Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

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Pietro D'Addabbo
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Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#1 » giovedì 22 ottobre 2020, 13:15

La pioggia, spinta da un vento incostante, picchia a scrosci sulle vetrate, ricorda il riflusso del mare sulle scogliere emerse di Atlit. La porzione superiore della finestra, basculante, è aperta, lascia entrare un piacevole odore sulfureo. Si mescola a quello del wakame, scatena la nostalgia.
«La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? »
Il proverbio andrebbe scomposto e ricomposto, la pioggia cade da settimane, questo pianeta pare voler finire sott'acqua, come Atlit. Agli umani però non dovrebbe fare altrettanto piacere.
Il wakame è delizioso, ma questa leccornia dovrebbe restare una fantasia. Andrebbe dimenticata, il conto quasi in rosso parla chiaro, i crediti sono quasi prosciugati.

Brutta cosa somatizzare i guai, le branchie prudono di nuovo. Lo specchio non mente, l’irritazione sul collo sembra voler competere con il conto in banca. La sciarpa imbevuta di AniSol torna ad avvolgerle, fasciando e nascondendo. L’odore troppo intenso sovrasta quello pur analogo della pioggia, spegnendo ogni fantasia nostalgica e rovinando anche il retrogusto delle alghe. Per fortuna, almeno il sollievo è quasi immediato.
Lo spray torna nella specchiera del bagno.
La vasca è degna di un’occhiata di desiderio, ma dovrà attendere l’ora di chiusura.

La parvenza di risacca, ipnotica, attira l’attenzione. Le gocce e lo sguardo cadono in strada, appena un piano più in basso. Non passa anima viva, solo qualche droide dall’andatura compassata e le scie saettanti e luminose di qualche veicolo di passaggio. La cortina d’acqua, fitta e insistente, deliziosamente acida, scoraggia gli umani, ammazzando l’architettura precaria e barocca delle acconciature di moda.

L’insegna del locale è guasta, la crepa nella guaina dell’ultima lettera deve essersi riaperta, mandando la D in pensione. Un’altra spesa da mettere a capitolo. C’è rimasto solo un MERMAI ad invitare i clienti ad entrare.
Il fegato rode, questa pioggia bella e dannata non vuole smettere, i debiti crescono, ogni giorno questo posto affonda una barca di soldi. Ogni goccia dissolve l’esigua speranza che le cose cambino.
Rilevare il bar durante i primi giorni di pioggia è sembrato un vero affare. Un pinguino in mezzo alle orche che si illude di essere al sicuro perché è in vacanza alle Galapagos. Che fesso.

Basta compiangersi. La consolle di sorveglianza mostra il bardroid dietro il bancone. E’ in stand-by da più di tre ore, custodisce la sala vuota. Il monitor scandisce la sconfitta, ribadisce ad intermittenza gli zero zero cinque clienti entrati questa sera. Se quel contatore utilizzasse tutte e tre le cifre, questo posto sarebbe una cornucopia di crediti, con le finanze di un piccolo stato. I registri contabili le hanno quelle cifre, fino ai primi giorni di pioggia, subito prima che acquistassi. Pessimo il tempo, peggiore il tempismo. Il compenso di buonuscita è prosciugato.

I talloni finiscono sul piano della consolle, l’attesa sarà lunga fino all'ora di chiusura.
Accesso numero sei. l’assistente vocale annuncia l’ingresso di un nuovo cliente.
Lo schermo è nascosto dai piedi palmati, tedioso cambiare posizione. Lo scanner annuncerà un mutante con innesti bionici di età imprecisabile, l’ennesimo tassista. Pagherà uno scaldabudella senza lasciare mancia per accreditarsi come cliente ed avere libero accesso alla ritirata. Come i cinque che lo hanno preceduto questa sera. La vicinanza del deposito dei mezzi garantisce a questo locale una clientela affezionata e selezionatissima.
Umana, giovane adulta. scandisce l’assistente.
I talloni tornano a toccare il suolo e gli occhi cercano conferme sul monitor. Lo scanner è stato riparato da poco, mangiandosi un’altra consistente fetta dei risparmi residui. Non può aver sbagliato.
La consolle sta già sciorinando statistiche: altissima probabilità che la cliente ordini Koronju -tutti gli ingredienti disponibili in deposito, non è necessario ripristinare la scorta-, altrettanto alta che gradisca l’ultima hit musicale, può essere indotta con accettabile probabilità ad ordinare un secondo Koronju se allettata dalla colonna sonora e da uno sconto ‘personalizzato’. Per risollevare le sorti del bar di clienti così ne basterebbero una decina al giorno. Anche un giorno su due.
«Autorizzo l’offerta.» è la formula corretta, necessaria.
Quanto spenderà? La consolle conferma, le parole chiave avviano la procedura proposta.
La musica si diffonde in sala, accogliendo un impermeabile scuro, piuttosto anonimo ma ben cerato, gocciolante, che si avvicina lentamente al bancone. Il bardroid è già uscito dalla sua stasi, pronto ad interagire.
Il cappuccio scivola, lasciando scoperto un caschetto di capelli lisci e biondi, fino alle spalle, la pioggia deve aver sciolto il gel modellante nonostante la protezione che indossa. Il volto incorniciato incastona un piccolo naso pallido, labbra talmente chiare da sembrare esangui e occhi cinerei sotto sopracciglia sottili. L’acidità della pioggia ha lievemente arrossato le sclere.
Il droide riferisce lo sconto e attende l’ordinazione. Vantaggi dell’automazione e della dotazione di un buon database. Un’altra spesa pesante, che doveva ripagarsi rapidamente. Se davvero la donna ordina un secondo Koronju, sarà il primo passo in quella direzione.
Supporto: richiesta non riconosciuta.
Anche sul monitor campeggia il messaggio d’allerta, stessa dicitura: richiesta non riconosciuta. Il bardroid ha in lista centinaia di bevande, la connessione in rete per gli aggiornamenti istantanei è attiva. La richiesta è registrata, l’audio inoltrato alla consolle per l’ascolto in differita. La prima volta la voce esce dalle casse troppo flebile, la seconda una singola parola diventa comprensibile.
«Aiuto».
La telecamera inquadra il bancone, la donna si accascia lentamente al suolo.
«Attivare il Protocollo medico!»
Il protocollo medico non è implementato su questa unità. E’ disponibile per il download. Desidera acquistare?
I crediti richiesti lo rendono un prezzo esorbitante, una cifra superiore a quella sul conto.
Accanto al corpo della donna si allarga una macchia di liquido scuro, il bardroid resta in attesa di preparare un cocktail che conosca, gli hooverdroid stanno già ripulendo, pur evitando di toccarla. Se muore nel bar, si aggiungerà l’accusa di occultamento di prove a quella di omissione di soccorso.
Possibilità di pagamento in quarantasette comode rate mensili. Poggiare l’indice sul bioreader e confermare l’opzione.
«Confermo. Protocollo medico, acquisto rateale.»
Una leggera puntura, una goccia di sangue finisce nei capillari del rilevatore, l’identità associata al conto è confermata.
Protocollo medico disponibile. Esecuzione immediata.
L’assistenza comincia, il droide dietro il bancone cambia configurazione. Un paio di panche affiancate accolgono l’umana, i cuscini della seduta si impregnano del liquido e dei suoi altri umori. Una sistemazione per la quale non potrà lamentarsi finchè rimane incosciente. Incrociare le dita non serve, sapere che combina il droide impossibile: la fisiologia umana è troppo complessa.
I debiti passano da mareggiata a tsunami, finire in prigione forse non era l’opzione peggiore. Perché i guai si sommano ai guai, persino quando cambi pianeta per ricominciare da zero?
Il collo ha di nuovo bisogno di un’altra dose di AniSol. Meglio due.
Ciononostante il sollievo questa volta non è così immediato.

L’emergenza medica ha preso il controllo della consolle: le porte del locale sono chiuse, sigillate, garantendo il mantenimento della sterilità. Non entreranno più clienti, per questa sera, i tassisti dovranno trattenerla fino ad arrivare a casa.
Il monitor mostra ancora la donna. Ha una specie di maschera per la ventilazione assistita, sembra ricavata tagliando e sagomando una tanica di materiale plastico, cui è attaccato un tubo col serbatoio a fisarmonica. L’attrezzatura di mescita ha dunque trovato un nuovo utilizzo. Il droide preme ritmicamente il serbatoio con cadenza cronometrica. Sta salvando una vita con due mani a pinza destinate a shakerare.
Non sembra che la donna abbia subito altri interventi, chirurgici o manipolativi, a parte la rimozione dei vestiti. La pompa di calore è stata convertita e deputata all’asciugatura, oltre che al riscaldamento dell’ambiente.
Maneggiare la consolle consente di cambiare campo, ottenere una visuale più ampia.
Il corpo dell’umana è perfetto, candido, privo di qualsiasi nevo. Non c’è traccia d’inchiostro sulla pelle, come una tela nuova, immacolata. Non ha il minimo orpello metallico, né fori che indichino un punto dal quale il droide possa averli rimossi. La zona ventrale e pelvica è stranamente prominente, ma priva di tagli, di ferite o di ecchimosi. Decisamente in contrasto con il resto della figura, longilinea fino all’esile.
Il report dell’assistente vocale cita terminologie mediche e percentuali varie, valori fluttuanti e quasi contraddittori. Forse ho pagato troppo una opzione di scarso valore.
C’è ben poco che un abitante di Atlit possa comprendere appieno in questo linguaggio che sembra iniziatico, ma l'esperienza insegna: gli umani hanno un solo cuore, decentrato a sinistra in mezzo al petto, qui invece di battiti ne segnala due. Comunque, bug di sistema a parte il messaggio è chiaro: l’umana non rischia la vita. Nessuna assistenza esterna è stata allertata. La consolle dice che è in attesa, dunque non c’è che da attendere che si svegli da sola.
Lo sguardo indugia sul monitor, è solo curiosità. Lei è troppo umana perché stimoli la fantasia e gli ormoni, ma è facile immaginare sia il tipo che va per la maggiore fra quelli della sua razza: fisionomia del volto e del corpo ricordano qualcosa, potrebbe essere una modella, di quelle che occhieggiano i passanti dalle gigantografie pubblicitarie. Nessuna di loro, nelle foto, ha quella pancia prominente. Un corpo come quello deve costare parecchio, fra creme, palestre, diete speciali, come può aver lasciato che si modificasse a quel modo? Ha esaurito i soldi. Dannazione, non potrà accordare una ricompensa, nemmeno il minimo rimborso per l’assistenza. Questo è il colpo di grazia.

Guardare i crediti che filano via come uova disperse nella corrente non fa bene alla salute. A quest’ora comincia il notiziario. Il servizio principale non è affatto su una novità: piove. Sport sospesi, comunicazioni intercittadine rallentate, commercio in crisi. Ogni notizia un corollario della stessa tesi, nessuno ne può più di tutta quest’acqua. In coda una appendice di pettegolezzi, piuttosto annacquati anche loro. Tranne uno, la sedia sotto le natiche sembra diventata rovente. Una starlette è scomparsa, una giovane cantante. Scorrere indietro e congelare l’immagine permette di osservare bene quel volto. Sembra… è la donna di sotto, riversa sulle panche del bar. Ha saltato un concerto, è rinchiusa in un centro di cura per improvvisi problemi di salute. Tutto falso. E’ qui, impossibile avere dubbi dopo aver diviso lo schermo e confrontato i due volti.
Se è famosa, potrebbe davvero esserci una ricompensa per averla aiutata! Ma perché mentire sul luogo in cui si trova? Sfuggire alle folle adoranti e appiccicose di fan, non mostrare lo stato in cui ha ridotto l’addome.
Una breve ricerca, la casa di cura che il servizio ha citato ha un indirizzo digitale per i contatti. Il testo è dettato in pochi istanti, la foto del volto allegata, la missiva inviata subito dopo. Nemmeno il tempo di tornare a guardare quel volto che respira sul monitor che arriva una risposta di due sole righe.
La prima laconica ma chiara.
Attendere istruzioni. Mantenere riserbo. Accordata ricompensa.
La seconda aggiunge una posticcia cordialità a quelle parole asettiche, come imposte da una seconda mano.
Grazie per la segnalazione.
Se qualcosa ha portato nel bar quella donna, è il karma. Grazie a lei questo posto non dovrà chiudere. Un groppo in gola pare sciogliersi, non sapevo nemmeno d’averlo.

Sarà un nuovo inizio. Il wakame tornerà sul desco tutte le sere, finalmente.
A partire da subito, si può ben festeggiare. Porzione doppia, consumata in vasca. L’acqua ribolle, l’AniSol invade la stanza con il suo odore pungente, la cena scende nello stomaco. Le squame luccicano, i muscoli fremono, le branchie respirano libere, la mente è finalmente leggera. Dilatare le pinne sugli avambracci è la quintessenza del piacere, nella vasca non c’è nulla che possa danneggiarle, le punte scivolano sulla ceramica senza impigliarsi o rovinarsi.
La vetrata implode.
Miriadi di schegge della finestra volano verso il volto, gli occhi, le braccia protese, rimbalzando sulle squame. Una nuvola di fumo si spande, fuoriuscendo da un cilindro metallico, aggiungendo ulteriore solfuro a quello già presente.
La reazione è istintiva, scritta nella memoria degli arti. Non è più il momento di rilassarsi.
Il cilindro fumante è già sotto un asciugamani quando un paio di anfibi neri irrompono dalla finestra in frantumi. Le ritmiche esplosioni di un AX32 spingono un nugolo di proiettili nell’acqua della vasca, spaccando la ceramica, ottenendo null’altro che spargere acqua dovunque.
Il tubo metallico del doccino è una frusta, travolge i polsi che reggono l’arma. Stringere il collo rimanendo alle sue spalle e spazzare i malleoli è un riflesso condizionato, il liquido sul pavimento aiuta la manovra. Il crack delle vertebre cervicali è familiare e atteso, l’assalitore è spacciato. Non è solo però. Anche altre vetrate sono implose, nelle stanze vicine.
L’AX32 a lui non servirà più. I colpi ci sono ancora, più di metà del caricatore.
Quando la porta del bagno comincia ad aprirsi, il dito sfiora il grilletto, ne partono una mezza dozzina. Il braccio accompagna il rinculo senza risentirne, memore dell’addestramento. I proiettili perforano il legno, abbattono il bersaglio oltre quella inutile barriera.
Gli assalitori pensano di affrontare un umano. Indossano maschere, ostacolando la propria vista. Cercano di indurre pianto e difficoltà respiratorie nel loro bersaglio. Contano su un vantaggio tattico, invece il vantaggio è mio.
Altri due a questo piano, si muovono con prudenza. Uccidere il più vicino richiede due raffiche. L’ultimo spara all’impazzata, i danni al mobilio fanno lievitare il debito. La ricompensa dovrà essere molto più che congrua per rimettere tutto a posto. La sua arma esaurisce i colpi. La mia centra il bersaglio. Tute anonime, armamentario standard. Nulla che dica chi sono questi quattro, né cosa vogliono.
Una consapevolezza improvvisa e folgorante, è lei il loro obbiettivo.
Il messaggio era una tattica diversiva, per tenerla ferma qui, impedire che venisse spostata. Piano militare, entrare dal piano superiore per superare la blindatura al piano di sotto, che lascia un’unica facile via d’accesso, la porta e la scala che portano a questo piano.
La consolle funziona ancora, il monitor è incrinato ma mostra il sonno placido ed ignaro dell’umana, la sua bellezza fragile, delicata, quasi evanescente, e la sua pancia sferica e abnorme. Una libellula nel sole d’agosto che trasporta un baco imbozzolato.
Le dita digitano frenetiche, prima che arrivi una nuova ondata. Un’altra missiva digitale parte verso lo stesso indirizzo, il tenore è molto diverso dal precedente. La risposta è immediata, annuncia un approccio diverso. Non rischieranno un nuovo diversivo.
Di nuovo qualcuno vuole entrare dalla finestra, questa volta però non sono scarponi, sono mocassini. Una piattaforma scende all’altezza delle finestre sfondate, l’uomo che entra ha giacca, cravatta, ventiquattrore e un contenitore medico. Si fa largo da solo nella cornice divelta della vetrata. La pioggia non ha nemmeno sfiorato il suo abito, l’aircraft sospeso sopra di lui deve essere largo quanto la via.
«Non posso tergiversare.» dietro la maschera antigas, la voce è secca, tagliente.
Apre la valigetta, digita, alza lo sguardo.
La consolle reagisce trillando, un'occhiata rapida, la transazione bancaria è confermata. Un cenno alle scale, lui annuisce e si avvia. Scende portando con sè solo il contenitore.
Il monitor si accende di un rosso brillante, la consolle lamenta qualcosa di ininfluente, ormai.
Una decina di minuti, poi l’uomo torna su. Ha ancora il contenitore, lo stringe sotto braccio con entrambe le mani, risale sulla piattaforma. La valigetta dimenticata lo segue con un lancio brusco ma preciso, che lo sfiora senza colpirlo. Gli sguardi si incrociano, non c’è sfida in nessuno dei due.
La pioggia torna a cadere, senza il velivolo a far da riparo. Comincia ad allagare la stanza, non c’è più alcun vetro a tenerla fuori.
Il monitor mostra ancora la ragazza. Il volto incantato, sotto la maschera, sorride.
Uno squarcio, sotto lo sterno e lungo il basso ventre, mostra il luogo dove batteva il secondo cuore.
«Disattivare protocollo medico. Preparare la riapertura.»
Gli hooverdroid avviano le pulizie al piano di sotto.
Qui c’è il wakame da riscaldare.


"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Pietro D'Addabbo
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#2 » giovedì 22 ottobre 2020, 13:18

Salve a tutti,

posto qui una versione riveduta del racconto che ho tentato di inviare per il contest dal tema "Bellezza e Disperazione". Come bonus erano previsti l'uso della Prima Persona per la narrazione e la presenza di un Personaggio Stravagante all'interno del racconto. Lunghezza massima 20000 caratteri.

Grazie a chi vorrà donarmi il proprio commento.
Pietro
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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MatteoMantoani
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#3 » domenica 25 ottobre 2020, 10:28

Ciao Pietro.
Stamattina ho poco tempo, però ho voluto comunque scriverti per darti le mie impressioni a caldo del tuo racconto. Poi appena potrò ti darò un commento puntuale analizzando riga per riga (se la cosa può farti piacere). Il commento puntuale è una cosa che cerco di lasciare sempre, solo che purtroppo ho poco tempo e non vorrei perdere le idee i suggerimenti che ho in testa adesso che ho appena finito di leggere il tuo pezzo.
I punti forti della tua ambientazione sono la scelta del protagonista e l'ambientazione che sei riuscito a creare. Mi è piaciuto molto come hai introdotto il personaggio e come hai svelato i dettagli del suo aspetto fisico un poco alla volta (anche ricorrendo al famigerato specchio, sigh!) e questa metropoli piovosa stile Blade Runner mi piace, specie se la penso arricchita da un quartiere per alieni, o un ghetto a quanto potrebbe sembrare da come lo descrivi.
La cosa che mi ha convinto meno è la tra stessa. Mi spiego, l'unico momento di vero conflitto in cui ho provato empatia per il protagonista è quando deve scegliere se indebitarsi o meno per salvare l'umana sconosciuta. Da lì in poi la mia attenzione è scesa, il conflitto a fuoco finale non mi ha coinvolto molto, l'ho trovato confusionario (forse era questa la tua intenzione, comunque trovo quel pezzo la parte meno riuscita del racconto e ti darò qualche commento puntuale appena potrò). Adesso arrivo alla pecca più grande: la storia non raccontata. L'umana incinta ha una storia che probabilmente è molto più interessante di quella che racconti (quella di un alieno tutto sommato balia degli eventi). Per quale motivo la donna scappa? Perché dei cattivoni sono interessati a prenderle il feto? Cos'ha di speciale? Si salva o muore? Sono domande che rimangono senza risposta, con la sensazione di rimanere a bocca asciutta. Secondo me per rendere questo racconto davvero avvincente dovresti approfondire questa trama secondaria (che poi tanto secondaria non è) e approfondire il dilemma morale del protagonista oltre il mero problema di denaro (perché non rendere anche il problema di vendere o no il nascituro ai cattivoni?).
Mi piacerebbe sapere cosa pensi di queste mie impressioni a caldo, spero di averti dato spunti di riflessione utili. Avrei molte note sui pezzi di raccontato che lasci qua e là, specie all'inizio. Però ti dico, le terrò per il commento puntuale, se vorrai. Grazie a presto!

Maurizio Mannoni
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#4 » domenica 25 ottobre 2020, 11:51

Ciao Pietro, non è il mio genere ma provo a darti la mia impressione. Nell'incipit ho avuto difficoltà a cogliere la scena a causa del proverbio che mi ha lasciato spiazzato. Per il resto riesci a evocare bene l'immagine del protagonista alieno in preda alle scelte finanziarie durante la tempesta di pioggia . Nella seconda parte, l'assalto indirizzato alla donna incinta, in effetti, come ha evidenziato il commento precedente, non ha una trama ben definita. Buono lo stile di scrittura anche se a volte risulta eccessivo nei dettagli.

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Alessio
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#5 » domenica 25 ottobre 2020, 21:05

Ciao Pietro, grazie per aver condiviso il tuo racconto.

In generale condivido le osservazioni di Mentis, ho associato anch'io l'atmosfera a Blade Runner (chi non lo ha fatto alzi la mano :) ) e mi è arrivata anche una sensazione di opprimente indolenza data dai gesti del protagonista. Queste cose mi sono piaciute e fanno entrare bene nel mood del racconto. Anche i dettagli che usi mi sono sembrati buoni, le scene che mi sono immaginato erano vivide e scorrevano bene.
Le mie considerazioni riguardano il punto di vista. Se io leggo il primo paragrafo, mi sembra il racconto di un narratore onnisciente, e nonostante poi ci sia una focalizzazione maggiore, questa sensazione di essere esterni al punto di vista mi accompagna un po' per tutto il racconto. La scelta di far vedere al protagonista la scena dentro il bar da uno schermo, probabilmente, non aiuta.
Anche l'assistente vocale mi ha lasciato un po' perplesso. Funziona nel caso specifico perché al bar arriva un avventore ogni morte di Papa, ma se il locale fosse stato molto frequentato, sullo schermo sarebbe arrivato un flusso ingestibile di informazioni su tutti gli avventori, il che me lo rende poco credibile.
Rispetto al tema "Bellezza e disperazione", ok, ci dici che la donna era bella, probabilmente una modella, ma mi sembra un po' poco, e fatico a cogliere una vera disperazione (che immagino dovrebbe essere dell'alieno spraffatto dai debiti e dal dilemma morale in cui si viene a trovare).

Spero che queste considerazioni ti siano d'aiuto.
Buona scrittura!

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MatteoMantoani
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#6 » domenica 25 ottobre 2020, 22:38

Dunque: eccomi col commento puntuale. La prima cosa che ti farei notare, è che questo racconto non segue le regole dello “show don’t tell”. Se conosci questa tecnica ti consiglio di usarla e preferirla allo stile raccontato. Se non la conosci è il caso di imparare a padroneggiarla, poi se la vorrai usare o no dipenderà dai tuoi gusti. Tieni conto però che un testo scritto con quelle tecniche è quasi sempre a un passo avanti dagli altri.
Ecco il commento puntuale.

La pioggia, spinta da un vento incostante, picchia a scrosci sulle vetrate, ricorda il riflusso del mare sulle scogliere emerse di Atlit.
Toglierei tutte le virgole fino a “ricorda”, e separerei le due frasi con un punto o un punto e virgola (secondo me una virgola è troppo poco). O un piccolo commento su “Atlit”. Poi si capisce cos’è, però qui io ho pensato si trattasse di un posto che non conosco, ma su questo pianeta: magari qualcosa di orientale visto che poi citi il wakame. L’effetto è di certo voluto, crea un po’ di spaesamento e non so se nell’incipit questo è una bene. “Ricorda” è un verbo che non userei per impostare il racconto verso lo stile “show don’t tell”. Questa tecnica è da imparare, poi si può usare o meno, però ti consiglio vivamente di padroneggiarla (in generale nel tuo racconto preferisci le parti di raccontato, attenzione perché rischi molto di perdere l’attenzione del lettore).

La porzione superiore della finestra, basculante, è aperta, lascia entrare un piacevole odore sulfureo. Si mescola a quello del wakame, scatena la nostalgia.
Anche qui qualche virgola di troppo (prima e dopo basculante), “scatena nostalgia” è tell: il tuo personaggio si sta voltando verso una platea e sta esprimendo le sue sensazioni raccontandole. Cercherei fossi in te di tradurre questi pezzi in fraseggio mentale.

«La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? »
Il proverbio andrebbe scomposto e ricomposto, la pioggia cade da settimane, questo pianeta pare voler finire sott'acqua, come Atlit. Agli umani però non dovrebbe fare altrettanto piacere.

Qui si scopre che Atlit è un pianeta e che il personaggio non è umano. Attenzione: anche qui c’è molto tell, il proverbio non si capisce da dove venga, non si capisce cosa vuoi dire quando dici che andrebbe ricomposto, c’è il solito problema di punteggiatura.

Il wakame è delizioso, ma questa leccornia dovrebbe restare una fantasia. Andrebbe dimenticata, il conto quasi in rosso parla chiaro, i crediti sono quasi prosciugati.
Il paragrafo è terminato, e a parte il colpo di scena sulla natura del protagonista a mio parare questo incipit non invoglia abbastanza alla lettura. Cerca di esprimere una situazione di altissimo interesse fin da subito: qui il tuo personaggio (per quanto originale sia la sua natura) sta tranquillo a pensare a proverbi e a mangiare wakame. Capisci anche tu che l’empatia è scarsa, devi mettere il tuo personaggio in una situazione di difficoltà in modo da scatenare nel lettore l’interesse alla prosecuzione della lettura. Non so dove l’ho letto, ma l’esempio dell’incidente stradale è esemplare: tutti quando vedono un incidente stradale sono curiosi di sbirciare per capire cos’è successo (quasi sadicamente). L’idea che una cosa così forte può accadere anche a te scatena un meccanismo di interesse e ti costringe a guardare, eppure non conosci l’incidentato e di lui tutto sommato non te ne frega granché. L’inizio di un racconto deve riuscire a suscitare lo stesso effetto: all’inizio del tuo personaggio non frega niente a nessuno perché nessuno ancora lo conosce, allora devi descrivere una situazione tale da incollare il lettore alle parole e costringerlo a continuare. L’idea di descrivere una situazione critica o di conflitto è una strada quasi sicura per riuscirci.

Brutta cosa somatizzare i guai, le branchie prudono di nuovo.
La frase prima della virgola è inutile ed è tell. Puoi esprimere il concetto del prurito psicoscomatico semplicemente collegando il ricordo del debito alla voglia di prudersi. Questo è l’ultimo pezzo di Tell che ti segnalo, più avanti ce ne sono altri, penso che saprai riconoscerli.

Lo specchio non mente, l’irritazione sul collo sembra voler competere con il conto in banca.
Quando un personaggio con voce narrante in prima persona descrive sé stesso usando uno specchio, il lettore pedante urlerà al cliché. Qui descrivi solo un piccolo dettaglio e usi questo espediente in modo poco invadente: giustamente il personaggio allo specchio nota solo l’irritazione sulle branchie, però aggirerei proprio il problema e taglierei.

La cortina d’acqua, fitta e insistente, deliziosamente acida, scoraggia gli umani, ammazzando l’architettura precaria e barocca delle acconciature di moda.
Ok, cortina indica una struttura muraria: come fa ad essere fatta d’acqua? Non lo spieghi, attenzione qui andrebbe specificata meglio la natura della barriera che descrivi.

C’è rimasto solo un MERMAI ad invitare i clienti ad entrare.
Quindi il ristorante si trova in un quartiere per alieni, ma il nome è in inglese, lingua umana. Non sono un esperto di marketing alieno, ma… ti sembra coerente?

Il fegato rode, questa pioggia bella e dannata non vuole smettere, i debiti crescono, ogni giorno questo posto affonda una barca di soldi. Ogni goccia dissolve l’esigua speranza che le cose cambino.
Rilevare il bar durante i primi giorni di pioggia è sembrato un vero affare. Un pinguino in mezzo alle orche che si illude di essere al sicuro perché è in vacanza alle Galapagos. Che fesso.

Infodump: il lettore inizia ad addormentarsi. Per fortuna che questo pezzo è corto, ma ti consiglio di tagliarlo del tutto.

Lo schermo è nascosto dai piedi palmati, tedioso cambiare posizione.
Ok: so cosa vuoi fare. Vuoi mostrare i piedi palmati dell’alieno per sottolineare la sua natura anfibia. Ci sta, solo che: secondo te una voce narrante in prima persona ha bisogno di specificare che i suoi piedi sono palmati? Anche se ai miei piedi mancassero tutte le dita per una malformazione penserei solo a loro come “i miei piedi”, non come “i miei piedi deformati”. Non so se rendo l’idea.


Il cappuccio scivola, lasciando scoperto un caschetto di capelli lisci e biondi, fino alle spalle, la pioggia deve aver sciolto il gel modellante nonostante la protezione che indossa. Il volto incorniciato incastona un piccolo naso pallido, labbra talmente chiare da sembrare esangui e occhi cinerei sotto sopracciglia sottili. L’acidità della pioggia ha lievemente arrossato le sclere.
Secondo me la descrizione è troppo lunga, inoltre “sclere” è un po’ troppo dettagliato, direi occhi. So che un alieno può poter riferirsi a me parlando con termini più scientifici per sottolineare la differenza tra me e lui, però quando vedo gli occhi di un ragno dico che il ragno ha gli occhi, anche se sono molto diversi dai miei. Analogamente non vedo perché un alieno provvisto di organi visivi non debba riferirsi ai miei con lo stesso termine che usa per i suoi.

«Aiuto».
Mi si è accesa una lampadina e ho pensato al film “il Quinto Elemento”, dimmi se magari ho colto la citazione 

Accanto al corpo della donna si allarga una macchia di liquido scuro.
Sangue? L’alieno non sa che abbiamo il sangue? Sicuro? Ma in che pianeta vive? ;)

Il corpo dell’umana è perfetto, candido, privo di qualsiasi nevo.
Neo?

Non c’è traccia d’inchiostro sulla pelle, come una tela nuova, immacolata. Non ha il minimo orpello metallico, né fori che indichino un punto dal quale il droide possa averli rimossi. La zona ventrale e pelvica è stranamente prominente, ma priva di tagli, di ferite o di ecchimosi. Decisamente in contrasto con il resto della figura, longilinea fino all’esile.
Va bene: l’alieno non conosce proprio niente dell’anatomia umana: e non sa che la donna è incinta. Perché è così ignorante? Forse si è trasferito da poco? Da cosa si dovrebbe capire? E perché è così sprovveduto da non informarsi per niente sugli abitanti del pianeta in cui andrà a vivere? Sicuro che sia una cosa coerente?

C’è ben poco che un abitante di Atlit possa comprendere appieno in questo linguaggio che sembra iniziatico, ma l'esperienza insegna: gli umani hanno un solo cuore, decentrato a sinistra in mezzo al petto, qui invece di battiti ne segnala due.
Allora qualcosina sa…

Guardare i crediti che filano via come uova disperse nella corrente non fa bene alla salute.
Può darsi che l’alieno abbia visto tante volte delle uova disperse nella corrente, ma io no. Questa similitudine non funziona. Le similitudini sono una brutta bestia per noi aspiranti scrittori: ci piace inventarne di più originali possibile, però se non portano a un confronto immediato e semplice sono inutili. Poco da dire. Io cerco di usarle il meno possibile, solo se sono sicuro di non avere scelta.

A partire da subito, si può ben festeggiare. Porzione doppia, consumata in vasca.
Qui è stato difficile per me capire che si trova sempre nel suo negozio e non a casa sua. L’ultima volta che ha consumato wakame era a casa sua, e anche la vasca di solito si trova in bagno… a casa!
Il tubo metallico del doccino è una frusta, travolge i polsi che reggono l’arma. Stringere il collo rimanendo alle sue spalle e spazzare i malleoli è un riflesso condizionato, il liquido sul pavimento aiuta la manovra. Il crack delle vertebre cervicali è familiare e atteso, l’assalitore è spacciato. Non è solo però. Anche altre vetrate sono implose, nelle stanze vicine.
Perché parli delle azioni del protagonista mettendo come soggetto gli oggetti che manipola? Direi semplicemente: Uso il tubo come una frusta… gli faccio lo sgambetto…
Quando la porta del bagno comincia ad aprirsi, il dito sfiora il grilletto, ne partono una mezza dozzina.
Il dito di chi? Come sopra…

Di nuovo qualcuno vuole entrare dalla finestra, questa volta però non sono scarponi, sono mocassini. Una piattaforma scende all’altezza delle finestre sfondate, l’uomo che entra ha giacca, cravatta, ventiquattrore e un contenitore medico. Si fa largo da solo nella cornice divelta della vetrata. La pioggia non ha nemmeno sfiorato il suo abito, l’aircraft sospeso sopra di lui deve essere largo quanto la via.
Scusa: ma che sta succedendo? C’era bisogno di fare tutto questo casino? Non bastava che l’uomo in mocassini entrasse normalmente in negozio portando la valigetta con la ricompensa e si portasse via la tipa? La battaglia non ha senso di esistere: a meno che il feto non sia radioattivo o in realtà nella pancia della donna ci sia una bomba atomica.

La valigetta dimenticata lo segue con un lancio brusco ma preciso, che lo sfiora senza colpirlo. Gli sguardi si incrociano, non c’è sfida in nessuno dei due.
Sguardo di chi? Della valigetta? Non capisco…

Uno squarcio, sotto lo sterno e lungo il basso ventre, mostra il luogo dove batteva il secondo cuore.
Sarebbe morta? Ma sorride…

Qui c’è il wakame da riscaldare.
Arrivato al finale eccomi con una domanda: “E quindi?”
Le domande lasciate senza risposta sono troppe: perché la battaglia? Perché il feto era importante? Cosa ha passato la tipa prima di arrivare lì? Perché è andata lì? Era inseguita da qualcuno? Vedi: la storia della tipa è più interessante di quella che hai scritto, ha più situazioni di conflitto (conflitto vero, non quello coi soldati che può interessare o no) e lotta per la sopravvivenza. L’alieno tutto sommato ha solo avuto una ricompensa, e la sua reazione è: “Faccio il wakame.” Se uno diventa di colpo ricco il suo pensiero è: “Mangio una pizza”? Sicuro? Visto che soffre anche di problemi psicosomatici legati alle preoccupazioni per i debiti, dovrebbe fare salti di gioia, ubriacarsi (il wakame ubriaca?)
In definitiva, come vedi, anche se le idee di base del tuo racconto mi piacciono, andrei a investire in coerenza della trama, trama stessa, e stile. Complimenti per l’idea, per l’ambientazione e per come questo protagonista sia originale: però manca il succo: la storia stessa.
Spero tanto che la mia analisi possa aiutarti, spero che i miei consigli possano essere l’inizio di una riflessione costruttiva e ti auguro di cuore buona fortuna e buon lavoro. Ti invito se vorrai ad analizzare i miei pezzi come ho fatto col tuo, e ad aiutarmi a migliorarli.

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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#7 » martedì 27 ottobre 2020, 11:17

Ciao a tutti,
grazie per i vostri commenti.
Il mio essere principiante mi aveva fatto trascurare di spuntare la richiesta di notifiche in caso di risposta.
Risponderò quanto prima!
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#8 » martedì 27 ottobre 2020, 19:13

Ciao MentisKarakorum

I punti forti della tua ambientazione sono la scelta del protagonista e l'ambientazione che sei riuscito a creare. Mi è piaciuto molto come hai introdotto il personaggio e come hai svelato i dettagli del suo aspetto fisico un poco alla volta (anche ricorrendo al famigerato specchio, sigh!) e questa metropoli piovosa stile Blade Runner mi piace, specie se la penso arricchita da un quartiere per alieni, o un ghetto a quanto potrebbe sembrare da come lo descrivi.

Nello scrivere pensavo ad una generica periferia di qualche grande metropoli americana, durante le prime settimane di una pioggia, acida per l'inquinamento della Terra. Un temporale talmente insistente da far cominciare a temere che non abbia mai fine. Il fatto che ti abbia fatto pensare a Blade Runner mi fa credere di aver centrato almeno la descrizione dell'ambientazione.
Non ho pensato al fatto che lo specchio potesse costituire un cliché, eviterò di farvi cenno anche se dovessi ambientare un'intera storia in un bagno.

l'unico momento di vero conflitto in cui ho provato empatia per il protagonista è quando deve scegliere se indebitarsi o meno per salvare l'umana sconosciuta. Da lì in poi la mia attenzione è scesa, il conflitto a fuoco finale non mi ha coinvolto molto, l'ho trovato confusionario.

Hai colto il punto cruciale. Il racconto é nato immaginando quello come nodo cruciale. Originariamente, mi ero immaginato il protagonista uscire nella pioggia alla Bogart, per ripercorrere i passi della donna e scoprire da dove arrivava. Lí avrebbe... qui mi sono arenato per tre settimane. L'idea era che venisse da una sorta di mercato delle schiave, con il protagonista che la restituiva per saldare i propri debiti. In questo, ci ho visto due difetti: la lunghezza, non sarei probabilmente riuscito a rimanere nei 20k caratteri, e l'assenza di azione 'dinamica'. Ci sarebbe stata solo l'accoglienza della donna, una passeggiata ed un colloquio con gli aguzzini. Volevo introdurre una scena 'action'. Se la manterró, saranno benvenuti i tuoi suggerimenti. Anzi, lo saranno in ogni caso perché sono un'occasione di imparare.

L'umana incinta ha una storia che probabilmente è molto più interessante di quella che racconti. Per quale motivo la donna scappa? Perché dei cattivoni sono interessati a prenderle il feto? Cos'ha di speciale? Si salva o muore? Sono domande che rimangono senza risposta, con la sensazione di rimanere a bocca asciutta. Secondo me per rendere questo racconto davvero avvincente dovresti approfondire questa trama secondaria

La storia della donna era destinata a restare di sfondo, accennata, proprio perché doveva essere evidente l'aliena indifferenza del protagonista, che si disperava per il bar ma indagava su di lei al solo scopo di ottenere la ricompensa cercata.
Nel corso della stesura, lo stesso background della donna è andato modificandosi. Doveva essere un clone sfuggito da una farm biotecnologica di produzione di organi da trapianto su commissione. Nel modificare la storia per portarla qui mi è sembrato più emozionante il fatto che alla donna non venisse asportato un organo qualsiasi ma il feto. Questo ha modificato la storia di sfondo nella mia mente (e anche alcuni dettagli del protagonista), ma mi sembrava che potesse ancora rimanere una parte da lasciare all'immaginazione del lettore.

approfondire il dilemma morale del protagonista oltre il mero problema di denaro (perché non rendere anche il problema di vendere o no il nascituro ai cattivoni?).

Qui interviene l'idea che mi ero fatto del protagonista. Atlit è un mondo sommerso,dove l'evoluzione ha portato alla antropomorfizzazione dei pesci. Il sistema riproduttivo, quindi, è rimasto quello di quel genere animale: fecondazione esterna delle uova. Non si sono mai sviluppati mammiferi a fecondazione e crescita interna del feto. Da qui la sua ignoranza,anche a proposito del liquido che si è sparso nel bar, che non era sangue (l'avrei scritto esplicitamente) ma un liquido che non riconosce: alla donna si erano rotte le acque. Ho provato a seminare indizi a questo proposito per evitare uno spiegone 'telling' come quello appena scritto, ma sei la prova che non sono stati sufficienti.

Risponderò all'analisi puntuale in un post successivo.
Intanto grazie di nuovo!
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Messaggio#9 » domenica 1 novembre 2020, 11:58

Maurizio Mannoni ha scritto:Nella seconda parte, l'assalto indirizzato alla donna incinta, in effetti, come ha evidenziato il commento precedente, non ha una trama ben definita. Buono lo stile di scrittura anche se a volte risulta eccessivo nei dettagli.


Ciao Maurizio, grazie per il tuo commento.
Sono d'accordo sullo squilibrio fra le due parti, anche il tempo dedicato a pensarci è stato molto diverso, poiché l'assalto è stato introdotto solo in un secondo tempo, per arricchire d'azione la storia. Credo che lo casserò per tornare all'idea iniziale, cioè una piccola indagine del protagonista che mi consenta di approfondire anche la storia della donna. Non essendo più all'interno del contest, penso che mi espanderò oltre l'originale limite di caratteri, come prevedevo che questa soluzione richiedesse.
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#10 » domenica 1 novembre 2020, 12:05

Alessio ha scritto:La scelta di far vedere al protagonista la scena dentro il bar da uno schermo, probabilmente, non aiuta.
Anche l'assistente vocale mi ha lasciato un po' perplesso. Funziona nel caso specifico perché al bar arriva un avventore ogni morte di Papa, ma se il locale fosse stato molto frequentato, sullo schermo sarebbe arrivato un flusso ingestibile di informazioni su tutti gli avventori, il che me lo rende poco credibile. Rispetto al tema "Bellezza e disperazione", ok, ci dici che la donna era bella, probabilmente una modella, ma mi sembra un po' poco, e fatico a cogliere una vera disperazione (che immagino dovrebbe essere dell'alieno spraffatto dai debiti e dal dilemma morale in cui si viene a trovare).


Grazie anche a te, Alessio.
L'idea era di mostrare un appartamento sopra il bar in cui un annoiato investitore alieno monitora il proprio bar mentre scivola nel fallimento. Sono d'accordo che un assistente vocale con un bar più affollato impazzirebbe, ma in quel caso non servirebbe fare sconti 'ad personam' perché gli affari si baserebbero sul numero di accessi e non sul tentativo di far spendere il più possibile a quei pochi che entrano. Valuterò la possibilità di mettere il protagonista direttamente all'interno della scena o di chiarire questo dettaglio della voce.
Spero inoltre che arricchendo la parte della biografia della donna riesca a trasmettere maggiormente il binomio 'disperazione-bellezza'.
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#11 » domenica 1 novembre 2020, 13:25

MentisKarakorum ha scritto:Dunque: eccomi col commento puntuale. [...] Spero tanto che la mia analisi possa aiutarti, spero che i miei consigli possano essere l’inizio di una riflessione costruttiva e ti auguro di cuore buona fortuna e buon lavoro.


Grazie mille. Ho esattamente bisogno di dettagli per affinare con la pratica lo stile. Finirò per considerarti un mentore. ^__^


La pioggia, spinta da un vento incostante, picchia a scrosci sulle vetrate, ricorda il riflusso del mare sulle scogliere emerse di Atlit.
Toglierei tutte le virgole fino a “ricorda”, e separerei le due frasi con un punto o un punto e virgola (secondo me una virgola è troppo poco). O un piccolo commento su “Atlit”. Poi si capisce cos’è, però qui io ho pensato si trattasse di un posto che non conosco, ma su questo pianeta: magari qualcosa di orientale visto che poi citi il wakame. L’effetto è di certo voluto, crea un po’ di spaesamento e non so se nell’incipit questo è una bene. “Ricorda” è un verbo che non userei per impostare il racconto verso lo stile “show don’t tell”. Questa tecnica è da imparare, poi si può usare o meno, però ti consiglio vivamente di padroneggiarla (in generale nel tuo racconto preferisci le parti di raccontato, attenzione perché rischi molto di perdere l’attenzione del lettore).


Il mio intento era proprio di mostrare e non di raccontare, non ho ancora sufficiente esperienza da rendermi conto di tutte le 'trappole' che mi ci fanno ricadere. Accolgo tutti i tuoi suggerimenti riguardo questo paragrafo.

La porzione superiore della finestra, basculante, è aperta, lascia entrare un piacevole odore sulfureo. Si mescola a quello del wakame, scatena la nostalgia.
Anche qui qualche virgola di troppo (prima e dopo basculante), “scatena nostalgia” è tell: il tuo personaggio si sta voltando verso una platea e sta esprimendo le sue sensazioni raccontandole. Cercherei fossi in te di tradurre questi pezzi in fraseggio mentale.


Tradurre la nostalgia senza apparire un narratore mi sembra arduo. Avevo immaginato di descrivere la città di provenienza, immersa sott'acqua, come parte dei suoi ricordi scatenati dall'odore, ma mi sembrava troppo raccontare.

«La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? »
Il proverbio andrebbe scomposto e ricomposto, la pioggia cade da settimane, questo pianeta pare voler finire sott'acqua, come Atlit. Agli umani però non dovrebbe fare altrettanto piacere.
Qui si scopre che Atlit è un pianeta e che il personaggio non è umano. Attenzione: anche qui c’è molto tell, il proverbio non si capisce da dove venga, non si capisce cosa vuoi dire quando dici che andrebbe ricomposto, c’è il solito problema di punteggiatura.


Ti confesserò che di virgole ne avevo messe ancora di più. E' un mio vizio perché mi sembra di sentire il susseguirsi dei pensieri uno sull'altro in sequenza invece che formulati tutti contemporaneamente. {NB: in questa frase avevo messo cinque virgole. E' davvero un brutto vizio.}

Il wakame è delizioso, ma questa leccornia dovrebbe restare una fantasia. Andrebbe dimenticata, il conto quasi in rosso parla chiaro, i crediti sono quasi prosciugati.
Il paragrafo è terminato, e a parte il colpo di scena sulla natura del protagonista a mio parare questo incipit non invoglia abbastanza alla lettura. Cerca di esprimere una situazione di altissimo interesse fin da subito: qui il tuo personaggio (per quanto originale sia la sua natura) sta tranquillo a pensare a proverbi e a mangiare wakame. Capisci anche tu che l’empatia è scarsa, devi mettere il tuo personaggio in una situazione di difficoltà in modo da scatenare nel lettore l’interesse alla prosecuzione della lettura. Non so dove l’ho letto, ma l’esempio dell’incidente stradale è esemplare: tutti quando vedono un incidente stradale sono curiosi di sbirciare per capire cos’è successo (quasi sadicamente). L’idea che una cosa così forte può accadere anche a te scatena un meccanismo di interesse e ti costringe a guardare, eppure non conosci l’incidentato e di lui tutto sommato non te ne frega granché. L’inizio di un racconto deve riuscire a suscitare lo stesso effetto: all’inizio del tuo personaggio non frega niente a nessuno perché nessuno ancora lo conosce, allora devi descrivere una situazione tale da incollare il lettore alle parole e costringerlo a continuare. L’idea di descrivere una situazione critica o di conflitto è una strada quasi sicura per riuscirci.


In questo caso, come nel racconto che ho scritto per il contest nella 'Livio Gambarini Edition' mi trovo nella situazione di avere necessità di mostrare chi sia il protagonista. Sono d'accordo che mostrare una valanga in corso riesca a catturare di più l'attenzione, ma come fare per mostrare che il protagonista è un rocciatore o piuttosto uno sciatore o ancora uno yeti? Non si scade nell'infodump dando questi dettagli mentre l'attenzione dovrebbe essere focalizzata sugli avvenimenti in corso?

Brutta cosa somatizzare i guai, le branchie prudono di nuovo.
La frase prima della virgola è inutile ed è tell. Puoi esprimere il concetto del prurito psicoscomatico semplicemente collegando il ricordo del debito alla voglia di prudersi. Questo è l’ultimo pezzo di Tell che ti segnalo, più avanti ce ne sono altri, penso che saprai riconoscerli.


Grazie, spero che con la pratica riuscirò a riconoscere quando ci ricado ed evitare la trappola.

Lo specchio non mente, l’irritazione sul collo sembra voler competere con il conto in banca.
Quando un personaggio con voce narrante in prima persona descrive sé stesso usando uno specchio, il lettore pedante urlerà al cliché. Qui descrivi solo un piccolo dettaglio e usi questo espediente in modo poco invadente: giustamente il personaggio allo specchio nota solo l’irritazione sulle branchie, però aggirerei proprio il problema e taglierei.


Suggerimento accolto. Non ho bisogno di dire che si guarda allo specchio, semplicemente guarda alcuni dettagli di se stesso quindi diventa implicito che ci sia uno specchio.

La cortina d’acqua, fitta e insistente, deliziosamente acida, scoraggia gli umani, ammazzando l’architettura precaria e barocca delle acconciature di moda.
Ok, cortina indica una struttura muraria: come fa ad essere fatta d’acqua? Non lo spieghi, attenzione qui andrebbe specificata meglio la natura della barriera che descrivi.


Uso cortina nel senso di tendaggio pesante tipo sipario, talmente spesso da impedire di vedere oltre. E' la pioggia (acida) che fa da sipario impedendo di vedere oltre pochi metri dalla finestra. Non pensavo d'aver bisogno di spiegare questo uso del termine, lo uso spesso anche parlando della nebbia.
Non conoscevo il significato 'murario' del termine, che ho ritrovato ora nel vocabolario (in terza posizione).
Sentendolo usare nella locuzione 'cortina di ferro' ho sempre immaginato appunto un tendaggio di ferro che impediva di passare da una parte all'altra oltre che di vedere come invece fanno le cortine di stoffa.

C’è rimasto solo un MERMAI ad invitare i clienti ad entrare.
Quindi il ristorante si trova in un quartiere per alieni, ma il nome è in inglese, lingua umana. Non sono un esperto di marketing alieno, ma… ti sembra coerente?


Il ristorante è in una New York futuribile, in un quartiere periferico vicino al deposito dei taxi, e vantava clientela umana prima che iniziasse la pioggia acida senza fine. Il quartiere non è per alieni, è invece il bar ad essere stato acquistato da un alieno, ma non essendo lui presente nel locale (ci sono solo droidi di servizio, incluso il barman) nessuno può saperlo.
Devo rendere questa informazione più esplicita. Un'altra trappola infodump in agguato. Aiuto!

Il fegato rode, questa pioggia bella e dannata non vuole smettere, i debiti crescono, ogni giorno questo posto affonda una barca di soldi. Ogni goccia dissolve l’esigua speranza che le cose cambino.
Rilevare il bar durante i primi giorni di pioggia è sembrato un vero affare. Un pinguino in mezzo alle orche che si illude di essere al sicuro perché è in vacanza alle Galapagos. Che fesso.
Infodump: il lettore inizia ad addormentarsi. Per fortuna che questo pezzo è corto, ma ti consiglio di tagliarlo del tutto.[\i]

Questo pezzo voleva essere un flusso mentale per introdurre la disperazione 'economica' del proprietario alieno. Proverò a farne a meno cercando un'alternativa.

[i]Lo schermo è nascosto dai piedi palmati, tedioso cambiare posizione.
Ok: so cosa vuoi fare. Vuoi mostrare i piedi palmati dell’alieno per sottolineare la sua natura anfibia. Ci sta, solo che: secondo te una voce narrante in prima persona ha bisogno di specificare che i suoi piedi sono palmati? Anche se ai miei piedi mancassero tutte le dita per una malformazione penserei solo a loro come “i miei piedi”, non come “i miei piedi deformati”. Non so se rendo l’idea.


Perfettamente. Sono stato alcuni minuti a pensare se inserire quel palmati o meno. Come dettaglio alieno è comunque abbastanza inutile, penso che lo toglierò del tutto.

Il cappuccio scivola, lasciando scoperto un caschetto di capelli lisci e biondi, fino alle spalle, la pioggia deve aver sciolto il gel modellante nonostante la protezione che indossa. Il volto incorniciato incastona un piccolo naso pallido, labbra talmente chiare da sembrare esangui e occhi cinerei sotto sopracciglia sottili. L’acidità della pioggia ha lievemente arrossato le sclere.
Secondo me la descrizione è troppo lunga, inoltre “sclere” è un po’ troppo dettagliato, direi occhi. So che un alieno può poter riferirsi a me parlando con termini più scientifici per sottolineare la differenza tra me e lui, però quando vedo gli occhi di un ragno dico che il ragno ha gli occhi, anche se sono molto diversi dai miei. Analogamente non vedo perché un alieno provvisto di organi visivi non debba riferirsi ai miei con lo stesso termine che usa per i suoi.


Capisco. L'intento era di mostrare che ad arrossarsi era la parte bianca dell'occhio, evitando di far pensare alla pupilla e quindi a 'Terminator'. Lei non è un androide, è semplicemente una donna con gli occhi arrossati suo malgrado dalla pioggia acida.

«Aiuto».
Mi si è accesa una lampadina e ho pensato al film “il Quinto Elemento”, dimmi se magari ho colto la citazione


Non c'era nessun intento citazionistico cosciente, ma mi ci hai fatto pensare e sono d'accordo con te, in questo racconto c'è fin troppo l'influenza di quel film, ancor più che Blade Runner. La cosa mi turba al punto che mi chiedo se il mio racconto sia sufficientemente originale da meritare di passarci altro tempo. C'è il protagonista in bolletta (lì era un tassista) e la donna da aiutare bella e perfetta. Sicuramente non abbandonerò questo racconto, vuole essere un tentativo di migliorare e lo rimarrà, ma non mi convince più come prima.

Accanto al corpo della donna si allarga una macchia di liquido scuro.
Sangue? L’alieno non sa che abbiamo il sangue? Sicuro? Ma in che pianeta vive? ;)


Non è sangue, solo le acque del parto imminente. Il motivo per cui lei è scappata dalla clinica in cui era. Approfondendo la storia della donna dovrebbe essere più chiaro. Magari accennerò al fatto che non è rosso, oltre a dire che è scuro.

Il corpo dell’umana è perfetto, candido, privo di qualsiasi nevo.
Neo?


Sono sinonimi, un termine maggiormente tecnico (similmente allo sclera di prima).

Non c’è traccia d’inchiostro sulla pelle, come una tela nuova, immacolata. Non ha il minimo orpello metallico, né fori che indichino un punto dal quale il droide possa averli rimossi. La zona ventrale e pelvica è stranamente prominente, ma priva di tagli, di ferite o di ecchimosi. Decisamente in contrasto con il resto della figura, longilinea fino all’esile.
Va bene: l’alieno non conosce proprio niente dell’anatomia umana: e non sa che la donna è incinta. Perché è così ignorante? Forse si è trasferito da poco? Da cosa si dovrebbe capire? E perché è così sprovveduto da non informarsi per niente sugli abitanti del pianeta in cui andrà a vivere? Sicuro che sia una cosa coerente?


L'alieno è un pesce antropomorfo. L'evoluzione sul suo pianeta ha avuto una convergenza con quello della terra a livello di forma del corpo, ma le modalità riproduttive sono molto diverse. Su Atlit non ci sono mammiferi, che hanno fecondazione interna, solo pesci a fecondazione esterna.
Come noi, andando a lavorare in Egitto, non ci informiamo sui costumi sessuali degli arabi e al massimo abbiamo sentito parlare degli harem e visto indossare i burqa, così l'alieno sa che gli umani fanno dei figli ma non si è informato sul come.

C’è ben poco che un abitante di Atlit possa comprendere appieno in questo linguaggio che sembra iniziatico, ma l'esperienza insegna: gli umani hanno un solo cuore, decentrato a sinistra in mezzo al petto, qui invece di battiti ne segnala due.
Allora qualcosina sa…


Esattamente. Sa tutto ciò in cui le due biologie sono sovrapponibili. Ma i pesci ovipari non hanno figli 'dentro'.

Guardare i crediti che filano via come uova disperse nella corrente non fa bene alla salute.
Può darsi che l’alieno abbia visto tante volte delle uova disperse nella corrente, ma io no. Questa similitudine non funziona. Le similitudini sono una brutta bestia per noi aspiranti scrittori: ci piace inventarne di più originali possibile, però se non portano a un confronto immediato e semplice sono inutili. Poco da dire. Io cerco di usarle il meno possibile, solo se sono sicuro di non avere scelta.


Era legata alla differente biologia riproduttiva delle due specie, umana ed aliena. Sarà più esplicita nella prossima versione.

A partire da subito, si può ben festeggiare. Porzione doppia, consumata in vasca.
Qui è stato difficile per me capire che si trova sempre nel suo negozio e non a casa sua. L’ultima volta che ha consumato wakame era a casa sua, e anche la vasca di solito si trova in bagno… a casa!


L'appartamento che occupa é sopra il bar, dove ha la consolle di controllo. Altro dettaglio da chiarire, in qualche modo.

l tubo metallico del doccino è una frusta, travolge i polsi che reggono l’arma. Stringere il collo rimanendo alle sue spalle e spazzare i malleoli è un riflesso condizionato, il liquido sul pavimento aiuta la manovra. Il crack delle vertebre cervicali è familiare e atteso, l’assalitore è spacciato. Non è solo però. Anche altre vetrate sono implose, nelle stanze vicine.
Perché parli delle azioni del protagonista mettendo come soggetto gli oggetti che manipola? Direi semplicemente: Uso il tubo come una frusta… gli faccio lo sgambetto…


Per evitare il tell. Se io dico 'Uso questo, uso quell'altro' lo sto raccontando a qualcuno. Se dico che il tubo è una frusta, mostro quello che vedo e che, di conseguenza, sto facendo perché è naturale che il tubo lo sto usando io e non si muove da solo.
Sbaglio?

Quando la porta del bagno comincia ad aprirsi, il dito sfiora il grilletto, ne partono una mezza dozzina.
Il dito di chi? Come sopra…


Anche gli aggettivi possessivi riferiti a me stesso mi danno di tell.
Se dico 'il dito del nemico' intendo naturalmente il suo, se dico 'il dito' sto sottintendendo che è il mio.
Immagino che sia un errore, se non si è colto, ma non capisco perché.

Di nuovo qualcuno vuole entrare dalla finestra, questa volta però non sono scarponi, sono mocassini. Una piattaforma scende all’altezza delle finestre sfondate, l’uomo che entra ha giacca, cravatta, ventiquattrore e un contenitore medico. Si fa largo da solo nella cornice divelta della vetrata. La pioggia non ha nemmeno sfiorato il suo abito, l’aircraft sospeso sopra di lui deve essere largo quanto la via.
Scusa: ma che sta succedendo? C’era bisogno di fare tutto questo casino? Non bastava che l’uomo in mocassini entrasse normalmente in negozio portando la valigetta con la ricompensa e si portasse via la tipa? La battaglia non ha senso di esistere: a meno che il feto non sia radioattivo o in realtà nella pancia della donna ci sia una bomba atomica.


Questi si sono visti sparire una tipa, non sanno che ha fatto tutto da sola e sono preparati a riprendersela con la forza da chi l'ha rapita o l'ha aiutata. Quando non ci riescono e ricevono una offerta alternativa la sfruttano e pagano.
L'intera scena della battaglia comunque andrà soppressa, quindi terrò solo la contrattazione.

La valigetta dimenticata lo segue con un lancio brusco ma preciso, che lo sfiora senza colpirlo. Gli sguardi si incrociano, non c’è sfida in nessuno dei due.
Sguardo di chi? Della valigetta? Non capisco…


Lo sguardo del protagonista e di chi sta andando via. L'alieno lancia la valigetta che l'altro stava dimenticando, senza l'intenzione di colpirlo. Si scambiano uno sguardo e l'uomo coglie che il gesto non è ostile, pertanto se ne va tranquillo.

Uno squarcio, sotto lo sterno e lungo il basso ventre, mostra il luogo dove batteva il secondo cuore.
Sarebbe morta? Ma sorride…


Esatto, è morta e il volto sorride. Durante l'operazione non ha sofferto e il volto non ha cambiato espressione.

Qui c’è il wakame da riscaldare.
Arrivato al finale eccomi con una domanda: “E quindi?”
Le domande lasciate senza risposta sono troppe: perché la battaglia? Perché il feto era importante? Cosa ha passato la tipa prima di arrivare lì? Perché è andata lì? Era inseguita da qualcuno? Vedi: la storia della tipa è più interessante di quella che hai scritto, ha più situazioni di conflitto (conflitto vero, non quello coi soldati che può interessare o no) e lotta per la sopravvivenza. L’alieno tutto sommato ha solo avuto una ricompensa, e la sua reazione è: “Faccio il wakame.” Se uno diventa di colpo ricco il suo pensiero è: “Mangio una pizza”? Sicuro? Visto che soffre anche di problemi psicosomatici legati alle preoccupazioni per i debiti, dovrebbe fare salti di gioia, ubriacarsi (il wakame ubriaca?)


Il wakame è un'alga. Per l'alieno è come per un umano permettersi di mangiare caviale. Non così triviale come una pizza.
Riguardo la donna, colgo in pieno il suggerimento. Riscriverò la storia superando il limite di caratteri visto che ormai è qui in laboratorio per adottare questa soluzione.

In definitiva, come vedi, anche se le idee di base del tuo racconto mi piacciono, andrei a investire in coerenza della trama, trama stessa, e stile. Complimenti per l’idea, per l’ambientazione e per come questo protagonista sia originale: però manca il succo: la storia stessa.

Grazie mille di tutti i tuoi consigli, spero di riuscire a metterli bene a fuoco e quindi a frutto.
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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MatteoMantoani
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#12 » domenica 1 novembre 2020, 14:41

Ciao Pietro.
Come al solito prima di concentrarmi e riprendere in mano i tuoi commenti uno ad uno, avrei delle impressioni a caldo da comunicare prima di dimenticarmene.
Leggendo i tuoi commenti penso che il problema principale della discussione sia lo stile immersivo in relazione alla descrizione del punto di vista alieno.
A questo proposito vorrei portare alla tua attenzione un racconto molto famoso: la Sentinella di Fredric Brown. Se non lo conosci (mi sembra improbabile visto che era nella mia antologia a scuola) trovalo su Google (c'è il PDF integrale) e poi continua a leggere questo commento.
Vedi che il punto di vista è uguale a quello che vuoi ottenere tu, dovresti tenere ben conto di come Brown ha reso il finale a sorpresa: ha mostrato l'aspetto del personaggio che porta la voce narrante attraverso le differenze tra l'umano e il personaggio stesso.
Questo espediente è secondo me il modo più naturale che tu potresti usare per descrivere che il tuo alieno deriva dai pesci: arriva l'umana, la voce narrante deve sottolineare in fase di ispezione (più che la mancanza di nei e di piercing che sono dettagli di secondo conto) proprio il fatto che la donna non ha i piedi palmati. Qualcosa come: "i suoi piedi sono proprio ripugnanti, così lisci e senza pinne, come anche le sue braccia, forti e tipiche di una razza che deriva da esseri che si dondolavano dai rami degli alberi, e non dai pesci." Fa schifo, ma è per darti l'idea di come farei io: descrivi il tuo personaggio descrivendo come non è.
Grazie per pensare a me come a un mentore, ma sono uno che a sua volta sta cercando di imparare, quindi prendi quello che ti dico con le dovute precauzioni, con le proverbiali pinze insomma. Comunque spero davvero che i miei suggerimenti possano esserti utili. Appena posso andrò a rivedere i commenti con più dettagli.

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Mauro Lenzi
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#13 » martedì 3 novembre 2020, 15:09

Ciao Pietro, come promesso eccomi qui.
Ho dato una lettura alla tua opera. Ho poi tentato una lettura molto rapida ai commenti, ma a un certo punto mi sono arreso. :D
Se ti ripeterò cose che ti sono già state fatte osservare, confido nella tua comprensione.
Ecco i miei pareri a caldo. Poi visto che ci conosciamo posso pure fare lo spocchioso ^____^

L'inizio lascia un po' spaesati, già alla seconda cosa che il lettore non può capire (wakame dopo atlit, passami che atlit non sarà capita dai più), estrania dal testo.

Forse avete parlato di quanto sto per dirti, non ho letto cosa vi siete detti, forse così le mie considerazioni saranno più spontanee. In generale c'è tutto uno stile di narrazione come se il pdv contemplasse sè stesso con distacco. Ho pensato che potrebbe essere la resa della mentalità dell'alieno, però secondo me questo nel tuo stile ce l'hai di base: ma è possibile che tu qui ci abbia spinto particolarmente.
Beh, l'effetto secondo me è estraniante e stancante, e non permette di capire bene chi è il soggetto delle azioni. Man mano ti mostrerò alcuni esempi.

«La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? »

Frase sospesa nel vuoto. Chi ha parlato? Andando avanti ho dedotto che sia il protagonista, che ha parlato ad alta voce.
Però confonde. In più è un po' troppo ermetica per essere di reale interesse. A che serve?


il conto quasi in rosso parla chiaro, i crediti sono quasi prosciugati.

In generale evita i "quasi". Due in fila poi...


La sciarpa imbevuta di AniSol torna ad avvolgerle, fasciando e nascondendo. L’odore troppo intenso sovrasta quello pur analogo della pioggia, spegnendo ogni fantasia nostalgica e rovinando anche il retrogusto delle alghe.

Stesso discorso per i gerundi, che usi un po' troppo; ma questo bel poker credo sia l'esempio più lampante.
Non sono da vietare, ma meno li usi, meglio è.


ammazzando l’architettura precaria e barocca delle acconciature di moda.

Occhio alle parole troppo particolari, che però non trasmettono nulla di che. Quando puoi, scrivi semplice. Che non vuol dire banale.


C’è rimasto solo un MERMAI ad invitare i clienti ad entrare.

Non so bene cosa sia, ma in generale evita le parole tutte in maiuscolo, non usarle neanche per le grida. Se è una parola particolare l'italico andrà bene... ma è necessario? Ad esempio per wakame non serviva.
A invitare, senza "d" eufonica.


Lo schermo è nascosto dai piedi palmati, tedioso cambiare posizione.

Ecco un esempio di quel che ti dicevo sopra. Ho dovuto fermarmi e rileggere per capire che stava parlando dei suoi piedi.


Umana, giovane adulta. scandisce l’assistente.

Avrei messo una battuta di discorso diretto, in ogni caso il punto in mezzo non va bene.


I talloni tornano a toccare il suolo e gli occhi cercano conferme sul monitor.

Vedi due commenti sopra.


un caschetto di capelli lisci e biondi, fino alle spalle,

Non me ne intendo, ma per come intendo io un caschetto, se arrivano alle spalle non è più un caschetto. Potrei sbagliarmi...


i cuscini della seduta si impregnano del liquido e dei suoi altri umori.

Non è chiaro, liquido di che? I termini sono troppo vaghi. Se la scelta è di non chiarezza, allora basta dire es. "si impregnano dei suoi fluidi". Altrimenti, meglio ancora, descrivi con dettaglio quello che lui vede. Nota solo che si bagnano di rosso, o vede altri dettagli in più?


In coda una appendice di pettegolezzi, piuttosto annacquati anche loro. Tranne uno, la sedia sotto le natiche sembra diventata rovente.

Un'appendice.
Lascia stare il "sembra", e stacca la sua reazione dalla frase con un'interpunzione che dia maggiore distacco di una virgola.
In ogni caso non è chiaro...


E’ qui, impossibile avere dubbi dopo aver diviso lo schermo e confrontato i due volti.

Non raccontare e mantieni la sequenzialità, senza i "dopo". Divide lo schermo, confronta i due volti: è lei. Questo è quel che succede, dillo con parole tue. Come regola generale, cerca di far sì che il tempo di lettura sia, all'incirca, il tempo necessario allo svolgersi delle azioni. Per cui evita personaggi che per aprire un'immagine e dividerla sullo schermo hanno la praticità di mio padre al pc! :D


Attendere istruzioni. Mantenere riserbo. Accordata ricompensa. Grazie per la segnalazione.

Evita il sottolineato. Se vuoi dare evidenza a una risposta va bene l'italico.


Miriadi di schegge della finestra volano verso il volto, gli occhi, le braccia protese, rimbalzando sulle squame.
[...]
Il tubo metallico del doccino è una frusta, travolge i polsi che reggono l’arma. Stringere il collo rimanendo alle sue spalle e spazzare i malleoli è un riflesso condizionato, il liquido sul pavimento aiuta la manovra. Il crack delle vertebre cervicali è familiare e atteso, l’assalitore è spacciato. Non è solo però. Anche altre vetrate sono implose, nelle stanze vicine.


Se già questo stile così impersonale non rendeva nelle descrizioni, nelle scene di azione è ancora peggio. Aumenta sia il senso di confusione che di distacco, sempre che il lettore capisca chi agisce, non ne è emotivamente coinvolto.
Se mi stai raccontando, qui e ora, del calciatore che corre verso la porta avversaria, non farmi la radiocronaca in diretta: fammi credere di essere il calciatore.


Sulla storia in sé dovrei pensarci un po', però... buona l'ambientazione, con tanta cura dei dettagli. La trama però resta poco chiara e con parti irrisolte. Non si entra in contatto emotivo col protagonista all'inizio, né si approfondisce la sua conoscenza di lui, o si assiste a una sua evoluzione o involuzione. Insomma non è chiaro il perché della vicenda, la causa e l'effetto. Poffare, ricorda le lezioni del Merovingio :D

Ma prima di tutto devi ragionare sullo stile. Noto nel tuo scrivere un'eccessiva ermeticità, una ricerca di originalità che però inficia l'immediatezza e la comprensibilità. Il mio suggerimento è di provare uno stile di scrittura più semplice e fruibile, più caldo e meno distaccato. Coinvolgi il lettore, portalo nella storia anziché fargliela assistere attraverso lenti appannate: per farlo calati nel personaggio che avrai accuratamente progettato dentro ancor più che fuori, e mostra dettagli vividi. Eventi e sensazioni, più che elucubrazioni. Quelle, ok: ma dopo, e poche.
E vedi come va.

alexandra.fischer
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#14 » martedì 10 novembre 2020, 7:31

La storia è inusuale in modo piacevole: a partire dall’Io narrante, una specie di rettile mutante gestore di un bar supertecnologico sul pianeta Atlit (piovoso e inquinato: vedi lo spray al quale il Nostro deve ricorrere per sopportarne l’atmosfera). C’è molta distopia (il bar decadente, con i resti di un passato benessere: la bella insegna rovinata, il MERMAI, figura elettronica di richiamo clienti all’ingresso e il bardroid con tanto di Intelligenza Artificiale annuncia-clienti tuttora funzionanti come il registro di cassa e una sorta di bancomat o carta di credito a funzione vocale; peccato che il conto del Nostro sia risicatissimo. La salvezza per lui arriva dalla cantante starlet in fuga perché in stato interessante. Interessante la scena dell’assalto delle unità a casa sua, seguita da quella del medico assassino. Certo, si nota molto lo sforzo del Mostra non dire, spesso, però a detrimento delle frasi, che ti segnalo qui sotto. Ho un ulteriore suggerimento: siccome parli della ricompensa e della notizia della scomparsa della cantante, potresti usare le parole del medico per spiegare l’intervento dell’unità degli assalitori e il suo. Perché non può più tergiversare? Cosa ne fa del piccolo? Dovrebbe anche spiegargli il motivo del malore della giovane. Abuso di qualche sostanza? E l’intervento? Forse vuole evitare uno scandalo, per via della gravidanza?

Attento.
Ti scrivo la parte corretta.
Il corpo dell’umana è perfetto, candido, privo di qualsiasi neo.
A partire da subito, posso ben festeggiare.
Miriadi di schegge della finestra mi volano verso il volto.
Il tubo metallico del doccino è una frusta con la quale travolgo i polsi dell’assalitore armato.
Il crack delle sue vertebre cervicali per me è familiare e atteso: è spacciato.
La voce, è secca e tagliente dietro la maschera antigas: «Non posso tergiversare.»
I nostri sguardi si incrociano, senza sfida fra noi due.

Aspetto notizie

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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#15 » mercoledì 20 ottobre 2021, 12:47

Ciao Pietro.

Vedo che il racconto è fermo da Novembre dell'anno scorso.
Hai intenzione di rimetterci mano?
Aspetto notizie per una settimana e, se non mi dici niente, lo archivio
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Pietro D'Addabbo
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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#16 » mercoledì 20 ottobre 2021, 13:11

Ciao,
è sempre nei miei pensieri, ma non ho ancora trovato la quadra perché va rimaneggiato pesantemente.
Ti chiedo qualche giorno per salvare i commenti da qualche parte così puoi eliminare il thread.
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#17 » mercoledì 20 ottobre 2021, 15:51

Ok.
Fammi sapere quando sei pronto...
Poi se vuoi continuare a lavorarci, dimmelo e te lo lascio qui :)
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#18 » martedì 4 gennaio 2022, 20:39

Il Dottore ha scritto:Fammi sapere quando sei pronto...
Poi se vuoi continuare a lavorarci, dimmelo e te lo lascio qui :)


Ciao,
per dirti che ho continuato a lavorarci e... non arrivo da nessuna parte. Ho sistemato con (credo) la dovuta cura l'incipit, la presentazione dei personaggi ma in corso d'opera mi sono reso conto di non avere un finale che abbia il necessario mordente.
Archivialo e grazie dell'opportunità e della pazienza.
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Re: Effimera (dal contest Bellezza e Disperazione)

Messaggio#19 » mercoledì 5 gennaio 2022, 17:36

Figurati Pietro! Sono qui apposta.

D'accordo, allora lo archivio
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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