Il crollo
Inviato: domenica 12 maggio 2019, 11:55
Il Crollo.
Saccoccia Cristiano
Ambientazione marchigiana con dialetto (BONUS)
Maledetti bastardi.
Avanzano, zoppicano come vecchi malfermi trascinando i loro arti putrescenti. Si sbracano in bestemmie elaborate, c'è anche il vescovo che reppa una cacofonia di “mannaggiacristo” con le sue fauci deformi, mia nonna snocciola una sequenza indescrivibile di insulti, tra cui spicca un “te pijasse un corbu” vomitato dalla sua trachea aliena, grazie nonna, anche a te. Il pompa scatarra una coppia di bossoli, disegna un cono arancio in cui i lapilli mortali esplodono in una supernova assassina. Crepa il mutante che fin da quando ero piccolo mi offriva il pane bagnato nell'acqua zuccherata “tieni coccu, cuscì cresci bene”. Ora è una sagoma crivellata dall'ultimo fermano, l'ultimo degli umani.
Corro, fendo i trapezi di luce bianca partorita dai lampioni, mi perdo nella notte merlettata da stelle ignoranti, spettatrici della mia crociata subumana. Ammiro il bianco monolite della cattedrale di Santa Maria Assunta, da anni abbandonata. Dopo il Rovescio nessuno andava a casa di Dio.
«Che fai? Scappi?!» sibila la mutante col bikini Tezenis. Si staglia imperiosamente davanti ai battenti del portone di bronzo, la cattedrale ora è così dannatamente lontana. Allarga le braccia, viscide membrane pipistrelloformi si palesano sotto le sue ascelle rivoltanti; assurda parodia di un'arpia omerica, vampirella da discount. Snuda i canini, con un balzo si fionda su di me. Mi morde, l'acido della sua saliva mi infetta l'organismo; mi sento euforico. La mordo anche io.
«Senti Twilight, vedemo chi è più de coccio» ci sbraniamo la carne reciprocamente, assaporo il sangue viola che umetta le mie labbra. Le recido la carotide, finalmente, si dimena come un'ossessa in preda all'ultimo orgasmo fatale. Il vento alza un carnevale di buste di plastica marchiate Coop.
Mi trincero nell'architettura romanica dell'Assunta, il mio forte, la mia Alamo o Masada. La mia Tomba. Il marmo è battezzato dal sangue di alcuni corpi, tutte suore o preti, si sono suicidati per evitare il contagio. Li copro con la bandiera gialloblu della Fermana Calcio che usavo come coperta, un ultimo atto di umanità. Ci sono volantini elettorali CASAPOVND riversati nelle fontane d'acquasanta, trovo anche rivoltelle e manganelli, non mi serviranno a niente. Il profilo del DVCE è impresso un po' ovunque, lui che più di settant'anni fa aveva bonificato le paludi di San Marco con le sue squadriglie di genieri, e avevano avvelenato il suolo con la peggior merda. Dopo il Rovescio da Bologna a Ascoli, da Riccione a Macerata, il sottosuolo defecò progenie esecrabili di scorie malsane e malattie virulente. Gli umani regredirono o migliorarono in una nuova razza pustulosa, individui bubbonici e mostruosi. Malformati da tratti animaleschi e demoniaci, altri sembrano semplicemente ghoul o zombie, whitewalkers de casa nostra.
Ho paura. Sigillo il portone con le panche di legno massiccio, le vetrate di piombo lasciano trasparire rivoli di luce lunare, so perfettamente che prima o poi sfonderanno le lamine policromate pseudogotiche. Intanto la ferita al collo ribolle di oscura alchimia mutante, sento qualcosa di altamente potente scorrere in me. Scaccio dalla mente l'immagine di Yoda che sussurra cazzate sui Jedi, o Junior che urla “HAI UN'AUREA PONTENTISSIMA”.
I lamenti dei mutanti si fanno sempre più forti, sento i “facci entrare!” “diventa uno di noi!”
“non ti mangeremo tutto, umano!” “Oh si, prenderemo la tua carne a piccoli morsi, non devi avere paura!”
So benissimo che riusciranno a entrare, che scioglieranno il bronzo con il loro sputo corrosivo, che divelleranno le porte con i loro energumeni palestrati e verranno a stuprare l'ultima oncia di umanità che mi rimane. Venite, chi non ha niente da perdere è il primo a dare tutto per vincere. Tiro fuori il cellulare, mi metto in loop le scene di Theoden al fosso di Helm e ai campi Pelennor. Le cuffiette conficcate come un'excalibur nei miei padiglioni auricolari.
Lo sento, percepisco la mutazione che imperversa nel mio corpo, l'inferno malato e depravato che si impossessa della mia carne bianca. Ascolto il canto di un fuoco primordiale ed eterno, fiammelle verdi danzano sui miei palmi sudati. No, non riesco a fare incantesimi piromantici, nessun getto di fuoco fatuo o colonne di fiamme di giada. Ma so che qualunque cosa riuscirò a fare sarà l'ultima. Ecco i battenti istoriati con le figure dei santi che vacillano, le finestre che scoppiano mentre gli infetti saltano dentro come satiri voluttuosi.
Circondato, da tutto lo schifo possibile.
La mia pelle sfrigola come arrosticini abruzzesi, brucio come il nucleo di un sole nascente. Verde e accecante come l'inizio degli universi, abbacino gli scroti mutageni che avanzano contro di me. Le porte si aprono riversando mostri su mostri.
Ma tacciono, immobili.
Ci sono due silenzi.
Il primo è quello che potrebbe captare anche uno stolto, l'incredulità generale di un'orda pestilenziale che contempla un uomo che non è più uomo, ma qualcosa simile a loro. Qualcosa più di loro. Il secondo silenzio è tutto mio. Il silenzio ampio e infinito di un albero che cresce nei secoli, il silenzio sinuoso della lava che si raffredda dopo il cataclisma, l'inquietante silenzio di un dio che divorzia con l'umanità dall'alto della sua indifferenza. Il silenzio di un uomo che vuole morire, e ha in mano due incensieri. I turiboli d'argento divampano, sono verdi come smeraldi e luminosi come il sorriso di una donna che mi è stato tolto anni fa.
Eccolo il fuoco, il napalm si riversa nel sacro labirinto d'incenso, si illumina con tutto il verde della speranza. E spero che le leggi della termodinamica siano totalmente sbagliate, perché voglio che tutto si distrugga. Gli incensieri avvampano, sembrano grandi granate verdi, i mutanti sono ancora silenziosi e immobili, come eroi pietrificati da Medusa.
Poi li scaglio nella zolfa dei miei ospiti corrotti, bombe sovrumane e mutanti, turiboli santificati e insudiciati dal mio potere abominevole brillano come un'alba radioattiva. Non c'è il bene o il male, ma non c'è scritto da nessuna parte che un mostro non possa odiare gli altri mostri. Non siamo una razza, siamo ciò che vogliamo essere. Sento la terra che si spezza, le montagne sbriciolarsi dentro al mio cuore, il mare ribollire di spuma inquinante, sento lo “sbagliato” che nasce ovunque.
Circondato dalla mia stessa luce, l'ultima che vedrò, so soltanto una cosa.
Non sono un eroe o un martire.
Sono il Crollo.
Saccoccia Cristiano
Ambientazione marchigiana con dialetto (BONUS)
Maledetti bastardi.
Avanzano, zoppicano come vecchi malfermi trascinando i loro arti putrescenti. Si sbracano in bestemmie elaborate, c'è anche il vescovo che reppa una cacofonia di “mannaggiacristo” con le sue fauci deformi, mia nonna snocciola una sequenza indescrivibile di insulti, tra cui spicca un “te pijasse un corbu” vomitato dalla sua trachea aliena, grazie nonna, anche a te. Il pompa scatarra una coppia di bossoli, disegna un cono arancio in cui i lapilli mortali esplodono in una supernova assassina. Crepa il mutante che fin da quando ero piccolo mi offriva il pane bagnato nell'acqua zuccherata “tieni coccu, cuscì cresci bene”. Ora è una sagoma crivellata dall'ultimo fermano, l'ultimo degli umani.
Corro, fendo i trapezi di luce bianca partorita dai lampioni, mi perdo nella notte merlettata da stelle ignoranti, spettatrici della mia crociata subumana. Ammiro il bianco monolite della cattedrale di Santa Maria Assunta, da anni abbandonata. Dopo il Rovescio nessuno andava a casa di Dio.
«Che fai? Scappi?!» sibila la mutante col bikini Tezenis. Si staglia imperiosamente davanti ai battenti del portone di bronzo, la cattedrale ora è così dannatamente lontana. Allarga le braccia, viscide membrane pipistrelloformi si palesano sotto le sue ascelle rivoltanti; assurda parodia di un'arpia omerica, vampirella da discount. Snuda i canini, con un balzo si fionda su di me. Mi morde, l'acido della sua saliva mi infetta l'organismo; mi sento euforico. La mordo anche io.
«Senti Twilight, vedemo chi è più de coccio» ci sbraniamo la carne reciprocamente, assaporo il sangue viola che umetta le mie labbra. Le recido la carotide, finalmente, si dimena come un'ossessa in preda all'ultimo orgasmo fatale. Il vento alza un carnevale di buste di plastica marchiate Coop.
Mi trincero nell'architettura romanica dell'Assunta, il mio forte, la mia Alamo o Masada. La mia Tomba. Il marmo è battezzato dal sangue di alcuni corpi, tutte suore o preti, si sono suicidati per evitare il contagio. Li copro con la bandiera gialloblu della Fermana Calcio che usavo come coperta, un ultimo atto di umanità. Ci sono volantini elettorali CASAPOVND riversati nelle fontane d'acquasanta, trovo anche rivoltelle e manganelli, non mi serviranno a niente. Il profilo del DVCE è impresso un po' ovunque, lui che più di settant'anni fa aveva bonificato le paludi di San Marco con le sue squadriglie di genieri, e avevano avvelenato il suolo con la peggior merda. Dopo il Rovescio da Bologna a Ascoli, da Riccione a Macerata, il sottosuolo defecò progenie esecrabili di scorie malsane e malattie virulente. Gli umani regredirono o migliorarono in una nuova razza pustulosa, individui bubbonici e mostruosi. Malformati da tratti animaleschi e demoniaci, altri sembrano semplicemente ghoul o zombie, whitewalkers de casa nostra.
Ho paura. Sigillo il portone con le panche di legno massiccio, le vetrate di piombo lasciano trasparire rivoli di luce lunare, so perfettamente che prima o poi sfonderanno le lamine policromate pseudogotiche. Intanto la ferita al collo ribolle di oscura alchimia mutante, sento qualcosa di altamente potente scorrere in me. Scaccio dalla mente l'immagine di Yoda che sussurra cazzate sui Jedi, o Junior che urla “HAI UN'AUREA PONTENTISSIMA”.
I lamenti dei mutanti si fanno sempre più forti, sento i “facci entrare!” “diventa uno di noi!”
“non ti mangeremo tutto, umano!” “Oh si, prenderemo la tua carne a piccoli morsi, non devi avere paura!”
So benissimo che riusciranno a entrare, che scioglieranno il bronzo con il loro sputo corrosivo, che divelleranno le porte con i loro energumeni palestrati e verranno a stuprare l'ultima oncia di umanità che mi rimane. Venite, chi non ha niente da perdere è il primo a dare tutto per vincere. Tiro fuori il cellulare, mi metto in loop le scene di Theoden al fosso di Helm e ai campi Pelennor. Le cuffiette conficcate come un'excalibur nei miei padiglioni auricolari.
Lo sento, percepisco la mutazione che imperversa nel mio corpo, l'inferno malato e depravato che si impossessa della mia carne bianca. Ascolto il canto di un fuoco primordiale ed eterno, fiammelle verdi danzano sui miei palmi sudati. No, non riesco a fare incantesimi piromantici, nessun getto di fuoco fatuo o colonne di fiamme di giada. Ma so che qualunque cosa riuscirò a fare sarà l'ultima. Ecco i battenti istoriati con le figure dei santi che vacillano, le finestre che scoppiano mentre gli infetti saltano dentro come satiri voluttuosi.
Circondato, da tutto lo schifo possibile.
La mia pelle sfrigola come arrosticini abruzzesi, brucio come il nucleo di un sole nascente. Verde e accecante come l'inizio degli universi, abbacino gli scroti mutageni che avanzano contro di me. Le porte si aprono riversando mostri su mostri.
Ma tacciono, immobili.
Ci sono due silenzi.
Il primo è quello che potrebbe captare anche uno stolto, l'incredulità generale di un'orda pestilenziale che contempla un uomo che non è più uomo, ma qualcosa simile a loro. Qualcosa più di loro. Il secondo silenzio è tutto mio. Il silenzio ampio e infinito di un albero che cresce nei secoli, il silenzio sinuoso della lava che si raffredda dopo il cataclisma, l'inquietante silenzio di un dio che divorzia con l'umanità dall'alto della sua indifferenza. Il silenzio di un uomo che vuole morire, e ha in mano due incensieri. I turiboli d'argento divampano, sono verdi come smeraldi e luminosi come il sorriso di una donna che mi è stato tolto anni fa.
Eccolo il fuoco, il napalm si riversa nel sacro labirinto d'incenso, si illumina con tutto il verde della speranza. E spero che le leggi della termodinamica siano totalmente sbagliate, perché voglio che tutto si distrugga. Gli incensieri avvampano, sembrano grandi granate verdi, i mutanti sono ancora silenziosi e immobili, come eroi pietrificati da Medusa.
Poi li scaglio nella zolfa dei miei ospiti corrotti, bombe sovrumane e mutanti, turiboli santificati e insudiciati dal mio potere abominevole brillano come un'alba radioattiva. Non c'è il bene o il male, ma non c'è scritto da nessuna parte che un mostro non possa odiare gli altri mostri. Non siamo una razza, siamo ciò che vogliamo essere. Sento la terra che si spezza, le montagne sbriciolarsi dentro al mio cuore, il mare ribollire di spuma inquinante, sento lo “sbagliato” che nasce ovunque.
Circondato dalla mia stessa luce, l'ultima che vedrò, so soltanto una cosa.
Non sono un eroe o un martire.
Sono il Crollo.