Quattro parti di un cuore infranto

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due gennaio sveleremo il tema deciso da Dario Orilio. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Pretorian
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Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#1 » sabato 18 gennaio 2020, 15:19

Quattro parti di un cuore infranto


Roberto mette del ghiaccio in un bicchiere e si versa uno sherry. Mentre si gode la sensazione di fresco nello stomaco, riconosce il sommesso bussare di Garrone.
- Avanti.
La testa dell’anziano servitore fa capolino tra i pannelli di mogano.
- Perdoni il disturbo, Signore, ma i suoi ospiti sono arrivati.
- Falli entrare. Poi prenditi pure la giornata libera.
- Come desidera, Signore.
Garrone si allontana, mentre tre persone entrano nella stanza e chiudono la porta dietro di loro.
Una donna vestita di mussola bianca, secondo l’ultima moda inglese; un vescovo cattolico, che giocherella nervosamente con il crocifisso dorato che porta al collo e un giovane ufficiale di cavalleria, con l’uniforme linda e due baffetti alla D’Annunzio perfettamente curati.
- Elena, Carlo, Dario. Ben arrivati.
- Quindici anni che non vedi i tuoi fratelli e questo è tutto quello che hai da dire? Speravo che in Africa ti avessero insegnato un po’ di decoro – gli risponde l’ufficiale, sedendosi sul divano e afferrando la bottiglia di sherry. – Bah, nemmeno a bere ti hanno insegnato.
- In compenso, l’esercito non ha insegnato a te la disciplina – gli risponde Roberto, sorridendo. – Come se non sapessi che indossi quell’uniforme solo per far colpo sulle fanciulle che frequentano il circolo letterario di nostra sorella.
- Può contare solo su quello: l’unica volta che ha provato a scrivere una poesia ed a recitarla, ha tirato fuori una chitarronata così volgare che uno dei miei ospiti si è sentito male.
Dario ribatte alla sorella facendo una battuta sui “tisici cicisbei” che frequentano il suo salotto. Elena e Roberto ridono. Carlo continua a tormentare il crocifisso in silenzio. Alla fine, i convenevoli terminano e le loro risate sfumano in un silenzio carico di tensione. Lentamente, Roberto si avvicina a una statuetta di legno a forma di gestante. Toccando un tasto nascosto, ne apre il ventre concavo, poi ne appoggia il contenuto sul tavolino al centro della stanza.
Il frammento di un pendente a forma di cuore.

Un urlo dal piano inferiore. Roberto e Dario si osservano in silenzio, come per rassicurarsi a vicenda di non esserselo immaginato. Un altro grido. Stavolta Roberto lascia cadere le biglie e si alza in piedi.
- Tu resta qui. Vado a vedere cosa sta succedendo.
Il giovane esce dalla stanza, segue il corridoio e raggiuge il ballatoio che dà sul grande soggiorno del piano terra.
– Meglio che torni subito nella sua stanza – fa Delcati, immobile davanti alla porta dello studio di suo padre.
Prima che Roberto possa rispondere al maggiordomo, un terzo urlo, ancora più forte, risuona nella villa.
Roberto ignora le parole che l’uomo gli rivolge e scende di corsa le scale.
Stavolta è sicuro che le urla appartengano a sua madre.


- Perché ora? – fa Dario, osservando il monile. – Perché abbiamo dovuto aspettare per tutti questi anni?
- Perché ora io ho le mie spedizioni in Africa; tu la tua carriera militare; Elena la sua fama di poetessa e Carlo la santità del suo abito. Le nostre stesse vite sono degli alibi che ci terranno al sicuro da ogni sospetto.
Dario sorride.
- Se avessi la metà del tuo ingegno, potrei marciare su Vienna con degli ascari ubriachi.
Apre il taschino della giubba e ne estrae un altro frammento del cuore, che sistema accanto a quello del fratello.
- Se serve a farlo soffrire, sarà valso ogni istante di attesa.

- Mamma? – fa Dario, alzandosi in piedi. – Mamma, cosa succede?
Non è la prima volta che il bambino sente sua madre urlare, ma qualcosa nel tono di voce accende sensazioni strane nel suo inconscio. Sensazioni che gli fanno battere forte il cuore e riempiono i suoi occhi di lacrime, senza apparente motivo.
Comincia ad osservare la porta con ansia sempre crescente, sperando che suo fratello venga a porre fine alle sue paure, ma nessuno viene ad aiutarlo. Quando sente le prime lacrime rigargli le guance, capisce che deve fare da solo e si arrischia ad uscire. Sente suo fratello parlare a voce alta: quando raggiunge il ballatoio, vede che Roberto sta litigando con uno dei maggiordomi.
- Fammi entrare, Delcati! Devo vedere cosa sta succedendo!
- Suo padre sta avendo un importante incontro d’affari e mi ha ordinato di non far entrare nessuno.
Il tono del maggiordomo è così artefatto che persino Dario si rende conto che sta mentendo.
- Basta stronzate!
Roberto cerca di oltrepassare il guardiano, ma Delcati approfitta della sua maggiore mole per tenerlo lontano dalla porta.
Il ragazzo finisce a terra.
- Lascialo stare!
Dario piomba addosso al servitore con tanto impeto da farlo finire a terra. Poi, mentre l’uomo cerca di rialzarsi, lo tempesta di pugni con le sue manine infantili. Passata la sorpresa, però, Delcati se lo scrolla facilmente di dosso e lo blocca con le gambe. L’uomo alza il braccio per schiaffeggiarlo, ma qualcosa lo interrompe.
- Delcati, lascia stare Dario e lasciaci passare – fa la voce di Elena, – oppure chiederò a Carlo di spezzarti il braccio. E sai che è perfettamente in grado di farlo.
Anche se è bloccato a terra, Dario riesce a voltarsi quel tanto che basta per rendersi conto che Carlo ha afferrato il braccio del maggiordomo e lo sta tenendo bloccato, apparentemente senza alcuno sforzo. Il vecchio fa un debole tentativo di liberarsi, poi, vista la brutta situazione, preferisce fare quanto chiestogli.
- Avete sentito anche voi le urla della mamma?- Fa Roberto, aiutando il fratellino più piccolo a rialzarsi. Elena annuisce.
- Allora vediamo di capire costa sta succedendo.
E apre la porta dello studio.


- Le nostre vite saranno anche degli alibi perfetti, ma non basteranno a proteggerci, se qualcosa va storto – fa Elena, incrociando le braccia e lasciandosi andare sullo schienale del divano. – Voglio sperare che in tutti questi anni tu abbia anche avuto il tempo per trovare una soluzione.
Roberto annuisce, poi appoggia sul tavolino un rozzo flauto di legno e un cofanetto dello stesso materiale.
Quando lo apre, i fratelli vedono che al suo interno c’è una sorta di grossa vespa mummificata.
- Cos’è quell’orrore?
- Uno Ndu-borag. Un “Messaggero del Rancore” dei Makilakki del Congo.
- E quindi?
Roberto sorride, poi comincia a suonare con il flauto.
L’aria si riempie con una cacofonia stonata e selvaggia. Un ritmo diverso da qualunque cosa i tre ascoltatori abbiano mai udito e che evoca nelle loro menti immagini sgradevoli di rovine primordiali illuminate dalla Luna e di paludi soffocate dalla vegetazione marcescente. Persino Carlo ne sembra turbato e il suo volto, solitamente impassibile, si contrae per il disgusto.
Prima che possa chiedere a Roberto di smettere, però, la sua attenzione viene catturata da qualcos’altro.
La vespa mummificata comincia lentamente a muovere le zampe rinsecchite e a far vibrare le ali. Sotto lo sguardo attonito dei tre fratelli, la creatura si solleva in volo e comincia a disegnare dei cerchi sopra le loro teste.
- Gli sciamani Makilakki usano gli Ndu-borag per punire i nemici della loro tribù – fa Roberto, interrompendo la musica. – Il morso di questi feticci non lascia scampo. Chi lo subisce diviene preda di una follia omicida, che non si estingue che con la morte.
La vespa fa un altro paio di giri, poi plana nuovamente nel cofanetto, che l’antropologo si affretta a richiudere.
- E tu come hai appreso ad usare questa… cosa?
- Con tanta pazienza e tante casse di chinino fatte arrivare clandestinamente da Leopoldville. – I fratelli vedono un sorriso obliquo sul suo volto. – E poi, ho avuto modo di esercitarmi durante il ritorno. Non è un caso se io e Garrone siamo tra i pochi sopravvissuti della spedizione…
Carlo e Dario impallidiscono. Elena, invece, apre la borsetta, ne estrae il suo frammento del pendente e lo appoggia accanto agli altri.
- Quel verme di nostro padre, ucciso da una vile creatura sua pari – dice, atteggiando il volto in un ghigno anche più feroce di quella di suo fratello. – La tua idea mi piace, Roberto. C’è un che di… poetico!

C’è un uomo seduto sulla poltrona. Elena deve fare uno sforzo di memoria per riconoscerlo come uno degli stallieri della villa, ma il tentativo di ricordarne il suo nome si rivela fallimentare. Che sia morto soffrendo, lo testimoniano tanto il manico del coltello da caccia gli sporge dal collo, quanto l’espressione di terrore dipinta sul volto. La ragazza muove un passo verso il cadavere, poi un rumore soffocato attira la sua attenzione alla sua sinistra. Un rumore e una parola.
- Puttana.
Suo padre affonda il pugno sul volto di sua moglie. Ne fa sprizzare il sangue. Poi alza lentamente il braccio e chiude le dita.
- Puttana.
Un altro pugno. Un altro insulto. Nessuna risposta: la testa della donna è ridotta a un ammasso di carne sanguinolenta priva di lineamenti.
- Puttana.
Elena non percepisce rabbia nelle sue parole, né nei suoi colpi. Suo padre è perfettamente padrone di sé e la lentezza con cui affonda i suoi pugni può spiegarsi solo nella precisa volontà di infliggere quanto più dolore possibile. È la constatazione di questa lucidità, più che la scena in sé, a strapparle un grido.
Suo padre alza lo sguardo verso di loro.
- E voi cosa diavolo ci fate qui?
Si alza, lasciandosi alle spalle il corpo della moglie.
- Cosa… cosa le hai fatto?!
L’uomo si asciuga il sangue dalla fronte, rivolge uno sguardo dietro di lui, poi alza le spalle con aria indifferente.
- Ho dato a questa puttana e al suo ultimo amichetto quello che meritavano – dice, avvicinandosi a loro. – E, a quanto pare, ora è tempo che anche voi abbiate la vostra parte.


- Come vorresti agire?
- Tra tre giorni ci sarà una cena con numerosi latifondisti del delta. Animerò lo Ndu-borag affinché morda nostro padre nel corso della serata: i suoi ospiti faranno il resto.
- Verrà ricordato come un pazzo omicida! E nessuno potrà risalire a noi! – esclama Dario, eccitato in modo quasi infantile all’idea. – Sei un genio, Roberto!
Il fratello annuisce, compiaciuto, poi si volta verso Carlo, che continua a stringere il crocifisso in silenzio.
- So che per te è difficile accettare questi… strumenti. Se sei contrario, non hai che da dirlo. – dice, facendosi improvvisamente serio. – Non ho intenzione di fare questa cosa senza di te.
Elena e Dario sembrano contrariati dalle sue parole, ma Roberto fa cenno loro di non intervenire. Carlo resta immobile per qualche istante, poi lascia il crocifisso ed estrae dalla tasca l’ultimo frammento del cuore.

D’istinto, Carlo si mette in mezzo ed intercetta il pugno che era destinato a sua sorella. Il tremendo impatto gli riempie la bocca di sangue, ma non riesce a smuoverlo.
Inaspettatamente, suo padre si fa indietro.
- Spostati, Carlo. Non ho niente contro di te: è loro che voglio.
Il giovane fa lentamente cenno di no con la testa ed allarga le braccia, per opporre tutto il suo corpo come scudo ai fratelli.
I due si guardano negli occhi, in silenzio. Stessa altezza e stessa corporatura: Carlo ricorda di aver sentito molte persone dire che sembrava in tutto e per tutto l’immagine ringiovanita di suo padre. Guardandolo negli occhi, dubita di quel giudizio.
- Ti ho detto di spostarti!
Un altro pugno, stavolta allo stomaco. Carlo si piega leggermente, ma non distoglie lo sguardo.
- Spostati!!!
Il naso si rompe. Tagli si aprono sulla sua pelle. Un occhio si gonfia fino a chiudersi. Carlo arriva a piegare un ginocchio, eppure oppone sempre il suo corpo come limite invalicabile. Senza reagire, ma anche senza cedere.
- Lascialo in pace, bastardo!
Alle sue spalle, il terrore che sembrava aver raggelato i suoi fratelli sembra essersi sciolto e Dario si prepara ad attaccare. Facendo forza sui muscoli doloranti, Carlo lo spinge via.
Davanti a quella scena, suo padre interrompe la gragnola di pugni.
- Li proteggi da me… e da loro stessi – sussurra, guardandolo negli occhi. – Faresti lo stesso, anche se ti dicessi che non sono davvero tuoi fratelli?
Il giovane esita. Per un istante, pensa a un inganno, ma negli occhi gelidi di suo padre c’è posto per ben altra malvagità.
- Solo tu mi appartieni – ribadisce l’uomo. - Loro sono il frutto di uno dei tanti passatempi di vostra madre.
Carlo si volta verso i suoi fratelli. Li osserva per qualche istante, poi torna a rivolgersi a suo padre. La sua posizione resta identica.
L’uomo alza ancora il braccio, ma la sua mano resta a mezz’aria. Quando la abbassa, nei suoi occhi il giovane può leggere un misto di disprezzo e compiacimento.
- E va bene: diciamo che mi sono sfogato abbastanza – dice, passando oltre il gruppo compatto dei figli. – Rimanderemo la questione a un’altra volta.
Si ferma, sulla soglia.
- Tutto questo non è mai avvenuto – dice, senza nemmeno voltarsi. – Vostra madre è andata a fare un lungo viaggio all’estero, dal quale non manderà più sue notizie. Ricordatevi di questa verità, se non volete andare a farle compagnia in fondo al fiume.
L’uomo esce dalla stanza.
Carlo lo segue con lo sguardo, poi cade in ginocchio. Dario lo aiuta ad appoggiarsi al muro, mentre Elena gli pulisce il sangue dal volto con l’orlo della gonna.
- Gliela farò pagare– mormora Dario, piangendo. – Lo ammazzerò come un cane.
- Tu non farai niente.
Con l’occhio ancora aperto, Carlo vede che Roberto si è inginocchiato accanto al corpo della madre: dopo qualche istante, si volta verso di loro, stringendo in mano il pendente che la donna portava al collo.
- Fingeremo che tutto questo non sia mai successo. Vivremo le nostre vite. E aspetteremo.
- Cosa dovremmo aspettare?
- Il momento in cui nostra madre potrà avere giustizia.
Elena e Dario non sembrano convinti, ma Carlo si accorge che è soprattutto a lui che Roberto sta guardando. Il ragazzo si sforza di rimettersi in piedi, afferra a sua volta il pendente e ne rompe un pezzo.
La promessa è fatta.


Il pendente è ricostruito. Brilla leggermente alla luce delle candele.
Roberto lo sistema tra la ciotola con i capelli e il cofanetto con la vespa mummificata.
- Ne siete sicuri? Il rituale tende ad avere un effetto sgradevole su chi assiste.
- Non posso assistere alla scena del vecchio porco che dà di matto e si fa ammazzare, quindi mi accontento di quello che ho – fa Elena, seduta sulla poltrona. Dario, accanto a lei, ridacchia.
- Stessa cosa. E poi, come potrei perdermi il saggio di flauto di mio fratello?
Carlo non si unisce alle loro risate. Non indossa alcun segno del suo sacerdozio e gli abiti borghesi gli stanno palesemente scomodi.
Vedendo che i fratelli sono decisi a restare, Roberto accosta una candela alla ciocca di capelli e le da fuoco. Mentre la fiamma comincia lentamente a crepitare, l’uomo prende il flauto, rivolge un inchino ai detestabili idoli di legno che riempiono l’altare e comincia a suonare. È una melodia anche più grottesca di quella che i tre fratelli avevano percepito qualche giorno prima e suscita in loro una repulsione anche più forte. Mentre la cacofonia si intensifica, la luce delle candele comincia a tremolare in modo strano, quasi sincrono con il ritmo e le ombre che ne vengono generate assumono contorni sempre più confusi ed alieni. Davanti agli occhi dei presenti compaiono di nuovo visioni di giungle putrescenti e rovine ancestrali, ma altre le seguono, con anche maggiore intensità. I fratelli vedono le foreste ringiovanire, mentre il cielo e le stelle assumono colori e segni di un’antichità precedente ad ogni traccia di coscienza umana. Le rovine diventano città e i monumenti caduti si rialzano in piedi, più alti delle piramidi e così elaborati da far sembrare le meraviglie dell’Esposizione di Parigi dei giocattoli per bambini. E, tra le loro ombre, si muovono esseri il cui aspetto fa riaffiorare nella mente di Carlo il ricordo di alcuni passi dei Vangeli apocrifi da lui studiati di nascosto in seminario. I millenni scivolano davanti ai loro occhi, mostrando loro lo zenith della civiltà antidiluviana, la sua caduta e la sua orrida sopravvivenza nei fumi maligni delle paludi. Gli stessi fumi che si alzano dai turiboli e che animano lo Ndu-borag.
La vespa mummificata si alza in volo, disegna cerchi nell’aria e si lancia in caccia… piombando a tutta velocità sulla faccia di Carlo!
L’uomo urla, mentre il pungiglione penetra nel suo occhio destro. Quando prova a liberarsene, però, il feticcio schizza di nuovo in volo, dove le sue mani non possono raggiungerlo.
Elena e Dario si lanciano su di lui per aiutarlo, mentre Roberto osserva inorridito la scena.
- Cos’hai combinato? – urla Dario. – Perché quella cosa lo ha attaccato?
- Non… non doveva andare così – mormora l’antropologo. – Gli spiriti dovevano dare la caccia al soggetto del rancore… lo Ndu-Borag doveva attaccare la persona di cui avevo offerto i capelli…
- Roberto… chi ti ha dato quella ciocca?
Un’ombra di terrore e sospetto compare sui loro sguardi ma, prima che possa materializzarsi una risposta, le loro riflessioni sono interrotte da un urlo disumano.
Carlo afferra Elena per la gola, la solleva e comincia a strangolarla con entrambe le mani. Dario cerca di liberarla, ma il fratello lo spinge via come se fosse un bambino. Nel momento in cui si volta, Roberto si accorge che l’occhio che è stato morso è iniettato di sangue e sembra pulsare.
- Ha già cominciato ad impazzire! – urla l’antropologo, afferrando il fratello per un braccio. – Dobbiamo scappare subito!
Senza nemmeno rispondergli, Dario si libera dalla sua presa, sguaina la sciabola e carica il vescovo posseduto. Roberto, invece, comincia a correre verso la porta. Resta sordo alle urla, al rumore di ossa spezzate e ai rantolii dei suoi fratelli: non vede altro che i massicci pannelli di legno con le maniglie d’ottone. Li raggiunge, li spinge. Non si muovono.
- No… l’avevo lasciata aperta… - mormora, spingendo la porta con tutto il suo peso. – Era aperta!
Improvvisamente, il silenzio.
Roberto si volta. Carlo, coperto di sangue da capo a piedi e con la sciabola di Dario piantata fino all’elsa in un fianco, lo osserva. Il suo volto è contratto dalla follia e nella bocca stringe un brandello di carne strappato dal collo del fratello minore.
- No… non posso morire – mormora Roberto, addossandosi alla porta. – Non posso morire senza aver ucciso quel bastardo!

EPILOGO
- Quindi?
- I Carabinieri hanno trovato il Vescovo Decarli nelle campagne attorno alla villa di suo fratello. È riuscito ad abbattere tre militari, prima che qualcuno gli piantasse una pallottola nel cervello.
- Il ragazzo è sempre stato un tipo resistente! – esclama l’anziano, muovendo le ruote della sedia a rotelle fino a quando non riesce a girarsi verso il suo interlocutore. –I miei informatori mi hanno fatto sapere che un emissario della Curia ha già contattato il Prefetto per portare le indagini verso lidi più… presentabili. La notizia che di un vescovo che stermina la sua famiglia dopo aver partecipato a una cerimonia pagana sarebbe troppo imbarazzante…
- Proprio come lei aveva previsto.
L’uomo ride ancora e si accende un sigaro. Dall’altra parte della stanza, invece, il servitore resta immobile.
- Cos’altro c’è?
- Garrone le manda questo, Signore. – dice il maggiordomo, appoggiando un pacchetto sulla scrivania. – Dice che lo ha recuperato dopo le perquisizioni nella villa.
- Fagli avere quello che gli spetta – risponde l’anziano, avvicinandosi. – Un prezzo più che equo per una porta chiusa e una ciocca di capelli sostituita.
Il servitore annuisce e si allontana, mentre l’uomo in sedia a rotelle apre il pacchetto e ne estrae il contenuto: un pendente d’oro a forma di cuore.
L’uomo lo osserva per qualche istante, poi lo avvicina a una foto presente sulla scrivania.
- La riconosci, Mara? – esclama, facendo ondeggiare il monile davanti alla foto. – La indossavi sempre, anche il giorno in cui ti ho ammazzata. I tuoi mocciosi l’hanno conservata per così tanto tempo…
Si rigira nuovamente e torna a rivolgersi verso il camino acceso.
- Hanno fallito, Mara. I tuoi adorati figli hanno finito per ammazzarsi l’un l’altro e la vendetta con cui mi hai maledetto nel il tuo ultimo rantolo è sfumata nel nulla.
Lancia la foto e il pendente nel fuoco e li osserva scomparire.


di Agostino Langellotti



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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#2 » venerdì 24 gennaio 2020, 15:37

Ciao Agostino, non devo commentarti...


... perciò non lo faccio.

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#3 » venerdì 24 gennaio 2020, 15:40

Scherzo. bel racconto davvero! Mi è piaciuto molto. Bella l'atmosfera (il tuo vecchio amico Chtulhu), buona la tecnica e buono il finale. Mi sono chiesto perché tu abbia tirato in ballo tanti fratelli (più facile gestire meno personaggi), ma sicuramente tra i racconti migliori dell'edizione.
Mi sta solo un po' sul cazzo che tu sia nel mio girone...

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#4 » domenica 26 gennaio 2020, 13:17

Ciao, Agostino,
Bel racconto davvero. Molto interessante sotto molteplici aspetti, primo fra tutti che mi ha divertito leggerlo fino alla fine.
I personaggi sono effettivamente tanti, ma emergono bene dai dialoghi serrati. Ho apprezzato alcune accortezze tecniche, come per esempio il fatto che l'ultima battuta di un capitolo introduce il punto di vista del flashback successivo.
I riferimenti lovecraftiani sono sempre una cosa gradita, soprattutto quando non si limitano alle immagini di civiltà decadute, ma arrivano anche a mutuarne alcune consuetudini della sua narrativa, come i riti tribali a base di morte prelevati dall'Africa sconosciuta. Insomma, si vede che come autore ti piace e ne hai letto a pacchi. (Ti ringrazio per non aver scimmiottato lo stile, che è veramente indigesto!)

Devi rilevare alcune sbavature: ci sono delle ripetizioni, uno o due errori di battitura e vestigia di stesure precedenti. Ma soprattutto non mi piace quando introduci i dialoghi scrivendo 'FA'. Capisco che spesso è una necessità per rosicchiare caratteri, ma è una soluzione che reiteri in continuazione, e che forse meriterebbe più attenzione, anche per aggiungere un elemento recitativo alle battute.

Per il resto, ottima prova!

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#5 » domenica 26 gennaio 2020, 15:20

Stile asciutto, chiaro e sintetico. Assolutamente riuscito il flashback spezzettato tra gli eventi principali che riesce sia a mantenere il ritmo della lettura che a far conoscere meglio i quattro fratelli.
Atmosfera Lovecraftiana ed evocativa, se l'avessi caratterizzata un po' di più avresti potuto ambire al bonus per l'epoca storica. 1800? 1900? Giorni nostri?
Il servitore traditore è un grande classico un po' abusato e perde un po' di credibilità se riesce in maniera così perfetta a guastare i piani di Roberto:
. è vecchio ma ancora capace
. sa tutto del piano di vendetta e di come funziona la vespa mummificata perchè anche lui era un membro della spedizione
. gestisce il doppio gioco col vecchio padre senza attirare sospetti
. effettua cambi e controcambi di ciocche di capelli con certosina capacità da illusionista.
Epilogo chiarificatore vecchia scuola e plot twist un po' telefonato.
Tema, bonus 2 e 3 centrati.

PARTITA A CLUEDO

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#6 » domenica 26 gennaio 2020, 22:46

Luca Nesler ha scritto:Scherzo. bel racconto davvero! Mi è piaciuto molto. Bella l'atmosfera (il tuo vecchio amico Chtulhu), buona la tecnica e buono il finale. Mi sono chiesto perché tu abbia tirato in ballo tanti fratelli (più facile gestire meno personaggi), ma sicuramente tra i racconti migliori dell'edizione.
Mi sta solo un po' sul cazzo che tu sia nel mio girone...


Luca, lo sai che ormai partecipo al Minuti Contati solo per lo sfizio per potermi mazzolare con te. ;.) XD

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#7 » domenica 26 gennaio 2020, 22:48

Eugene Fitzherbert ha scritto:Ciao, Agostino,
Bel racconto davvero. Molto interessante sotto molteplici aspetti, primo fra tutti che mi ha divertito leggerlo fino alla fine.
I personaggi sono effettivamente tanti, ma emergono bene dai dialoghi serrati. Ho apprezzato alcune accortezze tecniche, come per esempio il fatto che l'ultima battuta di un capitolo introduce il punto di vista del flashback successivo.
I riferimenti lovecraftiani sono sempre una cosa gradita, soprattutto quando non si limitano alle immagini di civiltà decadute, ma arrivano anche a mutuarne alcune consuetudini della sua narrativa, come i riti tribali a base di morte prelevati dall'Africa sconosciuta. Insomma, si vede che come autore ti piace e ne hai letto a pacchi. (Ti ringrazio per non aver scimmiottato lo stile, che è veramente indigesto!)

Devi rilevare alcune sbavature: ci sono delle ripetizioni, uno o due errori di battitura e vestigia di stesure precedenti. Ma soprattutto non mi piace quando introduci i dialoghi scrivendo 'FA'. Capisco che spesso è una necessità per rosicchiare caratteri, ma è una soluzione che reiteri in continuazione, e che forse meriterebbe più attenzione, anche per aggiungere un elemento recitativo alle battute.

Per il resto, ottima prova!


Grazie, Eugene.
Posso chiederti delucidazioni a proposito dei dialoghi con "Fa"? Dici che sono poco funzionali? Perché mi sono reso conto di usarli abbastanza spesso, quindi voglio capire se è il caso che cominci ad abbandonarli.
Grazie

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#8 » domenica 26 gennaio 2020, 22:52

Ah, visto che me ne ero dimenticato, inserisco i bonus (almeno secondo me):

1) Ambientazione in epoca storica a scelta: il racconto è ambientato nei primi anni del '900 (non lo dico escplicitamente, ma ho cercato di lasciarlo intendere, come con il riferimento agli ascari e all'Esposizione di Parigi)

2) QUalcuno deve mentire al protagonista: Delcati mente e Roberto

3) Devono essere presenti un plot twist e un flashback.: il finale e i punti di vista dei fratelli

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#9 » domenica 26 gennaio 2020, 22:56

Dario17 ha scritto:Stile asciutto, chiaro e sintetico. Assolutamente riuscito il flashback spezzettato tra gli eventi principali che riesce sia a mantenere il ritmo della lettura che a far conoscere meglio i quattro fratelli.
Atmosfera Lovecraftiana ed evocativa, se l'avessi caratterizzata un po' di più avresti potuto ambire al bonus per l'epoca storica. 1800? 1900? Giorni nostri?
Il servitore traditore è un grande classico un po' abusato e perde un po' di credibilità se riesce in maniera così perfetta a guastare i piani di Roberto:
. è vecchio ma ancora capace
. sa tutto del piano di vendetta e di come funziona la vespa mummificata perchè anche lui era un membro della spedizione
. gestisce il doppio gioco col vecchio padre senza attirare sospetti
. effettua cambi e controcambi di ciocche di capelli con certosina capacità da illusionista.
Epilogo chiarificatore vecchia scuola e plot twist un po' telefonato.
Tema, bonus 2 e 3 centrati.

PARTITA A CLUEDO


Grazie, Dario.
Per quanto riguarda l'ambientazione, il racconto è ambientato ad inizio '900. Avevo fatto alcuni riferimenti (gli ascari, l'Esposizione di Parigi, l'esplorazione dell'Africa) per farlo intendere, ma forse avrei dovuto essere più esplicito. per quanto riguarda Garrone, hai perfettamente ragione. Su questo ha giocato lo spazio: nella mia idea iniziale avevo pensato di far specificare che Garrone ha lavorato come spia per anni per il padre dei protagonisti e che i due avevano deciso di comune accordo di effettuare lo scambio dei capelli dopo che il servitore era venuto a conoscenza del piano di Roberto. Purtroppo lo spazio era poco, quindi ho dovuto lasciare aperto questo buco.

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#10 » lunedì 27 gennaio 2020, 0:47

Pretorian ha scritto:

Grazie, Eugene.
Posso chiederti delucidazioni a proposito dei dialoghi con "Fa"? Dici che sono poco funzionali? Perché mi sono reso conto di usarli abbastanza spesso, quindi voglio capire se è il caso che cominci ad abbandonarli.
Grazie


Allora, Agostino, sia chiaro: Il "FA" in questione non è sbagliato. È che spesso ne abusi, e ci sono un paio di frasi in cui i personaggi prima fanno (nel senso di dicono) e poi fanno (in senso letterale).
Non devi abbandonare l'uso del verbo fare, ma secondo me dovresti essere più vario, anche per aiutare il lettore a sentirsi di più al centro della scena. E soprattutto evitare che lo stesso verbo venga ripetuto con accezioni differenti.
My two cents!

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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#11 » mercoledì 29 gennaio 2020, 22:30

Ciao Agostino,
Gran bel racconto, devo essere onesto.
Ho apprezzato molto la sfumatura tribale mista alle tinte lovecraftiane che, seppure appena accennate nel momento di catarsi durante l'utilizzo dell'artefatto, hanno dato un gran bello slancio a chi ha saputo coglierlo. Essendo un amante di Lovecraft mi ha scavato molto all'interno, forse anche troppo, perché mi è rimasto dentro più di tutto il resto.
All'inizio devo dire che ero rimasto un pelo deluso da come avevo capito sin da subito, prima ancora del primo flashback. Loro padre aveva ucciso la madre e si trovavano lì per vendetta, era chiaro sin da principio e mi ha fatto presagire poca fiducia.
Poi però sei riuscito a catturarmi con una buona esposizione del presente e del passato, sebbene ho trovato i dialoghi del terzo flashback un pochino artificiosi, soprattutto quelli del padre, che in un momento del genere sembra parlare in maniera fin troppo pacata e costruita, ma le sensazioni smosse nel complesso ci sono state, quindi significa che funziona.
Il colpo di scena non me lo aspettavo, sinceramente. O meglio, non così. L'insetto maledetto che va a finire nell'occhio di Carlo per il complotto tra il servitore ed il padre non l'avevo messo in conto e mi è piaciuto. Il finale lascia l'amaro in bocca, sopratutto la frase "I tuoi adorati figli hanno finito per ammazzarsi l’un l’altro e la vendetta con cui mi hai maledetto nel il tuo ultimo rantolo è sfumata nel nulla" trasmette un'acre e velenosa realtà della vita, e l'immagine delle fiamme che consumano la foto ed il pendaglio custodito per decenni chiude un cerchio di ingiustizia che lascia il lettore atterrito.
Bella prova, ero partito con un pregiudizio sulla deducibilità della trama ma poi sono rimasto spiazzato, complimenti.

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Polly Russell
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Re: Quattro parti di un cuore infranto

Messaggio#12 » venerdì 31 gennaio 2020, 13:23

Ben ritrovato vecchio mio!
La storia è molto buona, ottima trama e ottimo finale. Inaspettato davvero. Hai gestito bene anche la sovrabbondanza di personaggi dando loro una buona caratterizzazione, a un certo punto è diventato automatico distinguere Carlo da Roberto e così via, e con quattro fratelli nella stessa scena non era facile.
Ho apprezzato l’accenno a Leopoldville, ma a quel punto ne avrei fatto la città della loro infanzia, creando i presupposti per avere un padre tanto pazzo e violento.
Mi rimane un po’ il dubbio di come sia stata la loro vita fino a quel momento, perché comunque per avere le carriere che hanno, avranno dovuto sfruttare le risorse paterne. Avrei quindi apprezzato un paio di accenni alla loro vita fino a quel punto. Ma capisco che i caratteri sono quel che sono.
L’elemento fantastico è davvero bello, ben riuscito è perfettamente gestito.
Qualche appunto sulla scrittura però devo fartelo, più che altro perché sembra che tu non lo abbia riletto, o magari lo hai fatto di fretta. Ci sono diverse ripetizioni e ridondanze, soprattutto nella parte iniziale e un vero e proprio abuso della parola “fa”. XD Usi praticamente solo quella. Dice, intima, racconta, sussurra, ammette, rimbrotta, accenna... e chi più ne ha più ne metta, che tra l’altro possono anche aiutare a dare il giusto tono al discorso. Quindi: ottimo lavoro che necessita una rilettura. Kiss!
Polly

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