La pendola
Inviato: lunedì 18 marzo 2019, 21:46
LA PENDOLA
Di Alexandra Fischer
I rintocchi echeggiano nella tromba delle scale, facendo sussultare l’inquilina più anziana del condominio Belcolle.
La signora Lattes è già in piedi, seduta in cucina con la tazza di latte bollente fra le mani e guarda l’ora sul quadrante dell’orologio a parete.
Le sei. È da ieri che sento così forte quella maledetta pendola. Deve essere del vicino del quarto piano. Come si chiama? Ah, sì, Pastorelli. Fra un paio d’ore mi sente.
***
Le otto del mattino arrivano presto. Esther Lattes ha avuto a malapena il tempo di mettersi il tailleur che portava ai tempi del lavoro in biblioteca.
Salire fin lassù le costa e non solo per via dei dolori alle gambe.
Davvero non dovrei essere così sfacciata, ma quel rumore dà sicuramente fastidio anche agli altri. Solo che non osano dirlo.
Quando suona il campanello, le apre la sua dirimpettaia, abbigliata con uno dei suoi caftani color pastello disseminati di arabeschi e il volto bistrato che ne maschera l’età di poco inferiore a quella di lei dandole l’aria di una gigantesca pupattola.
Questo, e la mania dell’occultismo la rendono un buffo personaggio agli occhi della bibliotecaria, ma di lì a immaginarla amichetta di Pastorelli!
Esther Lattes ne è stupita, ma finge di nulla: «Vorrei parlare con il signor Duilio per via della sua pendola troppo rumorosa, ma vedo che ci hai già pensato tu.»
«Oh, sì. Entra, Esther. Credo che ti divertirai.»
L’ex-bibliotecaria alza un sopracciglio: «Non vedo come, Dalia.»
La sua dirimpettaia la guida attraverso il corridoio.
Esther si aggiusta gli occhiali sul naso, incredula.
Il piccolo sofà contro la parete, lo sgabello con il cellulare e il caricabatterie non sono gli unici oggetti che vede: un salvagente gonfiabile, un albero di Natale, due bambole e un walkman le tagliano la strada, costringendola a balzi e saltelli.
Il fastidio si tramuta in terrore quando li vede diventare evanescenti.
«Non metterti a gridare proprio ora» le sussurra Dalia, aprendo la porta sullo studio di Duilio Pastorelli.
L’uomo sta riordinando alcune carte e alle pareti c’è il suo passato di sceneggiatore cinematografico.
Vedere quelle locandine rincuora Esther.
Ma guarda, sono le pellicole vacanziere che hanno rallegrato la mia giovinezza. Flirt, motivi sdolcinati, nuotate.
I suoi occhi corrono però alla pendola, evanescente come gli oggetti nei quali si è imbattuta nel corridoio.
Duilio posa le carte e si alza affabile: «È venuta a vedere la mia pendola? Le piace?»
Esther scuote la testa.
L’uomo si gira, costernato: «Mi dispiace. Da quando si è fermata, l'altroieri, non è più stata la stessa.»
Dalia interviene: «Sì, Esther. Credo che i libri di scienze occulte che prendevo in prestito nella biblioteca dove lavoravi abbiano detto il vero: i fantasmi esistono, e a volte prendono forme bizzarre.»
Agita la mano in un gesto teatrale e anche lei diventa evanescente.
Un altro gesto la riporta all’aspetto in carne e ossa fra le risate di Duilio.
Esther fugge dall’alloggio chiudendosi nel proprio.
Non ha il coraggio di rifugiarsi in cucina.
E se diventasse evanescente? O se toccasse a me?
Di Alexandra Fischer
I rintocchi echeggiano nella tromba delle scale, facendo sussultare l’inquilina più anziana del condominio Belcolle.
La signora Lattes è già in piedi, seduta in cucina con la tazza di latte bollente fra le mani e guarda l’ora sul quadrante dell’orologio a parete.
Le sei. È da ieri che sento così forte quella maledetta pendola. Deve essere del vicino del quarto piano. Come si chiama? Ah, sì, Pastorelli. Fra un paio d’ore mi sente.
***
Le otto del mattino arrivano presto. Esther Lattes ha avuto a malapena il tempo di mettersi il tailleur che portava ai tempi del lavoro in biblioteca.
Salire fin lassù le costa e non solo per via dei dolori alle gambe.
Davvero non dovrei essere così sfacciata, ma quel rumore dà sicuramente fastidio anche agli altri. Solo che non osano dirlo.
Quando suona il campanello, le apre la sua dirimpettaia, abbigliata con uno dei suoi caftani color pastello disseminati di arabeschi e il volto bistrato che ne maschera l’età di poco inferiore a quella di lei dandole l’aria di una gigantesca pupattola.
Questo, e la mania dell’occultismo la rendono un buffo personaggio agli occhi della bibliotecaria, ma di lì a immaginarla amichetta di Pastorelli!
Esther Lattes ne è stupita, ma finge di nulla: «Vorrei parlare con il signor Duilio per via della sua pendola troppo rumorosa, ma vedo che ci hai già pensato tu.»
«Oh, sì. Entra, Esther. Credo che ti divertirai.»
L’ex-bibliotecaria alza un sopracciglio: «Non vedo come, Dalia.»
La sua dirimpettaia la guida attraverso il corridoio.
Esther si aggiusta gli occhiali sul naso, incredula.
Il piccolo sofà contro la parete, lo sgabello con il cellulare e il caricabatterie non sono gli unici oggetti che vede: un salvagente gonfiabile, un albero di Natale, due bambole e un walkman le tagliano la strada, costringendola a balzi e saltelli.
Il fastidio si tramuta in terrore quando li vede diventare evanescenti.
«Non metterti a gridare proprio ora» le sussurra Dalia, aprendo la porta sullo studio di Duilio Pastorelli.
L’uomo sta riordinando alcune carte e alle pareti c’è il suo passato di sceneggiatore cinematografico.
Vedere quelle locandine rincuora Esther.
Ma guarda, sono le pellicole vacanziere che hanno rallegrato la mia giovinezza. Flirt, motivi sdolcinati, nuotate.
I suoi occhi corrono però alla pendola, evanescente come gli oggetti nei quali si è imbattuta nel corridoio.
Duilio posa le carte e si alza affabile: «È venuta a vedere la mia pendola? Le piace?»
Esther scuote la testa.
L’uomo si gira, costernato: «Mi dispiace. Da quando si è fermata, l'altroieri, non è più stata la stessa.»
Dalia interviene: «Sì, Esther. Credo che i libri di scienze occulte che prendevo in prestito nella biblioteca dove lavoravi abbiano detto il vero: i fantasmi esistono, e a volte prendono forme bizzarre.»
Agita la mano in un gesto teatrale e anche lei diventa evanescente.
Un altro gesto la riporta all’aspetto in carne e ossa fra le risate di Duilio.
Esther fugge dall’alloggio chiudendosi nel proprio.
Non ha il coraggio di rifugiarsi in cucina.
E se diventasse evanescente? O se toccasse a me?