Conta i tuoi colpi - di Federico Martello
Inviato: lunedì 18 dicembre 2017, 23:53
Il primo colpo lo sparo poco dopo il risveglio. C’è buio, davanti ai miei occhi, nella mia testa. Solo la luce di un televisore ad illuminare la stanza, solo il ticchettio della pioggia nelle orecchie. C’è un timer sullo schermo, c’è una pistola accanto a me. Non riesco a respirare. Qualcosa sul mio volto, la sfioro e le dita mi dicono che è una maschera. Dolore lungo il collo, qualcosa cola sul petto, le dita esplorano ancora, svelano punti nella mia pelle. Il buio nella testa soffoca i pensieri, quando urlo capisco che mi è rimasto solo l’orrore. Sento i passi che ancora sto gridando, ancora tiro la maschera per strapparla e qualcosa nella testa mi dice di afferrare la pistola. Anche l’uomo oltre la porta ne stringe una. Il suo viso è la maschera di un rettile. So di aver fatto fuoco quando sento il ronzio nelle orecchie. Faccia da Rettile cade gorgogliando e so di avere ucciso. Bravo, sussurra qualcosa nella mia testa. Lacrime e vomito mi riempiono la maschera, e scopro che sapore ha l’orrore. La voce metallica mi parla per la prima volta.
“Mancano. 4 ore. All’alba.”
Il secondo colpo lo sparo un’ora dopo. Un’ora trascorsa nella stanza, la schiena contro la parete e l’arma puntata alla porta. Nella testa, l’orrore mi parla con la gelida freddezza dell’animale. Perché sono qui? Non posso rispondergli. Non so dove sono. Non so perché sono qui. Non so perché ho cucita addosso questa maschera. Cosa so? Guardo l’ombra riversa nel suo sangue. So che ci sono altre persone. Stringo la presa sull’arma, senza smettere di tremare. So di essere armato, e che lo sono anche loro. La voce metallica parla di nuovo dalle pareti, fredda come l’orrore. Non so cosa succederà quando il timer raggiungerà lo zero, ma so che voglio essere vivo per scoprirlo. Per rivedere Sara. La seconda ombra non fa in tempo a sollevare la pistola, ho già il dito sul grilletto, un boato e Faccia da Orso cade. Non ci sono lacrime. Non c’è altro vomito.
“Mancano. 3 ore. All’alba.”
Il terzo lo sparo a vuoto mentre Faccia da Toro mi carica agitando un coltello. Pochi passi tremanti fuori, prima che lui mi raggiunga. Il tempo di vedere altre stanze, immerse nel buio. Il tempo di avvicinarmi ad una finestra e scoprirla sbarrata. Il tempo di spiare la notte, oltre le fessure. Un rantolo, che la maschera rende il ringhio di un animale, poi la sua ombra mi copre. Il colpo lo sfiora, gocce di sangue sulla sua felpa grigia, e mi è addosso. Il coltello non smette di affondare, si prende la carne del mio braccio, forse si prende un dito. Urlo ancora, l’orrore che sussurra ti sta ammazzando, combatti! ma c’è solo dolore nella mia testa. Faccia da Toro muggisce mentre mi fa a pezzi il braccio, poi solleva l’arma per l’ultimo colpo, e il suo respiro diventa un rantolo. C’è stato un boato, il mio quarto colpo sparato alla cieca contro il suo fianco. Lo guardo cadere e, stavolta, sorrido. Mi alzo sopra di lui, la pistola puntata, la sua testa dietro il mirino. Muggisce qualcosa, forse “Perché?”. Quando parlo, io e l’orrore abbiamo la stessa voce. Non lo so. Il quinto colpo si porta via la sua faccia.
“Mancano. 2 ore. All’alba.”
Il sesto colpo attende a lungo nel caricatore. Cammino puntando l’arma davanti a me. Una stanza dopo l’altra, un cadavere dopo l’altro a marchiare tracce di battaglie già concluse. L’ultima stanza è calda, ben illuminata. La porta è sbarrata, come le finestre, lo stesso timer le ricopre. Inspiro, espiro, un ringhio animale dalla mia gola, poi un gemito interrompe il suono della pioggia. Mi volto, l’arma puntata, e lei sta già urlando. Seduta a terra, rannicchiata contro la parete, una maschera da gufo sul volto a trasformare il suo pianto nel belare di un agnello.
“Non sparare, ti prego, ti prego oddio, non sparare, ti prego.”
Penso a Sara, a quanto voglio rivederla. Perdo due preziosi secondi a farlo e a malapena mi accorgo della sua pistola. Idiota.
Premo il grilletto. Boato. Cado nel mio sangue, senza sapere cosa ha fatto il mio sesto colpo.
“Mancano. 15 minuti. All’alba.”
Sto morendo, sussurriamo io e l’orrore. Un tizzone ardente all’altezza del petto, quando provo a toccarlo sento solo altro sangue sulle dita. Sbatto le palpebre e sento le lacrime lungo le guance. Penso a Sara, e ho la testa piena di pioggia. Non la rivedrò mai. Piango perché non saprò mai perché. Piango tanto da annegare il mondo nel mio diluvio. Se almeno sapessi perché. Ma non riesco a pensare con la testa piena di pioggia.
Il timer accompagna il mio respiro.
“Manca. 1 minuto. All’alba.”
Forse la porta si aprirà. Forse entrerà qualcuno a portare fuori chi è sopravvissuto alla notte. A spiegargli che è stato tutto un gioco. O un reality show. O un test segreto. O forse che questo non significa nulla. Che queste maschere non significano nulla. Che ci siamo uccisi per nulla, senza che nessuno ci dicesse di farlo. Forse posso ancora sapere, prima di morire.
“Mancano. 10 secondi. All’alba.”
Conto i miei respiri, come ho contato i proiettili.
Uno.
Due.
Tre.
“Mancano. 4 ore. All’alba.”
Il secondo colpo lo sparo un’ora dopo. Un’ora trascorsa nella stanza, la schiena contro la parete e l’arma puntata alla porta. Nella testa, l’orrore mi parla con la gelida freddezza dell’animale. Perché sono qui? Non posso rispondergli. Non so dove sono. Non so perché sono qui. Non so perché ho cucita addosso questa maschera. Cosa so? Guardo l’ombra riversa nel suo sangue. So che ci sono altre persone. Stringo la presa sull’arma, senza smettere di tremare. So di essere armato, e che lo sono anche loro. La voce metallica parla di nuovo dalle pareti, fredda come l’orrore. Non so cosa succederà quando il timer raggiungerà lo zero, ma so che voglio essere vivo per scoprirlo. Per rivedere Sara. La seconda ombra non fa in tempo a sollevare la pistola, ho già il dito sul grilletto, un boato e Faccia da Orso cade. Non ci sono lacrime. Non c’è altro vomito.
“Mancano. 3 ore. All’alba.”
Il terzo lo sparo a vuoto mentre Faccia da Toro mi carica agitando un coltello. Pochi passi tremanti fuori, prima che lui mi raggiunga. Il tempo di vedere altre stanze, immerse nel buio. Il tempo di avvicinarmi ad una finestra e scoprirla sbarrata. Il tempo di spiare la notte, oltre le fessure. Un rantolo, che la maschera rende il ringhio di un animale, poi la sua ombra mi copre. Il colpo lo sfiora, gocce di sangue sulla sua felpa grigia, e mi è addosso. Il coltello non smette di affondare, si prende la carne del mio braccio, forse si prende un dito. Urlo ancora, l’orrore che sussurra ti sta ammazzando, combatti! ma c’è solo dolore nella mia testa. Faccia da Toro muggisce mentre mi fa a pezzi il braccio, poi solleva l’arma per l’ultimo colpo, e il suo respiro diventa un rantolo. C’è stato un boato, il mio quarto colpo sparato alla cieca contro il suo fianco. Lo guardo cadere e, stavolta, sorrido. Mi alzo sopra di lui, la pistola puntata, la sua testa dietro il mirino. Muggisce qualcosa, forse “Perché?”. Quando parlo, io e l’orrore abbiamo la stessa voce. Non lo so. Il quinto colpo si porta via la sua faccia.
“Mancano. 2 ore. All’alba.”
Il sesto colpo attende a lungo nel caricatore. Cammino puntando l’arma davanti a me. Una stanza dopo l’altra, un cadavere dopo l’altro a marchiare tracce di battaglie già concluse. L’ultima stanza è calda, ben illuminata. La porta è sbarrata, come le finestre, lo stesso timer le ricopre. Inspiro, espiro, un ringhio animale dalla mia gola, poi un gemito interrompe il suono della pioggia. Mi volto, l’arma puntata, e lei sta già urlando. Seduta a terra, rannicchiata contro la parete, una maschera da gufo sul volto a trasformare il suo pianto nel belare di un agnello.
“Non sparare, ti prego, ti prego oddio, non sparare, ti prego.”
Penso a Sara, a quanto voglio rivederla. Perdo due preziosi secondi a farlo e a malapena mi accorgo della sua pistola. Idiota.
Premo il grilletto. Boato. Cado nel mio sangue, senza sapere cosa ha fatto il mio sesto colpo.
“Mancano. 15 minuti. All’alba.”
Sto morendo, sussurriamo io e l’orrore. Un tizzone ardente all’altezza del petto, quando provo a toccarlo sento solo altro sangue sulle dita. Sbatto le palpebre e sento le lacrime lungo le guance. Penso a Sara, e ho la testa piena di pioggia. Non la rivedrò mai. Piango perché non saprò mai perché. Piango tanto da annegare il mondo nel mio diluvio. Se almeno sapessi perché. Ma non riesco a pensare con la testa piena di pioggia.
Il timer accompagna il mio respiro.
“Manca. 1 minuto. All’alba.”
Forse la porta si aprirà. Forse entrerà qualcuno a portare fuori chi è sopravvissuto alla notte. A spiegargli che è stato tutto un gioco. O un reality show. O un test segreto. O forse che questo non significa nulla. Che queste maschere non significano nulla. Che ci siamo uccisi per nulla, senza che nessuno ci dicesse di farlo. Forse posso ancora sapere, prima di morire.
“Mancano. 10 secondi. All’alba.”
Conto i miei respiri, come ho contato i proiettili.
Uno.
Due.
Tre.