BRUTTE BESTIE I CASUARI di Marco Roncaccia
Inviato: martedì 22 maggio 2018, 0:51
Andrea aveva paura.
«Ci vediamo fuori scuola dopo la campanella.» aveva detto Giorgio.
Subito dopo di «Cosa cazzo ti guardi?» e poco prima di «Così ti spacco il culo».
La situazione era decisamente grave.
Giorgio era alto il doppio, stronzo il triplo e quanto a cattiveria, nonostante le sviluppate doti in matematica di Andrea, non era possibile calcolarne il coefficiente.
Andrea non ricordava di averlo guardato, ma non si sentiva di escludere il fatto.
Era spesso distratto e gli capitava di incantarsi a fissare il vuoto ogni volta che era soprappensiero.
In quel particolare frangente rimuginava sull’incredibile incontro di quella mattina nel parco mentre veniva a scuola. Uno strano tacchino gigante alto un metro e mezzo che vagava tra gli alberi e che aveva osservato a distanza.
Aveva fatto qualche ricerca su Internet con il telefonino e il risultato era strabiliante.
Quel buffo essere sembrava essere un Casuario.
Sentiva la necessità di confrontarsi con il prof di scienze su quella incredibile scoperta.
Mentre piantonava la sala professori dal corridoio aspettando l’arrivo del prof, Andrea si era incantato.
Far incazzare un Casuario, aveva pensato, era un brutto affare. Quello strano volatile, non vola per niente.
Però corre e parecchio anche, fino a 50 km orari. Impattare con la sua cresta ossea o con i suoi speroni acuminati o semplicemente con la sua massa corporea, che può arrivare a 70 kg, non deve essere per niente piacevole.
Si stava giusto chiedendo cosa ci facesse a Roma un uccello australiano in via di estinzione, quando Giorgio lo aveva minacciato.
Andrea accantonò le speculazioni su teorici scontri con i Casuari per concentrarsi su quello più urgente e reale con Giorgio.
Fuggire sarebbe servito solo a rimandare.
Avrebbe potuto chiedere scusa, prostrarsi ai piedi di quel bullo. Equivaleva a firmare la sua condanna alla schiavitù fino alla fine delle medie.
Quando la campanella suonò non aveva ancora idea di cosa avrebbe fatto.
Si avviò verso il cancello, sperando che Giorgio si fosse dimenticato di lui.
Uscendo guardò in preda al panico prima a destra e poi a sinistra ma non vide nessuno.
Stava per tirare un sospiro di sollievo quando si ritrovò dolorante con la faccia in una pozzanghera.
Ci mise qualche secondo a riprendersi.
«Ancora mi guardi, brutta caccola?»
In effetti, per la seconda volta in quella giornata, nella visuale di Andrea, alla faccia butterata di Giorgio si sovrapponeva la buffa massa scura con i colori sgargianti del collo e della testa del Casuario.
Arrivava di gran carriera alle spalle del suo assalitore.
Andrea balzò in piedi, qualcosa dentro di lui stava scacciava la paura. Si frappose tra Giorgio e la bestia arrembante. Era convinto che l’uccello lo avrebbe riconosciuto e si sarebbe fermato.
In una frazione di secondo la logica riprese il sopravvento sulla follia dell’adrenalina.
Ricordò di aver letto quella mattina che nel 1926 il sedicenne Philip McClean provò ad uccidere un Casuario. Durante lo scontro l’animale gli sferrò un potente calcio e gli recise la giugulare con un artiglio, facendolo morire dissanguato.
Mentre si rituffava nella pozzanghera, fuori traiettoria, pensò alle coincidenze.
Anche Giorgio aveva 16 anni.
«Ci vediamo fuori scuola dopo la campanella.» aveva detto Giorgio.
Subito dopo di «Cosa cazzo ti guardi?» e poco prima di «Così ti spacco il culo».
La situazione era decisamente grave.
Giorgio era alto il doppio, stronzo il triplo e quanto a cattiveria, nonostante le sviluppate doti in matematica di Andrea, non era possibile calcolarne il coefficiente.
Andrea non ricordava di averlo guardato, ma non si sentiva di escludere il fatto.
Era spesso distratto e gli capitava di incantarsi a fissare il vuoto ogni volta che era soprappensiero.
In quel particolare frangente rimuginava sull’incredibile incontro di quella mattina nel parco mentre veniva a scuola. Uno strano tacchino gigante alto un metro e mezzo che vagava tra gli alberi e che aveva osservato a distanza.
Aveva fatto qualche ricerca su Internet con il telefonino e il risultato era strabiliante.
Quel buffo essere sembrava essere un Casuario.
Sentiva la necessità di confrontarsi con il prof di scienze su quella incredibile scoperta.
Mentre piantonava la sala professori dal corridoio aspettando l’arrivo del prof, Andrea si era incantato.
Far incazzare un Casuario, aveva pensato, era un brutto affare. Quello strano volatile, non vola per niente.
Però corre e parecchio anche, fino a 50 km orari. Impattare con la sua cresta ossea o con i suoi speroni acuminati o semplicemente con la sua massa corporea, che può arrivare a 70 kg, non deve essere per niente piacevole.
Si stava giusto chiedendo cosa ci facesse a Roma un uccello australiano in via di estinzione, quando Giorgio lo aveva minacciato.
Andrea accantonò le speculazioni su teorici scontri con i Casuari per concentrarsi su quello più urgente e reale con Giorgio.
Fuggire sarebbe servito solo a rimandare.
Avrebbe potuto chiedere scusa, prostrarsi ai piedi di quel bullo. Equivaleva a firmare la sua condanna alla schiavitù fino alla fine delle medie.
Quando la campanella suonò non aveva ancora idea di cosa avrebbe fatto.
Si avviò verso il cancello, sperando che Giorgio si fosse dimenticato di lui.
Uscendo guardò in preda al panico prima a destra e poi a sinistra ma non vide nessuno.
Stava per tirare un sospiro di sollievo quando si ritrovò dolorante con la faccia in una pozzanghera.
Ci mise qualche secondo a riprendersi.
«Ancora mi guardi, brutta caccola?»
In effetti, per la seconda volta in quella giornata, nella visuale di Andrea, alla faccia butterata di Giorgio si sovrapponeva la buffa massa scura con i colori sgargianti del collo e della testa del Casuario.
Arrivava di gran carriera alle spalle del suo assalitore.
Andrea balzò in piedi, qualcosa dentro di lui stava scacciava la paura. Si frappose tra Giorgio e la bestia arrembante. Era convinto che l’uccello lo avrebbe riconosciuto e si sarebbe fermato.
In una frazione di secondo la logica riprese il sopravvento sulla follia dell’adrenalina.
Ricordò di aver letto quella mattina che nel 1926 il sedicenne Philip McClean provò ad uccidere un Casuario. Durante lo scontro l’animale gli sferrò un potente calcio e gli recise la giugulare con un artiglio, facendolo morire dissanguato.
Mentre si rituffava nella pozzanghera, fuori traiettoria, pensò alle coincidenze.
Anche Giorgio aveva 16 anni.