Penombra

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due gennaio sveleremo il tema deciso da Alberto Buchi. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Alberto Buchi assegnerà la vittoria.
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Eugene Fitzherbert
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Penombra

Messaggio#1 » domenica 28 gennaio 2018, 23:34

Penombra
Di Eugene Fitzherbert


1.
Carlo si trovava nel suo appartamento, di fronte alla porta d’ingresso. Vedeva tutto in penombra. Alla sua destra, c’era un mobile con uno specchio e un telefono fisso posato su una pila di dépliant. Dall’altra parte si apriva il salotto, con divano e parete attrezzata. Lo riconosceva ma allo stesso tempo gli sembrava alieno. Il suo riflesso mostrava la testa, rasata con un accenno di ricrescita, incompleta, non proprio tonda, ma tagliata a destra, concava, come se sotto il cuoio capelluto mancasse un pezzo di osso. Stava per tastarsi, quando una voce lo raggiunse.
«Amore, sei in salotto? Credevo stessi dormendo!» Lui fece quasi fatica a riconoscere la donna che aveva di fronte. «Carlo, che ci fai lì? Hai avuto un altro dei tuoi blackout? Vai a dormire. Sarai stanco dopo tutto quello che hai passato.»
«Chi sei?»
«Sono Sarah, tua moglie.» Sarah piegò la testa di lato, come se volesse venire a patti con quella realtà. «sarà un’altra delle tue amnesie. Ti ricordi cosa è successo?»
Silenzio.
Lei riprese: «Siamo tornati qualche giorno fa dall’ospedale. Sei stato operato al cervello per un tumore.»
Carlo si portò istintivamente la mano alla testa deforme.
«Sì, esatto: era attaccato all’osso e te l’hanno asportato. La chiamano craniolacunìa. Un nome bellissimo, per indicare qualcosa di terribile. E non toccarti, sotto quella pelle c’è il cervello.»
Le parole di Sarah gli fecero tornare in mente la degenza, la dimissione e il ritorno a casa. Oltre alla craniolacunìa, anche la visione alterata cominciò ad avere senso. «Ecco perché è tutto buio, qui.» disse Carlo.
«Esatto! Il neurochirurgo ha spiegato che avresti visto oscurato, come in penombra. L’ha chiamata…»
«Likofopsia» Aveva cominciato a ricordare. Certo, le notizie non erano delle migliori, ma essere vivo era pur sempre una vittoria. Si protese verso sua moglie per abbracciarla. Lei sembrò quasi sorpresa, poi si lasciò afferrare. Carlo aprì gli occhi per guardare nello specchio l’immagine di loro due intrecciati, la sua testa appoggiata sulla spalla di lei. Forse per la likofopsia, sembrava che i capelli di Sara fossero fatti di scaglie e la pelle del collo verdastra e lucida di muco.
Quella che aveva di fronte era invece la donna di sempre, un po’ più stanca, provata, ma Sarah in tutto e per tutto.
Lo sguardo di Carlo cadde sul mobiletto del telefono. Il dépliant in cima era una pubblicità della Cozy Airways, una compagnia aerea low cost. Qualcuno aveva cerchiato il numero verde e l’aveva corretto: 800-EXORC. «Che cos’è questo? Dovevamo partire?»
«Sì, era una tua idea.» Sarah gli sorrise mestamente. «Andiamo a letto.»

Carlo non riusciva a dormire perché temeva di risvegliarsi e non ricordare niente, provare la frustrazione di non essere pienamente presente. Guardò sua moglie girata di spalle, che dormiva. Sorrise, pensando a lei, a come lo stava aiutando, anche se quei pensieri gli provocavano una sensazione dolceamara e sgradevole, come se fossero contraffatti.
Le osservò la nuca, i particolari rabbuiati dalla likofopsia. Stava per allungare la mano per accarezzarla, quando tra i capelli si aprì un occhio verde, brillante, che lo scrutò. La pupilla si contrasse per metterlo a fuoco e in quel momento Carlo sentì una fitta, là dove non aveva l’osso, seguita da una sensazione di qualcosa che grattasse sotto la pelle. Si toccò e sentì una forma muoversi, spingere, cercare di uscire.
Poi fu il buio.

I Interludio – Dolore
Carlo aprì lentamente gli occhi. Fu travolto da una luce glaciale. Cercò di parlare, ma la bocca era piena di oggetti infilati in gola, in profondità. La nausea e l’idea di non respirare si aggiunsero al panico.
Un dolore lancinante partì dal suo capezzolo sinistro. Piegò il braccio per scansare la causa di tutto quel male. Dai rumori intorno a lui capì di trovarsi in un letto d’ospedale.
«È finalistico al dolore. È qualcosa.» Una voce indistinta, maschile, colui che lo stava torturando.
Dolore anche all’altro capezzolo. «Anche a destra.»
«Come sono le pupille?» Parlò una donna.
Un paio di dita gli afferrarono le palpebre e le gliele tirarono su, mentre lui cercava di tenerle serrate. Ancora la luce fredda, quasi nociva. Vide il soffitto sopra di lui e poi, incombenti, i volti dei due medici, un uomo e una donna, che lo fissavano.
La dottoressa: «È isocorico.»
Procedettero a puntargli una luce direttamente negli occhi, prima da una parte poi dall’altra. Si sentiva bruciare il cervello.
«Si sta svegliando.» avvertì il dottore. «Carlo! Mi senti? Sono il dottore Di Biasi, ti trovi in terapia intensiva. Prova a stringere la mano!» E senza neanche aspettare un cenno, Di Biasi gli prese la mano e attese che lui la stringesse. «Avanti! Fai vedere alla dottoressa Alimondi come si fa!»
Li stava odiando. Per farli smettere, provò a stringere.
E ci riuscì. «Bravo!» Poi rivolgendosi ad Alimondi: «Visto, risponde ad ordini semplici. Mi pare che vada bene.» E gli lasciò la mano.
«TAC nel primo pomeriggio e poi lo rivalutiamo. La ferita è troppo umida, medicatela ogni tre ore.»
«Perfetto. Rimettete sedazione. Mi scrivi qualcosa in cartella?»
Una calma artificiale e profonda scese su di lui, facendo sparire il dolore.


2.
«Ti vedo depresso.» disse Sarah, a colazione.
Lui guardò la sua tazza di latte, prima di rispondere. «Un incubo. Ieri ho sognato di essere ancora in ospedale. Mi visitavano, avevo male e la luce mi accecava.»
«Tesoro, sei passato attraverso un inferno. Io ero lì con te e so che è stato terribile, ma non farti sopraffare.»
«Hai ragione. Saranno gli strascichi del ricovero.»
«Lo capisco. Secondo me, è come se una parte di te fosse ancora intrappolata in quell’ambiente terribile.»
Carlo ci pensò: l’incubo era così vivido, le sensazioni così reali, che davvero una parte di lui era ancora intrappolata in ospedale. «Che ne dici se ci facciamo un giro, stamattina?»
Lei sembrò spaventata. «No, no, non puoi uscire. Il dottore è stato tassativo.»
Sarah si accorse della sua espressione delusa. Gli sorrise. «Capisco che devi tirarti su, ma non possiamo uscire. Ho un’idea migliore. Il dottore mi ha il permesso. Ti va?»
«Cos’è?»
«Vedrai. Una cosa che ti piaceva tanto fare a prima mattina.» E si diresse verso la camera da letto…
Nonostante la piega incredibile che stavano prendendo gli eventi, Carlo riuscì a sorridere al pensiero di quello che l’attendeva. Non aveva alcuna memoria di precedenti ‘incontri’ con sua moglie, ma alla fine non poteva che essere bello. Per un momento, gli incubi, la craniolacunìa e la likofopsia sembrarono poco importanti. Anzi, stava per fare sesso e il buio creava atmosfera.

Con sua sorpresa, si accorse di essere molto ricettivo: per quanto venga manipolato, il cervello di un maschio risponde sempre a certi stimoli.
«Tu non puoi fare sforzi. Faccio tutto io.» Così aveva esordito la donna, ed era stata di parola. Ora era a cavalcioni su di lui, e lo stava guidando in una nuova forma di paradiso. Carlo chiuse gli occhi, cercando la calma che tanto agognava. Sollevò la mano verso il seno di Sarah. Lo trovò, umido di sudore e lo strizzò appena, ricordando Di Biasi che gli chiedeva di stringere la mano. Avvertì una sgradevole sensazione di cedevolezza, le dita quasi scivolarono sulla pelle, come se il seno all’improvviso si fosse sbucciato.
Spalancò gli occhi e si ritrovò addosso il corpo macilento di Sarah che si muoveva sgocciolando muco e liquidi indefinibili. La pelle era livida e striata da macchie rossastre, la carne dilaniata dalla decomposizione. Lei gli posò le mani sul petto. Le dita di lei si strinsero nell’impeto di un orgasmo, affondarono nella pelle, e le unghie si spezzarono e si staccarono, molli e nerastre.
Carlo cercò di divincolarsi, ma lei era più in forze e lo teneva bloccato nel letto. Le mise le mani sulle spalle e si accorse che anche la sua carne si stava devastando, perdendo pezzi, raggrinzendosi e decomponendosi. Sarah urlò, la testa al soffitto, e la mandibola con un crack si fratturò e rimase penzolante, mentre la lingua sporgeva scura come un mollusco marcio. Carlo riuscì a scalzare Sarah, e si allontanò da quel mostro. Nonostante l’oscurità perenne in cui viveva, vide gli occhi di lei brillare di una luce verde quasi soprannaturale, omicida.
Lui si lanciò giù dal letto e cadde a terra, cercando di coprirsi la testa con le braccia.
«Ma che cazzo fai?» urlò Sarah. «Lo sai che potresti morire?»
Carlo si mise seduto. «Io… non so, avrò avuto un’allucinazione, eri diversa. Non so che dirti.»
Oltre il groviglio di lenzuola, lei era normale, con i capelli rossi un po’ appiccicaticci per il sudore, il respiro affannoso per lo spavento, lo sguardo terrorizzato e incazzato allo stesso tempo. «Non preoccuparti. Riposati un po’.» Fu la sua unica risposta.
L’aiutò a rimettersi a letto, e poi uscì fuori dalla stanza. Lui per un attimo rivide i segni della Morte sul suo corpo, ma fu per un battito di ciglia, forse a causa della likofopsia.
Stava per addormentarsi, e ancora una volta sentì dentro la sua testa qualcosa grattare e dimenarsi, come se sotto il cuoio capelluto qualcosa di vivo cercasse di uscire.

II Interludio – Sangue
Riaprì gli occhi nella luce accecante. Il saporaccio metallico del sangue si mischiò con i rumori scampanellanti di mille allarmi intorno a lui. Avvertì la concitazione che lo circondava.
La voce di Di Biasi lo raggiunse: «Che roba è quella che gli esce dalla ferita?»
Alimondi era altrettanto perplessa: «Non ne ho idea. Ricopritela e comprimete! Sta cominciando a sanguinare. Se non lo operiamo subito, questo ci lascia le penne. Chiamate i parenti e avvertite che sta peggiorando.»
«Veramente non ha nessuno. Due giorni fa è stato trovato svenuto per strada, completamente ricoperto di scritte. Nessun documento, nessuna informazione. Che dovete fargli?»
«Riapriamo, allarghiamo la breccia ossea e togliamo quello che possiamo, sperando che non si dissangui.»
Di Biasi gli spalancò gli occhi con le dita: «È diventato [i]anisocorico
. Ma che cazzo è successo, stava bene fino a due minuti fa!»
«Sicuramente sta sanguinando, o il tumore è cresciuto in maniera spaventosa.» Spostò la testa di Carlo da un lato. «Mi sa proprio che stavolta dobbiamo incidere questa scritta che ha tatuato qui dietro.»
Queste parole, in qualche modo, gettarono Carlo in uno stato di paranoia e panico come mai ne aveva provati prima.
«Sti cazzi al tatuaggio.» fu l’unica risposta di Di Biasi.
Ricadde nell’incoscienza.
[/i]
3.
Carlo si alzò e si diresse verso lo specchio in salotto. Sentiva che qualcosa di irreparabile stava per accadere, e la chiave di tutto era il tatuaggio e l’idea che dovessero inciderlo. Nonostante il buio della sua visione, verificò allo specchio che la sua pelle era intonsa.
Frustrato, strinse i pugni accartocciando i dépliant della Cozy Airways. Si sentiva un relitto e aveva la sensazione che quella non fosse propriamente casa sua, anche se era sicuro di averla costruita, di averla arredata. Si sentiva quasi abusivo, nel posto sbagliato.
Il numero verde spuntava tra le pieghe della carta, sottolineato e cerchiato come se fosse importante. Non sapeva neanche se esistesse una compagnia aerea del genere.
Di là, Sarah si stava asciugando i capelli. Anche i ricordi su di lei erano sfocati, lontani.
Carlo guardò la porta. Perché mai non poteva uscire? Afferrò la maniglia e la strinse. Chiuse gli occhi e poggiò la testa al legno lucido. Uscire era sicuramente un gesto inconsulto e pericoloso, dettato più dalla paranoia che dal buon senso.
Il fohn nel bagno si spense.
Aprì gli occhi, e per la prima volta notò a terra una scritta in caratteri color oro, brillanti. Non riusciva a capirne il senso.
«E tu che cazzo stai facendo lì?»
Le parole di Sarah quasi lo folgorarono. Era ferma all’ingresso del salotto, nuda.
«Non vorrai mica uscire, vero?»
Il tono era perentorio, deciso, ma qualcosa strideva nelle parole di Sarah. «Non volevo uscire. Ho solo notato questa scritta qui a terra. Cos’è?»
Lei si avvicinò di qualche passo ma non guardò. «Non c’è nessuna scritta. È la likofopsia che ti gioca brutti scherzi.»
«Non hai neanche guardato!»
«Il neurochirurgo mi ha detto di non assecondare le tue allucinazioni.»
«Ma come fai a dire che sono allucinazioni se non vieni a vedere…» All’improvviso qualcosa si accese nella sua testa. «Perché continui a parlare del neurochirurgo al maschile? Quella che mi ha operato era una dottoressa
«Non mi frega un cazzo se era femmina o maschio, tu stai lontano da quella porta. E non c’è nessuna scritta.»
Con quelle parole, il volto di Sarah divenne arcigno, mentre avanzava.
Nella penombra della sua vista, Carlo la vide fare un passo dopo l’altro, e il piede nudo emetteva un suono come di legno sul pavimento. La donna l’afferrò per le spalle e lo spinse via dalla porta. Per un attimo lei guardò dove c’era la scritta, e sembrò quasi provare dolore. Sbuffò, quasi ringhiò, prima di tornare a occuparsi di suo marito.
«Carlo, tesoro, io ti capisco: vuoi trovare delle risposte e credi che uscire da quella porta sia una cosa buona. Lascia che ti dica la verità: non sarai tu a uscire da lì, ma IO, quando tutto sarà pronto.»
«Perché non adesso?»
Sarah si piegò su di lui, l’alito caldo odoroso di zolfo e cadaveri: «Perché questa schifosissima prigione è solo opera tua. Mi hai evocato, mi hai lusingato, e poi mi hai chiuso qua dentro, perché volevi rimanere te stesso! Non è così che funziona, con le possessioni, e ora sto cercando di riprendermi ciò che è mio: il tuo corpo
«Che cazzo significa che ti ho evocato, sei mia moglie!»
«Basta con questa farsa!» E Sarah mutò il suo aspetto in quello di un demone dalla pelle di serpente e le gambe caprine. Il volto mostruoso era a pochi centimetri dall'espressione stravolta di Carlo. «Adesso sono di tuo gradimento, figlio di puttana?» E rise, un rumore di urla e unghie spezzate.
Lui si spinse con le mani per allontanarsi. La scritta sul pavimento spiccava brillante e integra nel suo mondo immerso nella penombra.
Le parole di Sarah gli avevano riattivato la memoria. Aveva evocato un Demone per ottenere ricchezza, fortuna e gloria. E aveva costruito questa Casa Oscura in cui imprigionarlo per non esserne posseduto. L’unico modo per confinare un demone è quello di chiuderlo con un Sigillo, una formula magica, e questo era il motivo per cui l‘avevano trovato coperto di scritte e con un tatuaggio sulla nuca.
«Il Sigillo è ancora integro, questo vuol dire che siamo chiusi nella Casa Oscura insieme. E io non ho mai lasciato l’ospedale!»
«Complimenti, Sherlock, ti è tornata la memoria, ma non ti servirà a nulla. Stanno per operarti, e se le cose vanno secondo i miei piani, ti ho fatto crescere così tanta merda nella testa che il dottore taglierà il tatuaggio. Ciao ciao, Sigillo!» Rise con quel suono di vetri infranti.
L’unico modo per porre fine a tutto questo era arrivare alla porta e occupare il suo corpo prima di Sarah e prima che il Sigillo venisse infranto. Carlo controllò la scritta, ancora brillante. Non avevano inizia-
In quell’istante il Sigillo perse la sua brillantezza e un segno come un colpo di coltello lo tranciò di netto: la barriera era rotta.
Sarah se ne accorse e sorrise. «Sei solo un coglione, Carlo. Ma sei il mio coglione!»
Il Demone aprì la porta. Oltre la soglia, le luci della sala operatoria dell’ospedale inondarono la stanza in penombra. Si vedeva il soffitto, la lampada scialitica e lo sguardo di Alimondi, innaturalmente gigante, che scrutava direttamente nella casa.
La porta mostrava quello che vedeva Carlo!
Sarah la varcò.

III Interludio – Morte
La testa di Carlo era aperta e quel che rimaneva del cervello in bella vista. La neurochirurga si fermò perché il paziente la stava fissando.
Sarah, nel corpo di Carlo, sorrise e fece l’occhiolino ad Alimondi che urlò e si spinse via dal tavolo operatorio. Sarah non riusciva a vedere Di BIasi dall’altra parte del monitor, ma dalla quantità di allarmi che erano esplosi, poteva immaginare che la situazione non fosse felice.
«Ma che cazzo sta succedendo? Alimondi? Tutto ok da te?» Le parole di Di Biasi non fecero altro che corroborare quella sensazione di piacevole follia chela stava pervadendo. La possessione era così inebriante: tutto quello che era scientificamente provato si trasformava in un circo imprevedibile.
«Come fa a essere sveglio, gli sto calando l’impossibile!» Sempre Di Biasi, che aveva abbandonato i termini tecnici per urlare in preda al panico.
Il Demone si mise seduto e saltò giù dal letto. Alcuni elettrodi adesivi si staccarono, alimentando la cacofonia di allarmi. Con un gesto quasi annoiato, afferrò il tubo che sporgeva dalla bocca e se lo strappò. Sputò un grumo di secrezioni dense e dopo aver schioccato la lingua porse il tubo a Di Biasi, che la guardava atterrito, una siringa stretta nella mano tremante.
«Vuoi assaggiare? È buono!»
Sarah rise di gusto, e con un passo fu addosso a Di Biasi.
L’anestesista la colpì più e più volte con l’ago della siringa, al collo e alle braccia, ma fu inutile. «So che hai paura, dottore. Sarò veloce. Forse.»
E lo morse al collo con tutta la brama accumulata dopo tanti anni all’Inferno. Bere il sangue e uccidere le dava forza.
Non era mai stata meglio!


4.
Carlo vide la porta chiudersi.
Afferrò la maniglia: bloccata, per mano di Sarah. Si accorse che la penombra si stava accentuando e la sua coscienza si stava affievolendo sempre più: stava cedendo il corpo al demone.
Accese tutte le luci per guadagnare qualcosa su quell’oscurità incipiente. Se aveva progettato lui la Casa Oscura, aveva inserito dei sistemi di sicurezza. I suoi occhi caddero sul mobile del telefono, dove tutto era iniziato e dove in continuazione era tornato. Se erano lì, quei dépliant dovevano servire a qualcosa. Afferrò i fogli di carta spiegazzati e trovò quello che aveva attirato la sua attenzione: il numero di telefono corretto – 800-EXOR. Sembrava una stronzata, ma in fondo non aveva niente da perdere.
Afferrò il telefono e compose il numero. Dalla cornetta attaccò la sua stessa voce:

Exorcizamus te, omnis immundus spiritus

Le parole risuonarono per tutta la Casa Oscura.

Omnis satanica potestas, omnis incursio

La porta cominciò a scricchiolare, le pareti del salotto si riempirono di crepe e da esse cominciò a scorrere sangue.

Infernalis adversarii, omnis legio

Lo specchio esplose, il divano vomitò imbottitura sanguinolenta, i quadri piansero e il pavimento si sollevò in montagnole sulfuree.

omnis congregatio et secta diabolica.

Dopo questo verso, la craniolacunìa cominciò a pulsare e gonfiarsi. Senza pensarci, con una scheggia di specchio Carlo incise la cicatrice e affondò la mano insanguinata nella sua stessa testa. Urlò, per il dolore, la nausea e le vertigini, ma finalmente afferrò qualcosa che cercava di ritrarsi da lui. La tenne stretta e la strappò via.
Era Sarah, in miniatura, che si annidava dentro di lui e l’aveva tormentato nella Casa Oscura. L’esorcismo l’aveva indebolita.
«Per quanto tu possa andare nel mondo reale, ricorda che un pezzo di te rimarrà sempre con me. Per questo si chiama possessione, stronza!» Disse alla piccola Sarah agonizzante. E con questo le torse la testa.
La porta esplose e lui vide il cadavere dissanguato dell’anestesista.
Si lanciò attraverso la soglia.

IV Interludio – Salvezza
Carlo si ritrovò accasciato al suolo, in mezzo al macello ad opera di Sarah. Doveva eliminarla ed essere sicuro che non tornasse.
Con fatica si trascinò fino al tavolo operatorio e vide il bisturi che la dottoressa Alimondi aveva lasciato cadere. «Dottoressa, mi aiuti.»
Lei, impietrita, terrea, scosse la testa.
«La prego, non ci riesco da solo. Venga qui vicino e mi tagli la gola.» E si portò la lama del bisturi al collo.
Alimondi si risvegliò e si mosse verso di lui per fermarlo. Carlo tossì, schizzando il suo stesso sangue negli occhi della Alimondi.
«Dottoressa, devo morire…»
In quel momento, le mani della chirurga si strinsero su quelle di Carlo e spinsero la lama più in profondità, tagliandogli la carotide con un movimento deciso.
«Grazie, dottoressa…»
E lei gli sorrise, gli occhi verdi brillanti. «La dottoressa non abita più qui, stronzo!»



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angelo.frascella
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Re: Penombra

Messaggio#2 » lunedì 29 gennaio 2018, 19:20

Ciao, Eugene.

Da ipocondriaco ti dico che ho fatto fatica a leggere la prima parte (e se fossi stato costretto dal contest, probabilmente mi sarei fermato presto).
A parte le fobie personali, però, la tua è un’ottima interpretazione del tema, che si regge molto sul twist a metà racconto, molto ben orchestrato.
Insomma, il racconto mi è piaciuto.
In ogni caso, ti propongo alcuni di possibili miglioramenti, nell’ottica dell’eventuale passaggio alla seconda fase:
- alla fine del racconto non sappiamo nulla del protagonista (o meglio non abbiamo idea se qualcosa di ciò che abbiamo visto sia vero… esiste una Sarah nella sua vita? Perché viveva da barbone? Chi è davvero lui? C’è un motivo per cui il codice di sicurezza è associato a un biglietto aereo?). Capisco che hai dovuto sforbiciare in maniera indiscriminata per ridurre i caratteri e magari qualcosa di ciò che ti chiedo è rimasto nella vecchia versione.
- non mi è chiaro perché alla fine l’unica scelta che ha a disposizione il protagonista sia di uccidersi. Non bastava liberarsi delle piccola Sarah nella versione matrioska nella sua testa?
- c’è il passaggio stile casa infestata (La porta cominciò a scricchiolare, le pareti del salotto si riempirono di crepe… ecc.) che mi sembra non funzioni a dovere. Ci sono delle immagini da film horror, ma sono descritte in maniera molto fredda e senza l’atmosfera e l’emotività che dovrebbe esservi collegata (un po’ come se un effetto speciale fosse usato in maniera fine a se stessa).
- Ci sono alcuni refusi (dei tag del corsivo [i], una frase appesa “Non avevano inizia-”, …), ma roba risolvibile.

Infine una domanda: hai usato dei termini tecnici: craniolacunìa l’ho trovato facilmente, mentre likofopsia, non risulta esistente. È una parola che hai inventato tu?

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Re: Penombra

Messaggio#3 » martedì 30 gennaio 2018, 8:49

Buongiorno Eugene.
Il racconto mi ha messo paura... e questo è buono visto l intento del contest ..
Nel complesso mi è piaciuto e mi ha coinvolto ..ho notato però alcuni refusi... in una frase manca proprio la parola dato ... "il dottore mi ha il permesso" ...
Alla fine del racconto mi sono rimaste delle domande .
Perché il demone è sua moglie se lui era un barbone senza famiglia? La moglie era morta in precedenza?la moglie era una stronza abissale e lui la vede come demone?
Comunque lo ritengo una bella prova...
Buona giornata
Sonia

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Eugene Fitzherbert
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Re: Penombra

Messaggio#4 » martedì 30 gennaio 2018, 11:23

Ciao, Angelo, e ciao anche a te, Sonia. Vi rispondo in sequenza.

ANGELO:
First: grazie per i complimenti, sono sempre ben accetti.
Venendo alle tue perplessità, più che doverose.
Hai ragione a dire che non si sa nulla del protagonista, se non che è un tipo che ha evocato un demone. L'idea era quella di costruire il personaggio dalle parole dei medici che ce l'avevano in cura durante gli interludi, visto che lui non ricorda quasi nulla della sua vita reale (almeno per la maggior parte del tempo), solo che purtroppo, o facevo progredire la storia o mi gingillavo con digressioni e particolari. Ho preferito la prima soluzione, purtroppo. L'intreccio è abbastanza complicato e renderlo tutto in 20000 caratteri è stata una faticaccia e molte cose si sono perse un po' nel vuoto. Me ne faccio una colpa.

La craniolacunìa esiste, te lo confermo. La likofopsia, NO, è una mia invenzione. Mi serviva un termine per indicare la visione in penombra, e ho scelto la traslitterazione di 'crepusccolo' in greco per farci un termine medico. Credo che abbia funzionato, se sei andato a cercarla su internet. Insomma ci hai creduto!
Nel racconto ho cercato di mettere più o meno quello che faccio più spesso (neuroanestesia, neurorianimazione e possessioni demoniache) e ti posso dire che molte delle procedure mediche (per quanto edulcorate e piegate ai fini della storia) esistono e sono corrette. Aspetta che lo faccia leggere a qualche collega e poi vedi!

La casa infestata ha un senso: l'esorcismo non fa altro che distruggere la prigione e colpire il demone, per questo la voce viene fuori dalle pareti e tutto va in frantumi, assumendo un aspetto onirico. Rappresenta allegoricamente le ferite che sta facendo al Demone. Il demone non muore, neanche quando Carlo gli rompe il collo. E questo ci porta al finale: è necessario che lui muoia perché il demone non è più controllabile. La porta è andata in FRANTUMI quindi non ha più valenza restrittiva. La soluzione unica che resta è un retaggio culturale preso direttamente dall'Esorcista (William Blatty, Friedlkin): un demone non può occupare un corpo morto. E come il prete protagonista della pellicola, Carlo si toglie la vita per rimandare il demone all'inferno. Ma troppo tardi: il demone ha posseduto al dottoressa (e la frase finale è un altro rimando all'Esorcista).

Spero di aver chiarito un po' dei tuoi dubbi.
Sui refusi: la formattazione alterata è frutto di fretta e panico da pubblicazione. Quella frase che tu dici essere tranciata è volutamente scritta così, con il trattino per indicare che il pensiero del protagonista è stato interrotto da un evento improvviso.

SONIA
Se ti ho fatto paura, beh, è il miglior complimento che potessi farmi! Davvero!

Venendo a Sarah, ho seminato degli indizi e delle metonimie narrative durante il racconto per trovare una chiave di lettura. Se vedi all'inizio, Carlo non ha alcuna memoria della moglie (le chiede candidamente CHI SEI?) ed è lei a insistere in una forma di inception e convincerlo che sono sposati. Volutamente non sono presenti foto o altri 'ricordi' tangibili dei due insieme. E anche prima della scena di sesso, Carlo ammette di non sapere cosa voglia dire fare l'amore con 'sua moglie'. Questo perché tutta la storia famigliare è un costrutto del demone per incasinare la testa di Carlo, per tenerlo soggiogato.
Inoltre, se ci fai caso, ogni volta che Carlo ha una visione, ha un'esperienza paranormale, la sua condizione clinica peggiora. È il demone che lo rende sempre più malato per farlo operare e liberarsi dal Sigillo.

Spero di aver fugato qualche dubbio.

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SalvatoreStefanelli
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Re: Penombra

Messaggio#5 » martedì 30 gennaio 2018, 18:49

Direi un'ottima prova. I diversi refusi che si trovano sparsi non sono poi così tanti e si risolvono facilmente. Il finale spiazza finché non lo si è letto, poi ci si rende conto che non poteva andare altrimenti se la storia doveva mantenere lo stesso piano negativo degli eventi. Non so quanto si possa dire che hai usato dei bonus, in realtà credo che non lo si possa dire. Bravo, comunque.
Aggiungo di aver letto in ritardo la tua risposta agli altri commenti: interessante e mi ha chiarito alcuni piccoli dubbi.

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