Semifinale Samuel Marolla

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo marzo sveleremo il tema deciso da Massimo Spiga. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Massimo Spiga assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Samuel Marolla

Messaggio#1 » sabato 6 aprile 2019, 9:34

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Strike Force Therion.
In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti del girone Samuel Marolla hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi Luca Nesler e Eugene Fitzherbert possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: lunedì 8 aprile alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 dell'8 aprile. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Eugene Fitzherbert
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Re: Semifinale Samuel Marolla

Messaggio#2 » lunedì 8 aprile 2019, 12:03

Cristopìa
Di Eugene Fitzherbert


1. -6h 46m a Maddalena
Alfio teneva a bada i nervi sgranando il rosario di denti, come era usanza tra i Succhierichetti.
Le dita passarono sui denti da latte che gli avevano strappato durante il primo addestramento. Con la mente tornò alla foto scattata dall’Occhio di Dio, il satellite vaticano: una donna, il corpo torturato, le dita delle mani mozzate tranne i pollici, stesa al centro di un tetto di una casa, con le braccia spalancate. Intorno a lei, scritto col sangue, c’era una parola, le lettere alte quanto la ragazza: CRISTOPÌA
Alfio sgranò i denti definitivi che gli avevano tolto dopo l’investitura a Succhierichetto.
La ragazza della foto era Zaira, dell’Ordine delle Punitrici. Esperta di incursioni e missioni sotto copertura, si era infiltrata nei Terroristi di Geova per recuperare il Tabernacolo Celeste trafugato dal Vaticano. Se l’erano lavorata per bene quando l’avevano scoperta, ma lei era riuscita a liberarsi e a mandare quel messaggio.
Le dita di Alfio toccarono la croce di madreperla: era finito il rosario e iniziava la sua missione. Recuperare il Tabernacolo Celeste e porre fine a questa Cristopìa, qualsiasi cosa fosse.

2. -5h 08m a Maddalena
Aveva sempre considerato Lucera un paese di merda, ma Alfio si rese conto che la definizione era fin troppo morbida. Va bene che era notte, ma per le strade non c’era niente: non una luce accesa dietro una finestra, non un ragazzetto idiota senza casco sul motorino, non un’insegna illuminata. Sembrava un paese fantasma.
Almeno non ci sono molte possibilità di essere scoperto, si disse.
Il pensiero poteva essere rassicurante, ma in realtà avvertiva solo inquietudine. Era dai tempi del casino di Damasco, quando aveva perso quasi tutta la sua squadra, che non si sentiva così. Imboccò un vicolo deserto e un rumore metallico attirò la sua attenzione.
Si accovacciò e lasciò scorrere l’attenzione lungo la stradina. Allentò i sensi, socchiuse gli occhi e cercò con la mente. Eccola lì, la sorgente del rumore, a pochi metri da lui.
Gli bastò un salto sul muro e un volteggio, ombra tra le ombre, per arrivare dietro il cassonetto con il coltello sguainato. Afferrò la ragazza alle spalle e le puntò la lama nera alla gola: «Chi sei?»
La sentì irrigidirsi. Non doveva pesare più di quaranta chili e dall'odore di sudore e paura doveva aver passato le ultime settimane in giro per strada, cercando una salvezza che non aveva ancora trovato.
«Te lo ripeto, Stronzetta. Chi sei?»
Si dimenò, ma la lama le fece cambiare idea. «Enza.»
«E che ci fai qui, Enza?»
«Cerco del cibo.» Fece una pausa. «Vuoi uccidermi?»
Alfio ignorò la domanda e invece la rivoltò e la spinse contro il bidone dell’immondizia, bloccandola per il collo. «Sei di qui?»
Annuì.
«Perché le strade sono vuote? Dove sono tutti?»
«Li hanno presi e portati alla Fortezza.»
«I Tizi di Geova?»
«Sì. Hanno suonato a ogni campanello…»
«Tipico.»
«E li hanno radunati.»
«E tu perché sei qui e non nella Fortezza, Enza?»
«Io…»
«Va avanti.» Alfio la guardava negli occhi cercando di capire se fosse una minaccia.
«Io vivo per strada. Non ho un campanello e non hanno mai suonato alla mia porta.»
«Mi sembra una stronzata. E perché non te ne sei andata?»
«Mio fratello…»
Lui le strinse ancora di più la gola. «Shh.» ruotò la testa da una parte e dall'altra. «Non lo senti?»
Prese la ragazza e la infilò nel bidone senza tanti complimenti. La sentì protestare, ma poi si zittì. Alfio si appiattì al muro.
Dal fondo della strada si affacciarono due figure vestite di scuro e dai movimenti guardinghi. Non aveva tempo da perdere. «Guida i miei proiettili verso il cuore del bersaglio.» sussurrò a labbra strette Alfio e poi sfoderò il Soffio di Adamo: due sbuffi e le teste dei due uomini esplosero in due nuvole rosse.
Alfio si fece il segno della croce. «Requiescant in pace.» E si avvicinò ai cadaveri.
Enza lo raggiunse. Alfio la sentì trasalire. «Li conosci?»
Enza sollevò lo sguardo verso di lui, una lacrima che le rigava il volto sudicio. Poi fece un passo e prese a calci la testa del cadavere più vicino. «Questo bastardo ha preso mio fratello!» Il sangue schizzava fuori dall'orbita svuotata dal proiettile.
«Smettila, adesso. Non possono morire più di così.»
La ragazza si calmò e rimase ansimante. «Tu vorresti ucciderli tutti?» gli chiese.
«Ce l’ho tra le cose da fare, sì.»
«Ucciderai anche il loro capo? Quel pezzo di merda di Deusex?»
«Lo ucciderei solo per il nome che si è scelto.»
«Allora vieni, ti porto alla Fortezza.»
«Mi devo fidare?»
«Puoi sempre uccidermi qui.»
«Ci sto pensando.»
«Senti: voglio solo riavere mio fratello. Io ti aiuto e tu mi aiuti e pace per sempre.»
«Io non porto pace.»
«Ok, sterminatore, quello che ti pare. Vogliamo andare alla fortezza, o continuiamo a grattarci a vicenda?» E si voltò inoltrandosi nei vicoli di Lucera.
Quel cambio di atteggiamento infastidì Alfio. «Vieni qui un momento, Stronzetta.» Quando gli fu vicino, la afferrò per la nuca e la guardò negli occhi. «Se mi stai fregando, ucciderò te, tuo fratello, e tutti quelli che ti conoscono fino alla settima generazione. Capisci?» E le strinse ancora di più il collo.
Lei deglutì, perdendo parte della sua spavalderia. Annuì appena.
Alfio le sorrise, scoprendo la sua dentiera dorata.

3. -4h 33m a Maddalena
La Fortezza era un castello antico, fatto di mattoni, contrafforti, bastioni e mura alte qualche decina di metri. L’Occhio di Dio, lassù nel cielo, ne aveva fotografato i tetti, l’aveva passato ai raggi X e agli infrarossi, confermando una sola cosa: era un posto complicato da infiltrare.
«Perché porti la dentiera d’oro?» Gli chiese la ragazza.
«Sono stato promosso.»
«Ma hai anche i denti normali?»
«Sì, solo che non ce li ho in bocca.» le rispose Alfio. L’afferrò per un braccio. «Ora io proseguo da solo. Più avanti c’è un buon punto dove scalare questo muro.»
«Scalare il muro è una stronzata. Meglio passare da sotto. Vieni.»
Enza si mise a camminare veloce, curva e agile, verso uno dei contrafforti. Si fermò poco oltre e gli fece cenno di avvicinarsi. Lui guardò le mura, alte e imponenti.
La ragazza lo stava aspettando vicino a una grata arrugginita. «Questo scivolo per il carbone ci farà entrare lì dentro, sempre che tu riesca ad aprirlo.»
Il sorriso dorato di Alfio baluginò alla luce della luna. Il Succhierichetto afferrò la grata e cominciò a strattonarla con movimenti lenti e misurati, per limitare il rumore. Ci fu un crack metallico e qualche calcinaccio venne via con il resto della struttura metallica. Alfio si guardò intorno: non aveva attirato nessuna attenzione indesiderata.
«Prima le stronzette.» disse.
La ragazza grugnì e si lanciò giù per lo scivolo.

4. -4h 02m a Maddalena
La stanza del carbone era buia e maleodorante. Quando la sua vista si abituò alla penombra, Alfio notò una vecchia porta di legno con cardini di ferro. Per il resto la stanza sembrava completamente sgombra, a parte qualche detrito e resti di mattoni.
«Enza, ora resti qui davvero. Mi rallenti.»
«Vengo con te.»
«Non costringermi a tramortirti.» rispose lui avvicinandosi alla porta per esaminarla.
«Sei uno stronzo.»
«Non so cosa ci aspetta e non posso farti da babysitter. Aspettami qui e basta.»
«Ricordati della promessa.»
«Ucciderò tutti e ti riporterò tuo fratello.» Alfio si girò verso la ragazza e le afferrò ancora la nuca, stringendo con forza.
«E smettila di pizzicarmi!»
Alfio sorrise.
La ragazza lo mandò affanculo con gli occhi mentre ruotava il collo per rimetterlo in sesto.
Alfio la ignorò, aprì appena la porta e spiò oltre. «Ma che cazzo…» disse. Non fu per quel che vedeva, ma quello che udiva. Lungo il corridoio illuminato fiocamente, arrivavano urla e gemiti di gente che soffriva le pene dell’inferno. Stava per voltarsi verso la ragazza, quando Enza gli saltò alle spalle e lo spinse, facendolo rovinare nel corridoio. Poi iniziò a colpirlo con un sasso in testa e in faccia.
Alfio la scagliò via con una manata, mentre altre porte si spalancavano. Un uomo a torso nudo, sporco di sangue e armato di un ferro rovente uscì, attirato dal trambusto. Si guardò intorno e appena posò gli occhi sul Succhierichetto, corse verso di lui, urlando.
Alfio tirò fuori il Soffio di Adamo e sparò due colpi. Per un attimo, nella stanzetta da cui era uscito il suo assalitore aveva visto una donna legata a una colonna, piena di ferite, semisvenuta.
Che cazzo stavano facendo?
Nel frattempo, stavano uscendo altri torturatori: uno con un machete, un altro con una frusta. Alfio schivò il fendente piegando la testa e sparò ancora.
Uno schiocco secco gli tolse il respiro e gli fece perdere la pistola. La frusta si era arrotolata intorno al collo e una spira gli stringeva la bocca. Qualche metro più in là emerse una donna: aveva le mani guantate e stringeva una siringa.
Con un grugnito strozzato, Alfio serrò i suoi denti d’oro e tranciò di netto la corda. Con una scrollata di spalle si liberò e si voltò verso il bastardo sfoderando il coltello e tagliandogli la gola con un solo movimento.
Un colpo lo raggiunse alla testa, da dietro. «Così impari a chiamarmi Stronzetta, bastardo!» sentì mentre cadeva in ginocchio.
Cercò di rialzarsi, ma una puntura al collo fu l’ultima cosa che sentì prima che la sua coscienza si spegnesse.

5. -2h 58m a Maddalena
Non fu tanto il dolore a svegliarlo, quando il senso di vuoto che sentiva in bocca.
Alfio tossì e sputò un grumo di sangue. Aveva le spalle in fiamme, la testa gli pulsava e ondate di dolore si infrangevano lungo tutto il corpo.
Non temerò alcun male. Si ripeté nella testa come un mantra.
Alfio aprì gli occhi e fu costretto a richiuderli quando una scudisciata gli squarciò le carni sulla schiena. Si inarcò, e provò a stringere i denti, ma le gengive nude si chiusero su loro stesse.
Tossì, mentre altri colpi lo martoriavano, uno dopo l’altro.
Tremò da capo a piedi, quando una voce arrivò da molto lontano. «Fermi tutti! Perché non sono stato avvertito della cattura?»
Alfio cercò di guardare attraverso gli occhi gonfi. La voce aveva qualcosa di familiare.
«Fuori tutti, teste di cazzo moscio!»
Il tono autoritario portò il silenzio nella stanza, e Alfio intravide un uomo e una donna uscire con il capo chino: «Chiediamo perdono, Deusex Signore.»
La vista di Alfio si snebbiò sentendo il nome di Deusex, il grande capo. Con uno sforzo enorme, sollevò la testa: due catene gli tendevano le braccia e questo spiegava il dolore incandescente alle spalle. Era nudo e i piedi sguazzavano sul pavimento sporco.
«E tu chi sei, topo di fogna?» Deusex lo apostrofò con disprezzo. Si muoveva in modo strano, anche se Alfio non riusciva a capire cosa lo disturbasse. Portava un elmo di metallo calato sugli occhi, senza feritoie, e indossava una giacca scura dai risvolti che mimavano i paramenti sacri che copriva un abito marziale di colore amaranto, con bottoni dorati.
Deusex mosse qualche passo ancora.
«Mi è arrivata voce che avevano trovato un tipo con la dentiera d’oro. Un guerriero senza pari.»
«Enza.» biascicò Alfio. «Spia di merda.»
«Era un’esca.» lo corresse Deusex. «Dopo la fuga di Zaira e il suo messaggio sul tetto, vi stavamo aspettando.»
Alfio sputò.
«La solita arroganza dei Succhierichetti. Vi addestrano a non fare domande, a odiare il vostro corpo, tanto da non temere la sofferenza e la morte, vi indottrinano a eseguire gli ordini, con la bocca chiusa e quando diventate bravi abbastanza, vi regalano una dentiera d’oro e vi mandano in giro a uccidere gente.»
«Solo i torturatori come te, bastardo.»
Deusex sorrise, e Alfio vide baluginare un lampo metallico tra le labbra del suo aguzzino. «Perché hai quei denti?»
L’altro fece qualcosa di inaspettato: cominciò a palpargli la faccia. «Sono io a fare le domande, qui.» I polpastrelli si muovevano decisi sulle guance ferite di Alfio, mentre lui cercava di allontanare il volto. Passarono sul naso rotto e scivolarono sulle sopracciglia, poi all'improvviso si irrigidirono. «Non è possibile.» disse Deusex. «Damasco
A quelle parole, il cuore di Alfio accelerò. «Cosa?»
Deusex si tolse il suo elmo. Nonostante le bruciature intorno agli occhi, come lacrime di carne carbonizzate, nonostante lo sguardo ormai cieco, Alfio riconobbe il volto del suo tenente in seconda. «Paolo…» disse quasi in un sussurro. «Pensavo che fossi morto a Damasco, insieme agli altri.»
«Morto? Io sono risorto a Damasco, ho visto la luce!»
«Ci sei tu dietro tutto questo? Non dirmi che hai rubato tu il Tabernacolo Celeste?»
«Tu non puoi capire, Alfio.» disse Paolo.
«Ma certo!» esclamò Alfio, ignorando il commento dell’altro. «Ci voleva qualcuno che conoscesse la Santa Sede per arrivare a prendere una reliquia del genere. Un ex Succhierichetto.» Alfio respirava velocemente per la rabbia che sentiva montargli dentro. «Perché hai tradito?» chiese, quasi ringhiando.
«Alfio, ci hanno mentito, sempre. Sul Tabernacolo, sulla Chiesa, su tutto!»
Il Succhierichetto strattonò le catene. «Non è vero! Il Tabernacolo contiene il vero Corpo di Cristo, unica comunione tra il Papa e Dio. E tu l’hai rubato per darlo a questi coglioni dei Terroristi di Geova!»
«Non sai di cosa parli, Alfio. In nome della nostra vecchia amicizia, cercherò di spiegarti…»
«Amicizia? Stavamo insieme, Paolo, eravamo amanti!»
«So cosa stai pensando, ma lascia almeno che ti spieghi!»
«Non eri morto, dannazione! E non mi hai mai contattato. E poi sei passato dalla parte del nemico. Come faccio a darti un minimo di credito!» Alfio lo guardò con odio.
«Il Tabernacolo Celeste è vuoto!», quasi urlò Paolo. «Non c’è nessun corpo di Cristo dentro. È finito, da chissà quanto tempo.»
Alfio rimase senza parole. Niente vero Corpo di Cristo. Niente Vera Comunione del Papa. Niente parola di Dio.
«Capisci? Dio ha girato lo sguardo dall'altra parte. Ci ha lasciati soli.»
«Non è vero.»
«Lo è.» Paolo si avvicinò e gli accarezzò il volto ancora una volta, con affetto. «E la cosa peggiore è che la Chiesa lo sapeva e non ha fatto niente.»
«Cazzate. Sono solo cazzate.»
«È dai tempi di Damasco che i Terroristi di Geova lo sanno. E sono gli unici che stanno facendo qualcosa. Anzi, se vuoi, noi possiamo porre rimedio. C’è un modo.»
Alfio collegò le informazioni. «La Cristopìa.»
«Sì. Il rito avrà inizio, poco prima dell’alba. Stiamo allestendo la Via delle Croci.»
«Con quei poveretti che avete rapito?»
«Non abbiamo rapito nessuno. Sono tutti volontari, martiri! Faremo molto più che invocare Dio: lo evocheremo
«Eretici immondi! Col cazzo che mi lascio coinvolgere in questo sacrilegio!»
«La tua strafottenza mi ha stancato.»
«Sei solo un miscredente!»
«Fanculo, Alfio. Quando ti ho riconosciuto, speravo di riuscire a convincerti. Ma sei sempre stato un indottrinato e questo ne è la prova. Ucciderti non sarebbe abbastanza. Vedrai tutto da una posizione privilegiata.» Si voltò, poi aggiunse: « Un’ultima cosa: Paolo è morto. Ora sono Deusex»

6. -1h 12m a Maddalena
«Brucerete all'Inferno.»
«Smettila di agitarti, Alfio e goditi la Cristopìa, la Parusia artificiale. Il regno di Cristo sta arrivando.»
Uno scossone del pianale del camion su cui stavano viaggiando lo fece cadere in ginocchio. Viaggiavano a passo d’uomo in testa a una carovana di cassonati. Deusex, a pochi passi da lui, era in piedi su un piedistallo sul retro del veicolo e continuava a urlare ordini, mentre Enza alla sua destra gli raccontava quel che accadeva e acquisiva i rapporti dai vari attendenti.
L’immonda carovana si snodava lungo la Via delle Croci e mai nome era stato più veritiero.
«E allora non sono più Stronzetta?» lo apostrofò Enza, avvicinandosi ad Alfio. Il pugno lo raggiunse allo zigomo inaspettatamente. «Preparati che tra un po’ è il tuo turno.» e si allontanò da lui.
Alfio tornò a osservare la scena. I camion trasportavano delle enormi croci di legno, alte almeno due metri e mezzo, e a reggerle c’erano persone, donne, uomini e qualche bambino, anche. «Quelli sono i martiri? Quelli che avete torturato per tutta la notte?»
«Sì. Sono le effigi viventi di Nostro Signore Gesù. Dimmi, sono sofferenti? Hanno lo sguardo pieno dell’amore di Dio?»
«Fottuto psicopatico. Quelle persone stanno per morire!»
All'improvviso il loro camion si fermò. E questa cosa lo terrorizzò ancora di più. Enza si avvicinò nuovamente e lui quasi chiuse gli occhi in attesa di un altro colpo, ma la ragazza lo strattonò per le fascette di plastica che gli bloccavano i polsi. «Avanti, bellezza. Sei il nostro ospite d’onore.»
Lo scaraventò giù dal camion, dove due uomini lo presero e lo trascinarono verso una collinetta al termine della strada. Intorno a lui si snodava l’orrore. Lungo i bordi della strada, una dopo l’altra, si stagliavano le croci. Gli occhi dei martiri erano pieni di lacrime, le labbra tremavano di dolore. Vide un filo di saliva sanguinolenta scendere dalle labbra di una bionda che stava con il capo piegato sul petto, il corpo appeso alle braccia inchiodate al legno.
«Senti questi suoni?» gli urlò Deusex. «Non c’è niente di meglio per attirare l’attenzione di Dio. Il suo sguardo si sta volgendo su di noi. Continuate a urlare di dolore, invocate il nostro Amato Creatore, mandategli questo messaggio! E che le croci siano levate dritte al cielo!» Deusex continuava il suo sproloquio. Enza gli porse un oggetto color indaco, iridescente. Lui la ringraziò e le fece un cenno di andare avanti. Lui sollevò il Tabernacolo Celeste. «Il più grande mistero di tutti i tempi sta per essere svelato! Riporteremo il corpo di Gesù qui, in questo ricettacolo mistico. Ristabiliremo il contatto con il divino, ritorneremo tutt'uno con il Salvatore.»
«Ehi, Paolo! Se sei così convinto di aver vinto, ridammi la mia dentiera. In nome dei vecchi tempi!» urlò Alfio.
Deusex volse verso di lui lo sguardo cieco. Si frugò in tasca e tirò fuori la dentiera d’oro. «Questa? La vuoi proprio? E perché no?» E la lanciò.
Enza la afferrò al volo. «Sarà tua, te lo prometto, ma prima…»
A quel punto, uno dei due uomini lo colpì a un ginocchio e l’altro lo ribaltò a terra. Con un coltello tagliò la fascetta di plastica e, insieme all'altro, gli divaricarono le braccia e lo trascinarono fino a una croce. Enza corse verso di lui ridendo. In una mano aveva la dentiera e nell'altra una sparachiodi.
Lo trafisse sei volte alla mano destra, e altre quattro al polso. Alfio sentì i muscoli irrigidirsi per il dolore indicibile che gli arrivò fino alla spalla, mentre cercava di ricacciare dentro le urla. Quando passò all'altra mano, non ce la fece più e si sfogò squarciando l’aria con le sue grida.
«Ti ho fatto male? Scusami tanto!» gli disse Enza. «E ora, passiamo ai piedi.»
Alfio lottò con tutte le sue forze per non perdere i sensi, inspirando e espirando rumorosamente tra le labbra ripiegate sulle gengive nude. Non immaginava neanche fosse possibile, ma il dolore triplicò quando con una corda sollevarono la croce in posizione verticale.
«Ah, dimenticavo!» esclamò Enza. «Ecco la tua dentiera!» E con il tacco della scarpa la schiacciò.
Alfio vide un lampo rosso baluginare tra i denti d’oro. Quasi udì il bip del tracker che si attivava e disse: «Grazie.» Il suo sguardo calmo si perse lungo la distesa di croci.

7. -3m a Maddalena
Enza urlò.
«Che succede, Enza?» chiese dal suo pulpito Deusex.
La ragazza si stava contorcendo afferrandosi la nuca. Tra le dita, oltre i capelli, una luce verde lampeggiava.
Era l’alba più oscura che Alfio avesse mai visto. Nuvole grigie si stavano addensando sopra le loro teste, lampi squarciavano quella distesa minacciosa. Il Tabernacolo tra le mani di Deusex quasi si accese di luce propria.
«L’Occhio di Dio veglia su di me. Che Maddalena mi liberi da tutti i peccati.» disse Alfio.
Si alzò un vento freddo, odoroso di foglie morte. Alfio alzò gli occhi al cielo.
«Siete fottuti. L’occhio di Dio non ha mai smesso di osservarvi.»

8. Maddalena
Con una ciocca dei suoi stessi capelli, Enza si strappò un dispositivo grande quanto una lenticchia, che emetteva ora una luce continua verde. «Me l’hai attaccato tu?» urlò, in mezzo al vento.
Alfio le volse uno sguardo pieno di pietà. «Considerala un'assicurazione. Non potevo correre il rischio di non portare a termine la missione. Se io fossi morto, o se qualcuno mi avesse rotto la dentiera, il tuo tracker di riserva si sarebbe attivato.» Dall'alto della sua croce, Alfio quasi sorrise. «Era già stato scritto che sarebbe finita così. Era la mia ultima missione.»
«Figlio di puttana!»
Sopra le loro teste, le nubi furono squarciate da un’enorme luce violacea, quasi solida. Alfio vide le centinaia di croci che venivano abbattute al suolo, mentre un plasma incandescente le ricopriva e si solidificava intrappolandole come zanzare nell'ambra. La strada ne fu riempita.
«Il Salvatore sta arrivand-» urlò Deusex, mentre il camion su cui viaggiava veniva spazzato via e lui stesso vaporizza.
Inondato dalla luce della Maddalena che spargeva il suo carico di morte, il Tabernacolo Celeste volò nell'aria rovente e cadde in mezzo quel cimitero di croci orizzontali.
La porta del tabernacolo era aperta, e dalle sue profondità veniva fuori qualcosa di immondo.

9. 2 settimane dopo Maddalena
Dal rapporto del Camerlengo, Strettamente riservato

[Omissis]... abbiamo ragione di pensare che il rito dei Terroristi di Geova si sia concluso con un parziale insuccesso. A causa delle Croci in posizione orizzontale, l’invocazione non ha raggiunto il Regno dei Cieli, ma ha aperto uno squarcio sulle pendici del Purgatorio. La zona tra San Giovanni Rotondo e i confini con lo Stato Pontificio è purtroppo compromessa… [omissis] Il cannone orbitale a Olio Sacro, nome in codice Maddalena, è stato efficace a interrompere la minaccia, ma il suolo rimane contaminato. Stiamo avviando una procedura di Bonifica Sacra per recuperare quanto più possibile…[omissis]. Della Via delle Croci resta solo una distesa vetrificata di vittime crocefisse. [omissis]
Seguono immagini scattate dall’Occhio di Dio.

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Luca Nesler
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Re: Semifinale Samuel Marolla

Messaggio#3 » lunedì 8 aprile 2019, 17:45

ESTREMA UNZIONE
di Luca Nesler

Dintorni di Roma, 12 febbraio 2098 – 15 minuti all'Estrema Unzione.

L'auto si era fermata nel quartiere abbandonato indicato dall'intelligence vaticana. Caio chiuse lo sportello e passò la borsa a Gregorio: «Tienila tu».
«Troppo gentile» disse il diacono più giovane issandola su una spalla.
La mattinata era fredda. Le nuvole coprivano ancora il cielo dopo l'acquazzone; la luce dall'alba faticava a dare colore ai palazzi deserti.
Don Giona camminava seguito dai tre diaconi suoi aiutanti.
«Come fanno ad oscurare il segnale dei dispositivi?» chiese Gregorio.
«Hanno i loro sistemi» rispose Caio. «Una volta arrivavano a disfarsene, pur di non farsi trovare.»
«Davvero?»
«Certo, cazzo.»
«E poi? Che facevano senza?»
Don Giona si voltò verso Gregorio: «Sopravvivevano» disse. «Ora abbassa la voce: non voglio che ci sentano».
«Mi scusi.»
Camminavano lentamente tra i negozi svuotati e i vetri rotti. Don Giona, di tanto in tanto, si fermava, alzava il mento e chiudeva gli occhi. Nessun rumore oltre al fruscio delle foglie mosse dal vento.
«Di solito li trovate?» chiese Gregorio a Caio abbassando la voce.
«Sempre.»
«Anche senza rintracciare i loro dispositivi?»
«Don Giona, Gregorio chiede se li troveremo.»
Il sacerdote sorrise e si avvicinò al giovane diacono.
«Non ti sei chiesto perché ho atteso una giornata come questa?»
«Non ci ho fatto caso.»
«Dopo un'abbondante pioggia gli odori si sentono meglio. Ognuno ha i suoi sistemi: io ho un buon naso. Proseguiamo.»
Arturo tirò fuori un pacchetto dalla giacca, sfilò una sigaretta e sollevò un accendino dorato, ma Giona glielo strappò di mano.
«Immagina, Gregorio», disse il prete guardando Arturo con biasimo palese, «di dover organizzare un rifugio per una cinquantina di persone. Dopo aver trovato un tetto, quale sarà il primo problema da risolvere?»
«Il cibo?»
«No.»
«I letti?»
«Una latrina», disse Caio, poi aggiunse: «Anche gli stronzi devono fare gli stronzi».
Ridacchiarono della battuta, poi Don Giona riprese:
«È per questo che non si fuma quando siamo in missione, Arturo. Non voglio che il tuo fumo copra gli odori.»
«Mi scusi, Don Giona. L’avevo dimenticato.»
Il gruppo proseguì camminando per il quartiere, finché avvertirono ciò che stavano cercando. Giona si fermò e annusò l'odore nell'aria, poi si rivolse di nuovo a Gregorio che necessitava di qualche indicazione, trattandosi della sua prima missione.
«La senti?» gli chiese.
«Intende questa puzza? È terribile», confermò il ragazzo tenendosi il naso.
«Non è pesce o frutta marcia né immondizia o puzza di cadavere» spiegò Giona. «Questo è odore di deiezioni umane».
«Sono vicini», disse Caio cominciando a mangiarsi le unghie. «Ci hanno detto che dovrebbero essere una quarantina. Cerchiamo un posto grande.»
Arturo allungò un dito oltre il tetto di un vecchio discount abbandonato.
«Che ne dite di quella?»
Un campanile svettava sopra gli altri edifici del quartiere. Giona rise.
«Molto appropriato.»


Città del Vaticano – due giorni dopo l'Estrema Unzione

Il commissario aspettava in piedi fuori dell'ufficio del cardinale. Erano molti i colleghi che gli avevano consigliato di lasciar perdere, che non era saggio mettersi contro il Vaticano, ma questa volta era troppo per chiudere un occhio.
Un giovane prete gli si fece incontro sorridendo.
«Prego, commissario. Il cardinale la può ricevere ora.»
Il poliziotto entrò nella sala con espressione grave. Percorse l'intera lunghezza della sala ignorando il saluto del prelato e, raggiunta la scrivania, si fermò fissando il cardinale negli occhi.
«È così che gestite le crisi in Vaticano, eccellenza?»
Il cardinale spostò indietro la sedia con espressione sorpresa, poi si schiarì la voce e si alzò in piedi.
«Commissario Leone, sarà che non so di cosa sta parlando, ma non mi spiego la sua irruenza.»
«Non lo sa? Ottavo comandamento: non mentire!»
Il prelato sorrise.
«Mi compiaccio che non abbia dimenticato il catechismo, commissario. Ciò nonostante non so di cosa sta parlando. Mi hanno avvisato della sua visita, ma non del motivo.»
«Glielo mostro subito.»
Il poliziotto toccò il dispositivo personale al polso e visualizzò lo schermo virtuale sulla retina. Sfogliò le cartelle con rapidi movimenti delle dita e, quando trovò le immagini, le proiettò su un ologramma davanti al cardinal Galli che inorridì.
«Oh, per carità!»
«Trentasei corpi. Tutti morti l'altro ieri mattina. Ne ha sentito parlare?»
«No. Avrei dovuto?»
«E me lo chiede? Non ne ha sentito parlare perché nessuno ne ha dato notizia! E io credo che siate stati voi a mettere tutto a tacere.»
«Io?»
«Il Vaticano. Certo, lei. C'è anche un sacerdote nel mucchio.»
Il cardinale rimase un momento pensieroso, poi annuì.
«Certo, ora capisco di che parliamo. Non avevo visto la scena prima e non immaginavo un simile scempio. Sì, sono al corrente di cosa è successo laggiù. E no, caro commissario, si sbaglia. La notizia non è uscita, perché è tutto nella norma. Si è trattato solo di una normale richiesta di estrema unzione. Ammetto che lo spettacolo è raccapricciante, ma dobbiamo rispettare i desideri dei fedeli. Manderò gli addetti per dare il giusto seguito alla cosa. Vedrà che ripuliranno tutto.»
«Me ne frego della pulizia. Ora ha il coraggio di dirmi che si è trattato solo di questo? Di estrema unzione?»
Il cardinale fece spallucce e sorrise.
«Proprio così.»


Dintorni di Roma – 5 minuti all'Estrema Unzione

Don Giona entrò nella chiesa abbandonata spazzandosi via la polvere dalle spalle, caduta dal portone sul vestito nero. Assieme ai suoi riecheggiavano i passi dei tre diaconi al suo seguito. L'unica luce entrava dalle vetrate, sollevando il pulviscolo nell'aria immobile di quel luogo abbandonato. Si avvicinarono all'altare dietro cui stava un altro sacerdote in paramenti liturgici. Giona si fermò a pochi metri dai gradini che portavano al presbiterio e annusò l'aria, poi sorrise e si spostò per sedersi nel primo banco, incurante dello spesso strato di polvere che lo ricopriva. I tre diaconi lo guardarono sedersi, ma non si mossero. La sua voce rimbombò improvvisa nel silenzio:
«Ho sempre amato l'odore di pietra umida e di legno che c'è nelle vecchie chiese.»
L'altro prete, con indosso la casula rossa e le mani posate sull'altare, annuì con un debole sorriso. La sua espressione era un misto di sorpresa e curiosità. Forse timore.
«È un profumo che a me ricorda la giustizia di Dio» continuò Don Giona.
«A me la sua misericordia» disse l'altro «siete i benvenuti».
Il prete seduto allargò il sorriso.
«Beh, sono imprescindibili.»
I diaconi parevano impassibili. Uno di loro si avvicinò a Giona, ripulì una parte della panca col berretto e gli si sedette a fianco. Gli bisbigliò qualcosa all'orecchio, ma il sacerdote gli fece cenno di aspettare.
«Il mio buon amico Caio mi fa notare che questa chiesa è stata sconsacrata. Direi almeno dieci anni fa. Forse non dovresti celebrare in un posto del genere, don...?»
«Don Flavio. Ma non stavo celebrando. Sto solamente pregando.»
«Sull'altare? Coi paramenti liturgici?»
«Mi aiuta ad entrare in comunione con Dio» rispose Flavio con un sorriso nervoso.
L'altro annuì. «Dimmi, don Flavio, non mi pare ci sia una comunità qua attorno. Mi sbaglio?»
«Oh, invece c'è. Sono derelitti, persone senza molta speranza. Per questo sono qui. Del resto, Dio è ovunque.»
«Dove due o più sono riuniti nel mio Nome, io sarò con loro.»
«Esatto.»
«Ed è una comunità nutrita?»
«Non direi, no. Poche decine.»
«E dove se ne stanno? Voglio dire: qua attorno è tutto abbandonato. Dove dormono queste povere pecorelle?»
Caio prese a mangiarsi le unghie annoiato, mentre gli altri due diaconi si guardavano attorno come se non avessero mai visto una chiesa.
«Qua e là, in rifugi improvvisati o in altri quartieri.»
Giona annuì di nuovo e si portò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Osservò il pavimento e ne rivelò il colore spostando la polvere con un piede.
«Che belle piastre. Non ne fanno più di chiese così. Non amo la roba moderna.»
Si alzò e andò ad accarezzare una colonna. La pietra era butterata dal tempo.
«Lei dove amministra, Don Giona?» chiese Flavio dall’altare.
«Intendi dove dico messa?»
«Sì.»
«Ho altri incarichi. Ma da bambino andavo in una vecchia chiesa. Questa me la ricorda molto.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio. Flavio rimaneva in piedi, ora con le mani strette di fronte a sé. Non perdeva di vista nessuno dei quattro uomini appena entrati.
«Come mai, Don Flavio» cominciò Giona voltandosi «indossi i paramenti natalizi in febbraio?»
«Oh, è l'unica tunica che ho trovato in questa vecchia chiesa. Le mie mi sono state rubate. Come le ho detto, qui la gente è disperata, ma io non mi formalizzo.»
«Matteo: “Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che compie la volontà del Padre”. Bravo, Don Flavio» disse il sacerdote in abito scuro, poi si avvicinò all'altare. «Ce ne vorrebbero di più di preti come te.»
«Grazie, io lo faccio per servire Nostro Signore.»
«Ovviamente», disse Giona fermandosi sull'altro lato del tavolo di pietra. «Nella tua comunità» chiese poi sottovoce «ci sono degli antiuntisti?»
L'altro sacerdote deglutì, poi sorrise.
«Probabilmente sì. Non sono venuti a dirmelo.»
«Giusto. In fondo ce ne sono dappertutto. È solo un modo di pensare, no?»
«Non quello corretto.»
«No, certo. Tuttavia» cominciò Giona girando attorno all'altare «finché rimane un'opinione, non è che un peccato veniale.»
Si fermò di fronte a Flavio e gli sorrise.
«Ma noi ti abbiamo interrotto, vero? Che stavi facendo?»
Il prete nascose il tremore della bocca dietro un sorriso.
«Pregavo.»
«Giusto, pregavi. Perdonaci, Don Flavio. Ora ce ne andiamo» disse Giona.
Poi, rivolto ai diaconi impigriti sotto l'altare, aggiunse a voce più alta:
«Chiedete perdono a Don Flavio per l'intrusione.»
«Perdono, Don Flavio» mormorarono.
Giona sorrise e disse: «La pace sia con te».
Poi si voltò per andarsene.


Città del Vaticano – due giorni dopo l'Estrema Unzione

«Lei potrà anche raccontare le sue cazzate al questore, al suo confessore, a chi le pare, ma non a me. Molti tra quei cadaveri erano atei dichiarati.»
«E con questo?» chiese il cardinale avvicinandosi alla finestra «Non sa che c'è una rilevante porzione della popolazione che, pur non credendo in Dio, desidera l'estrema unzione?»
«Un tempo la Chiesa rispettava la vita. Era una cosa sacra. Dio dà, Dio prende. Ricorda? Ora l’avete tagliato fuori.»
«Certo, una volta era Dio a decidere quand'era giunta la nostra ora, ma adesso che non esiste più la morte naturale, molte delle nostre credenze sono cambiate. O meglio, maturate. Se prima era affidato a Dio il momento del nostro trapasso, ora anche questo è affidato al nostro libero arbitrio. Nostro Signore è vita, è mutamento. Ora il Creatore ci reputa maturi per decidere da soli.»
«Cazzate. Il virus Elisir è stato creato in laboratorio. Dio non c'entra nulla.»
«Dio c'entra sempre, commissario. L'evoluzione è scandita dalla Sua volontà perfetta. E se i cristiani si affidano ai sacerdoti per vedere il loro Padre Celeste quando si sentono pronti, alcuni atei desiderano solo farla finita. È un problema di tutti. Quelli, li ha visti, erano dei disperati. Anche gli atei si rivolgono alla Chiesa per l'estrema unzione.»
«Certo, sennò sequestrate tutto. Per poter lasciare qualcosa ai parenti sono costretti a venire meno ai propri principi. La legge contro il suicidio è la cosa più spregevole che abbiate mai fatto.»
«Questo per il rispetto della vita di cui parlava prima. Il trapasso dev'essere benedetto da un sacramento. La superbia è un peccato capitale.»
Il commissario scosse la testa disgustato.
«E come spiega che questi atei, volendo abbandonare questa vita grama, si siano fatti sparare addosso?»
«Ognuno può scegliere come morire» rispose il prelato con un sorriso. «Lo facevano persino alcuni stati Americani con la pena di morte già un centinaio di anni fa.»
«Intende dire che una ragazza di ventitré anni ha scelto di andarsene facendosi sparare con un fucile nello stomaco?»
«Improbabile, ma possibile, commissario. In punto di morte chissà come ragiona una mente turbata.»
Il commissario digrignò i denti.
«Che bastardo.»


Dintorni di Roma – Estrema Unzione

Giona si fermò e si voltò appoggiandosi all'altare.
«Prima di andarmene però vorrei farti alcune domande. Pura curiosità, ma non mi darei pace se me ne andassi senza chiedere.»
Flavio fece un passo indietro e cominciò a tremare. Aveva il fiato pesante, gli occhi umidi e arrossati dalla paura. La voce di Giona di fece severa.
«Come mai non ci hai chiesto cosa siamo venuti a fare in questo buco dimenticato da Dio, Don Flavio? Inoltre, davvero ci credi tanto stupidi da pensare che qui si radunino decine di persone senza lasciare una sola impronta nella polvere? E come mai un sacerdote cristiano chiama la casula, tonaca. E come fa, questo sacerdote cristiano, a non sapere che a Natale si indossa quella bianca e non quella rossa?»
La mano destra di Giona salì fino al volto di Flavio e dalla canna della pistola esplose un boato che riecheggiò tra le pareti buie. Flavio cadde all'indietro col viso aperto sopra il naso. Il sangue sgorgava impastandosi con la polvere del pavimento.
«A meno che tu non sia Babbo Natale, caro Flavio» disse Don Giona scuotendo il capo.
Caio si alzò in piedi e si rivolse ai compagni:
«Forza, ragazzi. Cominciamo.»
Raggiunse Giona e guardò il corpo a terra.
«Coglione» disse. «Sicuramente ci hanno visto arrivare».
«Probabilmente dal campanile» confermò Giona «altrimenti non mi spiego questa mascherata. Si è messo in ghingheri pur di sembrare un prete» scosse la testa e aggiunse voltandosi: «Siamo attesi. Penso che siano nello scantinato. Io vado a cercare la sentinella sul campanile. Caio, fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Cerchiamo un registro di carta, quindi potrebbero averlo diviso in più parti nascondendolo in posti diversi.»
Arturo si avvicinò a Gregorio e allungò una mano accennando alla borsa che portava. Il ragazzo la posò a terra e l'aprì.
«Passami quello grosso» disse Arturo.
Gregorio gli passò un fucile a pompa, prese per sé una mitraglietta e ne raccolse una seconda. Controllò la sicura e la lanciò a Caio mentre Arturo recuperava il resto della roba.
I tre diaconi si spostarono verso il fondo della chiesa. Con un calcio la porta della sagrestia cadde. La stanza era deserta. Una stretta scala portava al piano sotterraneo. Scesero in fila indiana fino a raggiungere un corridoio buio. Gregorio provò l'interruttore, ma non c'era corrente. Caio accese una torcia e l'accostò alla pistola puntando il fascio di luce davanti a loro.
«Fate attenzione» disse «ci stanno aspettando».
Camminarono piano, poi Arturo mise una mano sulla spalla di Caio e fermò il gruppo. Portò un dito davanti alla bocca e rimasero in ascolto. Qualcuno piangeva. Un pianto sommesso, ma violento.
Caio indicò un passaggio di fianco che si perdeva nell'oscurità. Soffocò la luce della torcia con la mano e proseguirono lentamente. Il pianto veniva soffocato e, ora che erano più vicini, potevano sentire il sibilo leggero di qualcuno che supplicava silenzio.
«Qui» bisbigliò Caio.
Arturo si allontanò di un passo mentre Caio accendeva un bengala. Un colpo di fucile fece saltare la serratura e la porta si spalancò. Caio lanciò il bengala al centro della stanza. La luce rossa e tremula della fiamma mostrò ai diaconi un gruppo di uomini e donne che cominciarono a gridare. Le armi presero a tuonare in modo assordante.
Gregorio vide una bambina con la mano della madre sulla bocca e capì chi stava piangendo. Un secondo dopo erano entrambe stese a terra e il loro sangue si confondeva col riverbero del bengala. Il giovane diacono abbassò il mitra e sentì il diaframma spingere fuori la colazione. Gli spari, le urla, l’odore acre e bruciante del fumo lo frastornavano. Ricordandosi la missione sollevò l’arma e sparò una raffica davanti a sé. Arturo cadde con un rantolo facendo cadere il fucile. A Gregorio si fermò il fiato: gli aveva sparato lui?
Corse avanti, raccolse il bengala e lo avvicinò al compagno. Era a terra con una mano sulla gola che non riusciva a fermare tutto quel sangue.
«Oh Dio perdonami! Cosa ho combinato! Scusami Arturo! Oh Dio, pietà!»
Caio si voltò accorgendosi troppo tardi di ciò che stava accadendo.
Un antiuntista si fece avanti, raccolse il fucile di Arturo, lo sollevò e sparse la testa di Gregorio contro il muro, poi si voltò verso Caio ed entrambi fecero fuoco. Alla fine rimasero solo morte e silenzio.


Don Giona saliva le scale del campanile sentendo il legno scricchiolare. Un baluginio pallido cominciò a rischiarare le pareti mentre l'aria fredda scendeva dalla cima. Arrivato al passaggio verso l'esterno controllò fuori. Uscì con la pistola puntata davanti a sé, e si trovò di fronte un ragazzo con un binocolo al collo. Abbassò l'arma.
«Guai ad utilizzare la tecnologia o ci scopriranno. Ti hanno detto così?»
Quello lo guardava ad occhi spalancati senza dire nulla.
Il rumore degli spari salì fino a loro. Gli occhi del giovane si allargarono e la bocca s'incurvò in un'espressione disperata. Don Giona sorrise.
«È andata così. Sei un antiuntista?»
Il ragazzo rimase muto.
«Puoi dirlo. Tanto non cambierà niente.»
Silenzio. Giona scosse la testa:
«Io l'ho sempre trovato assurdo» disse. «Solo perché gli uomini non muoiono da soli, non significa che le cose possano durare in eterno. È un ragionamento contrario alla logica, non ti pare?»
«Non è la morte il problema» disse il ragazzo con la voce spezzata dal picco d'adrenalina «ma la Chiesa che convince la gente a farsi ammazzare!»
Il prete annuì comprensivo.
«Come ti chiami?»
«Francesco.»
«Signore, il nostro fratello Francesco che riceve nella fede l'unzione da te benedetta, vi trovi sollievo nei suoi dolori e conforto nelle sue sofferenze» poi alzò la pistola e la puntò contro il petto del ragazzo. «Per Cristo Nostro Signore».
Il grilletto si chiuse contro l'impugnatura e il colpo risuonò nel cielo bigio. Il ragazzo gemette e si accasciò a terra. Giona si volse a controllare meglio qualcosa che aveva notato con la coda dell'occhio: a terra c'era un registro cartaceo. Lo raccolse e posò la pistola sul pavimento per sfogliarlo. Era proprio il registro che cercava, con nomi, date e tutto il resto. Lo chiuse e vide, davanti a sé, la mano di Francesco tremante con la sua pistola. Sparò. Il colpo attraversò l'addome di Giona che avvertì la fitta peggiore della sua vita. Si piegò e vide l'espressione del ragazzo spegnersi. Un attimo dopo Francesco era morto.
Don Giona scosse la testa confuso: come aveva fatto il ragazzo ad avere ancora quella forza? Come aveva potuto lasciarsi sparare addosso?
Con uno sforzo doloroso tirò il cadavere per voltarlo. Il binocolo aveva deviato il colpo di qualche centimetro ficcandolo nell'arco aortico.
«Sono stato approssimativo» si rimproverò con un filo di voce.
Raccolse la pistola e il registro e cominciò a scendere le scale tenendo una mano sulla ferita. Barcollò e dovette appoggiarsi al muro. Guardò in basso: i pantaloni e le scarpe erano coperti di rosso.
«Troppo sangue» pensò. «Questa volta è finita».
Infilò una mano in tasca e prese l'accendino dorato di Arturo.
«Benedetta Provvidenza».
Mentre i sensi lo abbandonavano vide le pagine prendere fuoco. Lasciò cadere tutto sulle scale e si sdraiò mentre il respiro si faceva pesante e il sangue gli riempiva la bocca.
«In manus tuas pater... Commendo spiritum...»
Poi tutto divenne nulla.


Città del Vaticano – due giorni dopo l'Estrema Unzione

«Non mi prenda per il culo, eminenza: quelli erano reietti. Non avevano patrimoni o proprietà da lasciare a nessuno. Sono stati ammazzati dai vostri sicari, come succede a chi infastidisce la Chiesa. Questa prassi dell'estrema unzione vi torna utile per eliminare i nemici senza destare scalpore.»
«Queste sono sciocchezze senza alcun fondamento.»
«Davvero? Girano voci che un antiuntista avesse ricevuto un registro da una talpa in Vaticano. Un documento di carta. Qualcosa che non può entrare nella rete. Qualcosa di segreto dove erano segnate tutte quelle benedizioni che elargite a chi non le ha richieste. I miei uomini sono intervenuti per l'incendio del campanile. Era quasi tutto bruciato, ma sul corpo di Flavio Conte abbiamo rinvenuto questo.»
Il commissario trasse dalla tasca un registratore di inizio millennio. Una di quelle vecchie macchinette illegali usate da chi non voleva farsi trovare. Attrezzatura disconnessa. Premette il tasto col triangolo e ne uscì una voce leggermente distorta:
«Fa' attenzione che nessuno scappi e cerca dappertutto. Cerchiamo un registro di carta, quindi potrebbero averlo diviso in più parti nascondendolo in posti diversi.»
Il sorriso del cardinale si spense e il commissario annuì.
«È stata rilevata della carta bruciata tra i resti del campanile. E ora cosa mi racconta, eminenza?»
«Che lei è un uomo integro e in gamba, commissario. Se solo fossero tutti come lei... »
«Lo sa? Anche un sospetto basta a portare qualcuno a rovistare nell'immondizia. Anche se il questore, il sindaco o l'intero Governo sono corrotti da voi finti moralisti, tra i giornalisti qualcuno parlerà di questa cosa. Allora anche in queste belle sale si sentirà puzza di merda.»
Il commissario raccolse il registratore, lo rimise in tasca e uscì sbattendo la porta.
Qualche istante dopo un prete bussò ed entrò nella sala. Il cardinale sospirò e tornò a sedersi alla scrivania facendo cenno all’uomo di avvicinarsi.
«Problemi, eccellenza?»
«Mmm. Il commissario Leone è un buon cristiano, ma l'eternità spaventa, specie se si conduce una vita a contatto con la sofferenza. Mi ha confidato questo.»
«Capisco.»
Il prete fece per uscire, ma sulla porta si fermò.
«Che ha detto sulla scelta del modo?»
Il cardinale pensò un momento, poi sospirò.
«Ha detto: un colpo di fucile allo stomaco.»

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Re: Semifinale Samuel Marolla

Messaggio#4 » martedì 30 aprile 2019, 19:09

Scusandoci per il ritardo, ecco a voi i commenti si Samuel Marolla:




CRISTOPIA
Bel racconto che, a parte un po’ di infodumping di troppo, e a margine di dinamiche narrative molto classiche, in generale diverte e incuriosisce sia nell’idea centrale, sia nel suo mescolare fantascienza e sacro. Le idee sono molte e danno l’idea di un world building più strutturato (e quindi realistico). L’idea di fondo della Parusia è interessante; non so se sia voluto o meno, ma mi ha felicemente ricordato un grande classico del fantastico italiano, il “Come ladro di notte” di Miglieruolo.

ESTREMA UNZIONE
Anche questo un racconto godibile, che, per atmosfera, mi ha ricordato un po’ le belle spy stories secche alla Graham Greene. L’idea centrale è altrettanto interessante, ma forse poco sviluppata, pur nella sovrabbondanza di dialoghi. Viceversa, il difetto è che forse l’autore avrebbe potuto provare a privilegiare l’aspetto action, oppure l’atmosfera, rispetto al dialogo puro.

FINALE
Come da tema, i due racconti mescolano fantastico e religioso. Una combo che da molto tempo sono convinto essere il vero cuore pulsante della speculative fiction italiana, il nostro tratto distintivo rispetto a tutte le altre “scuole” di Fantastico nel mondo. D’altronde, come scriveva Oriana Fallaci, “siamo cresciuti in un paese di cristi e di madonne” e questo, piaccia o meno, non può non aver influito profondamente nel nostro dna immaginifico.
Sulla base di questo, ritengo che CRISTOPIA abbia saputo esplorare questo aspetto con maggiore varietà sia di contenuti che di forma.

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