Il banchetto vegano

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Lorenzo Sartori. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Luca Nesler
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Il banchetto vegano

Messaggio#1 » martedì 5 novembre 2019, 20:11

Cesare aprì gli occhi. Tanto non stava dormendo. La cena continuava a tornargli in bocca con un aspro sapore di bile e la sua vescica spingeva in modo doloroso. Si mise seduto e cercò le pantofole. L’Alfio russava come un trattore senza marmitta. Scosse la testa e si alzò. Si avvicinò al bagno. L’odore acre di urina anticipava la solita scena: un laghetto di piscio che arrivava fin fuori la porta.
«Ma puttana miseria, Alfio! Quanto sei rincoglionito.»
Sbuffando uscì dalla camera per non inzuppare le pantofole. Percorse il corridoio fino al bagno per i visitatori e notò una luce uscire da una porta più avanti. Decise di dare una sbirciata: magari c’era il direttore con la Doris. Avrebbe avuto qualcosa da raccontare.
Si avvicinò. Una voce profonda e vibrante stava dicendo: «Almeno sei cadaveri. Dal sistema Vega sono venticinque anni luce. La delegazione sarà affamata.»
«Ma certo» la voce del direttore. «Il numero non è un problema. In una casa di riposo come questa ci sono sempre molti vecchi abbandonati.»
La voce abominevole riprese: «Grazie, direttore. Manderò alcuni dei miei a darvi una mano.»
Un brivido gli strizzò la schiena. C’era qualcosa di sinistro in quella voce.
Si sporse per lanciare un’occhiata dentro e il fiato si fermò. Davanti al direttore, sull’altro lato della scrivania, era seduto un essere dalla testa grossa e lucida. Il corpo sembrava umano, ma dal collo in su diverse parti pulsavano come enormi bubboni, cambiando colore. Da forellini gonfi uscivano e rientravano sottili propaggini che si arricciavano come i tentacoli di un calamaro.
Nonostante lo shock e le strane modulazioni di quella voce, riuscì a cogliere una frase: «L’importante è che non siano defunti da più di trentasei ore.»
Tornò a letto appoggiandosi al muro del corridoio. Si rigirò a lungo tra le lenzuola e, al mattino, il materasso di Alfio non era l’unico bagnato.

Fuori pioveva. L’acqua riempiva gli avvallamenti nel cortile, mentre il ticchettio dell’orologio scandiva il tempo tra i numeri chiamati dalla volontaria. Carina. Grosse poppe sotto il dolcevita.
«Cesare, non hai segnato il sei. Ce li hai i fagioli?»
Si voltò. Maria lo guardava scuotendo un ventaglio. Era stata una delle più belle di Gardolo, ma non era più come quando era ragazza. Ora aveva la pelle stropicciata come un vecchio scontrino.
«Ho i miei pensieri, Mariuccia.»
«Vuoi che te li segni io i numeri?»
Cesare le passò la cartella continuando a guardarsi attorno. Nessuno sembrava sospettare nulla, ma l’Antonio e la Zamboni non erano scesi e lui aveva ancora in testa l’aspetto e le parole del mostro: “Sei cadaveri - defunti da trentasei ore”.
Cercava qualche indizio della presenza di quelle creature. I Vegani, aveva detto il calamaro.
Solo allora notò che l’Alfio lo osservava tenendo a mezz’aria il cucchiaino col budino.
Sbuffò.
«Vecchio coglione.»
«Come dici, Cesare?» chiese Maria continuando a sventagliare.
«Nulla, cara. Nulla.»
Era sicuro che il compagno di stanza fosse divertito dal fatto che s’era pisciato sotto pure lui. Per fortuna dopo l’ictus straparlava. L’unica a conoscere la sua vergogna era la Doris che aveva cambiato le lenzuola.
«Ventidue.» La voce roca e cantilenante della ragazza lo infastidiva.
Qualcuno alzò il volume della tv, Cesare si voltò di scatto.
«Sei nervoso oggi. Hai dormito male?»
«No, che dici? Fatti i fatti tuoi, Maria.»
«Che cafone. Hai i modi di un operaio.»
«Manutentore, Maria. Di impianti antincendio.»
«Lo stesso.»
Cesare si alzò. «Scusa, ma la tombola mi ha stufato. Vado a farmi un po’ di tv.»
Fece due passi e si rese conto che qualcosa non andava. Maria si faceva aria e non era l’unica. In quella casa di riposo trentina dove suo figlio l’aveva abbandonato tre mesi prima, faceva sempre un caldo del demonio. Eppure la ragazza dell’animazione aveva un dolcevita.
Si sedette senza staccarle gli occhi di dosso e sentì la presa di una mano callosa. Si voltò: era Alfio.
«Non diserbare un cane. È rublino della zoffa.»
«Sì, Alfio. Fottiti, vecchio matto. E finisciti ‘sto budino! Sono due ore che abbiamo pranzato.»
Il compagno scosse il capo e tornò a guardare la tv. Cesare osservò bene la ragazza. Che fosse una vegana? Passò in rassegna i presenti. Mancava anche il Borgogno e quel tizio in sedia a rotelle.
Intrecciò le dita sulla pancia. «Forse qualcuno ci ammazza» sussurrò «e l’unico a saperlo sono io.»
«No, Cesare. Lo so anch’io.»
Tirò su la testa. Al di là di Alfio c’era il Mansueto seduto al suo solito posto.
«Anche tu? E come lo hai scoperto?»
«Come? Io sono qui da due anni, caro mio» scuoteva la testa per un inizio di Parkinson. «Questi ci danno da mangiare robaccia! E le infermiere sono delle streghe. Lo sai che la Doris tiene una di quelle bombolette antistupro in tasca? Per gli Alzheimer aggressivi, dice. Qui veniamo a morire» bisbigliò incurvando le sopracciglia. «È come dici tu: ci ammazzano.»
«No, Mansueto, non hai capito. Qui ci ammazzano davvero! Ci sono gli alieni qui a Gardolo! Alieni mostruosi che mangiano i morti. E il direttore glieli fornisce, capito?»
«Come in “Alien”?»
«Cosa?»
«O come in “Essi vivono”?»
«Ma di cosa parli, Mansueto?»
«Gli alieni! E tu come lo sai?»
Quella domanda centrava il punto. Nessuno sano di mente gli avrebbe creduto senza prove. Se davvero volevano ammazzare dei vecchi per farli mangiare alla delegazione vegana, dovevano avere un posto dove tenerli. Magari un frigorifero.
«Tu dove terresti dei cadaveri?» chiese, sporgendosi e abbassando la voce.
«Nella sala mortuaria.»
«E che roba è?»
Mansueto si lisciò il mento e si guardò attorno. Si sporse a sua volta. «È dove portano gli ospiti morti prima che vengano trasferiti all’obitorio dell’ospedale.»
Quello poteva essere il posto giusto. Sospirò e scosse la testa.
«Ma siamo solo dei poveri vecchi. C’è poco da fare.»
Alfio sorrise. «Il termostato terzulla se non l’apri.»
«Appunto.»
In tv una donna sorrideva. «Purgolax, non farti bloccare dalla stitichezza!»
Cesare sbarrò gli occhi: quella sconosciuta aveva ragione.
«No! Non dobbiamo farci bloccare! Mansueto, non si è morti finché non si è morti. Vieni con me.»
Si alzò. «Alfio, dammi quel budino.»
Senza aspettare risposta afferrò il bicchiere del compagno e s’incamminò verso le scale. Aveva quasi raggiunto la porta della sala comune che la Doris lo raggiunse con le mani sui fianchi.
«Cesare? Torni al suo posto.»
«Subito.»
Finse d’inciampare lanciandosi contro la donna. Le lanciò il budino sul petto e, urtandola, infilò la mano nella tasca dell’uniforme. La donna gridò, lo scostò e guardò con orrore il budino colare nella scollatura.
«Scusa, Doris!»
Il donnone sibilò, si voltò e si diresse verso il bagno di servizio. Cesare fece cenno al Mansueto e quello gli si avvicinò.
«Eccola!» il vecchio indicò la mano di Cesare. Aveva preso qualcosa. Era uno spray al pepe. Lo mise in tasca e infilarono la porta verso il corridoio.
«Che se ne fa, quel cerbero della Doris, di ‘sta roba?»
Scesero le scale e raggiunsero il piano interrato. Percorsero il corridoio cercando di non far rumore.
Esaminarono un magazzino e una stanza piena di prodotti per le pulizie finché si trovarono di fronte a una doppia porta da cui uscivano delle voci rauche. La targhetta riportava “sala mortuaria”.
Un nuovo brivido di paura scosse Cesare. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere e tornare in sala comune, ma poi ripensò allo slogan “non farti bloccare”. Si guardò attorno. C’era un bagno in fondo al corridoio.
«Mansueto, vieni con me: ho un piano.»
Entrarono nel bagno, Cesare aprì una porta e afferrò la cordicella dell’allarme vicino al water. Un sospiro e tirò. La sirena cominciò la sua pedante cantilena.
«Presto, andiamo a nasconderci!»
Uscirono in fretta per andare a infilarsi nel magazzino delle scope. Cesare attese di sentire la porta aprirsi e i passi nel corridoio. Col cuore che spingeva contro lo sterno, uscì, controllò attorno e fece cenno al Mansueto di seguirlo.
Entrarono.
Contro il muro sul fondo c’era un altarino con due candele e una statua della Madonna, mentre ai lati erano sistemati due grandi tavoli. A terra c’erano quattro grosse buste nere con una zip. Una era rimasta aperta e dentro c’era il cadavere della Zamboni.
«Porco boia! La conosco quella!» disse Mansueto.
«Shh! Fa’ silenzio. Controlliamo le altre.»
Con mani tremanti tirò le cerniere. Erano loro: il tizio sulla sedia, la Zamboni, Borgogno e l’Antonio.
«Puttana miseria, Mansu. E ora che facciamo?»
Mansueto scosse il capo e sollevò le spalle. «Niente. Siamo arrivati tardi. Questi sono morti.»
Cesare sospirò guardando Antonio. Lui era simpatico. Avevano giocato a carte qualche volta e ora se ne stava lì, con gli occhi chiusi e le mani sul petto.
Notò che in una mano stringeva un foglietto. Lo strappò dalle dita fredde e lo spiegò.
“piscio”.
«Piscio? Che cavolo…»
La porta si aprì con un tonfo. La Doris li guardava con occhi furenti.

Per punizione furono relegati nelle loro stanze. Passò il pomeriggio nel terrore. Si aspettava che uno di quei mostri entrasse in camera. Alle cinque gli portarono la cena. Polenta e gorgonzola. Quando aprirono la porta per poco non gli venne un colpo. Alle sette anche l’Alfio venne a dormire.
Per non doverla affrontare, si finse addormentato mentre la Doris infilava il catetere al compagno.
Rimasero soli.
«Lupi e giocattoli non sono da bere» disse Alfio sfilandosi il catetere. Come ogni sera.
«Su questo non ci piove.»
Si rigirò nel letto sentendosi un vecchio incapace. Non si sarebbe mai aspettato di provare ancora tanta paura alla sua età. Di sicuro quella notte non sarebbe uscito per pisciare.

Le posate tintinnavano contro tazze e piattini. Cesare teneva le mani sulle ginocchia tenendo d’occhio ogni tavolo. Contò le sedie vuote e realizzò che mancavano due persone. L’Enrico Uber e… Il Mansueto.
Quando gli portarono la tazza col caffelatte si rivolse all’inserviente: «Dove sono l’Uber e il Mansueto?»
L’uomo inarcò la bocca e fece schioccare la lingua. «Purtroppo ci hanno lasciati. È la vita.»
La dentiera si staccò dal palato e cadde sul tavolo. Aveva dimenticato l’adesivo. La raccolse e la tenne in mano osservando i propri denti. Mansueto aveva pagato per essergli stato amico. Quel poco di fame che gli era rimasta sparì.7
Il mostro aveva chiesto sei cadaveri. Ieri ce n’erano quattro e ne avevano presi altri due. Avevano scelto Mansueto perché li aveva scoperti? Ma allora perché non lui?
Come il trillo di un campanello un’idea lo colpì. Piscio.
Era quello che intendeva Antonio, che gli alieni erano allergici all’urina umana! Questo avrebbe spiegato perché non erano entrati in camera sua: Alfio la faceva sempre fuori e l’odore era tremendo.
Cesare sollevò lo sguardo. L’inserviente aveva un foulard attorno al collo. O aveva un terribile mal di gola o anche lui era un maledetto vegano.
Controllando il resto del personale notò che più d’uno aveva il collo coperto. Di sicuro era un modo per coprire una cerniera o qualcosa del genere. Erano lì per preparare il banchetto. Erano lì per mangiare i cadaveri dei suoi amici. Ma no, non li avrebbero mangiati.
«Cesare, hai dormito male anche stanotte?»
La Maria lo guardava con un misto di curiosità e preoccupazione. Cesare infilò la dentiera e la spinse contro il palato.
«Questa notte, sì, Mariuccia. Ho dormito di merda.»
«Beata Vergine! Ancora coi tuoi modi da operaio!»
«Da manutentore, mia cara.»
Cesare si alzò in piedi. «Ora scusami, ma ho da fare.»
Si avvicinò ad Alfio e gli mise una mano su una spalla.
«Non si è morti finché non si è morti, vecchio mio. Grazie.»
Quello sorrise. «Quando la torta subebere non si lascia.»
«Parole sante, Alfio. È ora di fare qualcosa.»

Cesare aspettò che la ragazza di turno pulisse la bocca alla signora Bottesi che aveva rimesso anche quella mattina. Uscì in corridoio e premette il tasto dell’ascensore.
Riordinò le idee. Doveva salire al quarto piano dai lungodegenti e raccogliere tutti i cateteri pieni dalla notte. Sarebbe stato un po’ schifoso, ma doveva farlo.
Salì. Il corridoio era deserto. Entrò in una camera dopo l’altra sfilando con malagrazia le buste di piscio attaccate ai letti di una dozzina di derelitti. Infilò tutto in una federa, tornò e prese l’ascensore.
Il ding dell’apertura porte sembrò la campanella di un ring. Aveva il fiato corto. Entrò nel corridoio.
Nessuno.
Si diresse verso la sala mortuaria e sentì le voci rauche del giorno prima. Prese un sacchetto, lo infilò sotto un’ascella come una cornamusa e afferrò il tubicino tra le dita. Era pronto a schizzare piscio in faccia a chiunque gli si fosse parato davanti.
Con la mano libera prese la maniglia e contò: uno, due, tre.
Balzò dentro con tutta la furia concessagli dall’età. Spruzzò i due uomini vestiti da medico. Questi strillarono e caddero a terra. Solo in quel momento notò che c’era anche la Doris. La donna gli si buttò contro con il volto contratto dall’ira. La spruzzò, ma quella lo agguantò per il bavero. Era un essere umano, dopotutto.
«Ancora tu! Adesso ti faccio passare la voglia di sbirciare.»
La donna mise una mano nella tasca dell’uniforme. La sua espressione mutò dall’ira alla sorpresa e Cesare capì. Infilò la mano in tasca e trovò lo spray al pepe rubato il giorno prima.
«Cerchi questa, cicciona?»
La spruzzò negli occhi. Quella si mise ad urlare e cadde in ginocchio tenendo le mani sulla faccia. Cesare raccolse un candelabro dall’altare e lo calò sulla testa dell’infermiera con tutta la forza rimastagli.
La donna stramazzò al suolo.
Il vecchio prese fiato. Si chinò su uno dei dottori, slacciò il colletto e notò un solco che faceva il giro del collo. C’infilò un dito e una maschera si aprì col suono di uno strappo. Un testone da mollusco s’allargò sul pavimento. Questa volta non pulsava e non cambiava colore.
Rimase qualche istante ad ammirare la propria opera, poi decise che era arrivata l’ora di fare ciò per cui era venuto. «Rendiamo immangiabili questi manicaretti.»
Aprì le buste per cadaveri stese a terra. Mansueto aveva un’espressione serafica.
«Dormi tranquillo, amico mio. Nessuno profanerà il tuo corpo.»
Raccolse dalla federa un catetere e innaffiò d’urina la salma dell’amico.
Vuotò tutte le buste, si volse e uscì. Tornò indietro e chiamò l’ascensore. Assieme al campanello sentì una fitta terribile alla testa. La vista si oscurò mentre le parolacce della grassa infermiera gli riecheggiavano nelle orecchie.

Aprì gli occhi. C’erano altre persone con lui. Una era la Doris. Aveva ancora gli occhi rossi e gonfi.
L’altro era il direttore, poi c’era un tipo elegante. Con una sciarpa.
«Ecco, si è svegliato» disse l’infermiera.
Solo in quel momento Cesare realizzò di essere in una sorta di locale tecnico, legato a una tubatura.
«Signor Cesare» il direttore si aggiustò gli occhiali sul naso «Doris mi ha detto che lei sta cercando di sabotarci. Ma lei lo sa quanti soldi ci danno i nostri amici Vegani per questo posto? Pensa che in ogni casa di riposo si mangi polenta e gorgonzola, panada, tortei di patate e soppressa? Nossignore! Semolino!»
Si diede un contegno e sospirò.
«Gli anziani sono così caparbi. Sono a un passo dalla fine e si aggrappano a quei barlumi di vita con tutta la dentiera» scosse il capo. «Mi permetta di presentarle il presidente Tomasi. Anche conosciuto come Gsngroh quarto del clan Borloghl. Il nostro miglior finanziatore.»
L’uomo elegante slacciò la maschera e il suo testone molliccio si gonfiò liberando suoni bagnati.
«Signor Cesare» la voce era la stessa di quella notte. «C’è qualcun altro che sa della natura di questo luogo?»
«Io… non so.»
«Lei ha guastato un’ottima portata, sa? Beh, non che questo sia un vero problema: qui il cibo ben stagionato abbonda. Abbiamo scelto questo luogo apposta. Come si dice? Ceniamo in pace.»
Il vegano si rivolse al direttore «Lo faccia lavare bene: puzza troppo così com’è. Non riesco ad interrogarlo avanti, comincio a sentirmi male. Tornerò più tardi.»
Raccolse la maschera e la premette sulla testa finché non tornò ad avere l’aspetto di un uomo d’affari. Uscì.
Il direttore si rivolse a Doris: «Lavalo bene. Penso che lo terremo come bis per il banchetto di oggi pomeriggio.»
«Però, io non lo ammazzo.»
«Ma no, ma no. Tranquilla. Hanno i loro sistemi, i loro riti. Faranno loro. Tu lavalo e lascialo qui.»

Doveva essere passata l’ora di pranzo. Era ancora nudo e legato al tubo, ma almeno si era asciugato.
Forse il direttore aveva ragione. Forse davvero la vita di un vecchio come lui non valeva la pena di essere salvata. Sicuramente la sua era ormai segnata.
«Ho solo riempito di piscio i cadaveri dei miei amici. E mi sentivo un eroe.»
Invece era finito prigioniero degli alieni e, presto, sarebbe stato anche il loro pasto. Ormai non doveva mancare molto all’incontro.
La porta si aprì.
«Non felpare la trottola o s’intrupperanno.»
Alfio! Il compagno di stanza gli sorrideva. Si avvicinò con uno dei coltelli del refettorio e lo usò per tagliare la fascetta di plastica che lo legava al tubo.
«Alfio, vecchio pazzo! Ma allora tu sapevi tutto.»
Il vecchio sorrise e annuì.
«Per questo pisciavi sempre a terra?»
«Non si mangiano le papere.»
«E nemmeno i nostri amici, perdio! Anche se resta poco da vivere. Non si è morti finché non si è morti.»
Cesare prese il coltello dalle mani di Alfio e lo alzò come una spada.
«Combatteremo!»
Poi guardò l’Alfio. «Tu hai un’idea? Ho svuotato tutti i cateteri e ho passato tutto il tempo legato a questo stupido tubo…»
Spalancò la bocca folgorato da un’idea.
«Vieni, Alfio! Seguiamo questo tubo.»
Uscirono e percorsero il corridoio fino ad una porta metallica. Spinse la maniglia anti-panico e si trovarono all’aperto sul retro dell’edificio. Cesare andò sicuro ad un grosso rubinetto rosso chiuso con due coperchi a vite.
«Il sistema antincendio di una struttura così si attacca direttamente alla rete idrica. E c’è sempre un attacco motopompa per il passaggio in pressione ai montanti e per… l’innesto dei vigili del fuoco.»
«Hai scorreggiato?»
Cesare rise, svitò uno dei coperchi, allentò un rubinetto facendo leva col coltello e si mise ad orinarci dentro.
«Se ne hai un po’, Alfio, è il caso che la tiri fuori.»

Salirono. Cesare era nudo, ma sembrava che avessero evacuato il ricovero: non c’era nessuno e non si sentiva alcun rumore.
Entrarono nelle cucine. Cesare raccolse un rotolo di carta casa. Mentre lo svolgeva qualcosa oltre la portafinestra rapì la sua attenzione. Un elicottero stava atterrando nel cortile. Era molto meno rumoroso di quanto si sarebbe aspettato. Mentre le pale rallentavano, vide scendere degli uomini in fila. Ne contò venti. Le pale si fermarono. Una di queste si piegò su sé stessa, diede una grattata alla superficie del mezzo e tornò dritta.
«Quello è un elicottero come io sono uno scaldabagno!»
Ora che sapeva che gli alieni erano nella struttura accese il gas e vi gettò sopra la carta.
Alfio lo guardò con timore. «Stuzzichiamo la gheppia o ci facciamo fuori?»
«No, no. Usciamo di qui!»
Attraversarono il cortile mentre tutti gli idranti a soffitto del piano cominciarono a spruzzare acque e urina. Grazie a quell’innaturale silenzio, riuscirono a sentire degli strepiti provenienti dall’interno. Risero e ballarono sotto la pioggia leggera.

«Caspitate le prefelle!»
«Porta pazienza, Alfio. Stanno solo lavorando. Alzo il volume.»
Cesare si alzò dalla poltrona, raccolse il telecomando e alzò.
C’era un gran viavai di poliziotti, infermieri, dottori… Con quella confusione si faticava a seguire il tg.
Tornò a sedersi.
«Sono contento che ci spostino. E tu?»
«Ssh!» fece Alfio con un dito davanti alla bocca.
Alla tv c’era la casa di riposo. Era difficile capire cosa dicessero, ma sotto passava la scritta: “Alieni in Trentino. ET: veniamo in pace, vogliamo solo le vostre carcasse.”
«E non le avrete, bastardi. Dico bene, Alfio?»
Passò Maria a braccetto con un’infermiera.
«Cesare» si spostò un riccio bianco dalla fronte. «Ma è vero? Mentre gli ospiti erano drogati tu e Alfio avete salvato tutti?»
«Maria cara, siediti vicino a me a pranzo e ti racconterò ogni cosa. Incluso come abbiamo pisciato in testa a quei musi verdi.»
Uscendo la donna gli dedicò un sorriso e Cesare diede di gomito ad Alfio.
«Visto? Non si è morti finché non si è morti!»
Guardò fuori. Finalmente aveva smesso di piovere.



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Luca Nesler
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#2 » lunedì 11 novembre 2019, 17:31

Ah già! Miro a TUTTI i bonus (anche delle edizioni precedenti)... (almeno quelle che richiedevano un piatto tipico)

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Wladimiro Borchi
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#3 » martedì 19 novembre 2019, 12:40

Il banchetto Vegano, di Luna Nesler

Complimenti davvero.
Un racconto che mi ha divertito e, soprattutto nel finale, mi ha spiazzato con una maestria non indifferente.
Il catetere col sacchetto di piscio è la più geniale pistola di Checov che abbia mai visto usare...
Ma procediamo con ordine:
1) Leggo che l'infermiera mette il catetere ad Alfio e penso: "Errore, Alfio piscia nel letto e a terra nel bagno, non può farlo con catetere... TAC! Alfio si toglie il catetere e Luca mi frega. Penso: "Va beh, togliersi il catetere fa un male boia se non lo sai fare, come mai il vecchio si mette a fare una cosa del genere. TAC! Alfio sembra scemo, ma non lo è affatto e ha capito, prima di Cesare, come fare a salvarsi dal banchetto!
2) Leggo della "polenta e gorgonzola" servita all'ospizio e penso: "Qua Luca l'ha tirata un po' di fuori per avere il bonus! In quale cazzo di clinica servirebbero una cosa del genere!" TAC! Ancora una volta il seguito del racconto mi spiazza. Già, perché coi soldi dei vegani il direttore può servire pietanze prelibate e poi... Se lo sovralimenti il vecchietto, magari schiatta prima.
Cesare è perfetto, col suo tormentone con Maria e la sua precisazione sul parlare "da operaio".
Lo stesso vale per Alfio, con suo modo di parlare divertente e Mansueto è una spalla perfetta per tutta la prima sortita.
Uniche cose che mi senti di segnalare:
A) Scrivi: "Tornò a letto appoggiandosi al muro del corridoio. Si rigirò a lungo tra le lenzuola e, al mattino, il materasso di Alfio non era l’unico bagnato." (Il PDV è ovviamente quello di Cesare, per cui può solo dedurlo da pregresse esperienze che quello di Alfio sarà bagnato, ma scritto così è un po' spiazza);
B) Mansueto cita "Alien" ed "Essi vivono" però, forse, gli alieni più giusti da citare, in relazione ai banchetti di carne umana, erano i "Visitors" e, quindi, la relativa serie.
C) "sfilandosi il catetere": come dicevo, se non lo si fa, svuotando prima l'ampolla d'aria che lo tiene bloccato, ci si possono provocare delle emorragie. Mio zio, in ospedale, lo faceva continuamente e spesso, al mattino, lo trovavano in un lago di sangue. Avrei aggiunto un inciso per far capire che Alfio lo sapeva fare senza farsi male.
Giusto tre cazzate, insomma...
Il racconto è strepitoso e mi ha divertito davvero tanto.
Luca, ormai sei una garanzia!
BONUS TUTTI!
W
Ultima modifica di Wladimiro Borchi il mercoledì 20 novembre 2019, 18:39, modificato 1 volta in totale.
IMBUTO!!!

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Andrea Lauro
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#4 » martedì 19 novembre 2019, 22:44

Ciao Luca, che piacere leggerti, divertente racconto fanta-horror-action (e chi più ne ha...).
Scorre bene senza intoppi fino alla fine; l’incipit mi piace molto, fa presa sul lettore, ed anche lo sviluppo tiene sulle spine.
I personaggi sono ben rappresentati, l’atmosfera da ospizio ben resa. Notevole il rapporto Sherlock- Watson che c’è tra Cesare e Alfio; Alfio sproloquia e l’altro gli risponde!

Suggerimenti per la revisione: perché Antonio ha scritto “piscio” sul foglietto? Se aveva trovato la soluzione, come Cesare intuisce dopo, avrebbe potuto salvarsi. Sembra invece proprio un pretesto narrativo per far arrivare Cesare alla soluzione, e credo bisognerebbe correggerlo. Cesare potrebbe non trovare affatto il biglietto ed arrivarci osservando Alfio. Oppure il biglietto potrebbe averlo scritto non Antonio, ma l’infermiera cicciona, per avvisare i vegani che Antonio poteva odorare leggermente di piscio. E quindi avergli attacco un “Attenzione, piscio” a mo’ di etichetta della lavanderia.

“Ceniamo in pace” è stupenda.
Da correggere: “Non riesco ad interrogarlo avanti,”

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Luca Nesler
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#5 » giovedì 21 novembre 2019, 22:12

Ciao ragazzi e grazie dei commenti. Applicherò senz'altro i vostri suggerimenti si punti deboli, sia per quanto riguarda il catetere (che ammetto non conoscere) che per quell'espediente del piscio che non avrei saputo gestire meglio. Sceglierò la seconda opzione, Andrea, che è più facile applicare in correttura.
Wladimiro, pensa che volevo citare i visitors, ma ne avevo solo un vago ricordo infantile. Gli ho cercati su Wikipedia e non ho trovato riferimenti alla dieta di carne umana, allora ho ripiegato sul generico. Ovviamente correggerò!

Con questo racconto ho tentato un esperimento: ho provato a infilare nei 20k caratteri una trama basata sul viaggio dell'eroe di vogler e l'arco di trasformazione del personaggio della marks. Due manuali di sceneggiatura che mi hanno conquistato. Il risultato mi ha soddisfatto abbastanza perché mi dà l'idea di essere più organico del mio solito.

Grazie anche dell'apprezzamento! Appena avrò più tempo mi dedicherò ai raccontoni qui nella sfida.

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roberto.masini
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#6 » domenica 24 novembre 2019, 12:03

Ciao, Luca.
Il racconto mi è piaciuto moltissimo. Mi ha divertito e questa è la cifra per me che dà risalto a un racconto fanta-horror, dove non c'è solo paura e terrore ma anche ironia e divertimento. L'urina come arma è un'idea eccezionale anche se non originale: mi ha ricordato una scena del film Mai dire mai in cui James Bond si libera del cattivo di turno lanciandogli un contenitore pieno della sua urina! Non c'è cosa scritta che non sia stata scritta prima! (Terenzio).
L'incipit è assolutamente da imitare perché porta il lettore in medias res.Eccellente la caratterizzazione dei personaggi attraverso i dialoghi.Il finale stupisce e quindi raggiunge magistralmente il suo scopo. Non concordo con Lauro sulla soluzione del foglietto con la scritta piscio che sarebbe errata. Secondo me nulla esclude che Antonio abbia scoperto la soluzione ma ormai in ritardo, senza poterla applicare e avendo solo il tempo di scriverla.
Detto questo, aggiungo che i bonus ci sono tutti.
Metterei due virgole:
1. Aveva quasi raggiunto la porta, che....
2. Quando gli portarono la tazza col caffelatte (correggerei con caffellatte), si rivolse....
Dopo ...Quel poco di fame che gli era rimasta sparì c'è un numero.
Al prossimo racconto!

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Luca Nesler
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#7 » domenica 24 novembre 2019, 13:55

Ciao Roberto. Sono molto contento che il racconto ti sia piaciuto!
Come dicevo volevo costruire una struttura specifica e temevo che i caratteri non sarebbero stati sufficienti, così ho deciso per un'incipit in medias res che mostrasse subito il problema e l'antagonista, anche senza aver già caratterizzato protagonista e ambiente. Sono contento che abbia funzionato e metto in saccoccia l'esperimento.
Grazie infinite per le indicazioni. Provvederò a correggere!
Alla prossima

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CaterinaDP
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#8 » mercoledì 27 novembre 2019, 10:36

Ciao Luca.

Scrivi veramente bene. Riesci a mettere in scena un’ambientazione perfetta e caratterizzi i personaggi in maniera notevole. Sembra di stare davanti alla televisione a vedere un film, e con la scrittura non è facile ottenere questo risultato! Con il linguaggio “mostri” le scene e con gli indizi messi al punto giusto crei attesa e interesse.
L’unica cosa che trovo debole è un vero e proprio sbarco. Ti concentri sulla scoperta di una presenza aliena e sulla soluzione al problema, ma forse il tema che ci hanno proposto voleva che dedicassimo più spazio all’evento dello sbarco.
I bonus ci sono.

A presto.
Caterina

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Luca Nesler
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Re: Il banchetto vegano

Messaggio#9 » giovedì 28 novembre 2019, 23:01

Ciao Caterina, ti ringrazio dei complimenti. Sono contento che tu abbia trovato la scrittura efficace.
Per quanto riguarda il tema capisco la tua perplessità. Per rimanere aderente al tema ho scelto lo sbarco di una delegazione aliena, anche se di alieni ce ne sono già in loco, per così dire. In un certo senso la trama si sviluppa attorno a questo "sbarco", ma non lo racconta se non in modo marginale.
Mmm... Questo potrebbe anche penalizzarmi, in effetti. Dipende dall'interpretazione che ne danno i commentatori.
Grazie del commento e a presto!

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