Senza Cuore
Inviato: lunedì 20 gennaio 2020, 23:06
Senza Cuore
di Veronica De Simone
Il vento mi raffredda le guance e le gocce di pioggia si sciolgono nelle mie lacrime, in una scia d’acqua dolce e salata che mi pizzica la pelle. Dovrei tornare a casa e aspettare la fine del temporale, ma non riesco a fermarmi. Arrivata davanti alla scogliera, comincio ad arrampicarmi. Anche se i piedi scivolano, non ho paura di cadere. Non mi soffermo a pensarci. Non è importante.
Quando arrivo in cima, un’onda si infrange contro gli scogli. Il ruggito del mare è assordante. Mi siedo con il respiro ancora in bocca e le gambe a penzoloni. Una sensazione di vertigine mi coglie. Per un attimo, devo premere i palmi contro gli scogli per essere sicura di non star precipitando. Nei sibili del vento, sento di nuovo la voce di mio padre.
Mamma è morta.
Inspiro, espiro, inspiro ancora.
Mamma è annegata.
Le lacrime bruciano dietro le palpebre.
Mi dispiace, bambina mia.
Tiro una gamba al petto, la stringo contro di me senza aprire gli occhi. Il vuoto mi ha eviscerato, come un pesce o un cinghiale. Non sento niente: sono solo un simulacro di carne senza più un’anima.
Un’aquila plana verso di me, seguendo una corrente discendente. Mi stropiccio le palpebre, le sbatto, le chiudo ancora. Ma lei rimane ferma, a pochi passi da me, fissandomi con i suoi occhi da rapace. Non pensavo che un verde così intenso potesse appartenere alla natura.
«Chi sei?»
«Io sono Vento.»
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e lascio che il potere fluisca attraverso la pelle. Una fiammella blu scaturisce dal centro del palmo, si contorce su se stessa, modellandosi secondo la mia volontà sul corpo di mia madre. La mia mente le ridà i colori. Rosso, per i capelli ricci; viola per gli occhi; oro per gli orecchini; verde e azzurro per la tunica e le scarpette di velluto. Era una strega, come me. Il suo potere è stata la sua eredità alla mia nascita.
«Lei è morta.» sussurro.
L’aquila scuote la testa. «È solo dove i tuoi occhi non possono vederla.»
«Mi ha lasciata sola.»
«Il mare è insidioso.»
Mi mordo le labbra e mi abbraccio. Vorrei fosse lei a farlo. «Non ce la posso fare senza di lei.»
«Tu sei forte, Janka.»
«Senza di lei, non sono niente.»
«Se non lo fossi, Arxa non mi avrebbe veicolato a te. Sapeva quanto odiassi la debolezza.»
Avanza ancora e apre le ali, mostrando il doppio cerchio sul petto, simbolo del legame tra famiglio e strega. Lo sfioro con la punta delle dita. Ha le piume morbide e lisce come seta.
«Avrei voluto dirle addio…»
«Lo so.»
«Ho paura di non essere abbastanza, Vento.» mentre parlo, le lacrime scendono lungo le guance, «Fa troppo male.»
«E sarà così per tanto tempo. Aspetterai la pioggia per piangere e, quando arriverà il temporale, ti sembrerà eterno. Ma poi crescerai e i tuoi ricordi invecchieranno. Il dolore diventerà malinconia e riuscirai a guardare a questi giorni con il sorriso di chi ce l’ha fatta.» si avvicina a me e mi sfiora la guancia col becco, «E quando il buio passerà, potrai finalmente tornare ad apprezzare la luce.»
Non risposi. Semplicemente, la guardai volare in alto, oltre le nuvole. Respirai a fondo l’aria di mare e chiusi gli occhi, reclinando la testa all’indietro. Tra le palpebre socchiuse, in silenzio con me stessa, sentii di nuovo il battito del mio cuore.
di Veronica De Simone
Il vento mi raffredda le guance e le gocce di pioggia si sciolgono nelle mie lacrime, in una scia d’acqua dolce e salata che mi pizzica la pelle. Dovrei tornare a casa e aspettare la fine del temporale, ma non riesco a fermarmi. Arrivata davanti alla scogliera, comincio ad arrampicarmi. Anche se i piedi scivolano, non ho paura di cadere. Non mi soffermo a pensarci. Non è importante.
Quando arrivo in cima, un’onda si infrange contro gli scogli. Il ruggito del mare è assordante. Mi siedo con il respiro ancora in bocca e le gambe a penzoloni. Una sensazione di vertigine mi coglie. Per un attimo, devo premere i palmi contro gli scogli per essere sicura di non star precipitando. Nei sibili del vento, sento di nuovo la voce di mio padre.
Mamma è morta.
Inspiro, espiro, inspiro ancora.
Mamma è annegata.
Le lacrime bruciano dietro le palpebre.
Mi dispiace, bambina mia.
Tiro una gamba al petto, la stringo contro di me senza aprire gli occhi. Il vuoto mi ha eviscerato, come un pesce o un cinghiale. Non sento niente: sono solo un simulacro di carne senza più un’anima.
Un’aquila plana verso di me, seguendo una corrente discendente. Mi stropiccio le palpebre, le sbatto, le chiudo ancora. Ma lei rimane ferma, a pochi passi da me, fissandomi con i suoi occhi da rapace. Non pensavo che un verde così intenso potesse appartenere alla natura.
«Chi sei?»
«Io sono Vento.»
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e lascio che il potere fluisca attraverso la pelle. Una fiammella blu scaturisce dal centro del palmo, si contorce su se stessa, modellandosi secondo la mia volontà sul corpo di mia madre. La mia mente le ridà i colori. Rosso, per i capelli ricci; viola per gli occhi; oro per gli orecchini; verde e azzurro per la tunica e le scarpette di velluto. Era una strega, come me. Il suo potere è stata la sua eredità alla mia nascita.
«Lei è morta.» sussurro.
L’aquila scuote la testa. «È solo dove i tuoi occhi non possono vederla.»
«Mi ha lasciata sola.»
«Il mare è insidioso.»
Mi mordo le labbra e mi abbraccio. Vorrei fosse lei a farlo. «Non ce la posso fare senza di lei.»
«Tu sei forte, Janka.»
«Senza di lei, non sono niente.»
«Se non lo fossi, Arxa non mi avrebbe veicolato a te. Sapeva quanto odiassi la debolezza.»
Avanza ancora e apre le ali, mostrando il doppio cerchio sul petto, simbolo del legame tra famiglio e strega. Lo sfioro con la punta delle dita. Ha le piume morbide e lisce come seta.
«Avrei voluto dirle addio…»
«Lo so.»
«Ho paura di non essere abbastanza, Vento.» mentre parlo, le lacrime scendono lungo le guance, «Fa troppo male.»
«E sarà così per tanto tempo. Aspetterai la pioggia per piangere e, quando arriverà il temporale, ti sembrerà eterno. Ma poi crescerai e i tuoi ricordi invecchieranno. Il dolore diventerà malinconia e riuscirai a guardare a questi giorni con il sorriso di chi ce l’ha fatta.» si avvicina a me e mi sfiora la guancia col becco, «E quando il buio passerà, potrai finalmente tornare ad apprezzare la luce.»
Non risposi. Semplicemente, la guardai volare in alto, oltre le nuvole. Respirai a fondo l’aria di mare e chiusi gli occhi, reclinando la testa all’indietro. Tra le palpebre socchiuse, in silenzio con me stessa, sentii di nuovo il battito del mio cuore.