Semifinale Catia Pieragostini

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Angelo Frascella e Massimo Lunati. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Angelo Frascella e Massimo Lunati assegneranno la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Catia Pieragostini

Messaggio#1 » lunedì 3 dicembre 2018, 23:39

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Cleopatra la divina.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Catia Pieragostini hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Francesco Nucera e Eugene Fitzherbert possono sfruttare i tre giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza:giovedì 6 dicembre alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 06 aprile. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Eugene Fitzherbert
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Re: Semifinale Catia Pieragostini

Messaggio#2 » martedì 4 dicembre 2018, 21:30

Mishima, Inc.
di Eugene Fitzherbert


Ora
«Vieni fuori?» le chiese Tamara.
«Vi raggiungo più tardi.» rispose Giada, mentre si rigirava tra le mani la lettera stropicciata.
«E aprila, sta cazzo di lettera!»
Le mostrò il lato lungo della busta stracciato. «È giù stata aperta, vedi?»
«Quelli sono i controlli di sicurezza, Giada. Sai perfettamente cosa voglio dire!»
Lo sapeva, ma lei non ce la faceva a tirare fuori quel foglio di carta: si limitava a leggere e rileggere il suo nome, Giada Frei, come destinatario, e poi il mittente: Mishima, Inc.
Era iniziato tutto così, con una lettera.


Prima
Gent.ma Sig.ra Giada Frei,
Le comunichiamo che è stata selezionata per ricoprire la carica di Direttore Aziendale della Sede Italiana della nostra azienda, Mishima, Inc, leader nel settore della videosorveglianza e delle analisi tecnologiche.


Seguivano frasi in burocratese di complimenti e felicitazioni. Era stata scelta tra decine di candidati come capo della Sede Italiana di una multinazionale giapponese. Si concesse qualche minuto per sognare, poi tornò a leggere la parte strana della lettera:

C’è un’ultima formalità da espletare, un po’ fuori dal comune, ma gli standard giapponesi della nostra società ci impongono questo comportamento bizzarro.


Continuò a leggere sempre più perplessa.

Ora
Ricordava i proverbiali sacrifici, le notti insonni e tutte le rinunce che avevano preceduto il suo momento di gloria. Rimase seduta sulla brandina, a fissare la carta della busta da lettere che conteneva l’ultima parola di quella storia assurda, l’epilogo che non aveva il coraggio di leggere. La carta era tutta rovinata perché non faceva altro che piegarla, appallottolarla, odiarla e ridistenderla.
Nella testa le tornarono in mente i nomi che l'avevano perseguitata nel sonno: Carola, Nick, e Gravis.

Prima
Dieci: erano le ore che Giada aveva passato dietro la scrivania del suo ufficio alla Mishima, Inc., trascorse a rispondere a un sacco di domande da parte dei dipendenti: dove mettere le macchinette per il caffè, cosa fare in caso di assenza ingiustificata nel reparto Manutenzione, e tanto altro. Era un colloquio al contrario: lei doveva essere intervistata dai suoi dipendenti.
Era quasi sera, e un tremendo dolore di testa le stava quasi togliendo la vista. I caratteri sul monitor del computer si confondevano in macchie dai colori indefiniti e sembravano pulsare a ogni battito del suo cuore. Una fitta le trapanò il cranio e la luce nella stanza si fece più fosca, ottusa, quasi innaturale. Sbatté le palpebre un paio di volte, imputando tutto alla stanchezza e allo stress. Doveva resistere, però, non poteva cedere adesso. Era questo il senso di questo test tutto giapponese: superare questa avversità e dimostrare di essere all’altezza dell’Azienda.
Confidando nella sua sola forza di volontà, fece accomodare l’ultimo visitatore.
«Salve, sono Carola De Fillis, sono qui per il colloquio.»
«Giada Frei. E sono qui per rispondere.»
La ragazza parve esitare. «Mi scusi, è la prima volta che mi capita una cosa del genere.»
Giada sorrise: «Neanche io conoscevo questa usanza giapponese dove i dipendenti devono fare il colloquio al capo. Ma si sa che questi asiatici sono un po’ strani.»
Carola sorrise. «Signorina Frei, lei non teme che lavorando in una ditta di videosorveglianza, si possa essere spiati?»
«Io penso che la Mishima, Inc. sia molto attenta alla privacy dei suoi dipendenti. C’è qualcosa che non va nel suo reparto, signorina De Fillis?»
«Oggi lei non può fare domande, Signorina Frei. Non lo scordi.» rispose veloce Carola.
GIada cercò di cambiare discorso. «Chi mi ha preceduto aveva una gran fretta di andarsene, non trova? Si è lasciato dietro un bel po’ di cose, soprattutto quello.» E indicò il terrario dove viveva languido un serpente brunastro. «Gli animali non dovrebbero stare chiusi in gabbia.»
«Quello è Gravis, il pitone del vecchio capo» precisò Carola. «Si dice sia andato via a causa di un sindacalista. Il capo, non il pitone.»
Giada sorrise neutra a quelle notizie. «Di cosa ti occupi, qui, Carola?»
«Io sono giù ai test, nel seminterrato. Le ho già detto che sono io a fare le domande.»
«Ok, scusami.»
«Io lavoro solo di notte, qui. Mi chiamano Bella di notte.»
Il sole dietro le finestre era tramontato e la luce dell’ufficio, ormai affidata ai neon, conferiva un aspetto innaturale agli occhi spiritati della ragazza. «Va tutto bene, Carola?»
«Sono io che devo fare le domande!» scattò quella, sporgendosi verso la scrivania.
Giada si allontanò, appoggiandosi allo schienale. «Ok. Scusa. Cosa vuoi chiedermi? Vuoi cambiare turno?»
«Io? Perché? Mi piace la notte qui. È silenzioso, siamo in pochi, e il lavoro è piacevole. E poi, con i neon nel seminterrato è sempre giorno.»
Quella ragazza era decisamente stressata.

Ora
Carola: ancora le dava i brividi.
Era solo un po’ stanca. Così aveva liquidato la faccenda, all'epoca. La mancanza di sonno e l’alterazione dei ritmi circadiani mandavano a puttane il metabolismo e alla fine logoravano il cervello. Lei lo sapeva benissimo: quando studiava non dormiva più di tre ore per notte e quando aveva iniziato a lavorare non era cambiato nulla. Non si era data tregua, perché era l’unico modo per affermarsi, per dimostrare chi davvero fosse.


Prima
Carola era andata via, ma le era rimasto l’alone di inquietudine
«Anche questo è il mio lavoro, vero, Gravis?» disse al pitone. «Cosa sarebbe un’azienda senza un operaio fuori di testa?»
Decise di cercare al computer i dati di Carola, quando la porta si aprì all’improvviso e entrò un uomo dagli occhi chiari, quasi sbiaditi, calvo e allampanato. «Buonasera, Capo. Sono Nick, del SISV, sa?» Lo sguardo interrogativo di Giada lo indusse a continuare: «Sindacato Interno Sorveglianza Video.»
«Mai sentito.»
«È una cosa interna, l’unica che ci permette l’azienda. Sa come sono questi giapponesi, no?» E fece roteare il dito indice vicino a un tempia.
«Non credo di aver capito. Cosa desidera, signor Nick? E ce l’ha un cognome?»
«Oggi è il giorno del colloquio, e sono venuto a presentarmi, no? E poi, ho visto che ha appena parlato con Carola. È una strana, non trova?»
«Signor… Nick, non sono qui per fare commenti sugli altri dipendenti. Mi pare una cosa scortese. Lei invece, ha qualcosa da chiedermi? E vorrebbe dirmi il suo cognome per piacere?»
«Certo, scortese. Oggi però non può fare domande, se lo ricorda?»
Questo sembra ancora più schizzato di quell’altra! pensò Giada.
«Signorina Frei, le conviene conoscere i suoi dipendenti. Non se ne pentirà, no?» E detto questo senza neanche aspettare una risposta, uscì.
Il turno di notte era sicuramente popolato da persone strane. Però Nick aveva ragione, avrebbe speso un po’ di tempo a farsi una cultura.
Aprì il database dei dipendenti e cercò Carola De Fillis.
Il dossier della ragazza comparve a schermo. Poco dopo, Giada si prese la testa fra le mani.

Ora
Giada alzò gli occhi dalla lettera.
Ricordava perfettamente la frase con cui si chiudeva il dossier di Carola. Non lasciare mai da sola in turno. Considerata pericolosa per se stessa. L’azienda le concedeva il posto di lavoro come incentivo a ritrovare serenità dopo che il fratello si era tolto la vita quasi senza motivo, di fronte a lei, trapanandosi la testa nel reparto di montaggio. Giada non riuscì a impedirsi di rabbrividire.


Prima
Giada consultò la pianta dell’edificio e trovò dove lavorava Carola. Era il caso di farle vista, per migliorare il rapporto tra capo e dipendente. Avrebbe aumentato il punteggio agli occhi dei vertici aziendali.
Il reparto Dei Test era nel seminterrato. C’era un’attività molto rilassata, il turno di notte era appena iniziato e gran parte dei dipendenti si stava per mettere all’opera.
Giada svoltò un paio di corridoi illuminati dai neon, ed entrò nella stanza dei Test: era vuota e ne approfittò per curiosare un po’ in giro. C’era un sacco di manuali aziendali, di schede tecniche con numeri, diagrammi e specifiche dei prodotti della Mishima.
Il tavolo di Carola era ingombro di roba, pezzi di cavi, attrezzi e resti di circuiti stampati, fogli scritti a mano e stampe casalinghe.
La sua attenzione fu attirata da una foto incorniciata: un uomo di bell’aspetto, calvo, con gli occhi chiari, quasi sbiaditi.
Nick.
«Che ci fa lei, qui?»
La voce di Carola le fece gelare il sangue. «Sono venuto a vedere come stava, signorina De Fillis.»
«Io sto bene. Quel che mi sorprende è che un capo si prenda la briga di venire fin quaggiù. È fuori dall’ordinario»
«Non per me!» affermò Giada.
Carola incrociò le braccia e si limitò a fissarla.
«Ho visto questa foto. Lo conosce, signorina De Fillis? Mi sembra un tipo in gamba.»
Lo sguardo dell’altra fu oscurato da una una cupa rabbia. «E lo ha capito da una foto?»
«Beh, no certo, ci ho scambiato due parole poco fa e...»
Lei scoppiò in lacrime. «Non puoi averci scambiato due parole, è impossibile.» E scappò via verso i bagni.
Giada cercò di calmarla attraverso la porta chiusa, ma la voce rotta di Carola le intimò di sparire.
Era imperativo che scoprisse chi fosse Nick, il fratello di Carola.

Mentre Giada leggeva del sindacalista Nicola de Fillis e del suo recente suicidio, si rendeva conto di che grande cazzata avesse fatto. Ecco perché i pezzi grossi non cercavano alcun contatto con le formiche aziendali: erano tante le cose sconosciute ai piani alti, da far diventare ogni rapporto interpersonale inefficace.
Andò in bagno ad accendersi una Camel. A metà sigaretta, le venne in mente una cosa: «Se Nicola De Fillis è morto con un trapano nel cervello, chi c’era prima nel mio ufficio?» Un intruso?
Lanciò la cicca nel lavabo e si precipitò in ufficio.

Fermo, in piedi, davanti al terrario, Nick stava accarezzando Gravis.
«Chi sei?» chiese Giada, consapevole di giocare una partita pericolosa. Se era un impostore e aveva cattive intenzioni avrebbe dovuto chiamare la sicurezza. Identificò il telefono più vicino.
«Capo, eccoci qui, sì? Vedi che bell’animale?» Nick teneva in mano il pitone, lasciando le sue spire semirigide appese tra le due braccia. «Che vogliamo farne?»
«Ti ho chiesto chi diavolo sei.»
«Ah ah, oggi le domande le facciamo noi.»
«Fanculo questa usanza, sono il capo, decido io chi fa cosa. Perché ti spacci per Nicola De Fillis» E mentre pronunciava queste parole, si lanciò verso il telefono.
L’altro fu più veloce: con un unico movimento la raggiunse alle spalle e le avvinghiò il serpente intorno al collo. Poi, i giri di pitone divennero due: le scaglie di Gravis le scivolavano sulle guance e sulla bocca.
«Hai fatto i compiti, capo. Ora sai chi sono.»
Giada cercò di dire che non poteva essere il fratello di Carola, ma la sua bocca era piena del sapore selvatico e rancido del serpente. Doveva liberarsi. Si rese conto che le spire del pitone stavano iniziando a stringere.
Giada, nonostante il suo stomaco sottosopra, spalancò la bocca più che potè e stringendo gli occhi affondò i denti nel serpente. Era come sgranocchiare uno stivale pieno di melassa calda.
Il senso di rancido aveva lasciato lo spazio a un sapore organico indefinibile, come di macinato andato a male, ma Giada era insensibile, spinta dal solo istinto di sopravvivenza.
Quando ormai le mandibole le dolevano, sentì lo schiocco secco del serpente che si divideva in due, lasciando traboccare i suoi stessi fluidi.
Cadde in ginocchio a terra, mentre le due metà recise del serpente le pendevano accanto come una sciarpa grottesca e gocciolante. Non riuscì a resistere oltre, e con un senso quasi di liberazione, il suo stomaco si ribaltò una prima volta e poi un’altra, come una giostra impazzita, facendole risalire in gola il sapore amaro e acido di succhi gastrici e bile. Alla fine rimase immobile, le mani appoggiate sulle cosce mentre un filo di bava le colava dalla bocca e i monconi del serpente continuavano a perdere fluidi sul pavimento.
Il rumore inaspettato di un oggetto che cadeva a terra attirò la sua attenzione. Si liberò dei resti del rettile e si mise a rovistare spostando budella e vomito. Le sue mani trovarono una chiavetta USB appiccicosa, protetta da un tappo di gomma. Era dentro la pancia del serpente!
«Ah, ecco dov’era! L’unico posto in cui non avrei mai guardato. Ma che bravo, il tuo predecessore.» La voce di Nick dietro di lei la fece trasalire, ma quando si girò per affrontarlo, alle sue spalle non c’era nessuno.
Ripulì la pendrive sui pantaloni da 80 euro ormai da buttare e la inserì, sperando che ancora funzionasse. Ebbe fortuna: dentro c’era un solo file, un video.

Una ripresa da un’angolazione fissa, una telecamera di sorveglianza, mostrava una scrivania.
«Aspetta un momento.» Giada guardò meglio. «Oh cazzo!»
Era il suo ufficio, dove si trovava lei in quel momento. Cercò la telecamera sulla parete opposta, ma non la vide.
Il video presto si popolò di una figura alta, allampanata, senza capelli: Nick. Si guardò intorno poi si girò e invitò qualcuno.
«Ed ecco Carola. Ma che ci fanno qui?»
Nick si poggiò sul bordo della scrivania e afferrò le mani della ragazza. Per essere fratelli sembravano piuttosto intimi.
I due proseguirono a tenersi per mano: parlavano muti. Nick sussurrò qualcosa all’orecchio di Carola. Lei ridacchiò, le mani alle labbra, e si fece un po’ indietro, ma senza allontanarsi. Era una danza, la loro, di quelle che se ne vedono a decine, ma fuori luogo, oscena, perché tra fratelli.
Giada continuò a guardare: Nick e Carola diventavano più vicini, lui che la abbracciava, lei che cercava senza convinzione di respingerlo, e poi, senza preavviso, si avvinghiarono in un bacio appassionato. Giada poteva quasi sentire il rumore dei loro respiri, e trovò tutto disgustoso, più dello spuntino di serpente.
Fece avanzare il video e chiuse gli occhi quando li vide ammucchiati sulla scrivania, a darci dentro come liceali.
La luce nella ripresa cambiò all’improvviso quando si aprì la porta. I due si cristallizzarono terrorizzati, e caddero giù dalla scrivania, cercando di ricomporsi. Entrò in scena un uomo, probabilmente il vecchio capo, alquanto incazzato.
Dopo pochi secondi di litigi muti, il video si interrompeva.

Ora
Nick e Carola. Amanti contro ogni legge della natura, contro ogni volontà sociale. Erano l’uno l’oggetto dell’amore dell’altra, i protagonisti attivi e passivi della loro storia sbagliata.
La lettera era ancora chiusa nelle mani di Giada, e come per i due amanti, anche il suo rapporto con quel pezzo di carta era completamente sbagliato. Era venuto forse il momento di affrontarlo?


Prima
Dopo aver passeggiato su e giù per la stanza, Giada ritornò al computer. Attivò il sistema di sorveglianza, e si mise a guardare nei reparti: arrivò alla postazione di Carola e la trovò vuota. Cercò in tutto l’edificio e alla fine la scovò nel sotterraneo intenta a trafficare alla base di un pilone di cemento. Dopo pochi minuti la ragazza si alzò e prese da terra una borsa di attrezzi, da cui spuntavano antennine e la punta di un trapano. Tirò fuori dalla tasca un cellulare e digitò qualcosa. Alle sue spalle, un LED rosso si accese proprio lì dove aveva appena smesso di lavorare.
«Cazzo, vuole fare saltare l’edificio?»
«E mi sa proprio di sì, cara mia, sai?» Giada trasalì alla voce di Nick. Era alle sue spalle e stava vedendo il video insieme a lui. «È veramente incazzata, povera ragazza. D'altronde ero io, da sindacalista, a essere ricattato da quello che c’era prima di te.»
«Cosa vuoi dire?»
«Non deludermi, Giada. Hai visto quel video. Io lo cercavo da giorni, e non riuscivo a capire dove fosse. Metterlo dentro il serpente è stata un’idea geniale.»
«Dov’è adesso quello che c’era prima di me, Nick? Che gli avete fatto?»
«Non chiederlo a me, cara. Sai chi può darti queste risposte, no?.»
«Mi serve il suo numero...» Trovò il dossier di Carola e la chiamò.
Sullo schermo la vide rispondere.
«Signorina De Fillis, può venire nel mio ufficio?»
«Oggi non può fare domande, Signora. Lo sa come funziona.»
«Lo so cara, ma ho bisogno di parlarle.»
Dopo un veloce «Arrivo.» la vide affrettare il passo fuori dall'inquadratura.

Pochi minuti dopo, Carola entrò nel suo ufficio. Aveva ancora con sé la borsa degli attrezzi.
«Mi spiace per prima. Ho commesso un brutto errore.»
«Ok.»
«Ho letto cosa è successo a tuo fratello. Deve essere stato atroce.»
«Atroce?» scattò l’altra. «Lei non può neanche immaginare. Vede come sono questi trapani?» Tirò fuori dalla borsa il trapano dalla punta lunga quindici centimetri. «Uno deve tenere premuto sempre il tasto per farlo funzionare. Vede?» E le diede una dimostrazione.
Giada cominciava a temere di aver fatto una cazzata.
«Nick lo sapeva. Mi aveva insegnato lui a usare questi aggeggi.» Spense il trapano e lo posò sulla scrivania, dove rimase quieto.
«Ha ragione, la sorellina, eh!» La voce di Nick giunse da dietro la ragazza e poi la figura dell’uomo quasi si materializzò dal nulla.
Carola continuò come se nulla fosse. «Ma lui aveva bloccato il tasto con del nastro adesivo.»
«Ma, scusa non senti la voce...» disse debolmente Giada.
«Sento cosa? Vuoi dirmi che sono pazza come fanno tutti?»
«No, ti prego.»
«Giada, non far la finta tonta. Sai che sono qui solo per te, no? Devo farti i disegnini?» La voce di Nick arrivava dalle spalle di Carola.
«Ci aveva messo il nastro perché sapeva che una volta che la punta fosse arrivata nel cervello, lui avrebbe smesso di premere il pulsante. Voleva essere sicuro di morire.»
«Carola, stai calma!»
«Calma un cazzo! Sono io che ho visto mio fratello cadere a terra tra sangue e pezzi di cervello. E quando la punta si è incastrata nell’osso, il manico ha cominciato a girare su se stesso facendo saltellare la testa. Sembrava che Nick annuisse! È stato orribile. Ho gli incubi. Vorrei che tutti morissero, adesso.»
«Ecco qua, la soluzione finale. Aspettavo che lo dicesse per esserne sicuro.» Nick era ancora lì. La sua voce sembrava rammaricata. «Giada!»
Lei sollevò lo sguardo verso di lui, mentre Carola singhiozzava in preda all'orrore di quei ricordi.
«Credo che siate in pericolo. Credo che mia sorella stia per fare qualche pazzia. Fermala.» Abbassò gli occhi verso Carola. «Poverina. Cosa darei per riaverla tutta per me. Lì fuori da sola e spaurita. Puoi ridarmela?»
Giada stava per urlargli che aveva scopato sua sorella su quella stessa scrivania, che era un pervertito incestuoso e che le faceva schifo anche solo pensarlo, e che Carola era spaurita un cazzo, ma rimase zitta. Forse poteva porre fine a questa follia.
Si alzò, e si avvicinò a Carola che singhiozzava con la testa fra le mani.
«Carola, tu volevi bene a tuo fratello?»
«Lo amavo, segretamente.»
«Cosa faresti per riaverlo?»
«Tutto. Ma lui è morto, me l’hanno suicidato. Avranno quel che meritano, quei porci.»
«Vieni qui.» Disse Giada attirandola a sé. «Cosa stavi facendo giù nei sotterranei?»
Lei si divincolò immediatamente, furente. «Come facevi a sapere che ero lì? Mi stavi spiando? Proprio come quell’altro? Sei una schifosa! Avrei dovuto saperlo!»
«Si è incazzata. Fermala, prima che scappi via!» Nick la incalzava.
Mentre Carola si voltava per correre verso la porta, Giada la afferrò da dietro, bloccandole il collo con un braccio.
«Brava, Giada, tienila così. Indietreggia!»
«Cosa hai fatto al capo precedente, Carola?»
«Non preoccuparti di quello che ho fatto a quel porco, ma pensa a quello che farò a te, puttana. Non credere che io abbia paura di te. Io non ho paura di nessuno.»
«Lo so che sei coraggiosa. Cosa volevi fare giù nel sotterraneo?»
L’altra le rispose con una gomitata.
«Vuoi farci saltare in aria?»
«Non so cosa voglio. Voglio che tutto sparisca: il dolore, la sofferenza, la disperazione. Non voglio più essere sola. E tu non puoi aiutarmi, stronza. Tu sei come loro.» Carola si mise una mano in tasca e prese il cellulare.
«E invece tu sei la sola che può fare qualcosa, Giada. Va’, avanti!»
Le parole di Nick le sembravano ragionevoli, serie. E lei sapeva cosa doveva fare. «Permettimi di aiutarti.» In quel momento Giada toccò con il sedere il bordo del tavolo. Le venne un’idea: con la mano libera cercò a tentoni e lo trovò. Con un rumore sibilante, attivò il trapano. «Vuoi incontrare tuo fratello?»
«Fai in fretta, Giada, credo che stia per fare qualche brutto scherzo. Ti prego, fa presto, ridammela, ridammi la mia sorellina, ridammi il suo sorriso, la sua gioia, i suoi abbracci. TU ci puoi aiutare, Giada. Solo TU! »
«È il momento di andare.» disse Giada e a quelle parole Carola lasciò andare il cellulare.

Ora - Epilogo
La cosa non era andata poi così male. Lei aveva avverato il desiderio Nick e Carola: li aveva fatti tornare insieme.
Non erano stati della stessa idea gli avvocati e i giudici durante il processo per omicidio. Alla fine, la telecamera nello studio c’era, e nelle riprese mute presentate in tribunale si vedeva lei che uccideva un serpente a mani nude e ne mangiava le carni. Lei che minacciava una ragazza con un trapano. Lei che le scavava un buco nella testa, fino a farle saltare un occhio. E non era stata trovata nessuna chiavetta USB compromettente.
Non ci faceva una bella figura.
Avevano detto che era stato un esaurimento nervoso, il suo, avevano insinuato che il motivo era il troppo lavoro, solo perché era sotto stress da settimane, schiacciata dalla sua voglia di avere successo. Qualcuno aveva addirittura insinuato che se fosse rimasta a casa, come è giusto che facciano le donne, tutto questo non sarebbe successo.
Ma lei sapeva che le sue erano state buone azioni. Carola e Nick ora erano insieme per sempre. Non li aveva mai più rivisti, ma le era rimasto il vivido ricordo di Carola che si lanciava verso la figura di suo fratello, felice.
Si rigirò la lettera tra le mani. Si sarebbe finalmente tolta questo peso, e avrebbe potuto raggiungere le altre detenute in cortile.
Alla fine decise di leggerla
.

Gent.ma Sig.rina Frei.

Grazie per aver svolto il nostro colloquio.
Le faremo sapere.

Mishima Inc.

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Re: Semifinale Catia Pieragostini

Messaggio#3 » lunedì 10 dicembre 2018, 10:42

Commenti:

La Signora della droga
Scelgo di promuovere in finale "La Signora della droga".
Pur muovendosi in una situazione di cliché cui letteratura di genere, cinema e serie tv ci hanno ormai abituati, la scrittura appare matura, ben padroneggiata; l'ambientazione e i personaggi sono ben delineati; i dialoghi ritmati e coerenti. Anche se il finale arriva troppo in fretta rispetto al tempo dedicato ad alcune scene domestiche relative ai due protagonisti, ho comunque intravisto in questo sbilanciamento una capacità descrittiva che fa ben sperare nel futuro, quando ci sarà il salto dalla dimensione del racconto a quella del romanzo.


Mishima, Inc.
Non ho scelto "Mishima, Inc." perché sia la struttura del racconto che il suo contenuto mi sono parsi un esercizio di stile abbastanza freddo e poco appassionante e la ricerca dei colpi di scena (poco sorprendenti, in verità) abbastanza forzata. La scrittura è corretta, ma impersonale, quasi una telecronaca che non mi ha rivelato quella voce unica che ogni autore dovrebbe avere. Infine, muovendosi in ambito horror occorre prestare attenzione a non introdurre scene di vita reale che appaiano più inverosimili di una presenza sovrannaturale perché la stonatura allontana il lettore dall'atmosfera che si sta cercando di creare (mi riferisco alla modalità con cui la protagonista si libera da un serpente).

Passa il turno e accede alla finale: La Signora della droga

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