I commenti di Federico Guerri ai finalisti

La Sesta Era si apre nel segno di Federico Guerri! Appuntamento per lunedì 19 marzo dalle 21.00 all'una!
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I commenti di Federico Guerri ai finalisti

Messaggio#1 » lunedì 9 aprile 2018, 20:47

Di seguito, i commenti di Federico Guerri ai racconti finalisti.

Una striscia nel cielo
Mi piace l’idea dell’evento astronomico e del nastro rosso in cielo.
Mi piace anche l’idea che alla sua scomparsa tutto vada in pappa.
Lo stile è abbastanza secco e preciso.
Starei attento a: far trasudare giudizio e messaggio morale (la televisione è stupida e parla solo di sciocchezze, i passanti sono brutti e cattivi perché non guardano le meraviglie della natura, la moglie è cattiva). Va bene finché si hanno vent’anni poi limitiamoci a raccontare la complessità degli umani e non a ripristinare semplificazioni. Se, invece, hai vent’anni fai pure e lotta insieme a noi.
Piccole cose: la vicina vive sul balcone?

Desideri proibiti
Ok. La scrittura c’è. Ho un po’ di problemi d’immaginazione. Se non è chiaro dall’inizio che “Topolino” guarda lei alla fermata dalla finestra rischio d’immaginarmi un barbone malvagio alla fermata e devo rileggere per capire. Lo capisco quando parli dei servizi sociali. Cambio di nuovo visione quando dici che gli sguardi s’incrociano. Il fatto che non rapisca la ragazza su cui ha lo sguardo e si ritrovi una ragazza in casa è anche quello disorientante. Setti un obiettivo e poi ne hai un altro pronto.
L’idea del feticista topolinesco che si crea le Minnie è caruccia. Attento! Non tutti conoscono la canzoncina del Club di Topolino “moderno” e non è un riferimento così immediato per il lettore. Se uno non la conosce perdi metà dell’inquietudine.

Vigilia
La scrittura funziona. Manca, all’inizio, l’informazione che siamo in una stanza tripla di universitari. Arriva troppo tardi. Un racconto è una coltellata, devo subito immaginarmi. Invece parti lontano e poi stringi su dove siamo ma siamo già quasi alla fine.
La sindrome ossessivo-compulsivo arriva immediatamente e i caratteri dei coinquilini (perché te ne servono due?) ci sono.
Unico dubbio: è un po’ bassa l’asticella del problema e un po’ enorme la soluzione. Dà molto l’impressione che “ok, non so come finirlo, ammazziamo qualcuno”.
La pazzia del protagonista arriva come raptus improvviso. Forse andrebbe rivisto il progressivo montare dei piccoli fastidi che lo fanno impazzire.

Rubina
E’ tutto molto repentino. Il nastro e poi il ricordo e poi s’arrampicano e poi il bacio e poi scappa e si butta di sotto.
La memoria è pure poetica e drammatica, un primo amore perso è sempre un buon racconto, ma tutto si consuma veloce e non mi muove perché non so niente dei personaggi. Non ho tempo di sapere come si chiamano, cosa fanno, qual è la loro relazione prima che inizi il racconto. Li perdo perché si muovono troppo velocemente.
A un certo punto ho pure pensato che fosse un ribaltamento di prospettiva e fossero davvero una gazzella e un’elefantessa innamorate, pensa tu. Poi mi son detto: “No, le elefantesse non leggono Cioè”.
In quanto alla scrittura, secondo me, necessità di scelte. Deve essere un po’ pulita nei pensieri e lo dimostra l’uso di – pensiero – che spezza la frase. Non è che non si può fare ma a volte ci vuole e a volte è il pensiero dello scrittore che trova parole migliori per dire quello che ha appena scritto e non cancella e tiene tutto.
Dovresti darti la calma di raccontare questa storia con più lentezza e più “asciuttezza”.

Un inutile infinito
E’ un racconto con una frase di troppo. La frase di troppo è “Non si rivedranno mai più”. Per il resto, funziona.
E’ dolce. Ha solo quello che gli serve. Il fatto che inizi con uno sguardo sul racconto e finisca con uno sguardo sull’inizio è un bel modo di scrivere una circolarità. La circolarità è un artificio caruccio per concludere un racconto ma è stato usato così spesso da risultare antipatico quanto “è tutto un sogno”. In questo caso, però, funziona perché è irregolare. E’ un cerchio che alla fine non si incontra in maniera precisa.
Il rapporto tra loro è credibile e non scontato. Non dai al lettore ciò che vuole (staranno insieme) e anzi è molto chiaro che non è quello il centro della cosa.
Molto bene.

Test psicologico n.3
La struttura è buonissima. Risposte senza domande. Mi inviti a nozze. Costruire una narrazione frammentaria è una bellissima idea. Peraltro, il racconto inquieta senza spiegare che è ancora meglio. Ricorda Lovecraft. Ricorda Ligotti. L’idea di un racconto è che tu possa raccontare tantissimo usando lo spazio vuoto e qua c’è.
Poco altro da dire. Bella prova.

Abete rosso
E’ ben scritto. E’ compiuto. E’ dolente. E’ preciso.
L’unica cosa che mi chiedo è quanti anni abbia l’io narrante.
All’inizio sembra un bambino (le mani sudate, non riuscire a piangere, la galassia), poi un adolescente (il cesso, la consapevolezza sulla malattia). Scegliere la voce cambierebbe moltissimo il racconto. Se è un bambino la “malattia” del fratello è un’indagine su qualcosa che non ha un nome, che si può intuire dai discorsi della mamma e dal fratello stesso.
Se è più grande e capisce il gesto finale è una ribellione. In entrambi i casi hai in mano un racconto interessante ma andrebbe fatta una scelta di campo precisa.

Tra i miei capelli
Ben scritto anche se avrebbe bisogno di un po’ di pulizia. Molto dolce.
Non amo i racconti che iniziano con i risvegli. Secondo me tutto ingrana con lei che guarda la foto. E poi dovrebbe dare l’informazione che sta per sposarsi. E il futuro marito non dovrebbe chiamarsi Marco (tutti i personaggi minori dei racconti si chiamano Marco) e l’amica non dovrebbe chiamarsi Jenny. Ma vabbè.
Per il resto funziona. Non è particolarmente originale ma colpisce nel segno con la sua verità piccola.

San Gervasio
Ben scritto. Funziona lo sguardo “accanto” a quello della bambina anche se i suoi pensieri sono forse ancora troppo adulti e sarei stato curioso di vedere la festa attraverso i suoi occhi, la magia non edulcorata da pensiero adulto. E’ difficile scrivere una bambina che sia una bambina e non il pensiero di un adulto su una bambina. E’ scrivere un alieno, probabilmente.
Il finale boh. E’ vero, stupisce. Fa fare il saltino sulla sedia perché rivela un pericolo improvviso. Basta per essere un vero colpo di scena? Non lo so. Un po’ ce lo aspettiamo…

Neuronastro
Ok. La fantascienza fa sempre piacere e scrivi abbastanza bene. Con le distopie, purtroppo, c’è sempre il rischio cliché.
Mark Zucker, il governo cattivo in cui non si può parlare di solidarietà… E’ molto l’idea di dittatura futura che avevamo fino agli anni ’60. Poi i dittatori hanno capito che devono far tutto fuorché i dittatori per esercitare il controllo e quindi anche la fantascienza deve cambiare…
Carino, ma un racconto un po’ retrò, insomma.
Bella, invece, l’immagine del presentatore che strappa l’addome di Alison (la fantascienza è sempre ambientata all’estero, perché non può essere Luisa?) e fa vedere gli organi col cartellino. Quell’immagine là funziona un bel po’…

Due maglie rosse
Quanto Stefano Benni. Che è comunque l’amore, secondo me.
L’idea è divertente. Il gioco a chi arriva ultimo può trasformarsi in un racconto epico e ti consiglio di riprendere questo “breve” e trasformarlo in un medio con la telecronaca vera e propria della corsa.
Magari cambiandone il finale. A quanto può arrivare l’orgoglio di vincere? Possono passare anni ed essere sempre in corsa, a sud del nastro da tagliare. Si può aspettare che il rivale muoia pur di non tagliare il nastro, tornare indietro, farsi vite e poi tornare là a vedere che è successo. Si può decidere di non arrivare mai.
Per il resto, molto divertente.

Anonimo
Il racconto non è scritto affatto male. Purtroppo, soffre di immobilità. Niente cambia dall’inizio alla fine. E’ una lunga descrizione di Rambaldo (che sarebbe andata benone per un racconto più lungo) ma il personaggio resta fermo lì. Ha un impeto e muore di nuovo.
So che è dove volevi arrivare – la vita grigia e monotona – ma allora che ti leggo a fare? Ok. Il mondo è grigio, grazie.
Eppure l’idea iniziale è carina: scegliere il più anonimo per inaugurare la fabbrica. Mettere d’improvviso il più insulso al centro dell’attenzione. E avere la possibilità di raccontarlo come persona. E invece è un fallito…
Un racconto deve essere un fuoco che s’accende e si spegne e illumina o un coltello che si conficca. Qui non sono offeso, non sono triste, non si parla di me.



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