Ci scappa il morto
Inviato: lunedì 18 febbraio 2019, 22:21
“Nulla, caro.”
In aria si librano annoiate le volute di fumo dell’antico, vale a dire il suo sigaro, che lui chiama familiarmente antico omettendo la qualifica toscano perché a lui i toscani stanno sull’anima.
Non sopporto il tuo maledetto sigaro, pezzo d’idiota, non si fuma nei luoghi pubblici anche se sei il padrone di questo luogo pubblico, ecco quello che gli voglio dire.
“Come, nulla?”, ecco quello che invece gli chiedo, un tantino risentito, ma più che altro per prendere tempo. E anche perché un po’ credo di doverlo fare. Un editore ti comunica che il tuo ultimo racconto breve è, secondo lui, “Nulla”, e tu, scrittore di una certa fama e anche di una certa età, non sei nella posizione di dire “Ah, vabbè, allora vado a casa, ho giusto Kind of blue di Miles da ascoltarmi, forse se mi sbrigo me lo sarò sparato tutto prima di pranzo…”. Insomma, devi far vedere che te la sei presa anche un po’ per questo sommario e sprezzante commento.
“Nulla vuol dire esattamente nulla, caro. Proprio nulla, o almeno è ciò che sembra.”
La mia proverbiale calma comincia a dare segni di piccoli scricchiolii, li sento giusto là sotto, dalle parti delle ginocchia. Non ho da perdere poi tanto, rifletto, ma se questo qui continua a sostenere il suo poco lusinghiero giudizio sul mio ultimo racconto breve ci scappa il morto. E non in senso figurato, in senso reale. Una pistola puntata sotto il tavolo può testimoniarlo a sufficienza, credo. Ho provato più volte a fargli capire col dovuto tatto che m’infastidisce quel suo fluttuante aggettivo, quel “caro” lasciato andare al termine di ogni frase che contiene un giudizio, buono o cattivo che sia. “Questo romanzo d’esordio è una bomba, caro, spacchiamo il mercato” mi disse quando avevo più o meno trentadue anni. “Andiamo al lingotto, caro”. “Vinciamo lo Strega, caro”.
“Questo personaggio mi fa schifo, caro”.
E poi, via, giù a spirale, “Scrivi per Harmony, caro, che qualche casalinga magari la fai ancora rabbrividire”.
Fino a “Ormai il grafico che studia le tue copertine mi costa di più di quello che ricavo dalle vendite. Caro. O mi scrivi un racconto breve grandioso, o sei finito. Ma guarda che sia veramente grandioso.”
Sì, sì. Mi sa proprio che ci scappa il morto.
Eh, sì.
Non avrei mai voluto che ci scappasse il morto. Nonostante il mio prodigioso aplomb, non posso evitare di provare un sincero dispiacere nel pensare che fra pochissimo le critiche di Eddy si interromperanno bruscamente in un lampo di cordite, una piccola fiammata scaturita da quella canna di pistola puntata sotto il tavolo. Non vedo il dito che prende contatto con il grilletto.
E’ deciso. O cambia improvvisamente idea su tutto il mio racconto, o purtroppo qualcuno morirà. Lo so bene, ormai non si torna indietro. E’ questione di principio. E lo sa anche lui. Ma saperlo non basta, bisogna proprio che Eddy cambi idea sul mio racconto.
“Eddy, non trovi che sia un fantastico racconto, specialmente tenuto conto che è stato scritto in un quarto d’ora da uno scrittore incatenato alla scrivania e sotto la minaccia di una pistola? Ti garantisco che se mi lasci un altro quarto d’ora posso stravolgerlo, abbellirlo, limarlo, vedrai sarà il più bel racconto breve che tu abbia mai…”
Eddy non cambia idea.
Ed il click del cane è l’ultimo suono che avverto su questa terra, prima che ci scappi il morto.
MARCO CIONI
In aria si librano annoiate le volute di fumo dell’antico, vale a dire il suo sigaro, che lui chiama familiarmente antico omettendo la qualifica toscano perché a lui i toscani stanno sull’anima.
Non sopporto il tuo maledetto sigaro, pezzo d’idiota, non si fuma nei luoghi pubblici anche se sei il padrone di questo luogo pubblico, ecco quello che gli voglio dire.
“Come, nulla?”, ecco quello che invece gli chiedo, un tantino risentito, ma più che altro per prendere tempo. E anche perché un po’ credo di doverlo fare. Un editore ti comunica che il tuo ultimo racconto breve è, secondo lui, “Nulla”, e tu, scrittore di una certa fama e anche di una certa età, non sei nella posizione di dire “Ah, vabbè, allora vado a casa, ho giusto Kind of blue di Miles da ascoltarmi, forse se mi sbrigo me lo sarò sparato tutto prima di pranzo…”. Insomma, devi far vedere che te la sei presa anche un po’ per questo sommario e sprezzante commento.
“Nulla vuol dire esattamente nulla, caro. Proprio nulla, o almeno è ciò che sembra.”
La mia proverbiale calma comincia a dare segni di piccoli scricchiolii, li sento giusto là sotto, dalle parti delle ginocchia. Non ho da perdere poi tanto, rifletto, ma se questo qui continua a sostenere il suo poco lusinghiero giudizio sul mio ultimo racconto breve ci scappa il morto. E non in senso figurato, in senso reale. Una pistola puntata sotto il tavolo può testimoniarlo a sufficienza, credo. Ho provato più volte a fargli capire col dovuto tatto che m’infastidisce quel suo fluttuante aggettivo, quel “caro” lasciato andare al termine di ogni frase che contiene un giudizio, buono o cattivo che sia. “Questo romanzo d’esordio è una bomba, caro, spacchiamo il mercato” mi disse quando avevo più o meno trentadue anni. “Andiamo al lingotto, caro”. “Vinciamo lo Strega, caro”.
“Questo personaggio mi fa schifo, caro”.
E poi, via, giù a spirale, “Scrivi per Harmony, caro, che qualche casalinga magari la fai ancora rabbrividire”.
Fino a “Ormai il grafico che studia le tue copertine mi costa di più di quello che ricavo dalle vendite. Caro. O mi scrivi un racconto breve grandioso, o sei finito. Ma guarda che sia veramente grandioso.”
Sì, sì. Mi sa proprio che ci scappa il morto.
Eh, sì.
Non avrei mai voluto che ci scappasse il morto. Nonostante il mio prodigioso aplomb, non posso evitare di provare un sincero dispiacere nel pensare che fra pochissimo le critiche di Eddy si interromperanno bruscamente in un lampo di cordite, una piccola fiammata scaturita da quella canna di pistola puntata sotto il tavolo. Non vedo il dito che prende contatto con il grilletto.
E’ deciso. O cambia improvvisamente idea su tutto il mio racconto, o purtroppo qualcuno morirà. Lo so bene, ormai non si torna indietro. E’ questione di principio. E lo sa anche lui. Ma saperlo non basta, bisogna proprio che Eddy cambi idea sul mio racconto.
“Eddy, non trovi che sia un fantastico racconto, specialmente tenuto conto che è stato scritto in un quarto d’ora da uno scrittore incatenato alla scrivania e sotto la minaccia di una pistola? Ti garantisco che se mi lasci un altro quarto d’ora posso stravolgerlo, abbellirlo, limarlo, vedrai sarà il più bel racconto breve che tu abbia mai…”
Eddy non cambia idea.
Ed il click del cane è l’ultimo suono che avverto su questa terra, prima che ci scappi il morto.
MARCO CIONI