pentimento senza memoria
Inviato: martedì 16 ottobre 2018, 0:59
- Padre, cosa troverò di là?
- Se il tuo pentimento è sincero, confida nella misericordia del Signore:
- Ma ci si può pentire con sincerità di ciò di cui non si ha memoria? Me lo dica Padre!
- Figliolo, forse la tua mente non vuole ricordare, non vuole riconoscere l’abominio dei tuoi atti. Chiedi perdono a Dio e agli uomini e prega per la tua anima, poiché essa conosce i tuoi delitti, essa riconosce quelle mani sporche di sangue.
Il condannato sollevò la testa e senza trovare il coraggio di guardare il prete negli occhi sussurrò:
- Ero ancora un ragazzo la prima volta che lo vidi: era il giorno del mio diploma. Quella sera, dopo che gli ospiti avevano lasciato la casa, la mamma precipitò nella piscina vuota. La sentii urlare il mio nome, corsi in giardino e lui era là, vicino alla piscina. Sorrideva. Restai paralizzato: avevo avuto la sensazione di guardare me stesso al di là di una lente deformante.
Poi, il giorno del mio matrimonio, quando la cugina di mia moglie mi sussurrò all’orecchio quelle parole… “stai tranquillo, la scopata di oggi resterà un nostro segreto”, io, non so per quale motivo, guardai al di là del prato addobbato a festa e lo vidi risalire la collina.
E lo stesso accadde quando morì mio figlio: morte in culla dissero i medici, ma io quel mattino lo avevo visto allontanarsi da casa nostra con un cuscino sotto il braccio.
“Incapacità di accettare il lutto” sentenziarono i luminari che si presero cura di me in seguito alla mia denuncia.
E quando trovarono nella mia cantina gli abiti insanguinati delle bambine trucidate… anche io capii che non c’era nessun “lui”, ero stato io! Ma non so perché, e il come l’ho appreso nel corso del processo. L’unica cosa che ricordi, mentre le sirene della polizia si avvicinavano a casa, è la sua figura ferma in mezzo al giardino e le sue mani insanguinate che si muovevano lente in un amichevole gesto di saluto…
-Figliolo…
Ma non era più tempo di parole. Le guardie carcerarie erano entrate per accompagnarlo al suo ultimo appuntamento.
La tenda si aprì mostrando la stanza al pubblico presente.
Un ambiente asettico, pareti azzurrine e un lettino su cui era disteso il condannato.
La mamma delle bambine piangeva in maniera sommessa, senza distogliere gli occhi da quell’uomo che le aveva portato via le sue gemelline e che ora era legato a quel letto di morte.
Non prestò attenzione all’uomo dalla folta barba e occhiali scuri che sedeva a poche sedie di distanza da lei.
Un uomo che vedeva compiersi la sua vendetta su quel gemello più fortunato, quel fratello che aveva conosciuto l’amore di una famiglia adottiva, quel doppio che aveva avuto tutto quello che a lui era stato negato, un uomo che sorrise compiaciuto quando la tenda si richiuse a nascondere quel corpo ormai esanime.
- Se il tuo pentimento è sincero, confida nella misericordia del Signore:
- Ma ci si può pentire con sincerità di ciò di cui non si ha memoria? Me lo dica Padre!
- Figliolo, forse la tua mente non vuole ricordare, non vuole riconoscere l’abominio dei tuoi atti. Chiedi perdono a Dio e agli uomini e prega per la tua anima, poiché essa conosce i tuoi delitti, essa riconosce quelle mani sporche di sangue.
Il condannato sollevò la testa e senza trovare il coraggio di guardare il prete negli occhi sussurrò:
- Ero ancora un ragazzo la prima volta che lo vidi: era il giorno del mio diploma. Quella sera, dopo che gli ospiti avevano lasciato la casa, la mamma precipitò nella piscina vuota. La sentii urlare il mio nome, corsi in giardino e lui era là, vicino alla piscina. Sorrideva. Restai paralizzato: avevo avuto la sensazione di guardare me stesso al di là di una lente deformante.
Poi, il giorno del mio matrimonio, quando la cugina di mia moglie mi sussurrò all’orecchio quelle parole… “stai tranquillo, la scopata di oggi resterà un nostro segreto”, io, non so per quale motivo, guardai al di là del prato addobbato a festa e lo vidi risalire la collina.
E lo stesso accadde quando morì mio figlio: morte in culla dissero i medici, ma io quel mattino lo avevo visto allontanarsi da casa nostra con un cuscino sotto il braccio.
“Incapacità di accettare il lutto” sentenziarono i luminari che si presero cura di me in seguito alla mia denuncia.
E quando trovarono nella mia cantina gli abiti insanguinati delle bambine trucidate… anche io capii che non c’era nessun “lui”, ero stato io! Ma non so perché, e il come l’ho appreso nel corso del processo. L’unica cosa che ricordi, mentre le sirene della polizia si avvicinavano a casa, è la sua figura ferma in mezzo al giardino e le sue mani insanguinate che si muovevano lente in un amichevole gesto di saluto…
-Figliolo…
Ma non era più tempo di parole. Le guardie carcerarie erano entrate per accompagnarlo al suo ultimo appuntamento.
La tenda si aprì mostrando la stanza al pubblico presente.
Un ambiente asettico, pareti azzurrine e un lettino su cui era disteso il condannato.
La mamma delle bambine piangeva in maniera sommessa, senza distogliere gli occhi da quell’uomo che le aveva portato via le sue gemelline e che ora era legato a quel letto di morte.
Non prestò attenzione all’uomo dalla folta barba e occhiali scuri che sedeva a poche sedie di distanza da lei.
Un uomo che vedeva compiersi la sua vendetta su quel gemello più fortunato, quel fratello che aveva conosciuto l’amore di una famiglia adottiva, quel doppio che aveva avuto tutto quello che a lui era stato negato, un uomo che sorrise compiaciuto quando la tenda si richiuse a nascondere quel corpo ormai esanime.