I commenti di Enrico Pandiani ai racconti finalisti

Appuntamento per lunedì 17 settembre 2018 dalle 21.00 all'una con un tema della guest star del mese ENRICO PANDIANI!
Avatar utente
antico
Messaggi: 7171

I commenti di Enrico Pandiani ai racconti finalisti

Messaggio#1 » lunedì 8 ottobre 2018, 20:30

Immagine

Dunque, ho letto i racconti con attenzione e, prima di mettermi a sproloquiare, voglio soltanto precisare che le mie sono opinioni da lettore. Lo dico perché non sono un editore, né un editor, e tra l’altro non sono mai riuscito a capire come ragioni l’editoria.
Inoltre, non credo ci sia nulla di più difficile di un racconto breve. Scrivere un romanzo, al confronto, è una passeggiata. Meno parole si hanno a disposizione, più è complicato dare senso compiuto a un testo.

Il tema del concorso
Il tema della città multietnica, a mio avviso è stato un poco trascurato o travisato, nel senso che tutti i racconti sono una sorta di metafora e nessuno ha preso in considerazione l’aspetto sociale del problema. Mi sarei aspettato racconti che parlavano delle nostre città, della convivenza tra differenti etnie, dell’immigrazione e, per chi ci crede, nella possibile integrazione o nei problemi che tutto questo crea. I racconti sono molto lontani da tutto questo e la cosa mi stupisce. Penso che oggi la maggior parte delle storie uno scrittore le possa trovare in questi temi. Al contrario, pare che i vostri racconti abbiano deliberatamente sorvolato tutto ciò e se ne siano tenuti, se non lontani, al di sopra della realtà.
Sono certo che se aveste raccontato ciò che abbiamo attorno tutti i giorni, la lettura sarebbe stata più interessante. Avete scelto qualcosa di più simile a una fantascienza, o un futuro prossimo venturo e non mi spiacerebbe conoscerne le ragioni

A bomba.
La prima impressione che ho avuto, diciamo generalizzata, è che pochi abbiano riletto con attenzione il proprio lavoro, per limarlo, togliere l’eccesso di parole simili, un po’ di aggettivi e via discorrendo.
Altra cosa che ho notato subito, leggendo i racconti, è stata una certa propensione, in quasi tutti, a cercare scappatoie per esprimere concetti che non ne richiedevano alcuna.
Un paio di esempi:

“producendo uno cigolio fragoroso”; Un ciglio è stridente, fastidioso, ma mai fragoroso. Lo è un incidente d’auto, piuttosto o un’esplosione.

“una svapata di cinque secondi”; cosa diavolo è una svapata?

“Presi un polmone con le mani strette a coppa”; le mani a coppa fanno pensare più all’acqua che a un polmone, che penso sia un oggetto abbastanza grande e gommoso.

“corrono attraverso un fiume umano”; non torna, attraverso un fiume umano ci si muove con difficoltà, non è possibile correre.

“facendo scattare il calcio del fucile sulla sua faccia” facendo scattare è bruttissimo, piuttosto avrei scritto semplicemente “colpendolo in faccia con il calcio del fucile”

“Scoppiò una ressa paurosa” una ressa è gente accalcata o in coda o che riempie un luogo. In questo caso era meglio far scoppiare una “rissa” o meglio una “colluttazione” o un “tafferuglio”

“fu portato via dalla corrente della fiumana di gente”; così è involuto e si ripete, corrente e fiumana sono la stessa cosa. Piuttosto “venne trascinato via dal fiume di persone”.

E altri che non mi metto qui a elencare. In sostanza è sempre meglio dire una frase nella sua maniera più semplice e corrente. Sono le idee brillanti a stupire il lettore, non lo storpiamento del linguaggio. Se una parola non vi convince, controllatene il significato sul dizionario.


Qualche commento sui racconti:

Mille colpi di pistola
L’idea non è male, il futuro ne viene fuori, ma i personaggi e il loro scopo rimangono piuttosto fumosi. Il racconto ti molla a metà, ti lascia insoddisfatto perché senti la necessità di qualcosa di più. Intendo dire che le ragioni e i perché di ciò che succede non sono facilmente immaginabili.
La scrittura non è male, ma c’è sovrabbondanza di frasi troppo corte e questo da al ritmo una lettura singhiozzante che rischia di stancare. Suggerirei all’autore di provare ad allungare certi periodi per aumentare la scorrevolezza della narrazione (e della lettura).

Tutto sa di pollo
Pur essendo goloso di pollame, ho avuto qualche difficoltà a entrare in sintonia con il racconto. Si capisce che si tratta di una metafora, ma non ho capito bene se racconti un’inversione di ruoli (animale-uomo) o la critica a un certo tipo di allevamento, o si svolga in una qualche fumeria d’oppio del futuro frequentata da polli intelligenti. Anche qui credo che manchi un preambolo o comunque un aiuto al lettore per entrare nel vivo della narrazione. La scrittura è forse un po’ troppo sincopata e i dialoghi un po’ troppo surreali.

Il mio quartiere
C’è l’idea, ma immagino ci fosse il tempo per fare qualcosa di più, per renderlo meno abbozzato. Mi dà l’idea di un compito in classe consegnato troppo in fretta, il minimo indispensabile per prendere una sufficienza. È ovvio che si intuisce che qualcosa non torna e che una situazione normale è stata rovesciata, ma tutto rimane troppo sospeso. Credo che uno sbaglio comune sia quello di pensare che il lettore abbia intenzione di fare grandi sforzi per colmare le lacune che l’autore gli lascia. Non è così, il lettore va fatto pensare, questo è vero, ma sui temi che gli si propongono, non su cosa avrebbe dovuto esserci fra le righe. Anche qui la scrittura funziona, ma tra un dialogo e l’altro la si poteva arricchire.

Abusivi
Di nuovo, la metafora si percepisce, ma un minimo in più di contesto (per chiarire l’olocausto, ad esempio) aiuterebbe molto la lettura. Non è lampante nemmeno da che parte stia l’autore, ma questo può essere un aspetto positivo. Però sia Delta 7 che il “portale temporale” lasciano in chi legge una curiosità insoddisfatta. Un racconto breve non può essere trattato come il capitolo di un romanzo, non basta un’idea, deve diventare un’opera compiuta e questo presuppone un lavoro enorme sulla sintesi. Anche qui la scrittura è buona ma c’è poco lavoro sulla scorrevolezza narrativa.

L’isola
Mi è piaciuta l’idea di un racconto formato quasi da un unico dialogo, con poche concessione alla parte narrata. Anche il contesto è interessante e la padronanza della scrittura è buona riuscendo a rendere credibili le frasi parlate. L’idea di un’isola di ghetti che non comunicano tra loro è forte, anche se ho sentito la necessità di un ulteriore approfondimento. Però funziona.

Zhang 7 su 7
L’idea mi è piaciuta molto, la contrapposizione, l’intolleranza e l’incomunicabilità vengono fuori bene così come l’idea che di questo stato di cose qualcuno ne approfitti e lo pieghi a proprio vantaggio. La scrittura è buona. Anche qui una ulteriore caratterizzazione dei nuclei famigliari, che so, una descrizione degli appartamenti o dello stile di vita, sarebbe stata interessante per creare un’empatia con i personaggi. La scrittura mi è piaciuta, anche se il nome Aloisio, così strano da parere sforzato vampireggia su tutto.

È tornato
Un ritorno del messia, per lo meno, questa è stata la mia lettura, meritava un poco più di chiarezza. Il racconto è confuso, anche se le immagini che ne vengono fuori non sono male. Si capisce anche dove l’autore voleva andare a parare, ma, di nuovo, mancano un contesto e gli accadimenti sono troppo vaghi. Perché ritorna? Con quale scopo? Mancano soprattutto un prima e un dopo l’arrivo dello sconosciuto che meritava una maggiore attenzione.

Purificazione
L’ho trovato un po’ troppo splatter e un poco confuso, anche la scrittura è da affinare, a mio parere. Il messaggio non è chiarissimo, d’altra parte. Una situazione come quella descritta andrebbe contestualizzata e spiegata meglio. Un racconto breve, così breve, deve dare una lettura immediata, deve sorprendere, altrimenti lascia troppi interrogativi.
In un racconto come questo si sarebbe dovuta cercare una certa dose di empatia, se non con il protagonista, almeno con la sua vittima.

Qualche ulteriore appunto sulla scrittura.

Ho notato spesso (perché capita anche a me) ripetizioni della stessa parola in poche righe. È la disattenzione più abituale, per uno scrittore. Parole come “cosa”, “molto”, “tutto”, “questo”, eccetera, e verbi come “fare”, “dire”, “guardare” e altri, pronomi come “mio” “tuo”, “suo” “lui”, “lei” e via discorrendo, tendono a ripetersi con angosciante frequenza. L’italiano è una lingua che in genere offre una varietà di sinonimi che possono servire in questi casi. È la prima cosa che un editor segnala all’autore. Per questo vale la pena di rileggere spesso ciò che si scrive in modo da correggere questo fastidioso inconveniente.

Altra bestia nera degli editor sono gli avverbi e gli aggettivi. Tutte le parole che finiscono in “mente”, nei limiti del possibile, andrebbero tolte (per esempio, finalmente = alla fine o infine) o comunque limitate tantissimo. Simenon, diceva, quando aveva terminato un romanzo ne scuoteva il manoscritto tenendolo con due mani per far cadere gli avverbi.
Anche un eccesso di aggettivi può risultare fastidioso. Bisogna imparare a ridurli.
Inoltre, a seconda del modo in cui parliamo, ognuno di noi tende a reiterare una certa terminologia che nella lettura salta fuori a intervalli regolari (io tendevo a utilizzare in continuazione la parola “molto”. Gli editor mi hanno levato l’abitudine). È una cosa da tenere sotto controllo.

Per finire, condivido una verità che ho imparato a furia di calci nel sedere: raccontare una storia e scrivere un romanzo (o un racconto) sono due cose differenti. Tutti quanti sappiamo raccontare una storia, ciò che ci è successo la sera prima o quel che pensiamo di una persona. Scrivere un romanzo è un’altra cosa, è comunque un’invenzione e deve seguire determinate regole narrative.

Enrico Pandiani



Torna a “120° Edizione - Pandiani Edition - La Quinta della Sesta Era”

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti