Semifinale Federico Galdi

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo novembre sveleremo il tema deciso da Lorenzo Sartori. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Federico Galdi

Messaggio#1 » venerdì 29 novembre 2019, 9:14

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida ad Alieni a Crema.
Accedono in semifinale: Invasion San Donnino e Incontri gastronomici del quarto tipo.

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: domenica 01 dicembre alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 01 dicembre. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Wladimiro Borchi
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Re: Semifinale Federico Galdi

Messaggio#2 » venerdì 29 novembre 2019, 18:07

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INVASION SAN DONNINO

Day 1
Operazione Pecora in Umido

Kardash ne aveva per poco. L’elementale dell’aria era davvero cazzuto e la sua ascia, benché magica, non riusciva a fargli abbastanza la bua.
«Io arretro» gridò agli altri.
Mosse un passo di un metro e mezzo per prendere la giusta distanza dal mostro e si allontanò a gambe levate dalla battaglia.
«Che cazzo fai! Non abbiamo armi magiche!» sibilò Whillem puntando l’inutile arco contro il nemico.
«Lancia quella cazzo di “palla di fuoco”!» gridò all’elfo l’intero gruppo, a metà tra la rabbia e la disperazione.
«Ma me la voglio tenere per dopo!»
«Lancia quel cazzo di incantesimo!» fu la risposta, urlata forse con maggior foga della prima volta.
Alberto prese i dadi in mano: «E va bene, la lancio!» sbuffò «ma se poi dopo ci sono mostri più pesi non venite a rompere le palle a me!»
David scosse la testa: «Che palle! Devi fare sempre “metagaming” e non ti vergogni neppure a dirlo. Se lo fai fuori ti riduco a metà i px che prenderesti!»
«Che discorso del cazzo! Non è metagioco se cerco di essere parsimonioso con gli incantesimi!»
Il Dungeon Master non ci stava: «Sì, porca troia! Whilem, il tuo personaggio, è nella merda, ha un nemico davanti che può ammazzarlo, pensi che si metterebbe a riflettere sul futuro o gli mollerebbe una bella magia nel grugno!»
«No, un cazzo! È solo giusta strategia! Non accetto la tua decisione, non sono d’accordo!»
Alberto si alzò dal tavolo.
David gli urlò contro: «Sai quanto me ne frega!» poi guardò il resto degli amici negli occhi «Ho ragione o mi sono bevuto il cervello?»
Anche Mimmo si mise in piedi: «Io dico di andare fuori, farci una canna e guardare le stelle cadenti!»
Lorenzo e Goffredo fecero un rapido cenno di assenso con la testa «Mozione accolta!»
David invece la scosse deluso: «Da quando vi fate le canne le sessioni di D&D finiscono sempre così. Che palle! Mi faccio una birra e vado a casa!»
Dopo nemmeno mezz’ora, alcool e tetraidrocannabinolo avevano riportato la pace e i cinque amici se ne stavano sdraiati e molto rilassati sui lettini della piscina di Mimmo a fissare il cielo stellato di agosto.
Goffredo era in botta: «Io voglio mangiare il peyote, perché secondo me è morbido e succoso!»
Il padrone di casa gli andò dietro: «Io voglio mangiare il coyote, perché secondo me è morbido e succoso!»
«Il coyote mangia il peyote!» constatò Lorenzo.
«Il coyote dopo aver mangiato il peyote, monta sul Toyota!» rincarò Alberto.
La palla tornò al primo, che concluse: «Il coyote dopo aver mangiato il peyote, monta sul Toyota e t’aiuta!»
Tutti scoppiarono a ridere come idioti.
Mimmo non riusciva a smettere, quasi non respirava e la vena della fronte era diventata rossa e gonfia.
«Patti si pettina la potta!» chiosò, soffocandosi ancora una volta nella sua risata sguaiata.
Nel silenzio, poco più tardi, Goffredo cercò solidarietà: «Ragazzi, ma io ce la farò mai a scrivere un romanzo di successo?»
Proprio in quell’istante una stella cadente, luminosa e violenta come non si era mai vista, attraversò il cielo da parte a parte.
«Avete visto! Avete visto» cominciò a gridare, saltando quasi sul lettino.
Mimmo riprese a contorcersi dal ridere.
«Perché ridi? Ho espresso un desiderio ed è caduta una stella! Per me è un messaggio del cielo!»
Facendosi un'evidente violenza, l’amico si liberò dalle convulsioni e constatò: «Quella… Quella stella era una scopata a cui stavo pensando io!»
Tutto il gruppo riprese a sghignazzare fino a spezzarsi in due.
Fu Lorenzo, stavolta a rompere il silenzio: «Cos’è quella?»
Nel cielo una massa luminosa scese giù rapida come un meteorite, per fermarsi per qualche secondo sulla collinetta a est di San Donnino dove le luci del ristorante “Da Gino” erano ancora accese.
Tutti e quattro fissarono lo strano fenomeno a bocca spalancata.
Il bolo lucente restò immobile per qualche secondo e, come era comparso dal nulla, vi ritornò.
«Che cazzo era?»
«Sembrava un’astronave!» disse Goffredo.
«Strana era strana…» David si alzò dalla sdraio «Andiamo a vedere!»
Mimmo protestò: «Ma dai, non era niente. Era un’allucinazione da droghe!»
«Primo, non tutti abbiamo fumato e, secondo, non si può avere tutti la stessa allucinazione.» Alberto era il più razionale della banda, anche quando era fatto.
«Io vado!» Concluse il Master, che, al solito, quando decideva una cosa non poteva essere dissuaso.
Lo seguirono e, una volta usciti dal giardino della villetta dell’amico, si inerpicarono sulla sterrata che conduceva al ristorante. La notte era calda e le insegne del locale, ancora accese, davano alla missione una parvenza di scampagnata notturna, ben poco avventurosa.
«Magari ci facciamo dare un po’ di pecora in umido da portar via! Così uniamo l’utile al dilettevole» constatò Lorenzo lungo la via, colto dai morsi della fame chimica.
«Mozione accolta!» gli fecero eco gli altri.
«Comunque era un’allucinazione!» ripeté Mimmo dopo qualche passo.
D’un tratto le insegne si spensero e il locale piombò nel buio. La collina acquistò in una frazione di secondo l’aspetto più tetro che ci sarebbe mai potuto immaginare.
«Ecco! È chiuso, torniamo a casa! Niente penne alla pecora!» esclamò Mimmo.
«Un cazzo! Ci avviciniamo e si spegne tutto? La cosa mi puzza più di prima!» disse David continuando a camminare in salita.
«Giusto! Bisogna andare a vedere!» insisté anche Goffredo, disinibito ben più degli altri dagli effetti della droga a cui, com'era noto a tutti, non era per nulla abituato.
Dopo una decina di minuti erano alle spalle del locale. Era tutto buio ma la Panda di Sergino, un omone di quasi due metri per centoventi chili che gestiva il ristorante, era ancora parcheggiata nel cortile esterno.
«Che si fa?» sussurrò Lorenzo.
«Non lo so! Cerchiamo segni di bruciatura sull’erba, magari riusciamo a individuare il punto di atterraggio del veicolo e riusciamo a raccogliere qualche campione.»
L’idea fu accolta con favore. L’aspetto di quell’edificio fatiscente al buio era quanto di meno rassicurante e il frinire delle cicale, che proveniva dal vicino castagneto, avvolgeva tutto di un inquietante sottofondo.
Stavano per prendere la via verso il vicino prato, quando l’ombra di una figura oblunga, passò dinanzi a una delle finestre, abbassandosi fino a scomparire.
«Guardate!» gridò David, indicandola.
«Cazzo, cazzo, cazzo!» ripeterono cacofonici gli altri.
La porta del ristorante si spalancò. Ne uscì Sergino, sconvolto, con gli occhi da pazzo e un coltellaccio nella destra. «Chi c’è?» berciò sull’uscio scrutando l’oscurità in ogni direzione.
Rimasero tutti immobili, sperando di non esser visti.
«Chi c’è! Ho sentito delle voci! Se vi becco io, l’è peggio! L’è parecchio… parecchio peggio!»
Non si udì nemmeno un respiro, poi una voce metallica, da dentro il locale, lo richiamò: «Torna dentro! Non c’è nessuno!»
Quasi avessero acceso un interruttore nel suo cervello, l’uomo spalancò gli occhi e, con volto inespressivo, rientrò nel locale, chiudendosi la porta alle spalle.
La corsa che seguì batte il record mondiale di velocità su terreno accidentato, sotto l’effetto di sostanze psicotrope.




Day 2
Bisteccagate


Mimmo pareva esser l’unico ancora scettico e se ne stava seduto sul divano di casa di David a rollare una canna.
Gli altri quattro erano attorno a un tavolo.
«Ripeto, dev’essere successo qualcosa di simile a quel film vecchio, “L’invasione degli Ultracorpi”!» Goffredo stava per ripetere la sua teoria per la terza volta.
«Ne sei sicuro?» David evidentemente non ne aveva abbastanza.
«Allora te lo ridico! Sono stato con Stella a pranzo lì e quando Sergio ci ha portato la fiorentina, ci ha chiesto se ci volevamo il limone!»
«Ma sei sicuro che abbia detto proprio limone?» Alberto aveva il volto a dir poco perplesso.
«Giuro di sì! Il limone sulla bistecca, cazzo!»
«Così gli copri tutto il sapore: è come leccare la fica con le mutande, porca troia!» concluse Lorenzo con gli occhi che si facevano umidi per la rabbia.
«Sergino non avrebbe mai detto un’eresia simile! Lo hanno cambiato. Devono avere dei baccelli enormi, come in quel film, da cui creano dei doppi delle persona per controllare la terra!»
La teoria non faceva una piega, ma non convinse affatto David.
«Stronzate! Magari gli hanno semplicemente iniettato un simbionte alieno nel sangue che ha preso il controllo del cervello. Una roba tipo X-file!»
Li interruppe lo scettico, che teneva il razzetto appena preparato fra due dita, con espressione orgogliosa. «Secondo me state impazzendo! Magari si è solo confuso. E poi, scusate,» aggiunse scoppiando a ridere «secondo voi gli alieni, per controllare la terra partono dal ristorante “Da Gino”?»
«Beh, penso proprio di sì! Almeno per controllare San Donnino!» disse Lorenzo con un’espressione a metà fra Humphrey Bogart e Sherlock Holmes «Dopodomani ci sono i pranzi per le comunioni. Tutto il paese ha prenotato lì e il priore sarà con loro… E se controlli il prete in questo cazzo di paese, controlli tutto!»
«Domani sera, quando si spegneranno le luci, dobbiamo trovare il modo di entrare. Ma dobbiamo andarci preparati, portare armi e torce elettriche. Stavolta non voglio cazzate. Se Sergino non ha nulla da nascondere, non dovrebbe aver paura di cinque amici che vanno a fargli visita a chiusura, giusto?»
David aveva parlato serio e schietto come mai nella vita.
Gli altri si guardarono e espressero ognuno il proprio assenso.
Anche Mimmo lasciò il divano: «Sì, però ora ci fumiamo ‘sta cannetta!»



Day 3
Granocchi fritti


Ognuno mostrò il proprio armamentario.
Mimmo aveva la Shinai di bambù degli allenamenti di Kendo sotto braccio, Alberto una mazza da baseball, di sicuro più pericolosa, appoggiata sopra la spalla. David aveva portato arco e faretra, mentre Lorenzo e Goffredo, che dovevano fare da apripista, avevano in tasca solo dei coltellini svizzeri, da tirar fuori in casi estremi.
«Bene,» disse il Master «Anche io sono andato a fare un controllo oggi a pranzo. Ho ordinato i ranocchi fritti. Un tempo, era l’unico locale in cui ancora si trovavano, cazzo! Sergio mi ha guardato quasi schifato e mi ha detto che di quella robaccia, da lui, non se ne mangerà più!»
«E pensare che, quando lavoravo lì, a chiusura, io e Sergino ne abbiamo mangiati un vassoio intero che era avanzato a una tavolata.» disse Lorenzo sempre più preso dallo scoramento.
«Basta! Dobbiamo reagire!» David indicò la sommità della collina «Guardate! Le luci si sono spente! Andiamo!»
Il gruppo procedette in silenzio, nel buio, passando tra i castagni per restare invisibile fino a quando non fosse arrivato a destinazione.
La porta del ristorante era chiusa, proprio come nella maledetta notte in cui tutto era iniziato, e la Panda del proprietario parcheggiata al solito posto.
Si nascosero tutti dietro gli alberi, poi, il Master fece cenno di attendere.
Non passarono nemmeno dieci minuti che, davanti a una delle finestre, passò la solita ombra oblunga, che scomparve in basso.
David dette, quindi, il via alle due vittime sacrificali.
Lorenzo e Goffredo raggiunsero la porta senza parlare. Il primo la spalancò e il secondo, che, da ex dipendente, sapeva perfettamente dov’era l’interruttore, accese la luce.
Quello che videro, riempì i loro cuori di orrore.
Il nuovo cameriere del ristorante, con un lungo scialle di pizzo appoggiato sulla testa, se ne stava in ginocchio dinanzi a Sergio, a pantaloni calati e con sul viso un'espressione beata.
La beatitudine si mutò in rabbia in una frazione di secondo.
«Te l’avevo detto che avevo sentito delle voci l’altra sera!» disse Sergio tirandosi su i calzoni.
Il ragazzetto si alzò in piedi e fece il gesto del “chi se ne importa”, strusciandosi il dorso della mano sotto il mento.
«E io ti avevo detto di chiudere la porta sul retro!» disse poi con voce nasale e leggermente metallica. «E voi, contenti! Ci avete scoperti. Chi vi manda, la su moglie?» chiosò rivolgendosi ai due nuovi arrivati.
Lorenzo e Goffredo avvamparono di vergogna. «Scusate, pensavamo che succedessero cose strane qui…» balbettò il secondo.
«E invece è tutto naturale!» disse il ragazzetto, andando sculettando verso di loro «E voi siete degli omofobi schifosi!»
Lorenzo non sapeva a quale santo votarsi: «Giuro di no! Volevamo solo sapere cosa succedeva. Pensavamo che Sergio fosse stato cambiato dagli Alieni. Insomma, non cucina più i ranocchi, consiglia il limone sulla bistecca!»
«E invece no! Sergino ha solo cambiato gusti!»
Il giovanotto tornò sculettando verso il vecchio amante.
«Mi raccomando! ‘Un dite nulla alla mi’ moglie!»
In quel momento, qualcosa sembrò sbattere a terra, da qualche parte, fuori tra gli alberi.
Lorenzo e Goffredo guardarono oltre il vetro.
Tra le mani di Mimmo, la Shinai sibilava nel buio, rimbalzando violenta sulla testa di una copia del cameriere. Alberto roteava la sua mazza, tenendone a distanza un'altra. David, invece, era già a terra, con l'arco ancora in mano. A un passo da lui, l'ennesimo replicante che, con un sorriso malvagio sulle labbra, iniziava ora a voltarsi verso Mimmo.
Subito Goffredo scattò fuori dal locale per avvertirlo: «Attento, ne arriva un altro! Alle spalle! Alle spalle!»
L'amico si voltò, per fronteggiare il nuovo oppositore, ma fu così raggiunto al collo dalla siringa che il suo primo avversario teneva in pugno. Anche lui si accasciò a terra, come d'improvviso svuotato da ogni anelito di vita.
Alberto, adesso, avrebbe dovuto difendersi da tre nemici e, da solo, non ce l'avrebbe mai fatta.
Goffredo si frugò in tasca alla ricerca del suo coltello e sentì un tonfo sordo proprio a un passo di distanza. Guardò in quella direzione e vide Lorenzo a terra, il volto distorto in un'espressione innaturale.
Si ricordò allora del primo nemico. Rammentò il pericolo di cui, nella concitazione della battaglia, si era dimenticato: il cameriere che aveva visto amoreggiare con Sergio pochi attimi prima.
Stava per guardarsi alle spalle, quando sentì la puntura dell’ago nel collo. In quello stesso istante smise di esistere.



The day after

La funzione della domenica alla pieve di San Donnino aveva un sapore diverso quella mattina.
Don Gualberto, in piedi dinanzi all’altare maggiore aveva appena letto una pagina toccante delle sacre scritture.
«Preghiamo:» disse «l’alieno atterra e figlia e ti sfama la famiglia!»
Il popolo tutto ripeté in coro: «L’alieno atterra e figlia e ti sfama la famiglia!»
IMBUTO!!!

andyvox
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Re: Semifinale Federico Galdi

Messaggio#3 » domenica 1 dicembre 2019, 20:29

Incontri gastronomici del quarto tipo

Sprofondato nel suo seggiolino, Zap si stava godendo il viaggio dal salone panoramico della sua navicella a pilotaggio automatico. Era molto contento della scelta che aveva fatto: quell’astronave era un vero gioiellino della tecnologia. In pratica, si guidava da sola. Tutto quello che lui doveva fare, era starsene seduto comodo in poltrona e godersi lo spettacolo dell’Universo che scorreva dinanzi ai suoi occhi.
Avevano da poco oltrepassato le porte di Tannhäuser, e lui aveva potuto vedere i raggi B balenare nel buio, uno spettacolo unico nel suo genere. Tra qualche ora sarebbero arrivati presso i bastioni di Orione, e quello sarebbe stato il segnale che la meta finale era vicina. Zap non vedeva l’ora. Era da tutta la vita che aspettava quel momento.
All’improvviso, quando già stava pregustando in cuor suo l’arrivo a destinazione, la navicella sobbalzò, scaraventandolo con forza dalla sua poltrona e mandandolo a sbattere contro una delle vetrate del salone. Quasi nello stesso istante, l’allarme entrò in funzione, diffondendo in tutto l’ambiente il suono assordante delle sirene di emergenza. La navicella fece ancora un paio di scossoni, meno intensi del primo, mentre la sirena continuava ad ululare. Poi, dopo circa un minuto, tornò la calma. Ancora prima che Zap avesse modo di capire cosa stesse succedendo, il suo compagno di viaggio Zip entrò trafelato nel salone.
- Zap! Zap! Come stai? È tutto a posto?
- Io sto bene, ho solo preso una botta, - disse Zap massaggiandosi l’anca, un po’ dolorante. – Come mai è scattato l’allarme? E per quale motivo la navicella si è messa a sobbalzare?
- Temo di non avere buone notizie, purtroppo, - fece Zip un po’ titubante.
- Sputa il rospo, - lo incalzò Zap.
- Ecco, io … non so come dirtelo ma … abbiamo un problema.
- Questo lo avevo più o meno intuito. E di che tipo di problema si tratterebbe, per la precisione?
- Prometti di non arrabbiarti? - chiese Zip, sempre più timoroso.
- Zip!!! Insomma, ti decidi per una buona volta a dirmi cosa diavolo sta succedendo?
- Va bene, ecco, per farla breve … pare che abbiamo terminato il carburante prima del tempo. Sono dovuto passare in tutta fretta alla propulsione a Massimo Risparmio perché rischiavamo di fermarci in mezzo allo spazio.
- Come abbiamo terminato il carburante? - sbraitò Zap. - Ma non eravamo partiti con il pieno?
- Forse la navicella consuma più di quanto pensassimo, oppure abbiamo fatto troppe deviazioni dal percorso rispetto al piano originario.
- Stai forse insinuando che avremmo dovuto rinunciare a passare dalle porte di Tannhäuser ? Ma se era da anni che volevo vederle! Piuttosto, forse avremmo dovuto rinunciare alla gita su Magrathea, ma tu ci tenevi tanto a rendere omaggio al tuo vecchio idolo Slartiblartfast ...
- Va beh, dai, non cominciamo a litigare, tanto ormai non serve a nulla, - tagliò corto Zip. - Quel che è fatto è fatto, ora non abbiamo tempo di discutere. A meno che tu non voglia passare il resto dei tuoi giorni alla deriva nell’iperspazio, non abbiamo molte alternative. La propulsione al minimo ha una autonomia molto limitata, come ben sai. Dobbiamo prepararci ad un atterraggio di emergenza. In questo modo potremo analizzare con più calma la situazione e avere il tempo di chiedere un rifornimento eccezionale.
- E dove dovremmo atterrare, stando ai tuoi calcoli?
- Sul pianeta Terra.
A quella notizia, Zap strabuzzò gli occhi e andò in escandescenze:
- No, dai, per favore! Ma tra tutti i pianeti su cui ci poteva capitare di dover fare un atterraggio di fortuna, proprio la Terra?
- Perché, che cosa avrebbe la Terra di così terribile? - replicò Zip.
- Ha che è una civiltà arretrata, ecco cosa! È l’unico pianeta della Galassia a non conoscere la tecnologia dei viaggi iperspaziali. Ti rendi conto? I terrestri non sanno nemmeno come si usa la Guida galattica per autostoppisti, sono convinti che sia un romanzo di finzione e non una guida vera! Anni fa a mio nonno capitò, per colmo della sfortuna, di essere dimenticato sulla Terra nel corso di una missione esplorativa, per giunta senza avere con sé il suo Pesce Babele. Non ti dico che fatica dovette fare, per comunicare con i terrestri! Me l’avrà raccontato almeno un miliardo di volte, di quando dovette continuare a ripetere come un cretino “Telefono casa, telefono casa” per riuscire a far capire a questi qua che aveva bisogno di attivare una comunicazione interstellare.
- Va beh dai, se tuo nonno ci è già stato, forse era destino che ci tornassi anche tu, - cercò di cavarsela Zip con una battuta. - E poi, chi lo sa, può anche darsi che in questi anni abbiano fatto dei progressi.
- Ma quali progressi! Sono senza speranza, lascia che te lo dica io.
- Comunque, c’è poco che possiamo fare, anzi è meglio che ci prepariamo, perché l’atterraggio è imminente. Dammi una mano a fare le ultime manovre e a predisporre il Protocollo di Comunicazione di Emergenza.
- Va bene, se non abbiamo altra scelta … Ma tu guarda che sfortuna … Pensare che è da una vita che stavo aspettando questa vacanza! Questa non ci voleva!
Ancora depresso al pensiero di come il suo viaggio da sogno stesse andando in fumo, Zap si rassegnò a seguire Zip all’interno della cabina di controllo. Qui i due si diedero da fare, visto il poco tempo a disposizione. Zip fece un ultimo controllo sulle coordinate di atterraggio e impostò la procedura, mentre Zap controllava la dotazione del kit di emergenza.
- I kit sembrano in regola: abbiamo una copia della Guida Galattica, il Pesce Babele, il Camaleontizzatore di Sembianze, il Convertitore Monetario. Pare che ci sia tutto. Andiamo nei nostri gusci? - chiese Zap, ancora piuttosto abbacchiato.
- Sì, direi che possiamo andare. Se i miei calcoli sono esatti, dovremmo atterrare nella zona della Terra chiamata Europa, più o meno tra le nazioni di Italia e Austria, vedi qui il punto segnato in rosso? - fece Zip, indicando con il dito un punto nella mappa che aveva proiettato sul quadro di comando. - Direi che possiamo anche convertire subito un po’ di moneta, per portarci avanti. Cosa dice la Guida al riguardo?
- Aspetta, fammi controllare. Pare che la moneta in uso in quella zona sia l’euro. Tasso di conversione con le Unità Stellar Standard di Conto: 1 a 10.000! Vedi che avevo ragione, nel dire che questi terrestri sono dei pezzenti? Hanno anche una moneta ipersvalutata!
- E di che ti lamenti? - replicò Zip. - Meglio così, no? Ci basterà convertire una piccolissima quota di Unità Stellar, tanto dovremmo fermarci per poco tempo, giusto il necessario per chiamare i soccorsi. Dai, andiamo nei gusci, manca pochissimo all’avvio della procedura di atterraggio.

I due si recarono nel retro dell’astronave, ed entrarono ciascuno in un guscio di emergenza. La procedura attivata da Zip prevedeva che i gusci venissero espulsi non appena entrati all’interno dell’atmosfera terrestre, mentre la navicella continuava a viaggiare in automatico, guidata dal computer di bordo. In questo modo, anche nel caso in cui si fossero presentati degli inconvenienti in fase di atterraggio, i rischi per l’incolumità dei passeggeri erano ridotti al minimo. Per fortuna, in quel caso non vi furono problemi di sorta. Come due piccole gocce di inchiostro su un foglio bianco, i due gusci si adagiarono nel bel mezzo di un campo di grano, e i due amici poterono uscire incolumi all’aria aperta.
Erano arrivati in piena notte, e il campo era avvolto nella totale oscurità.
- Tutto bene, Zap?
- Tutto ok. Ora che si fa?
- Fammi controllare una cosa. Ecco, pare che l’astronave sia atterrata poco distante da qua, ho rilevato il segnale. Dobbiamo andare a controllare che sia tutto a posto e poi chiamare i soccorsi.
- Bene, allora muoviamoci. Questo buio mi mette un po’ di ansia. Guarda, laggiù c’è una luce, forse ci sarà anche una strada.
- D’accordo, ma Zap, mi raccomando una cosa …
- Sì?
- Fino a che non avremo capito bene dove siamo atterrati, cerchiamo di non farci scorgere dagli abitanti del luogo, potremmo avere dei problemi.
- Va bene, va bene. Mio nonno mi ha sempre detto che tutto sommato i terrestri sono amichevoli, ma sono d’accordo con te. È meglio essere prudenti.
- Bene, allora procediamo con il Camaleontizzatore, secondo la Guida dovremmo essere finiti in una zona abitata da uomini bianchi di razza indoeuropea, impostiamo i parametri e trasformiamoci.
In pochi secondi, i due alieni assunsero le tipiche sembianze di una coppia di uomini di mezza età, poi si misero in cammino verso la luce, che si rivelò essere un lampione.
- Ecco, guarda, questa strada dovrebbe condurre verso un centro abitato.
- Sì, è anche nella direzione giusta per andare all’astronave, vieni.
Raggiunto il punto di atterraggio dell’astronave, i due poterono tirare un bel sospiro di sollievo. La navicella pareva infatti non aver riportato alcun danno e si era adagiata, seminascosta, tra gli alberi che costeggiavano un piccolo canale di irrigazione.
- Beh, direi che questa volta ci è andata di lusso! L’astronave è in perfette condizioni, e in questo posto è anche al riparo dalla vista, - fece Zip rinfrancato, e procedette senza indugio ad attivare la Procedura di Soccorso. Dopo pochi minuti, giunse la conferma di ricezione.
- Bene, - esclamò Zip controllando il suo dispositivo di comunicazione interstellare. - I soccorsi saranno qui tra qualche ora!
- E adesso che facciamo? Aspettiamo qui, al buio, tutto questo tempo? - chiese Zap.
- Direi di no. Come prima cosa, cercherei di capire meglio dove siamo arrivati. Poi, sempre con estrema cautela, potremmo anche vedere se troviamo qualcosa da mettere sotto i denti. Tu non avverti un certo appetito?
- Appetito, bah, - fece Zap sconsolato. - Che appetito vuoi che abbia, ormai? Mi è passato del tutto. È da anni che sognavo di andare al Ristorante al Termine dell’Universo, e quando ormai ero quasi arrivato e già pregustavo la mia cenetta, ecco che finisco la benzina e mi ritrovo sulla Terra!
- Dai, dai, coraggio. Nulla è perduto. Vuol dire che al Ristorante al Termine dell’Universo ci andremo un’altra volta. Adesso siamo qui, e dobbiamo arrangiarci con quello che troveremo.

I due si rimisero sulla strada principale, che costeggiava una serie di appezzamenti di terra coltivati, ma fatti pochi passi sentirono dei rumori. Sembrava che delle persone stessero venendo loro incontro. Ancora una volta, il primo a reagire fu Zip, che fece segno all’amico di stare zitto e di nascondersi insieme a lui sotto il ciglio della strada. Da lì, i due alieni videro due uomini che, con andatura un po’ incerta, stavano procedendo in direzione contraria alla loro. Quando furono più vicini, Zip e Zap si resero conto che i due stavano parlando tra loro in una lingua strana:

- Eh, Tone, ma te ta gh'ét sintit nigót?
- No, me no, perché?
- Ma sembràä de iga sintit argü che vociàä!
- Ma mochela lè! Te ta gh'ét biìt, scultem mé. Va a dormer, che le mej.
- Ta gh'ét risù, Tone. L’è mej andàä a dormer. Ta salùdé1.

I due uomini si strinsero la mano in segno di saluto, poi presero due direzioni diverse. Tone proseguì sulla strada principale, mentre l’altro prese una stradina che tagliava per i campi, e che portava ad un cascinale di cui si scorgevano, nel buio, le luci in lontananza. Zip e Zap rimasero ancora qualche minuto nascosti, poi con molta attenzione uscirono dal loro nascondiglio e ripresero la strada principale:
- Ma tu hai capito che lingua parlavano quei due? Il mio Pesce Babele non è riuscito a capirci niente, - chiese Zap perplesso.
- No, - ammise Zip, - nemmeno il mio ci è riuscito. In effetti è strano. Se le coordinate sono esatte, dovremmo essere nel Nord Italia, in Europa. Però …
- Però? - lo incoraggiò a proseguire Zap.
- La lingua parlata in Italia dovrebbe essere l’italiano, ma quelle due persone non parlavano italiano, altrimenti il Pesce Babele non avrebbe avuto alcun problema. Non riesco a spiegarmi questa cosa. L’unica possibilità è che si trattasse di uno strano dialetto, non ancora codificato da Babele. Va beh, andiamo avanti, ma stiamo attenti, non vorrei che avessimo sbagliato qualcosa nel settare le coordinate di atterraggio. Vedo che là c’è una cosa che sembra un cartello stradale. Forse ci potrà dare qualche indicazione utile.
Arrivati al cartello, i due videro in effetti che sullo sfondo bianco spiccava una scritta nera, a caratteri maiuscoli: LONGHENA.
- Ecco, c’è scritto “LONGHENA”. Guarda un po’ cosa dice la nostra Guida al riguardo, - fece Zip.
- Longhena: comune italiano di 577 abitanti della provincia di Brescia, noto per i suoi “casoncelli”, - rispose Zap, leggendo la voce della sua Guida Galattica.
- Beh, se non altro siamo in Italia, quindi le coordinate erano giuste. Ma cosa sarebbero questi “casoncelli”?
- Pare che siano un piatto tipico del luogo, una vera specialità!
- Ah, ma questo è un altro segno del destino, non trovi? Eravamo partiti per andare in un Ristorante, e finiamo in un posto famoso per i suoi piatti di cucina!
- Stai scherzando, vero? Non vorrai paragonare il Ristorante al Termine dell’Universo, il posto più incredibile di tutta la Galassia, con uno sperduto paesino nel mezzo del nulla, sul pianeta più sfigato di tutta la Galassia?
- Basta con tutto questo pessimismo! - sbottò Zip. - Ti ho già promesso che al Ristorante al Termine dell’Universo ci andremo un’altra volta! Adesso, però, cerchiamo un posto dove poter mangiare questi famosi casoncelli, sono molto curioso di assaggiarli!
- Sì, ma …
- Ma?
- Che lingua utilizziamo per farci capire? Il nostro Pesce Babele è settato sull’italiano, ma se la gente del luogo dovesse parlare solo la strana lingua che parlavano i due di prima?
- In effetti, a pensarci bene, potresti aver ragione, - rispose Zip pensieroso. - Però, tutto sommato, la Guida conferma che siamo in Italia, quindi l’italiano dovrebbe essere parlato e capito da tutti. Non vedo motivi per usare altre lingue, cerchiamo solo di stare un po’ attenti.
Proseguendo sempre lungo la strada principale, i due arrivarono alla fine al centro dell’abitato: una piccola piazzetta, quasi uno slargo, con da un lato la chiesa e al lato opposto un giornalaio, che a quell’ora della notte era chiuso, e una trattoria, che invece era aperta. Zip fece un cenno all’amico ed entrò nel locale, che era semivuoto. Subito, i due vennero accolti da un uomo di corporatura robusta, dai capelli radi e dallo sguardo vivace:
- Buonasera, signori, accomodatevi. Siete in due?
Zip, felice nel vedere che il Pesce Babele funzionava alla perfezione, rispose con fare sicuro:
- Sì, grazie.
- Prego, venite. Questo tavolo va bene?
- Perfetto, grazie.
- Vi porto subito i menu. Gradite dell’acqua, intanto?
- Sì, molto gentile.
- Frizzante o naturale?
- Per te va bene naturale? - chiese Zip all’amico. Zap, un po’ intimidito da quel contesto per lui del tutto inusuale, si limitò ad un breve cenno di assenso.
Il cameriere si allontanò e i due si immersero nell’esame dei menu.
- Zap, tutto a posto? - fece Zip a bassa voce.
- Sì, sì, tutto a posto, - rispose Zap. - Devo solo ambientarmi un attimo, mi sembra tutto così strano.
- Devo dire che a me invece il posto piace parecchio. Queste luci così basse, questi soffitti a volta, le pietre a vista … anche il fatto che siamo così in pochi. C’è un’atmosfera particolare, molto pittoresca. Va beh, - fece chiudendo il menu, - direi che non ci sono molti dubbi, no? Prendiamo casoncelli, e via!
Il cameriere tornò a prendere le ordinazioni e se ne tornò svelto in cucina.
- Speriamo che arrivino presto, questi casoncelli. Ho una fame! - fece Zip, mentre Zap sembrava sempre più depresso. Non riusciva a togliersi dalla testa il fatto di aver dovuto rinunciare al suo tavolino già prenotato, presso il Ristorante al Termine dell’Universo, per andare a mangiare dei casoncelli in un paesino sperduto nel mezzo del nulla. L’arrivo dei piatti in tavola lo distolse da questi cupi pensieri. “Va beh, ormai siamo in ballo e balliamo. Proviamo a sentire come sono questi casoncelli” pensò tra sé e sé.
Già al primo boccone, il suo stato d’animo cominciò a migliorare. La consistenza della pasta, il gusto del ripieno, il burro generoso utilizzato come condimento, erano tutti sapori sconosciuti per la sua bocca da alieno, ma lo conquistarono fin dal primo istante. Immerso nella degustazione della sua pietanza, alzò lo sguardo per guardare l’amico, e vide che anche lui sembrava apprezzare molto quel cibo:
- Ma sono buonissimi!
- A chi lo dici! Io non avevo mai mangiato un piatto così delizioso.
- Ce ne facciamo portare un’altra porzione?
- Perché no?
Il cameriere tornò con grande gioia a prendere una seconda ordinazione, e poi anche una terza:
- Vi piacciono i nostri casoncelli, eh? Così buoni, li trovate solo da noi. Li facciamo a mano tutti i giorni, sempre con la stessa ricetta, senza uova, come li faceva mia nonna, e sua nonna prima di lei.
- Buonissimi, davvero complimenti, - fece Zap, a cui la mangiata aveva restituito del tutto il buonumore.
- Ma era la prima volta che li mangiavate? - chiese l’oste.
- Sì, in effetti sì.
- Quindi non siete di queste parti?
Ci fu solo una piccola esitazione, poi Zip rispose improvvisando:
- No, siamo di passaggio.
- Ah, peccato. Perché se vi piacevano così tanto i casoncelli, potevate venire alla classica “Sagra del casoncello”, sabato prossimo.
- Eh no, purtroppo non saremo in zona, sabato prossimo. Magari un’altra volta, - replicò Zip per evitare di prolungare la conversazione, che poteva diventare compromettente.
Per fortuna, la cena procedette senza intoppi. I due alieni pagarono felici il loro conto, poi uscirono.
- Dai forza, - fece Zip. - Anche se abbiamo la pancia piena, dobbiamo affrettarci. I soccorsi raggiungeranno l’astronave tra pochi minuti, mi hanno appena inviato un segnale. Non vorrei farli aspettare.
Zap camminava con passo svelto, quasi saltellando. In effetti, era felice. Tutti i cattivi pensieri erano spariti:
- Ma ti rendi conto, Zip! Abbiamo mangiato benissimo, e abbiamo speso l’equivalente di 0,006 Unità Stellar!
- Quindi alla fine non ti dispiace più, aver dovuto rinunciare alla tua cena al Ristorante al Termine dell’Universo? - chiese Zip con una punta di ironia.
- No, direi di no! Sono i casoncelli, la vera fine del mondo! Anzi, vuoi che ti dica una cosa?
- Cosa?
- Mi sa che ci faccio un pensierino, quasi quasi, a quella “Sagra del casoncello” di cui parlava l’oste. Forse ci potrei portare mio nonno. Secondo me, tornare sulla Terra gli potrebbe far piacere!
Zip trattenne un sorriso, poi indicò all’amico una luce abbagliante che stava calandosi sui campi davanti a loro, proprio in corrispondenza del punto in cui era atterrata la loro astronave:
- Mi fa piacere vederti così contento, ma adesso allunghiamo il passo, se non ti dispiace. Dobbiamo tornare a casa, e i soccorsi stanno atterrando in questo preciso istante.
“Bene, allora a presto, Terra” pensò Zap voltandosi un attimo indietro, prima di seguire l’amico che già andava incontro alla squadra di soccorso.

1Dialogo in stretto dialetto bresciano, riporto qui la traduzione: - Eh, Antonio, ma tu non hai sentito nulla? – No, io no, perché? – Mi sembrava di aver sentito qualcuno che parlava. – Ma piantala! Tu hai bevuto, dai retta a me. Vai a dormire, che è meglio. – Hai ragione, Antonio. Meglio andare a dormire. Ti saluto.
Andrea Pozzali

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Re: Semifinale Federico Galdi

Messaggio#4 » venerdì 6 dicembre 2019, 23:01

Federico Galdi si è espresso così:

Invasion San Donnino

Trovo siano degni di lode il contenuto del racconto e il suo svolgimento. Il tema dei nerd che si ritrovano a dover fermare un’invasione aliena non è nuovo, ma qui è stato gestito in maniera originale, con alcune trovate che mi hanno divertito molto. In appena cinque pagine mi è stato impossibile prevedere l’andamento dell’intera trama, cosa che ho apprezzato. Anche la scelta di rendere la specialità culinaria uno dei motori dell’intera vicenda mi ha soddisfatto e penso vada premiata. Il finale è forse la cosa che ho apprezzato maggiormente, specie per la sua logica. Alieni contro giocatori di D&D strafatti e perdigiorno, il finale non poteva che essere questo.

Per contro ho avuto qualche difficoltà con lo stile. Il punto di vista non è sempre gestito bene, proprio per il modo in cui sono stati gestiti i dialoghi, molto serrati. Se da un lato aiuta nell’immedesimazione (una discussione concitata attorno a un tavolo di D&D, a cui si aggiungono cannabis e alcol), dall’altro fa traballare il narratore in un paio di occasioni, specie nella prima fase, nel passaggio dalla narrazione del gioco di ruolo a quella reale. Anche alcuni termini usati all’interno della narrazione mi hanno lasciato insoddisfatto (bua, sello specifico), ma trattandosi di quello che immagino sia un espediente letterario non ritengo siano influenti sul risultato finale del racconto. Voto: 6,75.

Incontri gastronomici del quarto tipo


Parto dal presupposto che adoro Douglas Adams e la sua produzione, quindi non posso nascondere di aver apprezzato le citazioni, così come quelle di Blade Runner. Il problema è che la loro presenza risulta troppo invasiva. Il divertimento verso il racconto scema in maniera rapida e sembra quasi di trovarsi di fronte a una “fan-fiction” di Guida Galattica. La storia è molto lineare, forse troppo. Manca del giusto guizzo per brillare di luce propria e molte delle parti più interessanti, come il dialogo in dialetto bresciano, non sono state sfruttate a dovere. Credo che l’arrivo di due alieni in provincia di Brescia come spunto di base potesse essere sfruttato meglio, anche se la centralità della specialità culinaria trova una sua importante nella parte finale.

Avrei insomma osato un po’ di più, cercando una strada che uscisse dal solco delle citazioni alle opere presenti nel racconto.

Per contro lo stile mi è piaciuto molto. Pulito, cobrio e ben dosato, capace di mostrare quanto serve al lettore senza dilungarsi troppo nelle descrizioni. Anche qui la gestione dei dialoghi mi sembra rivedibile (non amo il botta e risposta), per quanto non ci siano problemi col punto di vista dei personaggi e il narratore non perda mai le redini della lettura. Voto: 6,5.

Una gara che si è giocata sul filo di lana. Avrei potuto promuovere entrambi i racconti, seppure per motivi opposti, ma alla fine la mia scelta è stata quella di premiare la maggiore originalità presente in “Invasion San Donnino”. Pur rimanendo nel tema assegnato dal contest, ci troviamo di fronte a un racconto che mostra una bella applicazione del pensiero laterale e che riesce a trovare una propria strada in poco spazio. Ritengo quindi che dei due sia quello più meritevole di accedere alla finale.

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