che farai tra poco?
Il responsabile del soggetto 140 si asciugò le mani sudate sul camice.
- Ho provato a fargli capire che bisognava pazientare ma...
- Lo so, l’ho visto. - La ragazza che portava il numero 140 codificato sulla tempia e sui polsi aprì gli occhi e guardò l’uomo che aveva davanti. Il mix di stimolanti la proiettò avanti di dieci anni, mentre lui firmava gli incartamenti finali del soggetto 142. Morse con forza l’interno della guancia, il futuro si riavvolse e collassò nel presente. - Ho trovato il pianeta.
L’uomo la fissò a bocca aperta. - Se è così allora posso fermare la loro decisione.
- No, non puoi. - Strinse i denti per resistere all’inerzia farmacologica che la spingeva là dove c’erano le conseguenze di ciò che stava per fare - Io non sono ritenuta affidabile ed è rischioso, ma qualsiasi altra destinazione conduce al buio e alla morte. Troverai un modo, ora dammi un foglio.


***

Veronica si svegliò intontita. Il ciclo precedente aveva preso un sonnifero per smaltire la giornataccia. Non voleva pensare al suo incontro con Irene.
Aveva ragione, stava sprecando tempo dietro a una sua teoria che non poteva essere reale.
Uscì dal suo alloggio, ripensando al primo consiglio che le aveva dato Irene: trovarsi un uomo. La sua coinquilina ne cambiava uno ogni settimana, avrebbe potuto chiedere a lei.


***

Relazione Protocollo #189/12.
Conclusioni.
Con riferimento alla documentazione allegata si ritiene soddisfatto il vincolo di sicurezza relativo al successo del progetto ITACA. Viene quindi autorizzato il varo della Nave Colonia IT-142 e la conseguente riassegnazione del soggetto 142.
In ultima analisi si richiede, tuttavia, un riesame dei protocolli sulle procedure di Cassandra atte a evitare gli incidenti intercorsi col precedente soggetto 141 che hanno successivamente comportato la sedazione del soggetto 142 durante la maggior parte delle prospezioni a lungo raggio.

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Re: Semifinale Diego Lama

Messaggio#4 » martedì 5 dicembre 2017, 18:13

Diego Lama si è espresso:

Viaggio allucinato
Genere: horror
Bambini terribili alle prese con incubi (o con giochi) terribili.
Mi ha ricordato il fumetto Calvin e Hobbes di Bill Watterson.
Ho trovato la scrittura semplice e perfettamente adatta a questo tipo di storia.
I personaggi sono solo abbozzati, come è giusto che sia in un racconto tanto breve.
Idea carina.

Progetto Itaca
Genere: fantascienza
Un lungo viaggio nello spazio e nel tempo…
Storia bella e situazione interessante, peccato per gli errori riscontrati (d eufoniche e fittizzia).
Mi ha ricordato Minority Report di Philip K. Dick.
I personaggi presentano qualche buon approfondimento per quanto concesso dalla storia breve.
Idea apprezzabile.

I racconti sono sullo stesso livello.
Scelgo Progetto Itaca perché mi è sembrato più intenso come tematica e come ambientazione.

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Re: Semifinale Diego Lama

Messaggio#5 » mercoledì 6 dicembre 2017, 8:58

Grazie a Diego per il commento e complementi al mio avversario.
É sempre bello ricevere pareri sulla scrittura da autori veri.
La prossima volta, in ogni caso, non fermerete la mia scalata alla semifinale.
Buhahahahaha...
Beh, sì... Magari non mi qualifico...

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