Don Marione
Inviato: martedì 19 marzo 2019, 0:47
Ero poco più che un ragazzino quando vidi per l'ennesima volta i figli di comara Elisabetta accapigliarsi nell'angolo più sudicio del cortile: graffi profondi coprivano le braccia nervose dei tre fratelli, mentre le spalle, il collo e le gambe, portavano i segni dello sfregare sui muri di pietra grezza. E poi urla disperate, sputi, morsi.
Mio cugino Vito mi disse che quando si menavano, lo facevano con talmente tanta energia che i pidocchi di ognuno invadevano la testa dell'altro.
La comara era rimasta vedova giovane e faticava alla giornata, nei campi bonificati del metapontino. Si svegliava al buio, preparava per i figli una cialledda col pane raffermo e qualche verdura e quindi partiva per far ritorno la sera. Quando poteva, lasciava le porzioni di pasta e un dito d'olio; allora Tonino il grande, che aveva sedici anni, metteva la pentola di rame sul fuoco e cucinava per Nicola e Minguccio. Di solito i fratelli mangiavano presto, così quando le altre famiglie erano a tavola, loro si scatenavano in cortile rincorrendosi e pestandosi.
Quel giorno era uno dei tanti tutti uguali di un'estate calda e afosa: il sudore s'affacciava prepotente sulle fronti scure e quando un soffio di vento rinfrescava le tempie, era sempre accompagnato da polvere minuta e secca che vi si attaccava. Dalla finestra della sala da pranzo, vidi nitidamente un uomo robusto, vestito con una giacca grigia, avvicinarsi ai figli della comara. Loro cessarono di rotolarsi nell'erba consumata del giardino e guardarono l'uomo con un rispetto che non credevo potessero avere. Seppi in seguito che si trattava di don Marione, uno che prestava i soldi e che dopo un poco ne rivoleva il triplo. A chi non pagava entro la scandenza prendeva la casa e dava il resto con banconote che nel quartiere non aveva mai visto nessuno.
“Mamma dov'è?”
“A raccogliere i pomodori”. Il mio amico Tonino rispose pulendosi le mani.
“Soldi vi ha lasciato”.
“No”.
Don Marione cambiò espressione, fece un passo indietro, poi parlò: “Dite alla mamma che tra una settimana ripasso. Se non trovo i miei soldi mi dovete dare le chiavi di questa specie di casa. Indicò con lo sguardo la porta della loro abitazione, schifato.
I giorni seguenti vidi la comara girare per le case in cerca di lire da restituire.
Bussò anche alla nostra porta, insieme a Tonino che cercava me. Mamma e papà le diedero delle banconote di quelle che i caporali davano dopo due-tre giorni di fatica.
Ma non bastarono.
Dalle nostre finestre, un pomeriggio a controra, sentimmo dapprima lamenti e poi subito urla, rumori, disperazione. Spiai e vidi Minguccio attaccato alla gamba di don Marione, mentre la comara Elisabetta lo implorava di restare.
Poi solo lacrime.
“Angelo vieni”
“Dove Tonino?”
“Vieni con me e fa' come ti ho detto”.
Don Marione stava per svoltare l'angolo della strada. Lo vidi bussare a una porta, infilare una mano in tasca e quindi uscire.
Toccava a me.
“Don Marione buongiorno”.
“Angelo bello, dimmi”.
“I genitori di un mio amico ti vogliono parlare, abita qui dietro”.
“E io sto qua, andiamo”.
All'angolo, Tonino tremava dalla rabbia.
Fu preciso, veloce.
Il corpo dell'uomo fu ritrovato dopo qualche ora, con un grosso taglio alla gola e gli occhi spalancati verso il cielo.
Intanto, Tonino, era tornato dai fratelli.
Io, dalla finestra, li guardavo menarsi nel cortile.
Mio cugino Vito mi disse che quando si menavano, lo facevano con talmente tanta energia che i pidocchi di ognuno invadevano la testa dell'altro.
La comara era rimasta vedova giovane e faticava alla giornata, nei campi bonificati del metapontino. Si svegliava al buio, preparava per i figli una cialledda col pane raffermo e qualche verdura e quindi partiva per far ritorno la sera. Quando poteva, lasciava le porzioni di pasta e un dito d'olio; allora Tonino il grande, che aveva sedici anni, metteva la pentola di rame sul fuoco e cucinava per Nicola e Minguccio. Di solito i fratelli mangiavano presto, così quando le altre famiglie erano a tavola, loro si scatenavano in cortile rincorrendosi e pestandosi.
Quel giorno era uno dei tanti tutti uguali di un'estate calda e afosa: il sudore s'affacciava prepotente sulle fronti scure e quando un soffio di vento rinfrescava le tempie, era sempre accompagnato da polvere minuta e secca che vi si attaccava. Dalla finestra della sala da pranzo, vidi nitidamente un uomo robusto, vestito con una giacca grigia, avvicinarsi ai figli della comara. Loro cessarono di rotolarsi nell'erba consumata del giardino e guardarono l'uomo con un rispetto che non credevo potessero avere. Seppi in seguito che si trattava di don Marione, uno che prestava i soldi e che dopo un poco ne rivoleva il triplo. A chi non pagava entro la scandenza prendeva la casa e dava il resto con banconote che nel quartiere non aveva mai visto nessuno.
“Mamma dov'è?”
“A raccogliere i pomodori”. Il mio amico Tonino rispose pulendosi le mani.
“Soldi vi ha lasciato”.
“No”.
Don Marione cambiò espressione, fece un passo indietro, poi parlò: “Dite alla mamma che tra una settimana ripasso. Se non trovo i miei soldi mi dovete dare le chiavi di questa specie di casa. Indicò con lo sguardo la porta della loro abitazione, schifato.
I giorni seguenti vidi la comara girare per le case in cerca di lire da restituire.
Bussò anche alla nostra porta, insieme a Tonino che cercava me. Mamma e papà le diedero delle banconote di quelle che i caporali davano dopo due-tre giorni di fatica.
Ma non bastarono.
Dalle nostre finestre, un pomeriggio a controra, sentimmo dapprima lamenti e poi subito urla, rumori, disperazione. Spiai e vidi Minguccio attaccato alla gamba di don Marione, mentre la comara Elisabetta lo implorava di restare.
Poi solo lacrime.
“Angelo vieni”
“Dove Tonino?”
“Vieni con me e fa' come ti ho detto”.
Don Marione stava per svoltare l'angolo della strada. Lo vidi bussare a una porta, infilare una mano in tasca e quindi uscire.
Toccava a me.
“Don Marione buongiorno”.
“Angelo bello, dimmi”.
“I genitori di un mio amico ti vogliono parlare, abita qui dietro”.
“E io sto qua, andiamo”.
All'angolo, Tonino tremava dalla rabbia.
Fu preciso, veloce.
Il corpo dell'uomo fu ritrovato dopo qualche ora, con un grosso taglio alla gola e gli occhi spalancati verso il cielo.
Intanto, Tonino, era tornato dai fratelli.
Io, dalla finestra, li guardavo menarsi nel cortile.