Estrema unzione

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo marzo sveleremo il tema deciso da Massimo Spiga. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Massimo Spiga assegnerà la vittoria.
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Luca Nesler
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Estrema unzione

Messaggio#1 » lunedì 18 marzo 2019, 20:49

Estrema unzione – Luca Nesler

12 febbraio 2098 – ore 8,00

I passi di Don Giona riecheggiavano nella chiesa vuota e buia. L'unica luce entrava dalle vetrate, sollevando il pulviscolo nel silenzio di quel luogo abbandonato. Il prete vestito di nero si fermò al centro della navata e accennò un inchino all'uomo dietro l'altare. Annusò l'aria, poi sorrise e si spostò per sedersi nel primo banco, incurante dello spesso strato di polvere che lo ricopriva. I tre diaconi che erano entrati con lui lo guardarono sedersi con un velo di disgusto. La voce di Don Giona rimbombò improvvisa nel silenzio:
«Ho sempre amato l'odore di pietra umida e di legno che c'è nelle vecchie chiese. Lei no?»
L'altro prete, con indosso la casula rossa e le mani posate sul tavolo di marmo, annuì con un debole sorriso. La sua espressione era un misto di sorpresa e curiosità. Forse timore.
«Direi che è il profumo del rigore di Dio» continuò Don Giona.
«O della sua misericordia», disse l'altro, «in ogni caso, siete i benvenuti».
Il prete seduto allargò il suo sorriso.
«Beh, sono imprescindibili.»
Gli uomini con Giona parevano annoiati. Uno di loro si avvicinò al prete, ripulì una parte della panca col berretto e gli si sedette a fianco. Gli bisbigliò qualcosa all'orecchio, ma il sacerdote gli fece cenno di aspettare.
«Il mio buon amico Caio mi fa notare che questa chiesa è stata sconsacrata. Direi almeno dieci anni fa. Forse non dovrebbe celebrare in un posto del genere, don...?»
«Don Felipe.»
«Don Felipe. Io sono Don Giona. Non mi pare ci sia una comunità qua attorno.»
«Oh, invece c'è. Sono derelitti, persone senza molta speranza. Per questo sono qui. Del resto, Dio è ovunque.»
«Dove due o più sono riuniti nel mio Nome, io sarò con loro.»
«Esatto.»
«Ed è una comunità nutrita?»
«Non direi, no. Poche decine.»
«E dove se ne stanno? Voglio dire: qua attorno è tutto in rovina. Dove dormono queste povere pecorelle?»
Caio se ne stava seduto scompostamente e si mangiava le unghie, mentre gli altri due diaconi si guardavano attorno come se non avessero mai visto una chiesa. Uno dei due portava una borsa scura.
«Qua e là, in rifugi improvvisati o in altri quartieri.»
Giona annuì e si portò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Osservò il pavimento e ne rivelò il colore spostando la polvere con un piede.
«Che belle. Non ne fanno più di chiese così.»
Si alzò e andò ad accarezzare una colonna. La pietra era butterata dal tempo.
«Lei dove amministra, Don Giona?» chiese Felipe dall'altare.
«Intende dove dico messa?»
«Sì.»
«Ho altri incarichi. Ma da bambino andavo a messa in una vecchia chiesa. Questa me la ricorda molto.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio. Felipe rimaneva in piedi, ora con le mani strette di fronte a sé. Non perdeva di vista nessuno dei quattro uomini appena entrati.
«Come mai, Don Felipe», cominciò Giona voltandosi, «indossa i paramenti natalizi in febbraio?»
«Oh, questa è l'unica tunica che ho trovato in questa vecchia chiesa e le mie mi sono state rubate. Come le ho detto, qui la gente è disperata. Ma io non mi formalizzo.»
«Matteo: “Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che compie la volontà del Padre”. Bravo, Don Felipe» disse il sacerdote in abito scuro, poi si avvicinò all'altare. «Ce ne vorrebbero di più di preti come lei.»
«Grazie, io lo faccio per servire nostro Signore.»
«Ovviamente», disse Giona fermandosi sull'altro lato del tavolo di pietra.
Ora che lo vedeva da vicino, Felipe notò che aveva una cicatrice sul labbro e il viso pareva indurito da una vita dura.
«Nella sua comunità», chiese Giona sottovoce, «ci sono degli antiuntisti?»
L'altro sacerdote deglutì, poi sorrise.
«Probabilmente sì. Non sono venuti a dirmelo.»
«Giusto. In fondo ce ne sono dappertutto. È solo un modo di pensare, no?»
«Non quello corretto.»
«No, certo. Tuttavia», cominciò Giona girando attorno all'altare «finché rimane un'opinione, non è che un peccato veniale.»
Si fermò di fronte a Felipe e gli sorrise.
«Ma noi l'abbiamo interrotta, vero? Che stava facendo?»
Il prete nascose il tremore della bocca con un sorriso.
«Pregavo.»
«Ci perdoni, Don Felipe. Ora ce ne andiamo» disse Giona.
Poi, rivolto ai diaconi impigriti sotto l'altare, aggiunse a voce più alta:
«Chiedete perdono a Don Felipe per l'intrusione!»
«Perdono, Don Felipe» mormorarono.
Giona sorrise e disse:
«La pace sia con te.»
Poi si voltò per andarsene.


14 febbraio 2098 – ore 15,45

Il commissario entrò nella sala col viso contratto in un’espressione di collera mal trattenuta. Percorse l'intera lunghezza della sala ignorando il saluto del prelato e, raggiunta la scrivania, spinse via la poltrona per i visitatori con un calcio.
«È così che gestite le crisi in Vaticano, eccellenza?»
Il cardinale spostò indietro la sedia con espressione sorpresa, poi si schiarì la voce e si alzò in piedi.
«Commissario Leone, sarà che non so di cosa sta parlando, ma non mi spiego la sua irruenza.»
«Non lo sa? Ottavo comandamento: non mentire!»
Il prelato sorrise.
«Mi compiaccio che non abbia dimenticato il catechismo, commissario. Ciò nonostante non so di cosa sta parlando. Mi hanno avvisato della sua visita, ma non del motivo.»
«Glielo mostro subito.»
Il poliziotto toccò il dispositivo personale al polso e visualizzò lo schermo virtuale sulla retina. Sfogliò le cartelle con rapidi movimenti delle dita e, quando trovò le immagini, le proiettò su un ologramma davanti al cardinal Galli che inorridì.
«Oh, per carità!»
«Trentasei corpi. Tutti morti l'altro ieri mattina. Ne ha sentito parlare?»
«No. Avrei dovuto?»
«E me lo chiede? Non ne ha sentito parlare perché nessuno ne ha dato notizia! E io credo che siate stati voi a mettere tutto a tacere.»
«Io?»
«Il Vaticano. Certo, lei. C'è anche un sacerdote nel mucchio.»
Il cardinale rimase un momento pensieroso, poi annuì.
«Certo, ora capisco di che parliamo. Sì, sono al corrente di cosa è successo laggiù. E no, caro commissario, si sbaglia. La notizia non è uscita, perché non c'è alcuna notizia. In realtà è tutto nella norma, anche se ammetto che lo spettacolo è raccapricciante. Manderò gli addetti per dare il giusto seguito alla cosa. Vedrà che ripuliranno tutto.»
«Me ne frego! Ora ha il coraggio di dirmi che si è trattato solo di estrema unzione?»
Il cardinale fece spallucce e sorrise.
«Proprio così.»


12 febbraio 2098 – ore 7,30

Caio chiuse lo sportello dell'auto e passò la borsa a Gregorio.
«Tienila tu.»
«Troppo gentile», disse il giovane diacono issando la borsa su una spalla.
La mattinata era fredda e umida. Le nuvole coprivano il cielo minacciando un acquazzone e ostacolando la luce, che dall'alba faticava a dare colore ai ruderi del quartiere abbandonato.
«Come fanno ad oscurare il segnale dei dispositivi?» chiese Gregorio seguendo i compagni.
«Hanno i loro sistemi. Una volta arrivavano a disfarsene, pur di non farsi trovare.»
«Davvero?»
«Certo, cazzo.»
«E poi? Che facevano senza?»
Don Giona si voltò e mise una mano sulla spalla di Gregorio.
«Sopravvivevano», disse. «Ora abbassa la voce: non voglio che ci sentano».
«Mi scusi.»
Camminavano lentamente tra le macerie e le piante selvatiche. Don Giona, di tanto in tanto si fermava, alzava il mento e chiudeva gli occhi. Nessun rumore oltre al fruscio delle foglie mosse dal vento.
«Di solito li trovate?» chiese Gregorio a Caio.
«Sempre.»
«Anche senza rintracciare i loro dispositivi?»
«Don Giona? Gregorio chiede se li troveremo.»
Il sacerdote sorrise e fece un paio di passi verso il giovane diacono.
«Non ti sei chiesto perché ho atteso una giornata come questa?»
«Non ci ho fatto caso.»
«Questa umidità amplifica gli odori e li porta lontano. Ognuno ha i suoi sistemi: io ho un buon naso. Proseguiamo.»
Artur tirò fuori un pacchetto dalla giacca, sfilò una sigaretta e sollevò un accendino dorato, ma Giona glielo strappò di mano.
«Immagina, Gregorio», disse guardando Artur con biasimo palese, «di dover organizzare un rifugio per una cinquantina di persone. Dopo aver trovato un tetto quale sarà il primo problema da risolvere?»
«Il cibo?»
«No.»
«I letti?»
«Una latrina», disse Caio, poi aggiunse: «Anche gli stronzi devono fare gli stronzi».
«Ed è per questo che non si fuma quando siamo in missione, Artur» disse il prete. «Non voglio che il tuo fumo copra gli odori.»
«Mi scusi, Don Giona. L’avevo dimenticato.»
Camminarono ancora, finché avvertirono ciò che stavano cercando. Giona sorrise e si rivolse di nuovo a Gregorio.
«La senti?»
«Sì, è una puzza terribile», confermò il diacono tenendosi il naso.
«Non è pesce o frutta marcia. Né immondizia o puzza di cadavere. Questo è odore di piscio e merda.»
«Sono vicini», disse Caio cominciando a mangiarsi le unghie. «Dovrebbero essere una quarantina. Cerchiamo un posto grande.»
Artur allungò un dito oltre il tetto di un vecchio discount abbandonato.
«Che ne dite di quella?»
Un campanile svettava sopra gli altri edifici del quartiere. Giona rise.
«Molto appropriato.»


14 febbraio 2098 – ore 16,00

«Lei potrà anche raccontare le sue cazzate al questore, al suo confessore, a chi cazzo le pare, ma a me no! Molti tra quei cadaveri erano atei dichiarati.»
«E con questo?» chiese il cardinale avvicinandosi alla finestra «Non sa che c'è una rilevante porzione della popolazione che, pur non credendo in Dio, desidera l'estrema unzione?»
«Un tempo la Chiesa rispettava la vita. Era una cosa sacra. Dio dà, Dio prende. Ricorda? Ora l’avete tagliato fuori.»
«Certo, una volta era Dio a decidere quand'era giunta la nostra ora. Ma da quando il virus Elisir ha eliminato la morte naturale, molte delle nostre credenze sono cambiate. O meglio, maturate. Se prima era affidato a Dio il momento del nostro trapasso, ora anche questo è affidato al nostro libero arbitrio. Si vede che il Creatore ci reputa sufficientemente maturi.»
«Cazzate. Il virus Elisir è stato creato in laboratorio. Dio non c'entra nulla.»
«Dio c'entra sempre, commissario. L'evoluzione è scandita dalla Sua volontà perfetta. E se i cristiani si affidano ai sacerdoti per vedere il loro Padre Celeste quando si sentono pronti, alcuni atei desiderano solo farla finita. È un problema di tutti. Quelli, li ha visti, erano dei disperati. Anche gli atei si rivolgono alla Chiesa per l'estrema unzione. Quantomeno per poter tramandare il loro patrimonio ai parenti.»
«Certo, sennò sequestrate tutto.»
«La legge lo impone. Questo per il rispetto della vita di cui parlava prima. Il suicidio è sempre stato un peccato per la Chiesa.»
Il commissario scosse la testa disgustato.
«E come spiega che questi atei, volendo abbandonare questa vita grama, si siano fatti sparare addosso?»
«Ognuno può scegliere come morire. Lo facevano gli Americani con la pena di morte già un centinaio di anni fa.»
«Intende dire che una ragazza di ventitré anni ha scelto di andarsene facendosi sparare con un fucile nello stomaco?»
«Improbabile, ma possibile, commissario. In punto di morte chissà come ragiona una mente turbata.»
Il commissario digrignò i denti.
«Che bastardo.»


12 febbraio 2098 – ore 8,10

Giona si fermò e si voltò appoggiandosi all'altare.
«Prima però ci sono alcune cose che mi assillano. Pura curiosità, ma non mi darei pace se me ne andassi senza chiedere.»
Felipe fece un passo indietro e cominciò a tremare. Aveva il fiato pesante, gli occhi umidi e arrossati dalla paura.
«Come mai non ci ha chiesto cosa siamo venuti a fare in questo buco dimenticato da Dio, Don Felipe? Inoltre, davvero ci crede tanto stupidi da pensare che qui si radunino decine di persone senza lasciare una sola impronta? E come mai un sacerdote cristiano chiama la casula, tonaca. E come fa, questo sacerdote cristiano, a non sapere che a natale si indossa quella bianca e non quella rossa?»
La mano destra di Giona salì fino al volto di Felipe e dalla canna della pistola esplose un boato che riecheggiò tra le pareti buie.
Felipe cadde all'indietro col viso aperto sopra il naso. Il sangue sgorgava rapidamente impastandosi con la polvere del pavimento.
«A meno che tu non sia Babbo Natale, caro Felipe», disse Don Giona scuotendo il capo.
Caio si alzò in piedi e si rivolse ai compagni:
«Forza, ragazzi. Cominciamo.»
raggiunse Giona e guardò il corpo a terra.
«Coglione», disse. «Ci hanno visto arrivare, di sicuro».
«Probabilmente dal campanile», confermò Giona, «altrimenti non mi spiego questa mascherata. Siamo attesi. Penso che saranno negli scantinati. Io vado a cercare la sentinella. Fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Potrebbero aver diviso il registro e nascosto in punti diversi.»
Artur si avvicinò a Gregorio e allungò una mano accennando alla borsa. Il ragazzo la posò a terra e l'aprì.
«Passami quello grosso», disse Artur.
Gregorio gli passò un fucile a pompa, prese per sé una mitraglietta e ne raccolse una seconda. Controllò la sicura e la lanciò a Caio mentre Artur recuperava il resto della roba.
I tre diaconi si spostarono verso il fondo della chiesa. Con un calcio la porta della sagrestia cadde. La stanza era deserta. Una stretta scala portava al piano sotterraneo. Scesero in fila indiana fino a raggiungere un corridoio buio. Gregorio provò l'interruttore, ma non c'era corrente. Caio accese una torcia e l'accostò alla pistola puntando il fascio di luce davanti a loro.
«Fate attenzione: ci stanno aspettando.»
Camminarono piano, poi Artur mise una mano sulla spalla di Caio e fermò il gruppo. Portò un dito davanti alla bocca e rimasero in ascolto. Qualcuno piangeva. Un pianto sommesso, ma violento.
Caio indicò un passaggio di fianco che si perdeva nell'oscurità. Soffocò la luce della torcia con la mano e proseguirono lentamente. Il pianto veniva soffocato e, ora che erano più vicini, potevano sentire il sibilo leggero di qualcuno che supplicava silenzio.
«Qui» bisbigliò Caio.
Artur si allontanò di un passo e con un colpo di fucile fece saltare la serratura. La porta si spalancò. Artur accese un bengala e lo lanciò al centro della stanza. La luce rossa e tremula della fiamma mostrò ai diaconi un gruppo di uomini e donne urlanti. Le armi cominciarono a tuonare in modo assordante.
Gregorio vide la bambina con la mano della madre sulla bocca e capì chi stava piangendo. Un secondo dopo erano entrambe stese a terra e il loro sangue si confondeva col riverbero del bengala. Il ragazzo abbassò il mitra e sentì il diaframma spingere fuori la colazione. Gli spari, le urla, l’odore acre e bruciante del fumo lo frastornarono. Sollevò l’arma e saprò una raffica davanti a sé. Artur cadde con un rantolo e a Gregorio si fermò il fiato. Gli aveva sparato lui?
Raccolse il bengala e lo avvicinò al compagno. Era a terra con una mano sulla gola che non riusciva a fermare tutto quel sangue.
«Oh cazzo! Scusami, cazzo! Oh cazzo, cazzo!»
Un antiuntista raccolse il fucile di Artur, lo sollevò e sparse la testa di Gregorio contro il muro, poi si voltò verso Caio e sparò di nuovo. Alla fine anche lui cadde e fu il silenzio.


12 febbraio 2098 – ore 08,15

Don Giona saliva le scale del campanile sentendo il legno scricchiolare. Un baluginio pallido cominciò a rischiarare le pareti. Arrivato in cima controllò fuori: il passaggio era libero. Uscì con la pistola puntata davanti a sé, e si trovò di fronte un ragazzino con un binocolo al collo. Giona abbassò l'arma.
«Guai ad utilizzare la tecnologia o ci scopriranno. Ti hanno detto così?»
Quello lo guardava ad occhi spalancati, senza dire nulla.
Il rumore degli spari salì fino a loro. Gli occhi del giovane si allargarono e la bocca s'incurvò in un'espressione disperata. Don Giona scoprì i denti in un sorriso.
«È andata così. Sei anche tu un antiuntista?»
Il ragazzo rimase immobile.
«Puoi dirlo. Tanto non cambierà niente.»
Silenzio.
«Io l'ho sempre trovato assurdo. Solo perché ora gli uomini non muoiono da soli, non significa che le cose possano durare in eterno. È un ragionamento contrario alla logica, non ti pare?»
«Non siamo contrari alla casualità», disse il ragazzino con la voce spezzata dal picco d'adrenalina, «ma dall'arroganza della Chiesa: pensate di essere in diritto di decidere per gli altri quando e come devono morire. Questo è sbagliato!»
Il prete annuì osservando il ragazzo. Era davvero un peccato.
«Come ti chiami?»
«Francesco.»
«Signore, il nostro fratello Francesco che riceve nella fede l'unzione da te benedetta, vi trovi sollievo nei suoi dolori e conforto nelle sue sofferenze» poi alzò la pistola e la puntò contro il viso del ragazzo. «Per Cristo nostro Signore».
Il grilletto si chiuse contro l'impugnatura e il colpo risuonò nel cielo bigio. Il ragazzo si scansò e il proiettile gli scalfì il cranio lanciando un fiotto di sangue contro il pavimento. Francesco urlò, si sfilò il binocolo e lo lanciò con la forza della disperazione, colpendo la bocca del sacerdote che perse la pistola.
In un attimo entrambi si trovarono faccia a faccia, con le mani protese a cercare l'arma a terra, ma il ragazzo fu più svelto. Fece un passo indietro, sollevò la pistola e sparò. Il colpo attraversò l'addome di Giona che avvertì la fitta peggiore della sua vita. Si piegò e vide l'espressione terrorizzata del ragazzino mentre indietreggiava ancora, incapace di tollerare la vista di ciò che aveva davanti.
«Stupido», disse. «Togliere la vita è compito esclusivo dei ministri di Dio.»
Si tirò su e spinse Francesco che urtò conto al parapetto e finì di sotto gridando. Giona si sporse. Il ragazzo era morto.
Si volse a controllare meglio una cosa che aveva notato con la coda dell'occhio: a terra c'era un registro cartaceo. Sorrise e lo raccolse. Scendendo le scale cominciò a sfogliarlo. Era proprio quello che cercavano.
Barcollò e si appoggiò al muro. Guardò indietro.
«Troppo sangue» pensò. «Questa volta è finita».
Infilò una mano in tasca e prese l'accendino dorato di Artur.
«Benedetta Provvidenza» pensò.
Mentre i sensi lo abbandonavano vide le pagine prendere fuoco. Lasciò cadere tutto sulle scale e si sdraiò mentre il respiro si faceva sempre più faticoso e il sangue gli riempiva la bocca.
«In manus tuas pater... Commendo spiritum... »
Poi tutto divenne nulla.


14 febbraio 2098 – ore 16,15

«Non mi prenda per il culo, eminenza: quelli erano reietti. Non avevano patrimoni o proprietà da lasciare a nessuno. Sono stati ammazzati dai vostri sicari. Altro che estrema unzione!»
«Queste sono sciocchezze senza alcun fondamento.»
«Davvero? Girano voci che un antiuntista avesse messo le mani su un registro. Un documento di carta. Qualcosa che non può entrare nella rete, non accessibile. Qualcosa di segreto dove erano segnate tutte quelle benedizioni che elargite a chi non le ha chieste. I miei uomini sono intervenuti per l'incendio del campanile. Era quasi tutto bruciato, ma sul corpo di Felipe Conte abbiamo rinvenuto questo.»
Il commissario trasse dalla tasca un registratore di inizio millennio. Una di quelle vecchie macchiette illegali usate da chi non voleva farsi trovare dalle autorità. Attrezzatura disconnessa. Premette il tasto col triangolo e ne uscì una voce leggermente distorta:
«... Fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Potrebbero aver diviso il registro e nascosto in punti diversi.»
Il sorriso del cardinale si spense e il commissario annuì.
«È stata rilevata della carta bruciata tra i resti del campanile. E ora cosa mi racconta, eminenza?»
«Che lei è un uomo integro e in gamba, commissario. Se solo fossero tutti come lei... »
«Lo sa? Anche un sospetto basta a portare qualcuno a rovistare nell'immondizia. Anche se il questore, il sindaco o l'intero Governo sono corrotti da voi finti moralisti, tra i giornalisti qualcuno parlerà. Allora non ci sarà ombrello che vi salverà dalla pioggia di merda che colpirà il Vaticano.»
Il commissario raccolse il registratore, lo rimise in tasca e uscì sbattendo la porta.
Qualche istante dopo un prete bussò ed entrò nella sala. Il cardinale sospirò e tornò a sedersi alla scrivania facendo cenno all’uomo di avvicinarsi.
«Problemi, eccellenza?»
«Mmm. Il commissario Leone è un buon cristiano, ma l'eternità spaventa, specie se si conduce una vita a contatto con la sofferenza. Mi ha confidato questo.»
«Capisco.»
Il prete fece per uscire, ma sulla porta si fermò.
«Ha detto qualcosa sulla scelta del modo?»
Il cardinale ci pensò un momento, poi annuì.
«Ha detto: un colpo di fucile allo stomaco.»



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Re: Estrema unzione

Messaggio#2 » lunedì 18 marzo 2019, 20:51

I BONUS:
1) Altissima mortalità dei personaggi
2) Uso creativo della scurrilità (se è valido anche solo una o due frasi)
3) Impiego di almeno un termine in latino

Spero di aver fatto tutto giusto...

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Re: Estrema unzione

Messaggio#3 » martedì 19 marzo 2019, 8:07

Limite di caratteri rispettato e bonus dichiarati… direi che per ora hai fatto tutto quello che dovevi!
Benvenuto su La Sfida a…

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Re: Estrema unzione

Messaggio#4 » martedì 19 marzo 2019, 10:31

grazie grazie!

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Re: Estrema unzione

Messaggio#5 » martedì 26 marzo 2019, 10:31

Ciao Luca!

Parto subito in quarta con il tuo racconto, dato che già l'avevo letto da qualche giorno e attendevo l'inizio dei giochi per poterlo commentare.
Il tono di questa storia distopica, forse ambientata in un futuro non troppo lontano, mi è piaciuto molto. Un futuro dove la gente non muore più di morte naturale fa venire i brividi, ma se questo futuro è anche dominato da fanatici religiosi... Qua mi parte l'ateismo violento. Ci siamo capiti.
La storia funziona, i toni molto pulp della parte ambientata nella chiesa sconsacrata funzionano bene, Don Giona e i suoi sgherri mi hanno ricordato tanto i personaggi di un film di Tarantino. Duri e forti, ma fallibili e inclini a fare cazzate come qualunque altro essere umano.
La parti di dialogo tra il commissario e il cardinale mi hanno convinto di meno. Sono funzionali a spezzare la narrazione principale instillando la curiosità nel lettore, ma sembrano avere troppo la funzione di "spiegone" su quello che è accaduto.
Comunque, si tratta sostanzialmente di un buon lavoro. C'è violenza, c'è tensione, l'ambientazione funziona. Forse l'avrei fatto terminare in maniera differente, il commissario non è un personaggio a cui ci si affeziona più di tanto, quindi la sua prossima morte non mi ha suscitato emozioni.
Non ho ancora letto gli altri racconti in gara, quindi non ho ancora idea di come lo posizionerò in classifica, ma il parere è più positivo che negativo.
Passo ai bonus:
Altissima mortalità dei personaggi: C'è una strage, muoiono sia le vittime che gli autori in maniera totalmente sanguinosa. Direi che ci siamo.
Uso creativo della scurrilità: Qui non so proprio quanto essere fiscale. La battuta sulle merde che producono altre merde ci sta, ma è l'unica che mi abbia suscitato qualcosa. Ci sono cazzi, merde e vaffanculi, ma non lo definirei propriamente un uso creativo. È sufficiente una battuta? Parliamone, se vuoi.
Uso di almeno un termine in latino: l'hai inserito, niente altro da dire.

A presto!

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Re: Estrema unzione

Messaggio#6 » martedì 26 marzo 2019, 23:59

Ciao Maurizio. Comincio dalla fine: la scurrilità usata in modo creativo. Come per il termine latino io direi: hai trovato che ci fosse? Non ne facevo una questione di quantità, ma capisco il tuo dubbio (l'ho avuto anch'io dopo aver scritto) e lascio a te la decisione. In fondo non è importante.

Per il resto immaginavo che cogliessi il "Tarantino" e mi fa piacere. Mi sono buttato su quel tipo di situazioni perché mi sembrava un buon modo di raccontare questo stralcio che, in definitiva, ha di originale solo l'idea del battesimo al contrario (e capisco l'ateismo violento).
Sulla parte del dialogo tra commissario e cardinale hai perfettamente ragione: serve a spezzare il ritmo per giocare con l'intreccio (ho fatto un tentativo) e per spiegare il contesto. In effetti è uno spiegone e ha toni del tutti diversi dalla parte nella chiesa che preferisco. Però non saprei come migliorarlo, inoltre anche stavolta non avevo più spazio.

Ho cambiato i nomi di alcuni personaggi per recuperare caratteri!

Comunque mi fa piacere che ti sia piaciuto!
Ti ringrazio e a presto!

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Re: Estrema unzione

Messaggio#7 » mercoledì 27 marzo 2019, 10:49

Luca Nesler ha scritto:Ciao Maurizio. Comincio dalla fine: la scurrilità usata in modo creativo. Come per il termine latino io direi: hai trovato che ci fosse? Non ne facevo una questione di quantità, ma capisco il tuo dubbio (l'ho avuto anch'io dopo aver scritto) e lascio a te la decisione. In fondo non è importante.


Il bonus sul latino però dice chiaramente "uso di almeno un termine", quindi ne basta uno per prenderlo. Così come quello sulla mortalità, dice "altissima", che io classificherei con la morte di almeno l'80% dei personaggi presenti.
Quello sulla scurrilità è un po' più fumoso. Credo che valuterò la questione anche in base agli altri racconti del girone, credo sia giusto premiare chi ne ha fatto un uso più massiccio.

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Re: Estrema unzione

Messaggio#8 » mercoledì 27 marzo 2019, 23:29

Ciao Luca, piacere di leggerti.
Dunque, ho riletto un paio di volte il tuo racconto e penso di essermi fatto un'idea definitiva.
L'idea (se non ho capito male) è quella di un ipotetico futuro in cui un virus impedisce alle persone di morire e la Chiesa, per reazione, crea squadroni della morte per eliminare la gente (contrappasso sulle polemiche per l'eutanasia, forse?). In questo ambito, seguiamo l'ultima spedizione di Don Giona, che si intreccia con un successivo incontro tra un poliziotto e un alto prelato.
Partiamo dagli elementi positivi: la parte dedicata a Don Giona è molto ben fatta, con una particolare cura per i dettagli che ho apprezzato. Il prete agisce come un cacciatore, con freddezza e lucidità ben descritte. Lo scontro nelle celle, poi, è il momento migliore della storia a mio giudizio: breve, concitato e stilisticamente ben reso. Per contro, lo scontro tra Don Giona e il ragazzino mi ha lasciato perplesso: l'idea di un bambino che schivi un colpo di pallottola in quel modo e riesca ad uccidere un avversario palesemente meglio preparato e armato di lui semplicemente lanciandogli contro un binocolo è una concessione ai cliché action che non mi aspettavo (al punto che, quando ho letto la risposta incredibilmente matura che dà al prete, ho pensato che fosse una qualche sorta di mutante). Nel complesso, quindi, la parte più d'azione è ben resa.

Passiamo ai problemi, primo fra tutti il contesto. L'idea di partenza non è male, ma il contesto in cui inserisci tutto è così vago e poco definito che la stessa trama viene a mancare di elementi necessari alla comprensione. Per dirne una, il virus Elisir colpisce tutti gli umani del pianeta? Se si, quindi anche il prelato e gli altri sono immortali? E perché la Chiesa reagisce inviando sicari ad uccidere... gente a caso? Sembra di capire che le vittime siano membri di una qualche setta, ma anche qui è tutto tropo fumoso: se tutti sono immortali, questo vuol dire che la Chiesa ha posto un'età limite per morire? Oppure, semplicemente, stabilisce quando uno deve morire e basta?
Non solo: la parte di Don Giona sembra ambientata in un paesaggio devastato, come in un ambiente post-apocalittico, eppure nella parte del commissario sembra di intuire che ci siano strutture statali che funzionino (relativamente) in modo efficiente (hai mai visto un post-apocalittico con commissari di polizia al lavoro?), quindi le due parti sono separate da uno straniamento.
Infine, se la parte del prete è avvincente, quella del commissario e del prelato risulta essere solo un peso per la storia. Dovrebbe spiegare il contesto, ma lo fa poco e male. Dovrebbe dare una buona alternanza stasi-azione, ma finisce per spezzare nei momenti peggiori la tensione narrativa. Dovrebbe offrire una parte più pacata, in cui, magari, abbozzare dei caratteri tridimensionali, ma finisce per produrre lo sterotipo del poliziotto incazzato e quello del cattivo calcolatore che agisce nell'ombra. Dovrebbe dare un finale decente alla storia, ma finisce per buttare altro caos nel mucchio (tra tutti i dubbi, da dove salta fuori l'elenco? Come faceva quella gente ad avere un documento riservato?).

Insomma, il racconto è scritto bene, ma necessita una maggiore contestualizzazione dell'ambientazione, che, così com'è, è troppo confusa per poter davvero sorreggere la narrazione del racconto.
Un consiglio: se non hai intenzione di lasciarlo cadere, potrebbe convenire creare un'ambientazione condivisa, in cui ambientare la storia, in modo da sviscerarne le caratteristiche anche al di fuori dello spazio del singolo racconto.

Alla prossima!

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Luca Nesler
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Re: Estrema unzione

Messaggio#9 » giovedì 28 marzo 2019, 0:10

Ciao, grazie per l'esaustivo commento. Col senno di poi condivido il tuo parere sulla parte del commissario: è ben stereotipata e piattarella. Avrei dovuto fare meglio. Probabilmente hai ragione anche sul ragazzino. Ho solo pensato che Giona avesse abbassato la guardia e che morisse male proprio perché il suo avversario era un ragazzino, ma la tua critica è giusta.

Mi dispiace invece non aver trasmesso bene il contesto, perché credevo di esserci riuscito. Lo riassumo: nel futuro è stato creato un virus che rende TUTTI immortali. Le implicazioni anche religiose di una cosa di questa portata sono immense e la chiesa rivede le sue posizioni dottrinali. Chi vuole può farsi ammazzare per incontrare dio. La chiesa però, dietro a questa pratica, nasconde dei delitti, cioè ammazza chi fa comodo a lei e finge che siano stati loro a chiederlo. Tengono il registro di questi misfatti in forma cartacea. Qualcuno del movimento contro questa sorta di eutanasia riesce a recuperare questo registro (parliamo di spionaggio) e la chiesa manda Giona a recuperarlo.

L'ambiente come hai rilevato non è post apocalittico, è solo un quartiere abbandonato in cui i sovversivi trovano rifugio. Felipe si finge prete per allontanare i sicari.

Effettivamente a scriverlo è tanta roba. Anche per questo avevo inserito tutta la parte della spiegazione. Forse non era la trama adatta a un racconto di 20000 caratteri, ma sono le prime volte che mi cimento con questi limiti. Sono contento di farne esperienza.

Mi fa piacere che tu abbia comunque apprezzato alcune parti. La prossima volta starò più attento.
Grazie ancora!
Alla prossima!

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Re: Estrema unzione

Messaggio#10 » venerdì 29 marzo 2019, 20:24

Luca Nesler ha scritto:Ciao, grazie per l'esaustivo commento. Col senno di poi condivido il tuo parere sulla parte del commissario: è ben stereotipata e piattarella. Avrei dovuto fare meglio. Probabilmente hai ragione anche sul ragazzino. Ho solo pensato che Giona avesse abbassato la guardia e che morisse male proprio perché il suo avversario era un ragazzino, ma la tua critica è giusta.

Mi dispiace invece non aver trasmesso bene il contesto, perché credevo di esserci riuscito. Lo riassumo: nel futuro è stato creato un virus che rende TUTTI immortali. Le implicazioni anche religiose di una cosa di questa portata sono immense e la chiesa rivede le sue posizioni dottrinali. Chi vuole può farsi ammazzare per incontrare dio. La chiesa però, dietro a questa pratica, nasconde dei delitti, cioè ammazza chi fa comodo a lei e finge che siano stati loro a chiederlo. Tengono il registro di questi misfatti in forma cartacea. Qualcuno del movimento contro questa sorta di eutanasia riesce a recuperare questo registro (parliamo di spionaggio) e la chiesa manda Giona a recuperarlo.

L'ambiente come hai rilevato non è post apocalittico, è solo un quartiere abbandonato in cui i sovversivi trovano rifugio. Felipe si finge prete per allontanare i sicari.

Effettivamente a scriverlo è tanta roba. Anche per questo avevo inserito tutta la parte della spiegazione. Forse non era la trama adatta a un racconto di 20000 caratteri, ma sono le prime volte che mi cimento con questi limiti. Sono contento di farne esperienza.

Mi fa piacere che tu abbia comunque apprezzato alcune parti. La prossima volta starò più attento.
Grazie ancora!
Alla prossima!


Guarda, capisco perfettamente: non hai idea di quante volte sia capitato di avere così bene in testa qualcosa, da non rendermi conto che, messo su carta, il contesto sfugge totalmente, perché al lettore mancano elementi che non avevo messo su carta. Per questo è sempre utile far leggere la storia a qualcun'altro sempre, prima di postare.

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Luca Nesler
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Re: Estrema unzione

Messaggio#11 » venerdì 29 marzo 2019, 21:33

Sacrosanto :D la prossima volta lo farò

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Wladimiro Borchi
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Re: Estrema unzione

Messaggio#12 » mercoledì 3 aprile 2019, 17:46

Ciao Luca,
Il racconto si fonda su un idea davvero bella e ammirevole.
Devo dire la verità, ammiro infinitamente gli scrittori di fantascienza e la capacità di immaginare futuri dispotici e una realtà modificata rispetto all'attuale.
Il tuo racconto va proprio in questa direzione e l'idea l'ho apprezzata a dismisura, oltre ad averla invidiata, come ti ho detto.
Da un punto di vista esclusivamente tecnico ho trovato alcuni punti lievemente contraddittori.
Stupidaggini, in realtà, ma te le segnalo.
All'inizio, ad esempio, ci sono i passi di Giona che riecheggiano e il pulviscolo che si solleva nel silenzio: delle due l'una ho c'è un riecheggio di passi o c'è silenzio... Peraltro, la parola silenzio e ripetuta due volte nel primo periodo e dà un po' fastidio. Forse dovresti inserire un sinonimo. L'incipit è la parte più importante del racconto, quello che ti ci fa entrare dentro, lo devi curare come un bimbo appena nato.
Altra cosa che mi sento di segnalarti il rispetto dei PDV in ogni singolo capitolo.
Se guardi bene i capitoli che si svolgono in curia rispettano più o meno il PDV del Vescovo, mentre quelli che si svolgono in Chiesa usano il PDV di Don Giona. Nel capitolo "12 febbraio 2098 – ore 8,10" il PDV è all'inizio su Giona, poi si sposta sui tre diaconi, poi torna su Giona, la cosa dà un po' fastidio, potresti provare a sistemarla.
In ogni caso una buona prova e un racconto davvero divertente.
A rileggerci presto.
Wladimiro
IMBUTO!!!

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Luca Nesler
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Re: Estrema unzione

Messaggio#13 » giovedì 4 aprile 2019, 10:32

Ciao Wladimiro, ti ringrazio delle preziose indicazioni. In effetti sto scoprendo delle leggerezze nell'uso dei termini e dei PDV a cui devo fare più attenzione. Sono contento che ti sia piaciuto!
Alla prossima

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roberto.masini
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Re: Estrema unzione

Messaggio#14 » giovedì 4 aprile 2019, 20:00

Ciao, Luca.
Ho riletto più volte il tuo racconto. All'inizio mi è parsa geniale l'idea della Chiesa che applica una personale eutanasia. Anche se la tua intenzione era solo quella di descrivere un quartiere degradato, le parole usate evocano scenari apocalittici che mal si conciliano con le indagini di un normale commissario di una normale città. Il commissario doveva spezzare un po ' il ritmo della narrazione, secondo me, c'è riuscito egregiamente.non concordo con le critiche in tal senso. Qualche problema di ambientazione è stato detto ma a me gli ambienti della chiesa sono piaciuti. Riflettendo però sull'idea dell'eutanasia, ho pensato che forse gli immortali (tutta la popolazione affetta dal virus Elisir, elisir di Lunga vita!) avrebbero dovuto morire in un modo strabiliante proprio perché immortali e non con un semplice colpo di pistola. Mac Leod docet!

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Marco Lomonaco - Master
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Re: Estrema unzione

Messaggio#15 » giovedì 4 aprile 2019, 21:02

Ciao Luca, piacere di conoscerti, mi sa che è la prima volta che ci incrociamo, a meno che tu usassi un qualche nickname diverso negli anni passati e ti conoscevo con quello.
Una sola premessa: tutto quello che ti segnalo è relativo al brano e solo al brano, non ti conosco, non so chi sei né ho termini di paragone per capire se tu in genere scriva meglio o peggio di così, quindi mi limiterò a dirti cosa penso del brano e via, sperando che le mie parole possano esserti un qualche modo utili. :)
Trovi i miei interventi tra parentesi quadre direttamente nel testo del tuo brano che ho copiaincollato qui sotto.


Estrema unzione – Luca Nesler

12 febbraio 2098 – ore 8,00

I passi di Don Giona riecheggiavano nella chiesa vuota e buia. L'unica luce entrava dalle vetrate, sollevando il pulviscolo nel silenzio di quel luogo abbandonato. Il prete vestito di nero [occhio qui che dicendo così sembra che Giona e il prete vestito di nero siano due persone diverse] si fermò al centro della navata e accennò un inchino all'uomo dietro l'altare [visto che poi ci dici che è un altro prete, sarebbe meglio chiarire in modo più chiaro i due personaggi subito da queste primissime righe, in modo che non si possa creare confusione, poi, essendo due preti, potresti sostituire l’inchino con una genuflessione che è in teoria obbligatoria per qualsiasi persona di fede ogni volta che passa davanti all’altare]. Annusò l'aria, poi sorrise e si spostò per sedersi nel primo banco, incurante dello spesso strato di polvere che lo ricopriva. I tre diaconi che erano entrati con lui lo guardarono sedersi con un velo di disgusto [occhio anche qui, hai esordito dicendo che i passi di Giona riecheggiavano, aver omesso quelli dei tre diaconi ti fa arrivare qui che uno dice “no, i diaconi non c’erano, a meno che siano 3 diaconi ninja che non fanno rumore” ma è comunque fuorviante e spiazzante in modo sbagliato]. La voce di Don Giona rimbombò improvvisa nel silenzio:
«Ho sempre amato l'odore di pietra umida e di legno che c'è nelle vecchie chiese. Lei no?»
L'altro prete, con indosso la casula rossa e le mani posate sul tavolo [occhio, nessun prete definirebbe “tavolo” l’altare, so che tecnicamente lo sarebbe, ma se la dici così esci dai personaggi] di marmo, annuì con un debole sorriso. La sua espressione era un misto di sorpresa e curiosità. Forse timore.
«Direi che è il profumo del rigore [non si coglie il collegamento che il personaggio fa tra l’odore e il rigore, facendo perdere di forza sia alla battuta in sé che alla sua funzione caratterizzante] di Dio» continuò Don Giona.
«O della sua misericordia», disse l'altro, «in ogni caso, siete i benvenuti».
Il prete seduto allargò il suo [prova a evitare i possessivi quando non sono necessari, alleggerisci di molto la scrittura, qui, per esempio, è ovvio che è il suo di sorriso che allarga, mica l’hai descritto all’altare con un coltello nella bocca del prete che gli chiede “perché sei così serio?” :D ] sorriso.
«Beh, sono imprescindibili.»
Gli uomini con Giona parevano annoiati. Uno di loro si avvicinò al prete [quale prete? Vedi perché ti dicevo di spingere sulla differenziazione della caratterizzazione subito all’inizio? Perché così poi ti apri la possibilità di definire l’uno o l’altro prete in molti modi che ti tornano utili], ripulì una parte della panca col berretto e gli si sedette a fianco. Gli bisbigliò qualcosa all'orecchio, ma il sacerdote gli fece cenno di aspettare. [qui mi soffermo un attimo sulla scelta di un narratore esterno senza focalizzazioni interne, come mai questa scelta? Non dico che sia sbagliata, ma stare vicino al pdv di un personaggio aiuta molto a focalizzare la storia attraverso un filtro percettivo che ti apre un sacco di possibilità, rinunciarci mi sembra poco sensato, soprattutto in passaggi come questo. Però chiedo a te, come mai hai deciso di rinunciare a una focalizzazione interna, magari proprio su Giona?]
«Il mio buon amico Caio mi fa notare che questa chiesa è stata sconsacrata. Direi almeno dieci anni fa. Forse non dovrebbe celebrare in un posto del genere, don...?»
«Don Felipe.»
«Don Felipe. Io sono Don Giona. Non mi pare ci sia una comunità qua attorno.»
«Oh, invece c'è. Sono derelitti, persone senza molta speranza. Per questo sono qui. Del resto, Dio è ovunque.»
«Dove due o più sono riuniti nel mio Nome, io sarò con loro.»
«Esatto.»
«Ed è una comunità nutrita?»
«Non direi, no. Poche decine.»
«E dove se ne stanno? Voglio dire: qua attorno è tutto in rovina. Dove dormono queste povere pecorelle?» [il comportamento del prete che officia è strano, non gli chiede chi sia, non dice niente che quell’altro lo interrompe con discorsi a caso mentre officia messa… e allo stesso tempo non gli fai fare niente che rafforzi in me lettore l’idea che ci sia sotto qualcosa che non vada. Ti direi di fare almeno una di queste due cose]
Caio se ne stava seduto scompostamente [scomposto? Qui l’avverbio non è necessario] e si mangiava le unghie [cosa che cozza un po’ con la caratterizzazione di persona ordinata e pulitissima che ne hai dato poco fa], mentre gli altri due diaconi si guardavano attorno come se non avessero mai visto una chiesa. Uno dei due [ripetizione due-due] portava una borsa scura.
«Qua e là, in rifugi improvvisati o in altri quartieri.»
Giona annuì e si portò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Osservò il pavimento e ne rivelò il colore spostando la polvere con un piede.
«Che belle. [anche qui, facci capire cosa gli fa dire “che belle”, altrimenti crei distacco dagli eventi, tanto più che hai scelto un narratore esterno non focalizzato, sei una videocamera che fa solo vedere cose, l’aspetto visivo deve diventare preponderante e la fonte di informazioni privilegiata] Non ne fanno più di chiese così. [vedi, se non ci fai vedere cosa gli fa dire questo, uno arriva qui e dice “così come?”]»
Si alzò e andò ad accarezzare una colonna. La pietra era butterata [bella figura retorica, non so se renda benissimo l’idea ma è una bella trovata] dal tempo.
«Lei dove amministra, Don Giona?» chiese Felipe dall'altare. [Felipe sa di sudamericano, prova a caratterizzargli un po’ di più la parlata, altrimenti si sarebbe anche potuto chiamare Martino ed essere Felipe non aggiunge niente alla storia]
«Intende dove dico messa?» [scambio un po’ fuori luogo perché finora non mi hai dato nessun elemento di sospetto su Felipe]
«Sì.»
«Ho altri incarichi. Ma da bambino andavo a messa in una vecchia chiesa. Questa me la ricorda molto.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio. Felipe rimaneva in piedi, ora con le mani strette di fronte a sé. Non perdeva di vista nessuno dei quattro uomini appena entrati.
«Come mai, Don Felipe», cominciò Giona voltandosi, «indossa i paramenti natalizi in febbraio?»
«Oh, questa è l'unica tunica che ho trovato in questa vecchia chiesa e le mie mi sono state rubate. Come le ho detto, qui la gente è disperata. Ma io non mi formalizzo.»
«Matteo: “Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che compie la volontà del Padre”. Bravo, Don Felipe» disse il sacerdote in abito scuro, poi si avvicinò all'altare. «Ce ne vorrebbero di più di preti come lei.»
«Grazie, io lo faccio per servire nostro Signore [va maiuscolo anche Nostro].»
«Ovviamente», disse Giona fermandosi sull'altro lato del tavolo di pietra.
Ora che lo vedeva da vicino, Felipe notò che aveva una cicatrice sul labbro e il viso pareva indurito da una vita dura. [attenzione, qui stai mettendo la focalizzazione su Felipe, cosa che finora avevi accuratamente evitato di fare, cambiare la focalizzazione in corsa è una di quelle cose di cui magari i lettori non si accorgono consciamente, ma alla fine del brano poi dicono “c’era qualcosa di strano che non mi tornava”.]
«Nella sua comunità», chiese Giona sottovoce, «ci sono degli antiuntisti?»
L'altro sacerdote deglutì, poi sorrise.
«Probabilmente sì. Non sono venuti a dirmelo.»
«Giusto. In fondo ce ne sono dappertutto. È solo un modo di pensare, no?»
«Non quello corretto.»
«No, certo. Tuttavia», cominciò Giona girando attorno all'altare «finché rimane un'opinione, non è che un peccato veniale.»
Si fermò di fronte a Felipe e gli sorrise.
«Ma noi l'abbiamo interrotta, vero? Che stava facendo?» [prima avevi lasciato intendere che nonostante l’assenza di fedeli il prete rosso stesse officiando, e gliel’aveva detto proprio Giona, correggi la battuta precedente e fila tutto]
Il prete nascose il tremore della bocca con un sorriso.
«Pregavo.»
«Ci perdoni, Don Felipe. Ora ce ne andiamo» disse Giona.
Poi, rivolto ai diaconi impigriti sotto l'altare, aggiunse a voce più alta:
«Chiedete perdono a Don Felipe per l'intrusione!»
«Perdono, Don Felipe» mormorarono.
Giona sorrise e disse:
«La pace sia con te.» [gli ha dato del lei fino a poco fa, so che è una formula, ma stona, proverei a cercarne un’altra.]
Poi si voltò per andarsene.


14 febbraio 2098 – ore 15,45

Il commissario entrò nella sala col viso contratto in un’espressione di collera mal trattenuta. Percorse l'intera lunghezza della sala ignorando il saluto del prelato e, raggiunta la scrivania, spinse via la poltrona per i visitatori con un calcio.
«È così che gestite le crisi in Vaticano, eccellenza?»
Il cardinale spostò indietro la sedia con espressione sorpresa, poi si schiarì la voce e si alzò in piedi.
«Commissario Leone, sarà che non so di cosa sta parlando, ma non mi spiego la sua irruenza.»
«Non lo sa? Ottavo comandamento: non mentire!»
Il prelato sorrise.
«Mi compiaccio che non abbia dimenticato il catechismo, commissario. Ciò nonostante non so di cosa sta parlando. Mi hanno avvisato della sua visita, ma non del motivo.» [uhm, fin qui pensavo che il commissario fosse entrato nel proprio ufficio e non mi tornava molto la scena, prova a chiarire meglio l’ambito all’inizio, tipo con un establishing shot veloce]
«Glielo mostro subito.»
Il poliziotto toccò il dispositivo personale al polso e visualizzò lo schermo virtuale sulla retina. Sfogliò le cartelle con rapidi movimenti delle dita e, quando trovò le immagini, le proiettò su un ologramma davanti al cardinal Galli che inorridì.
«Oh, per carità!»
«Trentasei corpi. Tutti morti l'altro ieri mattina. Ne ha sentito parlare?»
«No. Avrei dovuto?»
«E me lo chiede? Non ne ha sentito parlare perché nessuno ne ha dato notizia! E io credo che siate stati voi a mettere tutto a tacere.»
«Io?»
«Il Vaticano. Certo, lei. C'è anche un sacerdote nel mucchio.»
Il cardinale rimase un momento pensieroso, poi annuì.
«Certo, ora capisco di che parliamo. Sì, sono al corrente di cosa è successo laggiù. [dai un qualche indizio, anche solo vago, per giustificare il repentino cambio di posizione del cardinale, altrimenti sembra un matto che “no” e poi di botto “sì”] E no, caro commissario, si sbaglia. La notizia non è uscita, perché non c'è alcuna notizia [36 morti nessuna notizia… forse ci manca qualche elemento per capire meglio l’ambientazione]. In realtà è tutto nella norma, anche se ammetto che lo spettacolo è raccapricciante. Manderò gli addetti per dare il giusto seguito alla cosa. Vedrà che ripuliranno tutto.»
«Me ne frego! Ora ha il coraggio di dirmi che si è trattato solo di estrema unzione?»
Il cardinale fece spallucce e sorrise.
«Proprio così.»


12 febbraio 2098 – ore 7,30

Caio chiuse lo sportello dell'auto e passò la borsa a Gregorio.
«Tienila tu.»
«Troppo gentile», disse il giovane diacono issando la borsa su una spalla. [già qui mi hai perso… chi dei due è il giovane diacono? Non si capisce, perché avevi Caio come soggetto ma il parlato è andato a capo quindi si presume che la prima battuta sia di Gregorio, non ci dici chi è giovane e chi vecchio… nel senso, con un attimo di ragionamento si capisce, ma rendimi le cose facili, altrimenti ogni volta che c’è qualcosa che non mi torna devo ritornare a un paio di righe prima per controllare se io abbia capito giusto e mi rompo il ritmo di lettura]
La mattinata era fredda e umida. Le nuvole coprivano il cielo minacciando un acquazzone e ostacolando la luce, che dall'alba faticava a dare colore ai ruderi del quartiere abbandonato.
«Come fanno ad oscurare il segnale dei dispositivi?» chiese Gregorio seguendo i compagni. [ancora, mi presenti una scena con due personaggi e poi mi fai scoprire che i personaggi in scena sono molti di più]
«Hanno i loro sistemi. Una volta arrivavano a disfarsene, pur di non farsi trovare.»
«Davvero?»
«Certo, cazzo.»
«E poi? Che facevano senza?»
Don Giona si voltò e mise una mano sulla spalla di Gregorio. [e appare anche Giona che, così, sembra uscito dal nulla]
«Sopravvivevano», disse. «Ora abbassa la voce: non voglio che ci sentano».
«Mi scusi.»
Camminavano lentamente tra le macerie e le piante selvatiche. Don Giona, di tanto in tanto si fermava, alzava il mento e chiudeva gli occhi. Nessun rumore oltre al fruscio delle foglie mosse dal vento.
«Di solito li trovate?» chiese Gregorio a Caio.
«Sempre.»
«Anche senza rintracciare i loro dispositivi?»
«Don Giona? Gregorio chiede se li troveremo.»
Il sacerdote sorrise e fece un paio di passi verso il giovane diacono.
«Non ti sei chiesto perché ho atteso una giornata come questa?»
«Non ci ho fatto caso.»
«Questa umidità amplifica gli odori e li porta lontano [??? Gli odori si sentono di più con l’aria asciutta, è la pioggia che abbatte pulviscoli e interferenze e quindi poi gli odori si sentono meglio, ma non è l’umidità]. Ognuno ha i suoi sistemi: io ho un buon naso. Proseguiamo.»
Artur tirò fuori un pacchetto dalla giacca, sfilò una sigaretta e sollevò un accendino dorato, ma Giona glielo strappò di mano.
«Immagina, Gregorio», disse guardando Artur con biasimo palese, «di dover organizzare un rifugio per una cinquantina di persone. Dopo aver trovato un tetto quale sarà il primo problema da risolvere?»
«Il cibo?»
«No.»
«I letti?»
«Una latrina», disse Caio, poi aggiunse: «Anche gli stronzi devono fare gli stronzi».
«Ed è per questo che non si fuma quando siamo in missione, Artur» disse il prete. «Non voglio che il tuo fumo copra gli odori.»
«Mi scusi, Don Giona. L’avevo dimenticato.»
Camminarono ancora, finché avvertirono ciò che stavano cercando. Giona sorrise e si rivolse di nuovo a Gregorio.
«La senti?»
«Sì, è una puzza terribile», confermò il diacono tenendosi il naso. [si fa parecchia fatica a seguire i dialoghi, troppi personaggi in scena, troppi nomi tutti insieme, nomi che non sono legati a voci o caratterizzazioni marcate e ben distinguibili… i 3 gregari sono perfettamente sostituibili, il diacono non si capisce cosa ci faccia qui e Giona è l’unico che un po’ si riconosce, per me si fa troppa confusione]
«Non è pesce o frutta marcia. Né immondizia o puzza di cadavere. Questo è odore di piscio e merda.» [Per esempio, chi dice questa linea di dialogo?]
«Sono vicini», disse Caio cominciando a mangiarsi le unghie. «Dovrebbero essere una quarantina. [se lo metti qui sembra che lo desuma dalla quantità di puzza, invece mi pare che gliel’abbia detto il prete rosso nel primo paragrafo, dai il collegamento in modo esplicito] Cerchiamo un posto grande.»
Artur allungò un dito oltre il tetto di un vecchio discount abbandonato.
«Che ne dite di quella?»
Un campanile svettava sopra gli altri edifici del quartiere. [no, ok, ho visto ora che questo paragrafo avviene prima del primo, allora l’info dei 40 è proprio data dalla puzza… mi sembra molto tirata come cosa] Giona rise.
«Molto appropriato.»


14 febbraio 2098 – ore 16,00

«Lei potrà anche raccontare le sue cazzate al questore, al suo confessore, a chi cazzo le pare, ma a me no! Molti tra quei cadaveri erano atei dichiarati.»
«E con questo?» chiese il cardinale avvicinandosi alla finestra «Non sa che c'è una rilevante porzione della popolazione che, pur non credendo in Dio, desidera l'estrema unzione?»
«Un tempo la Chiesa rispettava la vita. Era una cosa sacra. Dio dà, Dio prende. Ricorda? Ora l’avete tagliato fuori.»
«Certo, una volta era Dio a decidere quand'era giunta la nostra ora. Ma da quando il virus Elisir [dettagli che sanno di infodump] ha eliminato la morte naturale, molte delle nostre credenze sono cambiate. O meglio, maturate. Se prima era affidato a Dio il momento del nostro trapasso, ora anche questo è affidato al nostro libero arbitrio. Si vede che il Creatore ci reputa sufficientemente maturi.» [uhm, e questa battuta esce dalla bocca di un cardinale?]
«Cazzate. Il virus Elisir è stato creato in laboratorio. Dio non c'entra nulla.» [ecco, questa mi sarebbe sembrata più la reazione giusta per il cardinale]
«Dio c'entra sempre, commissario. L'evoluzione è scandita dalla Sua volontà perfetta. E se i cristiani si affidano ai sacerdoti per vedere il loro Padre Celeste quando si sentono pronti, alcuni atei desiderano solo farla finita. È un problema di tutti. Quelli, li ha visti, erano dei disperati. Anche gli atei si rivolgono alla Chiesa per l'estrema unzione. Quantomeno per poter tramandare il loro patrimonio ai parenti.»
«Certo, sennò sequestrate tutto.»
«La legge lo impone. Questo per il rispetto della vita di cui parlava prima. Il suicidio è sempre stato un peccato per la Chiesa.» [ho capito cosa intendi, ma il passaggio non è molto chiaro, qui puoi far dire al commissario la cosa in modo un po’ più esplicito senza finire nell’infodump, è come se usasse l’informazione per dare una stoccata al cardinale, ci starebbe e chiariresti meglio la dinamica di questa particolare forma di appropriazione legale dei beni dei defunti]
Il commissario scosse la testa disgustato.
«E come spiega che questi atei, volendo abbandonare questa vita grama, si siano fatti sparare addosso?»
«Ognuno può scegliere come morire. Lo facevano gli Americani con la pena di morte già un centinaio di anni fa.» [uhm, sei sicuro? Perché a me risulta che oggi non decidano i condannati come morire… se chiedi la sedia elettrica ti dicono di no e ti fanno comunque l’iniezione letale]
«Intende dire che una ragazza di ventitré anni ha scelto di andarsene facendosi sparare con un fucile nello stomaco?»
«Improbabile, ma possibile, commissario. In punto di morte chissà come ragiona una mente turbata.»
Il commissario digrignò i denti.
«Che bastardo.» [questo scambio è molto carino]


12 febbraio 2098 – ore 8,10

Giona si fermò e si voltò appoggiandosi all'altare.
«Prima però ci sono alcune cose che mi assillano. Pura curiosità, ma non mi darei pace se me ne andassi senza chiedere.»
Felipe fece un passo indietro e cominciò a tremare. Aveva il fiato pesante, gli occhi umidi e arrossati dalla paura.
«Come mai non ci ha chiesto cosa siamo venuti a fare in questo buco dimenticato da Dio, Don Felipe? Inoltre, davvero ci crede tanto stupidi da pensare che qui si radunino decine di persone senza lasciare una sola impronta? E come mai un sacerdote cristiano chiama la casula, tonaca. E come fa, questo sacerdote cristiano, a non sapere che a natale [maiuscolo] si indossa quella bianca e non quella rossa?» [questo è quello che ti dicevo prima, se non semini almeno piccole briciole di sospetto prima, quando fai succedere queste cose che hai appena elencato, arrivi qui che il twist appare molto forzato e sembra uscito dal nulla, non dà la giusta impressione di preparazione, imho]
La mano destra di Giona salì fino al volto di Felipe e dalla canna della pistola esplose un boato che riecheggiò tra le pareti buie.
Felipe cadde all'indietro col viso aperto sopra il naso. Il sangue sgorgava rapidamente [anche qui l’avverbio in mente è superfluo] impastandosi con la polvere del pavimento.
«A meno che tu non sia Babbo Natale, caro Felipe», disse Don Giona scuotendo il capo.
Caio si alzò in piedi e si rivolse ai compagni:
«Forza, ragazzi. Cominciamo.»
raggiunse Giona e guardò il corpo a terra.
«Coglione», disse. «Ci hanno visto arrivare, di sicuro».
«Probabilmente dal campanile», confermò Giona, «altrimenti non mi spiego questa mascherata. Siamo attesi. Penso che saranno negli scantinati. Io vado a cercare la sentinella. Fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Potrebbero aver diviso il registro e nascosto in punti diversi [cosa? Mi sa che manca qualcosa a questa frase].»
Artur si avvicinò a Gregorio e allungò una mano accennando alla borsa. Il ragazzo la posò a terra e l'aprì.
«Passami quello grosso», disse Artur.
Gregorio gli passò un fucile a pompa, prese per sé una mitraglietta e ne raccolse una seconda. Controllò la sicura e la lanciò a Caio mentre Artur recuperava il resto della roba.
I tre diaconi si spostarono verso il fondo della chiesa. Con un calcio la porta della sagrestia cadde. La stanza era deserta. Una stretta scala portava al piano sotterraneo. Scesero in fila indiana fino a raggiungere un corridoio buio. Gregorio provò l'interruttore, ma non c'era corrente. Caio accese una torcia e l'accostò alla pistola puntando il fascio di luce davanti a loro.
«Fate attenzione: ci stanno aspettando.»
Camminarono piano, poi Artur mise una mano sulla spalla di Caio e fermò il gruppo. Portò un dito davanti alla bocca e rimasero in ascolto. Qualcuno piangeva. Un pianto sommesso, ma violento.
Caio indicò un passaggio di fianco che si perdeva nell'oscurità. Soffocò la luce della torcia con la mano e proseguirono lentamente. Il pianto veniva soffocato e, ora che erano più vicini, potevano sentire il sibilo leggero di qualcuno che supplicava silenzio.
«Qui» bisbigliò Caio.
Artur si allontanò di un passo e con un colpo di fucile fece saltare la serratura. La porta si spalancò. Artur accese un bengala [nella action economy del momento, sarebbe il caso che facessi accendere il bengala a qualcun altro mentre artur sfonda la porta, altrimenti crei un buco di tempo di diversi secondi durante i quali arthur deve abbassare l’arma, prendere il bengala, strofinarlo e aspettare quegli istanti in cui si accende… tutto tempo che un commando non regala al nemico in situazioni di pericolo] e lo lanciò al centro della stanza. La luce rossa e tremula della fiamma mostrò ai diaconi un gruppo di uomini e donne urlanti. Le armi cominciarono a tuonare in modo assordante.
Gregorio vide la bambina con la mano della madre sulla bocca e capì chi stava piangendo. Un secondo dopo erano entrambe stese a terra e il loro sangue si confondeva col riverbero del bengala. Il ragazzo abbassò il mitra e sentì il diaframma spingere fuori la colazione. Gli spari, le urla, l’odore acre e bruciante del fumo lo frastornarono. Sollevò l’arma e saprò [refuso] una raffica davanti a sé. Artur cadde con un rantolo e a Gregorio si fermò il fiato. Gli aveva sparato lui?
Raccolse il bengala [per raccogliere il bengala deve entrare nella stanza piena di sangue e cadaveri, dopo la reazione che ha avuto poco fa mi sembrerebbe più sensato che raccogliesse la torcia, che non era mai stata spenta] e lo avvicinò al compagno. Era a terra con una mano sulla gola che non riusciva a fermare tutto quel sangue.
«Oh cazzo! Scusami, cazzo! Oh cazzo, cazzo!» [è un diacono, non pensi che per farlo stare meglio nel suo personaggio invocherebbe Dio invece che l’organo genitale maschile?]
Un antiuntista raccolse il fucile di Artur [che non avevi fatto cadere lontano da lui], lo sollevò e sparse la testa di Gregorio contro il muro, poi si voltò verso Caio e sparò di nuovo. Alla fine anche lui [lui chi? L’antiuntista o Caio?] cadde e fu il silenzio. [e poi, infatti, Caio che faceva in tutto questo tempo? Non sparava? Nessuna reazione o parola all’incidente di poco prima?]


12 febbraio 2098 – ore 08,15

Don Giona saliva le scale del campanile sentendo il legno scricchiolare. Un baluginio pallido cominciò a rischiarare le pareti. Arrivato in cima controllò fuori: il passaggio era libero. Uscì con la pistola puntata davanti a sé, e si trovò di fronte un ragazzino con un binocolo al collo. Giona abbassò l'arma.
«Guai ad utilizzare la tecnologia o ci scopriranno. Ti hanno detto così?»
Quello lo guardava ad occhi spalancati, senza dire nulla.
Il rumore degli spari salì fino a loro. Gli occhi del giovane si allargarono e la bocca s'incurvò in un'espressione disperata. Don Giona scoprì i denti in un sorriso.
«È andata così. Sei anche tu un antiuntista?»
Il ragazzo rimase immobile.
«Puoi dirlo. Tanto non cambierà niente.»
Silenzio.
«Io l'ho sempre trovato assurdo. Solo perché ora gli uomini non muoiono da soli, non significa che le cose possano durare in eterno. È un ragionamento contrario alla logica, non ti pare?» [andando a capo così, senza ulteriori riferimenti, può sembrare una battuta del ragazzo]
«Non siamo contrari alla casualità», disse il ragazzino con la voce spezzata dal picco d'adrenalina, «ma dall'arroganza [all’arroganza] della Chiesa: pensate di essere in diritto di decidere per gli altri quando e come devono morire. Questo è sbagliato!»
Il prete annuì osservando il ragazzo. Era davvero un peccato.
«Come ti chiami?»
«Francesco.»
«Signore, il nostro fratello Francesco che riceve nella fede l'unzione da te benedetta, vi trovi sollievo nei [dai?] suoi dolori e conforto nelle [dalle? È una formula codificata? Non la conosco] sue sofferenze» poi alzò la pistola e la puntò contro il viso del ragazzo. «Per Cristo nostro [Nostro va maiuscolo] Signore».
Il grilletto si chiuse contro l'impugnatura e il colpo risuonò nel cielo bigio. Il ragazzo si scansò e il proiettile gli scalfì il cranio lanciando un fiotto di sangue contro il pavimento. Francesco urlò, si sfilò il binocolo e lo lanciò con la forza della disperazione, colpendo la bocca del sacerdote che perse la pistola.
In un attimo entrambi si trovarono faccia a faccia, con le mani protese a cercare l'arma a terra, ma il ragazzo fu più svelto. Fece un passo indietro, sollevò la pistola e sparò. [è un po’ forzato questo passaggio, schivare la pallottola di un tizio che sembra sapere quello che fa è un po’ tirata come cosa, il lancio del binocolo da ferito che colpisce con precisione va un pelo più in là, poi Giona perde l’arma e il ragazzino, con la testa aperta e un’arteria che perde, ha la presenza di essere più lucido di un tizio che ha preso un binocolo in bocca… mi sembra un po’ troppo tutto insieme…] Il colpo attraversò l'addome di Giona che avvertì la fitta peggiore della sua vita. Si piegò e vide l'espressione terrorizzata del ragazzino mentre indietreggiava ancora, incapace di tollerare la vista di ciò che aveva davanti.
«Stupido», disse. «Togliere la vita è compito esclusivo dei ministri di Dio.»
Si tirò su e spinse Francesco che urtò conto al parapetto e finì di sotto gridando. Giona si sporse. Il ragazzo era morto. [anche qui, dire che il ragazzo era incapace di tollerare la vista di… non so se sia abbastanza per non fargli usare ancora la pistola, prima ha reagito al pericolo e all’adrenalina sparando, perché ora non fa nemmeno finta di fare qualcosa e aspetta che Giona gli parli, si rialzi, lo raggiunga e lo butti di sotto senza fare nulla? Sembra una di quelle cose che vanno così perché devono andare così nella storia e quindi tirano fuori il lettore dalla sequenza di eventi]
Si volse a controllare meglio una cosa che aveva notato con la coda dell'occhio: a terra c'era un registro cartaceo. Sorrise e lo raccolse. Scendendo le scale cominciò a sfogliarlo. Era proprio quello che cercavano.
Barcollò e si appoggiò al muro. Guardò indietro.
«Troppo sangue» pensò. «Questa volta è finita».
Infilò una mano in tasca e prese l'accendino dorato di Artur.
«Benedetta Provvidenza» pensò.
Mentre i sensi lo abbandonavano vide le pagine prendere fuoco. Lasciò cadere tutto sulle scale e si sdraiò mentre il respiro si faceva sempre più faticoso e il sangue gli riempiva la bocca.
«In manus tuas pater... Commendo spiritum... »
Poi tutto divenne nulla.


14 febbraio 2098 – ore 16,15

«Non mi prenda per il culo, eminenza: quelli erano reietti. Non avevano patrimoni o proprietà da lasciare a nessuno. Sono stati ammazzati dai vostri sicari. Altro che estrema unzione!»
«Queste sono sciocchezze senza alcun fondamento.»
«Davvero? Girano voci che un antiuntista avesse messo le mani su un registro. Un documento di carta. Qualcosa che non può entrare nella rete, non accessibile. Qualcosa di segreto dove erano segnate tutte quelle benedizioni che elargite a chi non le ha chieste. I miei uomini sono intervenuti per l'incendio del campanile. Era quasi tutto bruciato, ma sul corpo di Felipe Conte abbiamo rinvenuto questo.»
Il commissario trasse dalla tasca un registratore di inizio millennio. Una di quelle vecchie macchiette illegali usate da chi non voleva farsi trovare dalle autorità. Attrezzatura disconnessa. Premette il tasto col triangolo e ne uscì una voce leggermente distorta:
«... Fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Potrebbero aver diviso il registro e nascosto in punti diversi.»
Il sorriso del cardinale si spense e il commissario annuì.
«È stata rilevata della carta bruciata tra i resti del campanile. E ora cosa mi racconta, eminenza?»
«Che lei è un uomo integro e in gamba, commissario. Se solo fossero tutti come lei... »
«Lo sa? Anche un sospetto basta a portare qualcuno a rovistare nell'immondizia. Anche se il questore, il sindaco o l'intero Governo sono corrotti da voi finti moralisti, tra i giornalisti qualcuno parlerà. Allora non ci sarà ombrello che vi salverà dalla pioggia di merda che colpirà il Vaticano.»
Il commissario raccolse il registratore, lo rimise in tasca e uscì sbattendo la porta.
Qualche istante dopo un prete bussò ed entrò nella sala. Il cardinale sospirò e tornò a sedersi alla scrivania facendo cenno all’uomo di avvicinarsi.
«Problemi, eccellenza?»
«Mmm. Il commissario Leone è un buon cristiano, ma l'eternità spaventa, specie se si conduce una vita a contatto con la sofferenza. Mi ha confidato questo.»
«Capisco.»
Il prete fece per uscire, ma sulla porta si fermò.
«Ha detto qualcosa sulla scelta del modo?»
Il cardinale ci pensò un momento, poi annuì.
«Ha detto: un colpo di fucile allo stomaco.»


Il brano è un buon brano, non ho molto da dire oltre a quello che ti ho segnalato sul testo. L’idea non è male, l’unica cosa da sottolineare è che il mondo che dipingi, con la sua peculiare questione della dipartita, non mi sembra al 100% funzionale alla storia. Nel senso che è più che altro una nota di colore e la storia funzionerebbe bene anche senza il concept di base dell’ambientazione, perché non è lei che crea il conflitto, ma è solo la “solita” chiesa traslata in un mondo diverso. Questo aspetto ovviamente inficia molto la forza del concept di ambientazione che nelle distopie è sempre il centro della questione e tutto l’impianto narrativo si va a strutturare sulle peculiarità, sui vantaggi e sui limiti del sistema proposto.
Quindi, con un concept così, mi sarei aspettato che il focus fosse sulla vita e sulla morte e sul “problema” della decisione di quando e come morire. Non che questo aspetto non ci sia, ma non è centrale, non è il motore della storia.
Andrebbe rivista e sistemata anche la gestione e caratterizzazione dei personaggi, non hanno una voce autonoma ma sono più dei figuranti di una storia che hai deciso che deve andare in un certo modo e ci va perché ce la mandi, non perché i personaggi ce la portino. Inoltre la morte del commissario non mi ha detto nulla, non c’è stata empatia con lui e quindi anche condannarlo non è che mi abbia smosso.
Mi spiace dirti che ci sono tutti questi problemi, soprattutto perché in generale il brano si legge abbastanza bene ed è un aspetto positivo, però se ci si ferma un attimo a farsi qualche domanda vengon fuori le magagne.
Un po’ forse è colpa degli spazi, in 20k qualcosa bisogna sempre sacrificare, ma non so dirtelo con certezza visto che è la prima volta che ti leggo.
E niente, questo è quanto, se ci incroceremo di nuovo magari saprò contestualizzare meglio il commento, per questa volta mi fermo qui, sperando di averti dato qualche buono spunto di riflessione per prendere questo brano e renderlo migliore.
A rileggerci ;)

Bonus:
ok mortalità,
ok latino,
no uso creativo della scurrilità.
Se dici cose senza senso, sarai trattato come un paroliere.
Sbattuto su e giù e ribaltato su un tavolo, fino a che le tue interiora saranno fuoriuscite.
E ci leggerò dentro ciò che mi pare, magari il futuro. [cit.]

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Re: Estrema unzione

Messaggio#16 » giovedì 4 aprile 2019, 22:11

Ciao Roberto. Grazie per le indicazioni. In questo caso la morte eliminata non era intesa come invulnerabilità, ma come l'eliminazione di quelli aspetti biologici che ci danno una data di scadenza, quindi la vedevo più come una morte normale. Funzioni vitali 0=morte. Comunque di nuovo grazie per le indicazioni e alla prossima.

Ciao Marco, ti confermo che è la prima volta. È il secondo racconto che scrivo qui su MC (il primo proprio su mc). Che lavoro prezioso! Ti ringrazio davvero molto. Ho visto che hai frainteso alcune parti, il che è, a sua volta, un'indicazione importante (come mi hanno già fatto notare molte cose non emergono nel modo giusto). Mi trovo d'accordo con la stragrande maggioranza dei tuoi appunti. Ti ringrazio per la precisione e la sincerità. La prossima volta sarò anch'io più attento, non solo negli scrivere, ma anche nell'analisi, anche se non ho la tua competenza. Ho visto che mi hai posto delle domande dirette. Se hai pazienza ti risponderò appena avrò più tempo.
Grazie ancora e alla prossima

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Re: Estrema unzione

Messaggio#17 » lunedì 8 aprile 2019, 17:47

GRAZIE ANCORA A TUTTI PER LE INDICAZIONI! Ho cercato di seguirle quasi tutte

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