Cento Putrida

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo marzo sveleremo il tema deciso da Luca Mazza e Jack Sensolini. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) I BOSS assegneranno la vittoria.
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francesco.ferrioli
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Cento Putrida

Messaggio#1 » venerdì 17 maggio 2019, 9:09

1. La nèbia

Una volta la amavo. Bianca coltre lattiginosa che si addensa dai campi freddi d’inverno, separando come una notte apparente paese e paese, quartiere e quartiere, talvolta persino casa e casa, aleggiando per giorni e settimane per poi svanire e lasciar spazio al sole primaverile, come se non fosse mai esistita.

Oggi sono 25 anni esatti che la nebbia non si solleva dalla palude tra Cento e Pieve; dal Crollo.
La chiamo nèbia per puro spirito nostalgico, ma è una cortina pestilenziale e densa che aleggia su canali e acquitrini, provocata dai fumi delle acque putride che ammorbano queste terre, verdi di morte.
Puoi amarla o odiarla, ti ammazza comunque.
I pezzi grossi della Partecipanza l’hanno chiamata ‘NUbe Tossica RadIoAttiva’ o NUTRIA, e ne sconsigliano caldamente l’inalazione.
Dei gèni, quelli della Partecipanza.

Dopo il Crollo, la Partecipanza Agraria Centese è rimasta l’unica forma di amministrazione del territorio di Cento e Pieve, con il suo consiglio del Dodicesimo Morello come giudice durante gli eventi del CarnaMèl.
Venticinque anni fa, quando gli argini del Reno cedettero, riversandone le acque marcescenti e cancerogene per le strade e le campagne dei paesi adiacenti, la popolazione locale fu ridotta a poche centinaia di anime e i campi e i canali di bonifica vennero livellati dall’inondazione;
tutto quello che non morì fu costretto ad adattarsi.
Anche noi ci adattammo.

Ricordo che a quel tempo mi chiamavano al Mecàneg,
il meccanico,
perché ero capace di aggiustare qualsiasi cosa, dal trapano elettrico al trattore.
Di me e della mia umanità rimane poco, rimpiazzata da parti meccaniche, piastre in acciaio e carbonio e circuiti elettronici.
Sono il Mestieri e mi sono fatto da solo.
Questa è la mia storia, la storia del Mèc.




2. I Pundgàzi Radioativi

“Quest’anno schiattiamo malissimo al CarneMale. Sempre che non ci ammazzi prima la fame..”
Il Gallero mi fissa con aria assente mentre sbava in branda.
“C'at vgnès un cancar!” biascica, scorreggiando immondamente.
Si sporge fuoribordo e vomita bile mista a sangue, poi torna a pippare la sua dose giornaliera di ibuprofene e colla vinilica.
“Anch’ a té!” rispondo, combattendo a mia volta i conati.
Indossiamo le maschere e ci prepariamo ad entrare nella NuTRiA. L’odore di nafta si diffonde nell’aria mentre il motoscafo riparte tossendo e sputacchiando, il rombo del motore smorzato dalla foschia davanti e intorno a noi.

L'oblò della mia antigas si appanna travolto dalla brina che ci avvolge mentre ci lasciamo alle spalle il molo e i granai.
<<Ci starebbe del sàund ignorante>> penso, ma mi trattengo. Il beat a basse frequenze potrebbe attirare i gamberi mutanti, con i loro 2 metri di lunghezza per 100 chili non proprio i migliori compagni di colazione, anche se certo tra i più voraci.
Fino a dieci anni fa non temevamo la fauna delle Paludi Mutanti, a bordo dei nostri trattori anfibi Lamborghini con lanciafiamme al napalm e delle mietitrebbie cingolate a 12 lame.
Quando eravamo ancora i BigMèch. Quando c’era LVI.

“..di Machiavelli e di Totò,...”
<<Boia d’un mand!>>
“...cresciuti con una…”
<<BOIA
“...morale cattolica...”
<<D’UN
“..e con il rock'n'roll!”
<<MAND!

<<Pantegane!>>

Faccio appena in tempo a virare dietro il tronco marcescente di un platano e spegnere il motore prima di scorgere le loro sagome dietro la foschia. Il Gallero sgrana gli occhi, l’adrenalina deve averlo fatto riminchiare. Uno sguardo d’intesa e ci caliamo fino al petto nella melma, tenendo le fiocinatrici ad aria compressa sollevate fuori dall’acqua.

“Siamo figli di Pitagora..”
Gabry picchia come un martello pneumatico, sparato ad alta fedeltà da subwoofer bluetooth pre-Crollo montati su Harley Davidson flottanti.
Ne conto tre, guidate da mutanti con i corpi ricoperti di ispida peluria: ormai immuni ai vapori tossici, non sono costretti come noi a indossare maschere antigas o tute protettive e mostrano gialli incisivi ipertrofici sui loro musi da ratto di fogna.
“...di Michelangelo e Dario Fo..”
Non sembrano aver notato la nostra presenza, impegnati come sono ad impennare sul pelo dell’acqua. Stanno imitando il suono della drum machine con grugniti gutturali e acuti squittii.
“...cresciuti con una morale cattolica...”
Poco distante vedo emergere dalla nebbia la nave madre: a prima vista una pattumiera galleggiante di ferraglia e marciume, se non fosse per l’enorme muro nero di amplificatori che torreggia a poppa e il 4 canali Pioneer ad alta gamma piantato al centro del ponte.
Alla consolle riconosco il Govo dalla cresta di peli setolosi fucsia che gli divide a metà la calotta cranica; con le Beats premute tra la spalla e l’orecchio sinistro si sta contorcendo a ritmo di musica, calciando l’aria con le zampe ferine.

“Ma non era vietato usare i carri prima del CarneMale?”, mi sussurra il Gallero.
Con un dito alla bocca gli faccio cenno di tacere;
indico le due lanciarpioni sul ponte di prua, ognuna controllata da un altro uomo-pantegana.
Contando, alzo una a una le dita della mano sinistra.
Sei, proprio come i nostri avversari.
Aspettiamo che la nave passi oltre, mentre carichiamo le granate al napalm nella seconda bocca dei nostri fucili.

<<C'av gnès un cancher, PUNDGAZI RADIOATIVI!>> sibilo tra i denti.
Oggi si pesca, e non saranno gamberi.

3. Al CarneMèl ed Zènt

La musica si interrompe.
Per una manciata di secondi, l’unico suono udibile è il sommesso ronzio proveniente dagli amplificatori dietro di me, interrotto a intervalli regolari dalle vertebre cervicali del Govoni che graffiano il piatto del mixer. Il fiotto di sangue che si riversa dalle carotidi del cadavere gira vorticosamente in una spirale scarlatta sulla consolle e sul lucido ponte del Carro.

Abbasso gli occhi sulla testa mozzata del dj, la barba verde fluo stretta saldamente dal mio arto meccanico destro, occhi e bocca ancora sbarrati in un’espressione di sorpresa. La ghigliottina retrattile montata sulla mano sinistra indica una precisione del 97.5%.

Annuisco soddisfatto.
<<Non male come collaudo>> faccio in tempo a constatare, prima che il boato assordante delle vuvuzela da guerra mi riporti alla realtà.

L’intera squadra dei Toponi mi punta le fiocinatrici contro; uno dopo l’altro sento gli schiocchi dei pistoni e il sibilo degli arpioni che fendono l’aria.
Piego il ginocchio attivando la matrice di autodifesa: uno scudo di piastre d’acciaio si estende dai miei avambracci, assorbendo l’impatto dei proiettili in un clangore di metallo contro metallo.
Mentre i miei avversari si muovono per accerchiarmi, mi rialzo e sposto tutta la potenza agli arti inferiori, preparandomi al salto prima che possano ricaricare le armi.
Sento il ferro dei supporti del ponte scricchiolare sotto la spinta delle mie gambe metalliche.

BANG
Sono sospeso a più di dieci metri d’altezza, in posizione di vantaggio per cercare la migliore via di fuga. La vedo.

Poco distante dal Carro, in piedi sul sedile di una moto d’acqua, un ragazzo di quindici o sedici anni mi punta contro qualcosa, il viso sfigurato in un’espressione rabbiosa.
Ho appena il tempo di stupirmi dei suoi tratti e della fisionomia visibilmente ratteschi, prima che un getto di napalm infuocato erutti dal lanciafiamme che porta montato sul polso.
È la mia occasione: tenendo alte le braccia con lo scudo per deflettere le fiamme, mi lancio in picchiata nella sua direzione. L’impatto è brutale.
Sento il rumore di costole rotte sotto i piedi, mentre la forza della collisione sbalza il giovane Topone in acqua.

Mi interfaccio con il quadro di accensione della moto che, con un potente rombo, si avvia.
Evitando la pioggia di proiettili intorno a me, sfreccio sulla melma e mi dirigo verso il puntino rosso lampeggiante sul radar all’interno del mio occhio sinistro, che indica la posizione del mio Carro.

“Mèc? Mi ricevi?”, sento la voce dello Zambons nell’impianto cocleare radio.
“Forte e chiaro.” rispondo, riemergendo dalla nebbia. “Da qui sembra che lo spettacolo sia già cominciato.”
“T’al dég! I régaz del Guercino ci stanno arando il culo. Ci dai una mano o ti si è buggato l’esoscheletro?”
“Fat dèr int al cûl! Penso che rimarrò ancora un attimo qui a godermi lo spettacolo.”

La vista è davvero fenomenale.
Due enormi navi meccaniche galleggianti si stanno dando battaglia nel bel mezzo della palude di fanghi radioattivi; i getti dei lanciafiamme rosso vivo entrando a contatto con la nube tossica la incendiano e creano scie iridescenti, per poi disperdersi in uno sfavillio multicolore di coriandoli infuocati.
Le esplosioni e il lancio di proiettili si intrecciano su entrambi i lati, insieme alle grida di dolore e alle urla di incitamento, il tutto al ritmo della selezione musicale di epica ignoranza che si diffonde dai due sproporzionati impianti di amplificazione: pezzi di GigiDag e Gabry Ponte, Eiffel 65, Hit Mania Dance e Festivalbar si accavallano creando una cacofonia di suoni sintetizzati e bassi ripetitivi e ostinati dall’effetto quasi ipnotico.

“Capo, non vorrei interrompere la tua estasi mistica,” riprende lo Zambons “ma stanno arrivando i cisaròli”.


4. Ramenghi


“IMSAMNÌD!

Fissiamo il pavimento sudicio, in silenzio.
“ALDAMARI MALNATTI!”
“Pierino, lasciaci spiegare” prova il Gallero a mezza voce. Crede di far compassione, , l’addome ridotto a un colabrodo dalla nostra chiacchierata con le pantegane.
Quanto cazzo si sbaglia.
La zanetta dello Zamboni ascende fulminea, impattando secca sulla mandibola del mio già pesto compagno e scaraventandolo a terra.

“SPIEGARE COSA, ZIO CANTA? SAVIV CSA FEGNA, BUSGATT?
Facciamo che voi due inutili sacchi d’immondizia ve ne andate prima che arrivi il controllo della Partecipanza. Non ci si ammazza prima del CarneMale, nemmeno con le Pantegane!”
Ansima, il volto paonazzo.
Sono 20 minuti che urla, Piero ‘Zambons’ Zamboni, classe ‘85, e non è più un giovanotto.

“Ve ne andrete subito, lasciando qui costume, armi e gonfaloni. Siete senza rappresentanza e senza terra, se vi sgamano siamo tutti fottuti. Vi lasciamo i lanciarpioni dei Pundgazi e quel che resta della loro bagnarola, ma se vi avvicinate alle nostre terre vi laviamo col napalm. Ora FUORI prima che cambi idea!
“E tu SMETTILA DI SANGUINARCI SUL PAVIMENTO!”

Aiuto il Gallero a rialzarsi.
Anche dopo le fasciature e quel minimo di soccorso che siam riusciti ad amministrargli, è conciato male: tre schioppettate di piombini e due fori di arpioni in pancia, oltre a diverse ustioni su tutto il corpo.
Ma c’ha la cotica spessa, il Gallero, al tìn bàta.
E sicuramente sta meglio delle Pantegane.

Dopo pochi minuti siamo sulla carcassa bruciacchiata e semi-radioattiva dell’hovercraft: sta insieme per grazia ricevuta dal GigiDag.
Riesco a farlo partire al quinto strattone alla corda del motore a scoppio.

<<Abbiam cagato fuori a ‘sto giro>> sbatto il pugno sul timone, <<e questo è l’unico modo che ha lo Zambons per salvare le famiglie>>.
Non siamo rimasti in tanti qui nella bassa abili al lavoro e ogni arto serve al raccolto.
Per questo dopo il tragico CarneMale di dieci anni fa - mortalità dell’85% - è stato proibito ammazzarsi al di fuori delle sfilate e fortemente disincentivato durante.
Ma quelle merde schifose dei ratti erano lì per razziare, alzare la mano e chiedere loro educatamente di allontanarsi con ordine e rispettoso silenzio dai nostri terreni non avrebbe sortito alcun effetto.

“Csa fègna adèsa?” fa il Gallero, soffocando un colpo di tosse.
“Andèn a San Żvân. Dovrebbe esserci ancora qualcosa di asciutto da quelle parti. Magari una farmacia.
“O, visto come sei ridotto, preferisci al Campsènt?”
Lui si alza la maschera e scatarra sangue sul ponte, per niente divertito.
“Fógat!”
Ci guardiamo indietro, mentre le sagome fatiscenti dei granai si allontanano lentamente, inghiottite una dopo l’altra dalla foschia del mattino.

“C'at vgnès un cancar, Zènt!”

5. Reuìnd

“Impossibile!” sibilo tra i denti; ne esce un gorgoglio alieno che stento a riconoscere come la mia voce. “Mi dev'essere sfuggito qualcosa!”
Riavvolgo febbrilmente il filmato mnemonico dei minuti precedenti le esplosioni e lo riguardo daccapo. Niente. Di nuovo. Niente.
“Devo aver visto qualcosa! QUALSIASI COSA!” non mi accorgo nemmeno di aver gridato l’ultima frase, concentrato come sono a cercare una spiegazione agli eventi di poche ore prima.
Faccio ripartire per l’ennesima volta la registrazione.
Sempre uguale.
Prima il dialogo via radio con Piero; poi il Carro dei Risvegliati che emerge dalla nebbia con la musica del canzoniere ACR sparata a balìno dalle canne dell’organo di San Bièsi; poco dopo i membri delle tre fazioni che interrompono gli scontri e alzano gli occhi verso il cielo. Infine le esplosioni e la nube di fumo. Fosforo bianco.


Il filmato riproduce l’odore d’aglio marcio che penetra nelle mie narici, più intenso persino del puzzo delle Paludi.
L’aria si riempie delle grida di dolore e dello sfrigolio sinistro di pelle, carne e ossa ridotte in cenere.
Disattivo tutti i feed sensoriali tranne quello video per fermare i conati.
Passano pochi secondi e rivedo la seconda esplosione, più vicina, che innesca i sistemi di autodifesa: la tuta meccanizzata entra in modalità esoscheletro totale e attiva le branchie con Filtro Anti-Particolato. Mi immergo nelle acque palustri per spegnere le fiamme sugli strati esterni; il video è completamente nero per alcuni minuti.


Riemergo sulla banchina, tappezzata di cadaveri. Lo Zambons non si vede.
Riattivo l’audio.
Sento la mia voce gridare nel silenzio spettrale mentre con lo scanner analizzo la spiaggia, la palude, la carcassa del nostro Carro.
Tutti morti.
Dal nulla erompe la terza esplosione, troppo vicina. Vengo sbalzato in aria con forza e perdo conoscenza ancor prima di toccare terra. La registrazione si interrompe.


Mi sfugge un sospiro di sconforto.
“Rilassati, Davide” sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla “Sei al sicuro ora”.
Appoggio la mia pesante mano metallica su quella delicata in lattice e la stringo piano.
Lei risponde con dolcezza alla mia stretta, mentre con l’altra mano mi accarezza la nuca.
“Prenditi una pausa, sei fermo nella stessa posizione da più di due ore.” Mi prende le mani e mi gira verso di lei, costringendomi ad osservare il suo corpo perfetto. “Rifatti un po’ gli occhi!”
Mi mostra il profilo destro, poi il sinistro, infine si china verso di me stringendo i seni prosperosi tra gli avambracci. La risposta ormonale è immediata.


Scatto in piedi pronto a sbatterla come un toro da monta mentre lei si strappa i vestiti, mostrando curve di plastica dalla geometria impeccabile.
Sto già immaginando i nostri corpi sintetici che si avvinghiano nell’estasi degli impulsi primordiali, riesco già a sentire il sapore del suo clitoride sui miei recettori del gusto, ma un pensiero mi trattiene.
“Cos’hai appena detto?” chiedo, asciugandomi la bava.


“Eh?!” lei solleva lo sguardo dal mio gigantesco pene meccanico e mi fissa con un’espressione a metà tra il divertito e lo scocciato.
“Qualcosa sul rifarsi gli occhi.”
Riavvio per l’ennesima volta il filmato. “Gli occhi sono la chiave!”; fermo l’immagine poco prima delle esplosioni. “ECCO!”


Ecco cosa non ho notato: il vessillo dei Régaz del Guercino, un paio di occhi strabici, è ammainato. Al suo posto sventola uno stendardo giallo su cui campeggia un giglio viola.
“Il giglio dei Risvegliati!” esclamo esterrefatto.
Guercino e Risvegliati sono in combutta tra loro; e quelle bombe al fosforo bianco provengono dalle scorte papali. “Questa è ingerenza vaticana!”
Incredulo, mi giro verso l’Elettra; Lei mi fissa, visibilmente spazientita, le sue nudità di silicone ancora in bella mostra. Con un cigolio meccanico il mio pistone torna in posizione eretta.
<<Ha bisogno di una lubrificata>> penso.

La vendetta può aspettare.


6. uno

Con un pesante tonfo le porte metalliche si chiudono dietro di noi, lasciandoci al buio.
Il Gallero è appoggiato alla mia spalla, lo sento ansimare. Lo scontro con i gamberoni mutanti potrebbe avergli dato il colpo di grazia.
Lo adagio lentamente sul pavimento.
“In du sègna?” La sua voce è flebile.
“An al sò brisa..”. Scruto l’oscurità che ci circonda. “Sembra una sorta di bunker sotterraneo”.

“Benvenuti” come a rispondere ai nostri interrogativi una voce sintetizzata rompe il silenzio.
“Vi stavamo aspettando.”
Fasci di luce blu si spandono dal soffitto, illuminando le pareti e il pavimento di uno spazioso corridoio. Lungo le pareti, a intervalli regolari, schermi al plasma si accendono, proiettando tutti la stessa immagine: un volto di donna.
“C-chi sei?” balbetto.
“Mi chiamo E.Mi.L., I.A. custode di questo laboratorio.” il moto ipnotico delle labbra siliconate si ripete identico e moltiplicato all’infinito in tutte le sue iterazioni. “Prego, da questa parte”.

Una serie di frecce luminose illumina il pavimento, indicando una porta in fondo al corridoio. Io e il gallero ci guardiamo. Lui fa spallucce, la disperazione supera l’incredulità.
Ci trasciniamo in fondo al corridoio. La porta si apre su quella che sembra una sala d’attesa, divanetti, piante finte e tutto il resto.
“Accomodatevi” il volto ci segue nella stanza “Sarete ricevuti a breve”.
Gli schermi si spengono. Il Gallero si accascia su un divanetto; senza cure non gli rimane molto da vivere.
Mi avvicino a uno degli schermi incassati nel muro. Ci metto qualche secondo a riconoscermi nella faccia riflessa sul vetro.
Salto indietro e quasi cado a terra quando vedo un altro volto apparire sugli schermi e riempire l’intera parete. Un sorriso folle si allarga da muro a muro. Riconosco quella faccia. Sta su tutti i manifesti della nostra squadra.

“Mèc?!”

“Mèc?” il volto si contrae in una smorfia perplessa.
“Suppongo che ci chiamassero così, un tempo”.
L’immagine si scompone in centinaia di piccole facce sorridenti che parlano all’unisono. “SiaMO cAmbIaTi; cI sIAmo EvOLutI. SiAmO aSCesI!”
“Che posto è questo?”
“La FinE.”
Il suono di mille risate si trasforma in un boato assordante.
Le pareti della stanza scorrono veloci verso l’alto. O forse siamo noi che stiamo precipitando. Mi tengo stretto a uno dei divani, il Gallero dev’essere svenuto.

Le decine di facce si uniscono nuovamente a formare quella del Mèc: “È tutto pronto.”
“Cosa è pronto?” grido, cercando di sovrastare il frastuono del pavimento in caduta libera.
“Il piano è completo.” non mi ascolta nemmeno, sta parlando da solo “Mi serve solo il nuovo supporto organico.”
Gli enormi occhi mi scrutano, inquisitori:“Questo andrà bene.”

Con uno schiocco sonoro la piattaforma si ferma.
Dal pavimento quattro tentacoli metallici guizzano ad immobilizzarmi mani e piedi.
“Lasciami andare!” cerco di divincolarmi. Mi guardo intorno in cerca di aiuto, ma il Gallero è ancora fuori uso.
Dalle pareti e dal soffitto emergono braccia meccaniche che mi circondano.
Il mio ultimo tentativo di supplica viene smorzato dal dolore. Un dolore atroce. Inenarrabile. Uno a uno i miei arti vengono rimpiazzati da parti meccaniche, prima le gambe, poi le braccia.
L’ultima cosa che percepisco è il trapano contro il mio cranio.

7. UNO

Lo spirito è forte.
Il silicio anche.
La carne ormai invece è flaccida, stanca.
OBSOLETA.
Son passati tre anni da quando lavoro alla COUNTACH MUTAZIONE, ma finalmente il progetto è ultimato.
Il mio angelo di silicone e carbonio mi fissa pietosa.
“Davide. Cosa vuoi veramente?”
“Vincere,Elettra.”
“E pensi di farlo da solo?”
Il corpo è stanco.
Debole.

“No.”
L’IO obsoleto.
“Come posso fare?”
Un mappamondo leopardato si spande in tutte le proprie grazie davanti a me.
La luce blu e fucsia mi inonda.
“ACCETTACI.ABBANDONATI.UNISCITI.”
Le formose, androidiche cosce si dischiudono dinnanzi a me, scoprendo una nuova porta d’accesso.
Un nuovo inizio.
Entro.
L’universo collassa.
Fa male, malissimo. Se chiudo gli occhi muoio.
Se li tengo aperti brucio.
Le forme si sfumano una nell’altra.
Tabula rasa elettrificata del mio dolore, dei ricordi di sangue e di potenziali futuri.
Ora siamo pronti.
Ora vinceremo, ci vendicheremo.
Ora vedranno chi siamo.
NOI SIAMO IL MÈC.
Ultima modifica di francesco.ferrioli il venerdì 17 maggio 2019, 11:10, modificato 2 volte in totale.



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Re: Cento Putrida

Messaggio#2 » venerdì 17 maggio 2019, 9:11

Scritto da Alessandro Gallerani e Francesco Ferrioli
Usati entrambi i bonus
1.Italia napalm (ambientazione italiana) -3
2.Dialetto – 3

Buona lettura!

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Spartaco
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Re: Cento Putrida

Messaggio#3 » lunedì 20 maggio 2019, 0:46

Benvenuti su La Sfida a…
Per essere sempre aggiornati sul contest vi consiglio di iscrivervi al gruppo facebook dedicatogli: https://www.facebook.com/groups/2152382 ... =bookmarks

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Luca Nesler
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Re: Cento Putrida

Messaggio#4 » mercoledì 22 maggio 2019, 11:11

Ciao Alessandro, ciao Francesco. L'atmosfera che evocate è interessante e i vostri stili molto ricchi. Devo dire però che ho trovato l'intero racconto difficile da digerire. C'è molto dato per scontato e ho provato sopratutto confusione (anche alla seconda lettura). Non capisco chi siano i personaggi, né se le due trame siano legate. Colgo che ci sono elementi comuni, ma non riesco a seguire la storia. I dettagli di la trama è infarcita sono molto suggestivi, ma non bastano a migliorare la lettura. Per distinguervi parlerò di parte 1 e parte 2 riferendomi a tutte le parti scritte con lo stile della prima parte e quelle della seconda.
Per la parte 1 mi pare che il non detto sia maggiore e la confusione è generata sopratutto da quello che l'autore dà per scontato. A tratti lo stile è poetico e accattivante.
Nella parte 2 mi sembra che lo stile sia più adatto ad una cronaca d'azione, ma è molto caotico nella forma. Tutti quegli a capo, canzoni citate in mezzo (tipo fumetto) mi hanno fatto fare fatica nella lettura.
Insomma, forse siete stati penalizzati dal lavoro a quattro mani. Si vede che avete talento e buona fantasia, ma la resa in questo racconto per me è un po' troppo caotica.
Alla prossima!

Bonus presenti entrambi.

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Re: Cento Putrida

Messaggio#5 » mercoledì 22 maggio 2019, 17:44

Cento putrida

Il racconto riecheggia in maniera massiccia forme e contenuti da Riviera Napalm. La musica di Gigi Dag, il dialetto al servizio del pulp, le scelte sintattiche e stilistiche emulano, o forse più semplicemente imitano, le imprese del Cinno e del Gasato. A volte, più che sfidarli, si teme che facciano loro il verso, celebrandoli in una rincorsa che vanifica i numerosi spunti felici, originali, disseminati lungo la narrazione. Certamente apprezzabile l’ambientazione, dalla nebbia dell’incipit, evocata con notevole lirismo, al fiume contaminato solcato da uomini-nutria. Apprezzabile anche il pastiche linguistico, coerente connubio di espressioni dialettali e tecnicismi meccanici, e la natura stessa del protagonista, novello Darth Vader, snaturato nel finale e convertito a macchinario efficiente.
Il ritmo appare frastagliato, e alcune informazioni necessarie al lettore, come i motivi del conflitto sul fiume o la natura della donna-onirica-siliconata, sono dati in ritardo o finiscono per essere trascurati nell’impazzare dei vari cambi di scena. Le stesse sequenze narrative alternano focalizzazioni, voci narranti ed eventi di diversa natura, rimbalzando da un io lirico che non teme di raccontarsi a sequenze pulp popolate da nomi, più che da personaggi, che ovviamente sanno come ci si meNa, ma di cui l’interiorità appare come murata. Non mi riferisco solo a quella delle varie macchiette, ma perfino a quella del protagonista, a tratti straniato rispetto ai suoi stessi monologhi. Con un incipit tanto valido, che indirizza a un certo tipo di voce narrante e di sentire, le virate successive, i ritorni e le ulteriori contro-virate creano una sorta di cortocircuito vocazionale. La maggior pecca strutturale del racconto, a mio avviso, è da riscontrarsi proprio nella cesura tra lirismo e splatter: le due cose potrebbero esaltarsi a vicenda, ma rifiutano di parlarsi e finiscono per prendersi a pugni in un continuo dentro-fuori.
È un racconto periglioso, il cui susseguirsi narrativo, a tratti disarmonico e non perfettamente lineare, fatica a scorrere e ad amalgamarsi con naturalezza, come invece accade nel romanzo di Sensolini-Mazza: le due penne di Cento putrida sono sulla via dell’hardmony, e potrebbero darle degna voce, se solo si hardmonizzassero meglio tra loro.

(Ok entrambi i bonus)

cristiano.saccoccia
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Re: Cento Putrida

Messaggio#6 » lunedì 27 maggio 2019, 18:49

Buon registro linguistico, ok i bonus, ma secondo me cercate di imitare/emulare/ e che dir si voglia lo stile di Riviera Napalm, quindi non lo trovo perfettamente positivo.
Seppur il racconto sia interessante ho avuto difficoltà a capirlo, forse anche troppo ridondanti le citazioni al libro di Mazza-Sensolini. Dopo un poco ci si stufa, non ho visto un vero stile “personale”.
Ho trovato alcune parti confusionarie, sicuramente c'è bisogno di limare il racconto. Lettura complicata che poteva fare molto molto molto di più.

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el_tom
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Re: Cento Putrida

Messaggio#7 » martedì 28 maggio 2019, 17:50

Quando ho cominciato a leggere questo racconto mi sono detto "eccolo qui il vincitore"
Il protagonista sembra uscito da un fumetto degli x-men, mi ricorda Cable con le sue parti meccaniche, l'introduzione con la nebbia, le pantegane ( un po' punk, un po' uscite dalle fogne delle tartarughe ninja) antagoniste perfette nella palude, le scene d'azione immediate, rapide e ben coreografate.
Poi però il tutto si è disperso, la "seconda parte" del racconto mi ha confuso, non riesco a darle una locazione temporale, sembra che a tratti ci sia un flashback, una parte onirica, non si riesce a capire bene la corretta sequenza degli eventi.
Bonus presenti entrambi e adoperati magistralmente.
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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francesco.ferrioli
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Re: Cento Putrida

Messaggio#8 » mercoledì 29 maggio 2019, 20:56

RISPONDE LA SEGRETERIA TELEFONICA DELLA MIA FACCIA SULLA TASTIERA, SIAMO MOMENTANEAMENTE ASSENTI, RICHIAMEREMO QUANDO FINIAMO L'APERITIVO A BASE DI TASSONI E 'PEM PEM'.

Innanzitutto, grazie del tempo perso a leggere il nostro coso e anche a chi si è speso per provare a capirlo, individuandone pecche e possibili migliorie.


Ci teniamo a precisare un paio di cose
1 - il racconto è oscuro e caotico per due motivi: da un lato le idee che avevamo erano troppe (almeno il doppio di quelle di un autore in solitaria) ed è stato difficile farle stare in 20k battute; dall'altro le stesse situazioni narrate sono di per sè anomale e intrise del caos di un paesaggio post-apocalittici e ci hanno spinto a tradurre questo caos in un mix disomogeneo dello stile di scrittura e nell'intreccio non lineare;
2 - i riferimenti a Riviera Napalm, presenti in tutti i racconti, nel nostro forse sono risultati più evidenti dalla vicinanza geografica all'ambientazione originale; non l'abbiamo preso in considerazione, siamo stati penalizzati, tant'è.
3 (perché la matematica è un'opinione) - purtroppo il Carnevale da cui prende spunto l'azione è stato illustrato in maniera riduttiva, probabilmente perché molto chiaro nella nostra testa (avendolo vissuto per 30 anni) ma quasi sicuramente sconosciuto al lettore.
4 (emmobbastaveramenteperò) - ho<sdhfgaiu dslauiahihaskjlba iluadsflkjljkbsad lkibjsibkulj

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