Un buon affare

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due gennaio sveleremo il tema deciso da Maurizio Ferrero. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Mosaico
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Un buon affare

Messaggio#1 » sabato 14 marzo 2020, 15:48

UN BUON AFFARE

«Ti dico che è legno di prima qualità, tagliato nientedimeno che dai boschi del monte Cillene!» Seduta a uno dei tavoli dell’Osteria delle Asce, Inès Flandres stava discutendo animatamente con un uomo fin troppo ben vestito per un postaccio del genere. Eppure, sebbene fosse uno dei nobiluomini più in vista della laguna, era stato proprio lui ad aver indicato quel posto, uno scantinato fumoso in uno dei sestieri più malfamati di Venezia.
Senza dubbio, il nobiluomo se ne era pentito appena ci aveva messo piede. Prima di rispondere, infatti, si guardò intorno per l’ennesima volta: il suo sguardo tradiva una più che legittima preoccupazione. A occupare la sala vi erano in effetti una ventina di uomini, ai suoi occhi probabilmente più simili a bestie che a esseri umani. Ogni volto lì dentro raccontava di vizi sfrenati, e molto probabilmente non valeva il prezzo della corda utile per impiccarne il proprietario. Stavano giocando a dadi, e l’unica preoccupazione di tutti sembrava quella di richiamare l’oste a suon di bestemmie e imprecazioni perché il loro boccale era di nuovo vuoto. Anche l’odore era nauseabondo. Urina, sudore e puzza di sangue si mischiavano a un forte lezzo di stalla. Ciononostante, lì dentro si mangiava il miglior spezzatino di tutta la laguna. Si diceva che l’oste avesse l’abitudine di tenere degli animali vivi da macellare in cantina, malgrado i divieti della sanità veneziana: qualcuno giurava che là sotto fossero stipati polli, conigli, a volte anche qualche maiale, immobili tra quattro mura fradice e costantemente ingozzati di avanzi. Così la carne per la clientela era sempre fresca e grassoccia, pazienza se l’ambiente non era salubre come la Basilica di San Marco.
Il nobiluomo allontanò il fazzoletto dal naso: «E dove terresti questo legno? Da quello che mi dicono alla dogana nessun vascello è attraccato qui, quantomeno non in maniera regolare.»
«Ti dico di fidarti. Dammi un anticipo per bloccare il carico e domani lo farò trasportare al tuo palazzotto. Inès Flandres ha una parola sola!» commentò con il suo spiccato accento francese, e nonostante l’interlocutore altolocato, non evitò di lasciarsi sfuggire un grammo del tono pratico e un po' presuntuoso che la contraddistingueva.
Il patrizio sbuffò e fece un gesto eloquente, come a dire che non intendeva ascoltare oltre né discutere di altro. Un uomo dalla pelle oleosa, che di certo tante ne aveva viste e ancor più ne aveva fatte, stava infatti urinando vicino al camino, dove fumigava una timida brace. «Il legno mi interessa, quindi paga il vino e portami a vederlo adesso. Non voglio restare qui dentro un attimo di più, e soprattutto non voglio che mi vedano in giro con gente come te.» sentenziò il nobiluomo posando l’acconto di tre ducati d’oro sul tavolo che scintillarono come soli sulla faccia patibolare della francese.
“E allora non dovevi decidere di venire qui a parlare, connard” pensò Inès, che dopo essersi alzata in piedi senza grazia, si cacciò il mignolo della mano deforme nell’orecchio e grattò via un orrendo prurito per il semplice gusto di poterlo fare di fronte a un simile signorino. Prese le monete, le fece sparire all’interno del farsetto e si ficcò poi in testa il cappellaccio. L’affare era chiuso.
«Vado a svuotarmi alle latrine, non mi piace chiudere un affare con la vescica piena. E il vino lo paghi tu; ti ho fatto risparmiare abbastanza da poterti pur permettere di tirar fuori altri due bagattini…»
Quando Inès si alzò, l’uomo scosse la testa in segno di profonda disapprovazione: era vestita da uomo, come sempre. Avvolta nel mantello nero del marito, la francese si allontanò. Il resto era un aderente farsetto maschile in lana nera, consumato all’altezza dei gomiti e chiuso da lacci di tessuto che lasciavano intravvedere la camicia di cotone, un tempo bianca. I calzoni di lana nera, lisi e sporchi, non lasciavano all’immaginazione nulla dei suoi fianchi e delle sue cosce. Dalla cima degli alti stivali, il patrizio aveva intravisto occhieggiare il manico di un coltello. Quelle vesti e quell’orribile accento ruvido le conferivano l’aspetto di un brigante, più che quello di una vedova timorata di Dio.
Cosa si deve fare per risparmiare qualche ducato, pensò l’uomo richiamando l’oste per pagare.
Attraversando la cupa sala per raggiungere le latrine, la donna rifletteva invece sul colpo di fortuna che le era capitato. Passeggiando per la Riva degli Schiavoni il giorno prima si era imbattuta in una nave male in arnese, un trabàccolo che batteva bandiera veneziana. Il capitano si stava lamentando che, essendo atteso per il giorno prima, il committente di quel viaggio non aveva più voluto la legna. Tutto per un solo giorno di ritardo, imprecava, esponendo vigorosamente le sue rimostranze alle più alte gerarchie celesti. L’uomo aveva spiegato che per giungere a Venezia si erano imbattuti in una tempesta, che erano sfuggiti alle cannonate dei pirati barbareschi e che soprattutto avevano dovuto combattere con una strana febbre che aveva messo in ginocchio tre quarti dell’equipaggio. Un viaggio maledetto dal demonio, concluso solo grazie all’intercessione di San Giorgio – il cui superiore diretto aveva peraltro chiamato in causa neppure due frasi prima. Ma si sa, la pazienza dei santi è proverbiale per quanto è solida, e soprattutto tra le banchine del porto mercantile di Venezia lo deve essere di sicuro parecchio.
Cosa doveva farsene di tutto quel legno tagliato dai boschi della Tessaglia? Come avrebbe pagato i marinai? E le famiglie dei due compagni persi in mare? Gli raccontò di essere scampato all’ira di Scilla e Cariddi e che voleva a tutti i costi liberarsi di quel carico maledetto. “Accidenti a me e alla mia testa dura. Quel veggente lo aveva detto!” ricordò di avergli sentito dire. Il capitano raccontò che sul quel monte greco gli abitanti non facevano legna per paura dell’ira di quel Dio tanto capriccioso quanto vendicativo e lei, che non era una donna di mare, fortunatamente non attribuiva alcuna valenza alle superstizioni marinaresche, e dai marinai aveva piuttosto imparato ad approfittare della stupidità altrui. Aveva azzardato un’offerta, un prezzo davvero ridicolo per tutto quel ben di Dio e quello sprovveduto aveva accettato convinto di essere vittima di un maleficio.
Acquistato il carico si trattava soltanto di trovare un acquirente. E chi meglio del nobiluomo Giustinian?
Quando rientrò nella sala, con la consapevolezza che da lì a poco avrebbe incassato il resto per quell’affare, qualcosa la inchiodò. Il nobiluomo stava prendendo la via dell’uscita in compagnia di una donna.
«Nom de Dieu, Giustinian! Dove diavolo vai!»
Quello che Inès Flandres si trovò davanti fu nientemeno inusuale. Il patrizio veneziano stava uscendo con quella che appariva come la sua gemella. Annerita dal sole come un impiccato alla forca, la francese spalancò gli occhi.
Vestita con l’identico accrocco nero di abiti maschili, la donna che affiancava il nobiluomo sorrise. Anche lei aveva stretto i capelli in una treccia mezza sfatta dalla quale pendevano alcune ciocche informi: ogni dettaglio era uguale. Quando la vide, la “francese” al fianco di Giustinian alzò subito un dito accusatore verso di lei.
«Eccoti qua, finalmente! È una settimana che vai in giro per Venezia a tirare fregature a nome mio.»
L’oste, intento a passeggiare zoppicando tra i tavoli, con una caraffa di vino schiumoso in mano, si piantò sulle gambe. Tutti i presenti si zittirono; ogni testa segnata dall’esperienza del mare e della terra si voltò verso le due donne. Anche i dadi smisero di rotolare, incerti del loro stesso esito. Un solo tavolo sembrò disinteressarsi alla questione, un tavolo dove a un’estremità sedeva un ragazzino magro e malvestito sui tredici anni con un cane accucciato tra i piedi.
«Cos’è questa storia?» domandò Giustinian con voce tremante, come se avesse visto un fantasma.
«Nulla, nulla, monsieur. È solo una scocciatrice che va in giro a spacciarsi per me.»
«Come osi. Sono io Inès Flandres!» berciò l’altra. «L’unica e legittima Inès Flandres! Credimi!»
In mezzo alle due Inès, il Giustinian parve davvero combattuto. La voce era uguale, i vestiti pure. Entrambe erano basse, di una bellezza sbattuta, sfiorita e scomposta. Le guardò ancora, attentamente: in entrambe le donne due neri sopraccigli facevano da cornice a occhi tristi, dal taglio mediterraneo, identici.
Il ragazzino, con una mano sotto al tavolo, intenta a grattare tra le orecchie il cane, sorrise. Proprio in quell’attimo, una voce cavernosa proveniente dalla sala suggerì la soluzione: «Tagliale la gola, Flandres! Quella che rimane è quella vera.» Subito, l’intera osteria proruppe in una risata e delle acclamazioni di giubilo, pregustando lo spettacolo e già fissando le prime quote per le scommesse. Una decina di persone si mostrò subito pronta a prestare il proprio pugnale alle contendenti. Non era solo il vino a far parlare quella legione di diavoli: per quanto a Venezia non fossero permesse né le armi né il gioco d’azzardo, gli avventori dell’Osteria delle Asce erano famosi per farsi beffe sia del primo precetto che del secondo.
Una delle due donne prese dallo stivale il coltello, costringendo anche l’altra ad armarsi.
«Sotto, bellezza! Vediamo cosa sai fare.» La Flandres che stava per uscire con il nobile iniziò a brandire il coltellaccio. Si sentirono fischi di ammirazione e la seconda non fece in tempo a mettersi in posizione che la lama dell’altra si infilò nella carne con un sibilo e un’imprecazione trattenuta. La lotta si fece subito vivace, al coltello seguirono anche calci e pugni. Le lame si bagnarono presto del sangue di entrambe le duellanti finché, come spesso accadeva nelle lotte di taverna, la situazione degenerò. Ambedue le francesi stringevano il coltello con la mano sinistra, ed entrambe avevano la destra deforme, come se fosse stata masticata da Lucifero in persona. Giustinian, imprecando con mirabile facondia contro la sua avarizia, si era rifugiato sotto un tavolo non appena la gente aveva iniziato a scommettere, e dal tavolo fradicio di molti e diversi umori seguiva le due donne con lo sguardo, turandosi il naso e proteggendosi il volto. Chi aveva scommesso sulla prima sosteneva che fosse la seconda a soccombere, e viceversa, finché in breve il parapiglia fu generale.
«Quella che ha ficcato il dito nell’occhio è la mia!»
«Ma che casso dici! La tua è quella che ha sputato sangue!»
Scoppiò presto un pandemonio. Partirono offese, pugni, morsi e calci. Bastò il primo spintone e uscirono altre lame e quasi tutte si bagnarono di sangue. Come delle furie le due donne si scambiavano fendenti e pugni, finché una, schivando un colpo, assestò una testata sul naso dell’altra. Il rumore fu quello, ben noto a tutti i presenti, di ossa e denti rotti. Portandosi le mani al naso, la donna che aveva incassato il colpo perse l’arma e crollò. L’altra, brandendo ancora la lama, le si mise a cavalcioni. Voleva tagliarle la gola, era chiaro.
Giustinian pensò che non aveva mai visto tanta violenza nella sua vita – da due donne, poi! Proprio quando, spiando tra la fessura delle dita tremanti, era sul punto di assistere al suo primo omicidio, un bestione, che stava facendo valere le sue ragioni nel parapiglia generale, franò sulle due Inès. Fu provvidenziale perché anche l’altra perse l’arma e quella che stava soccombendo ne approfittò per morderle il collo. Il nobiluomo non riuscì a trattenersi, sentì l’urina calda bagnare la pelle e la preziosa stoffa delle sue vesti e mentre stava per vomitare, davanti ai suoi piedi rotolarono tre dita mozzate, che ancora si contraevano spasmodicamente come vermi tozzi e carnosi. L’aria sotto al tavolo era irrespirabile, e la bocca del patrizio sapeva di sangue e ferro. Singhiozzando, cercò di reprimere l’impulso di rimettere.
L’oste uscì di corsa, nella speranza di intercettare una ronda. Quando arrivò la giustizia di San Marco, nella persona di quattro armigeri e un ufficiale paonazzo, ci volle un colpo di pistola sparato in aria per riportare l’ordine. Al rumore e all’odore acre della polvere nera seguì una fuga generale, cui i birri non cercarono neppure di opporsi. Accasciata al suolo come una bambola di pezza, Inès Flandres si teneva il fianco. Gustinian uscì da sotto al tavolo e cercò tra i corpi martoriati e tra i morti l’altra donna. Rivoleva i suoi soldi. Chiese all’oste, ma questo giurò che la sua sosia era scomparsa in una nube di fumo dolciastro.
«Hai visto, Giustinian? La vera Inès sono io…» bofonchiò quella con gli occhi pesti e vittoriosi, mentre sputava sangue e veniva trascinata via dai due soldati. Lui si accucciò nuovamente sotto il tavolaccio, cercando di non farsi notare per non dover dare umilianti spiegazioni ed erogare generose mance per assicurarsi la discrezione dei birri, notoriamente esosi. Ma quelli, purtroppo per lui, erano in cerca di testimoni, e lui spiccava fin troppo tra i pochi ancora presenti e tra i pochissimi ancora in grado di parlare.
Quando il nobiluomo si alzò, interpellato dall’ufficiale, aveva il colore di un cencio. Che figuraccia: avrebbe dovuto rendere conto ai suoi pari del perché si trovava in quello scantinato puzzolente nel bel mezzo di una rissa tra diavolacci. Alle spalle degli armigeri, l’oste si leccò le labbra, dato che quella situazione aveva lasciato anche sulla sua lingua un gusto ferroso. Notò che il bambino e il cane erano ancora seduti al tavolo, impassibili, come se niente fosse. Si avvicinò, scansando quello che restava di sedie, tavoli e bicchieri, e sorpassando un corpo morto che sgorgava placidamente sangue dalla gola sull’assito come una placida fonte alpina sgorga da un ghiacciaio in primavera.
Il bambino allora sorrise. Solo in quel momento l’oste si accorse che era cieco.
Ripristinato l’ordine, con il tanfo di stalla che ormai era tutt’uno con l’odore di morte, l’ufficiale diede ordine ai birri di portare fuori Inès. Questa si dimenava come poteva, ma la stretta della legge le sembrava sapere di condanna certa. L’oste, ancora interdetto, guardò il bambino accarezzare il cane e l’animale ruggì prepotente, manco fosse il leone di San Marco.
“Che colpo di fortuna!” pensò Inès che approfittando della sorpresa dei birri si divincolò, pestando il piede di uno dei due e mordendo il braccio dell’altro. La porta era aperta e la francese la inforcò come se a seguirla ci fosse una compagnia di lanzichenecchi pronti a spedirla all’Inferno. Conosceva Venezia e quando l’ufficiale uscì dall’osteria, la minuta francese aveva fatto perdere le sue tracce. Impossibile inseguirla nell’intricato reticolo di budelli stretti che disegnava la mappa della città. L’oste tornò con lo sguardo sul bambino, di lui e del cane non vi era più traccia, solo un odore dolciastro che stonava con la puzza dell’ambiente. Si grattò il capo e poi pensò che l’unica cosa di cui gli importasse davvero fossero i suoi animali. Ne avrebbero avuto di cibo con tutto quel sangue e quei corpi.
Quando Inès si fermò all’interno del sotopòrtego de la Malvasia Vechia a San Fantin, sicura di aver messo abbastanza strada tra lei e i suoi probabili inseguitori, aveva più dolori che anni di vita. Sentì un altro respiro e si accorse che non era sola. Lì, con lei, c’era il bambino con il cane che aveva visto entrando nell’osteria. Come un pesce in secca, aprì e chiuse la bocca, con la mano storpia si teneva ancora il fianco.
«So a cosa state pensando» esordì quello con una voce bassa, simile a quella di un santone.
La francese respirava affannosamente, aveva un occhio chiuso e la bocca impastata di sangue. Con la stessa voce salmodiante, ma un tono più basso, il bambino aggiunse solo: «Credevate di aver fatto un buon affare. Quella a cui avete assistito è l’ira del dio Ermete. Si è infuriato perché i boscaioli veneziani sono andati a tagliare legna sul monte Cillene, in Grecia, dov’è nato. Ermete ha giurato eterna inimicizia a Venezia… Ah, se quella nave fosse affondata…» lasciò cadere la frase, facendo spallucce e regalando una nuova carezza alla bestia che lo accompagnava. «Il dio Ermete possiede un ruolo infame Inès, aiuta i morti a trovare la via per il mondo sotterraneo dell’aldilà.» Fece una pausa. «Ed è uno dei pochi che ha il permesso di frequentare gli inferi… Forse, è dal diavolo in persona che ha preso questo vizio di vendicarsi. Ora fate quello che vi dico: andate nella Basilica di San Marco e chiedete all’evangelista di intercedere per voi. Ermete per adesso è sazio e da quello che ho sentito, ha procurato un buon numero di anime al Signore degli Inferi.»
«Ma… ma cosa dite?» balbettò lei, che aveva ad un tratto perso tutta la sua spocchia e parlava con il bambino con lo stesso rispetto dovuto al Doge.
«Fidatevi di me, è tanto che aspettavo il momento in cui “Lui” si prendesse un nuovo diavolo per poter tornare finalmente a vedere! Non è toccato a voi, solo perché Giustinian vi aveva già pagato» fece una pausa, accarezzando nuovamente il cane «Ermete ha punito l’avarizia di Giustinian, risparmiando voi e la vostra avidità. Adesso andate, alla fine lo avete fatto un buon affare!»
Qualche calle più in là, all'osteria, un uomo si toccò d'un tratto gli occhi in preda al terrore. Giustinian aveva ricevuto quanto meritava.

di Marco De Luca
Ultima modifica di Mosaico il domenica 15 marzo 2020, 12:58, modificato 1 volta in totale.



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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#2 » sabato 14 marzo 2020, 15:50

Provo a giocarmi tutti i bonus.
• Ambientazione sporca;
• Almeno una scena di violenza esplosiva;
• Presenza di una creatura proveniente dal bestiario medievale (Scilla e Cariddi erano due mostri marini che vivevano nello stretto di Messina – Mitologia Greca).

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#3 » martedì 17 marzo 2020, 8:30

Buongiorno.
Parto con ordine:
-Scilla e Cariddi sono presenti nel bestiario di Cambridge che divide tutti i mostri marini per categorie, non essendo appassionato di “mostri” ma masticandone un po’ di mitologia, sono andato a scovare questi due mostri marini che potevano in qualche modo infestare la rotta del mercantile;
- la seconda Inès è opera diretta del dio Ermete in persona (io non amo il soprannaturale, purtroppo);
- pensieri: hai ragione, forse con l’uso della punteggiatura potevo dare maggior chiarezza al pensiero;
- all’inizio la sequenza dedicata alla nave era solo un accenno, dopo ho ritenuto opportuno ingrassarla, credendo che nel racconto del marinaio dovesse essere citato un qualche veggente che l'ha messo in guardia in Grecia, in modo da avere un legame con la storia del legno.

Grazie mille per le indicazioni, sono certo anch’io che seguendole il racconto potrebbe solo guadagnarci.

Marco

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Pretorian
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Re: Un buon affare

Messaggio#4 » martedì 17 marzo 2020, 22:40

Benvenuto, Marco e piacere di leggerti.
Dunque, il tuo racconto presenta spunti interessanti, ma è gravato da alcuni problemi abbastanza pesanti. Non ti preoccupare: posso assicurarti che sono tipici di una scrittura in via di maturazione e che necessita del giusto confronto, quindi sei nel posto giusto per risolverli in tempi rapidi.
Prima di tutto, gli infodump. Ne ho contato almeno quattro o cinque nel corso del racconti: muri descrittivi di testo lunghi dalle quattro alle cinque righe, che gettano addosso al lettore grandi quantità di informazioni (come Inès ha preso la barca, come è vestita, la descrizione della taverna ecc...) arrestando di botto lo svolgersi della storia. Fornire informazioni sui personaggi, sugli ambienti e sui retroscena è importante, ma è altrettanto importante imparare a farlo in modo che queste informazioni emergano con naturalezza e risultino "diluite" nello scorrere del testo. Ad esempio, puoi impiegare quattro o cinque righe di testo per descrivere l'abbigliamento di Inès, oppure lasciare che i dettagli della sue persona emergano naturalmente nel corso della vicenda (esempio, mentre parla potrebbe aggiustarsi i capelli e ne approfitti per accennare al fatto che sono scuri, poi si pulisce la bocca con la camicia e accenni al fatto che è consumata e macchiata e così via).
Altro punto importante è quello del punto di vista: nel corso del testo passi dal narratore onnisciente al seguire il POV di un singolo personaggio (ad esempio, Inès che ricorda o l'oste che pensa a nutrire i suoi animali) e la cosa genera confusione. Meglio seguire un POV unico, sforzandosi di selezionare le informazioni giuste da fornire e il modo in cui devono emergere, per non rischiare di fornire dati che non potrebbero emergere. Ricorda: show don't tell.
Da ultimo, il finale è confuso. Perché la vendetta di Ermete si abbatte su Giustinian? Non è il responsabile per l'abbattimento degli alberi sacri al dio.
Ah, dimenticavo: da ricordi di filosofia delle Superiori mi sembra di ricordare che Ermete Trismegisto fosse un personaggio mitico a cui si attribuivano scritti filosofico-alchemici-mistici, non una vera e propria divinità. Ricordo male?

Alla prossima

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#5 » martedì 17 marzo 2020, 23:47

Ciao Pretorian, parto dicendo che hai ragione: questo è sicuramente il posto giusto dove affinare la scrittura e dove farla maturare, il confronto costruttivo è la palestra migliore.
Parto con ordine: infodump.
Hai ragione, ho scritto “troppo”, togliendo a chi legge il piacere di scovare le giuste descrizioni attraverso il “non scritto”.
Su come Inès ha preso il legname credo di essere stato quasi costretto a dedicare qualche riga in più. Ritenevo necessario collegare il legno al racconto. Ovvio, potevo e dovevo farlo meglio.
Rileggendo il racconto mi sono accorto che sono stato più informativo che connotativo.
POV: solitamente quando passo da un punto di vista a un altro mi aiuto con la formattazione, cosa che nel testo del racconto non ho fatto. Magari separando i paragrafi, i punti di vista sarebbero stati meno confusionari.
Onestamente credo che giocare con i punti di vista premi molto di più che focalizzarsi su un unico punto, è anche vero che per farlo bisogna fare molta pratica.
Dio Ermete: il dio che compare nel racconto è Ermes, il messaggero degli dei.
Ti incollo un link di wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Ermes
Finale. La vendetta del Dio si abbatte sull’ultimo che ha acquistato il legno.
Inès lo compra dal mercante e lo vende poi a Giustinian. Il Dio ha punito prima il mercante che si libera della maledizione vendendolo a Inès finché non decide di punire l’avarizia del nobile (lo compra da Inès per risparmiare) e lo punisce quando realizza che, dopo tutto il marasma, il nobiluomo cerca Inès per riavere i suoi soldi (ecco l’avidità che riemerge).
Ovviamente, se non si è capito, concordo con te che è risultato confuso.
Intanto ti ringrazio per le tue considerazioni, che terrò a mente provando a riscrivere il testo.
Proverò a usare un solo POV, evitando le spiegazioni come “scorciatoia” narrativa.

Marco

Kiljedayn
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Re: Un buon affare

Messaggio#6 » mercoledì 18 marzo 2020, 11:41

Ciao Marco!
Il tuo racconto, sebbene poggi su una mitologia che conosco poco, mi è piaciuto, e l'ho trovato sostanzialmente riuscito. Avevo qualche dubbio verso la fine della vicenda, ma la scena finale del nobile che perde la vista ha chiarito il tutto. Se posso permettermi, ti consiglierei (come hanno già fatto altri) di dosare meglio i retroscena e le spiegazioni, inoltre di modifcare leggermente la punteggiatura, per dare al testo maggiore respiro. Anche la questione del POV andrebbe sistemata, perché in alcune scene risulta un po' caotica, a scapito dello scorrere del testo (anche se non in maniera grave, richiede solo un secondo passaggio di lettura).
Per quanto riguarda i "pro" del racconto: l'ambientazione veneziana è ben curata e piacevole, nel suo essere sguaiata e "piratesca"; il colpo di scena del doppio di Ines è gestito bene e coglie di sprovvista e l'utilizzo dell'immaginario fantastico greco classico è sicuramente particolare in questo tipo di ambientazione.
Sui bonus posso dire che sono presenti tutti e tre, senza alcun problema.
Buona fortuna!

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#7 » mercoledì 18 marzo 2020, 14:48

Ciao Kiljedayn, grazie mille per la tua opinione.
Farò tesoro di queste indicazioni.

Marco

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Andrea Lauro
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Re: Un buon affare

Messaggio#8 » domenica 22 marzo 2020, 8:49

Ciao Marco, cominciamo dai bonus, che ci son tutti.
L’ambiente sporco in particolare è ben descritto, e la chicca dello spezzatino migliore di Venezia è deliziosa.
La Venezia del tuo racconto è molto ben ricostruita, con particolari curati che non risultano mai noiosi o posticci. Per quanto riguarda il bonus “esplosivo”, mi è piaciuto come degenera la situazione nella locanda: chi ha scommesso su una delle due donne non sa più chi sia quella giusta e parte la rissa con ingiurie e accoltellate. Ben delineato, bravo.

Secondo me la pecca in questo racconto è la gestione del punto di vista: durante la lettura mi sono spesso trovato in difficoltà nel saltare repentinamente da un personaggio all’altro. L’effetto in me generato è di straniamento, non riesco “ad affezionarmi” a un protagonista in particolare. Vedo che anche Agostino ha evidenziato lo stesso concetto: in un clima di miglioramento reciproco, ti segnalo un po’ di parti così ci puoi lavorare.

la prima volta in cui perdiamo il POV di Inès è: “Dalla cima degli alti stivali, il patrizio aveva intravisto occhieggiare il manico di un coltello.” e poi “Cosa si deve fare per risparmiare qualche ducato, pensò l’uomo richiamando l’oste per pagare.” questa parte potrebbe essere tolta o rimanipolata: Inés potrebbe cercare di nascondere il coltello mentre si alza per non farlo vedere. rimarresti su quel POV.

il passaggio seguente è più articolato:
    Giustinian pensò che non aveva mai visto tanta violenza nella sua vita – da due donne, poi! [...] Il nobiluomo non riuscì a trattenersi, sentì l’urina calda bagnare la pelle e la preziosa stoffa delle sue vesti e mentre stava per vomitare, davanti ai suoi piedi rotolarono tre dita mozzate, che ancora si contraevano spasmodicamente come vermi tozzi e carnosi. L’aria sotto al tavolo era irrespirabile, e la bocca del patrizio sapeva di sangue e ferro. Singhiozzando, cercò di reprimere l’impulso di rimettere.
non è necessario toglierlo o cambiarlo. come scrivevi tu, aiutati con la formattazione: crea un nuovo paragrafo, basta un a-capo in più per far capire al lettore che la telecamera si è spostata su un altro soggetto.

è anche corretto, nell’economia del racconto, far vedere il POV di Giustinian alternato a Inés: il finale punta tutto su di lui. Segherei invece quello dell’oste, che è un personaggio in più e quindi crea confusione.

La frase “Il ragazzino, con una mano sotto al tavolo, intenta a grattare tra le orecchie il cane, sorrise.” è da narratore onnisciente. Suggerirei di girarla in modo che Ines “lo vide sorridere”.

ALTRO:
Non ho capito “Annerita dal sole come un impiccato alla forca, la francese spalancò gli occhi.”: perché “annerita”?
correggi: “Gustinian uscì da sotto”
sorpassando un corpo morto che sgorgava placidamente sangue dalla gola sull’assito come una placida fonte alpina sgorga da un ghiacciaio in primavera.” frase evocativa ma lunga, il lettore incespica: toglierei “placidamente” e “sull’assito”

grazie Marco per la lettura, spero d’aver dato validi suggerimenti e non essere risultato noioso e invadente.
a presto!
andrea

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#9 » domenica 22 marzo 2020, 11:29

Ciao Andrea, e grazie per il tempo che hai dedicato al mio racconto.

Effettivamente mi sono reso conto che ho peccato nella gestione del POV: punti di vista diversi hanno diversi vantaggi e svantaggi, diciamo che la scelta di cambiare spesso il POV non mi ha premiato come credevo.

Lavorerò su tutte le segnalazioni che ho ricevuto e riceverò, in fase di riscrittura, magari giocando con la formattazione, cercherò di rendere più fluidi alcuni passaggi utilizzando il giusto punto di vista.

Ho usato “annerita” per evocare al lettore la sensazione di sporco che Inès genera nel nobilumo però, rileggendo, credo che di questa similitudine si potesse fare a meno.

Grazie per i validissimi suggerimenti.

Dimenticavo: sono contento che la Venezia descritta ti sia piaciuta.
MARCO

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Luca Nesler
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Re: Un buon affare

Messaggio#10 » martedì 24 marzo 2020, 0:18

Ciao Marco, piacere e benvenuto! Trovo straordinario che La Sfida si stia popolando tanto!
Parti da un'idea interessante, anche se un po' strana. Interessante l'incursione del divino nelle faccende umane, l'idea della vendetta per gli alberi tagliati e del fatto che Ermete non si curi dei reali colpevoli, ma si sfoghi su chi ha la proprietà, è bella. Lo trovo in linea con i capricci delle divinità greche. Strana perché fai convivere dei greci e diavoli cristiani, ma ci può stare.
Quello che non capisco (ma forse mi è sfuggito) è perché l'ira di Ermete colpisca solo in quel momento e non prima. Addirittura Inès riesce a incassare il denaro e salvarsi "in tempo". Questa dimensione temporale della vendetta me la rende un po' difficile da digerire.
Mi è piaciuta molto la locanda malfamata coi suoi avventori che scommettono sulle coltellate degli avventori. Quando compare il doppio di Inès è un bel momento in cui il lettore si chiede che cosa stia succedendo. Sicuramente inaspettato. La soluzione non mi è dispiaciuta, eccezion fatta per quanto già detto.
Trovo la tua scrittura un po' barocca e troppo raccontata. Una frase come "Le lame si bagnarono presto del sangue di entrambe le duellanti finché, come spesso accadeva nelle lotte di taverna, la situazione degenerò." può sembrare mostrata, ma in realtà è del tutto raccontata e allontana dalla scena.
Anche il narratore è un po' incerto e abbondi di avverbi e termini inusuali che rallentano la lettura. Ti faccio un esempio:
"A occupare la sala vi erano in effetti una ventina di uomini, ai suoi occhi probabilmente più simili a bestie che a esseri umani. Ogni volto lì dentro raccontava di vizi sfrenati, e molto probabilmente non valeva il prezzo della corda utile per impiccarne il proprietario." (Questa ultima parte, per quanto aggiunga colore, è complicata da seguire)
Qui descrivi le percezioni di Giustinian, ma eri partito da Inès.

Non ci conosciamo perciò preciso che io scelgo di non essere gentile nei commenti, perché non aiutano nessuno, ma so che le critiche danno anche fastidio alla nostra parte emotiva. Spero però di poterti essere utile (oltre, naturalmente, a che tu sia utile a me!)
Sono contento che tu sia approdato su MC e spero di leggere presto un altro tuo racconto!

Bonus presenti tutti e tre!
Alla prossima!

costellazione di bacco
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Re: Un buon affare

Messaggio#11 » martedì 24 marzo 2020, 0:46

Ciao Marco, piacere di leggerti,
Parto dal presupposto che MC è una palestra di scrittura è che le critiche su questo blog sono solo costruttive e aiutano a migliorare il proprio stile. Il tuo è uno dei racconti che mi ha entusiasmata di meno e ti spiego le motivazioni:
1. sono presenti troppe spiegazioni e descrizioni (te lo dice una che sta imparando a spiegare e descrivere di meno) e queste appesantiscono il testo
2. La trama è caotica spesso mi sono ritrova a dover rileggere le parti precedenti per poter comprendere bene. Credo che molto sia dovuto al punto di vista che, nel tuo racconto, passa da Ines al patrizio all'osterie etc etc e crea una grande confusione in chi legge
3. Il bambino è il diavolo di Sant'Ermete?

Un tuo punto a favore è la certosina descrizione di Venezia, mi è sembrato di essere nuovamente in quella città a girare e rigirare nelle Calle.

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#12 » martedì 24 marzo 2020, 3:46

Ciao Luca, piacere mio.
Rispondo anche in questo caso seguendo un ordine.
Ho fatto convivere una divinità dei greci con i diavoli cristiani perché Ermete mitologicamente era l’accompagnatore dello spirito dei morti e quindi uno dei pochi ad avere il permesso di frequentare gli inferi.

Che Ermete colpisca solo in quel momento e non prima è errato. Ermete colpisce la nave del mercante, colpisce Inès inviando il suo doppio e poi colpisce il nobiluomo quando si rende conto che in tutto il marasma cerca di recuperare l’acconto versato. Diciamo che forse ho spiegato male il tutto, ma il collegamento era stato inserito.

Sul trovare la mia scrittura un po' barocca posso dirti che “purtroppo” è il mio modo di scrivere, scrivo soprattutto storici e credo che non uniformarsi “scolasticamente” distingue gli uni dagli altri (poi ovvio, discutibile se piaccia oppure no, se è gradevole oppure no). Ogni storia ha il suo modo di essere raccontata, e ogni scrittore ha il suo modo di raccontare: io sto cercando il mio.

Sul narratore concordo, hai ragione.
Farò tesoro delle tue indicazioni.
Alla prossima!

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#13 » martedì 24 marzo 2020, 3:48

Costellazione di bacco grazie per il tuo intervento, come detto qualche commento più in alto farò tesoro delle critiche e delle indicazioni.
Il bambino non è Ermete, è una delle vittime del Dio.

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Davide Di Tullio
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Re: Un buon affare

Messaggio#14 » martedì 24 marzo 2020, 11:32

Ciao Marco

ho letto il tuo racconto. Dico subito che mi é piaciuta l´ambientazione. Ho trovato realistiche le descrizioni dei personaggi, dei luoghi e dei dialoghi. Anche le scene di lotta mi sono piaciute. L´elemento su cui rilevo criticitá é, a mio parere, il registro stilistico. Hai scelto di utilizzare il narratore onniscente. Non é ovviamente un errore, tuttavia in alcuni casi puó rallentare ed appesantire la lettura. Alcune digressioni segnalano la presenza dell´autore, ricordando al lettore che in fondo si tratta tutta di una finzione; ovviamente lo sappiamo tutti che un racconto é una finzione, ma ci sono elementi sintattici che garantiscono una maggiore o minore immersione nella lettura. la voce narrante si sente troppo spesso, creando distacco dalla vicenda ed impendendo al lettore di "emozionarsi" o empatizzare con gli eventi in cui i personaggi sono coinvolti. Per esempio:

Inès Flandres stava discutendo animatamente con un uomo fin troppo ben vestito per un postaccio del genere


é chiaro il giudizio dell´autore qui. é come se leggendo di tanto in tanto sentissi suonare una campana che mi avvisasse che questa é tutta una messa in scena. Ribadisco che non si tratta di un errore, ma sicuramente non dá appeal alla lettura.

Ci sono molte parti narrate (sempre con la logica del narratore onniscente), e a volte dialoghi indiretti. A mio avviso alcune di quelle parti avresti potuto trasporle in dialoghi diretti, fornendo le informazioni che volevi dare senza appesantire la lettura.

Direi che sono questi gli aspetti che mi hanno colpito di piú.

Per quanto riguarda i bonus, direi che ne hai presi due su tre. Scilla e Cariddi rientrebbero nella mitologia greca, come hai ben scritto, dunque io non li considererei da bestiario medievale

spero di rileggerti presto!

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#15 » martedì 24 marzo 2020, 12:46

Ciao Davide, giuste osservazioni.
Magari usando di più i dialoghi si può tagliare quelle parti descrittive che effettivamente appesantiscono la lettura.
Purtroppo il mio modo di scrivere è viziato dalle letture che faccio, ad esempio se prendiamo un libro come Il Conte di Montescristo, oppure I tre Moschettieri, e tanti altri romanzi di appendice, dentro si trova un modo di scrivere "arcaico", molto descrittivo, verboso... a tratti anche di difficile lettura.
Ho notato inoltre che noi "scribacchini" consideriamo spesso difetti quelle peculiarità che un lettore a volte non nota, e lo facciamo perchè conosciamo il mestiere.
Sappiamo che abbondare di aggettivi non va bene, eppure ci sono alcuni lettori che trovano nell'abbondanza un qualcosa di quasi "poetico".

Come dici però giustamente tu, io nel racconto sono caduto nella trappola della descrizione con gli occhi del narratore, quando invece avrei dovuto mettere in condizione di lettore di descrivere nella sua mente quello che ho scritto.
Mi sono sostituito al lettore.
In fase di riscrittura del racconto cercherò di tenere presente queste criticità che, come dicevo, solo chi consce il mestiere può evidenziare.

Riguardo al bonus non sono d'accordo, i due mostri marini che ho utilizzato sono inseriti nel bestiario di Cambridge, uno dei bestiari medioevali più completi, che risale al XII secolo, scritto in latino e conservato alla Cambridge University Library.
Se non è medioevale quel bestiario?

Grazie ancora per le tue osservazioni, spero di leggerti presto!
Marco

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Davide Di Tullio
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Re: Un buon affare

Messaggio#16 » martedì 24 marzo 2020, 13:23

Davide Di Tullio ha scritto:Riguardo al bonus non sono d'accordo, i due mostri marini che ho utilizzato sono inseriti nel bestiario di Cambridge, uno dei bestiari medioevali più completi, che risale al XII secolo, scritto in latino e conservato alla Cambridge University Library.
Se non è medioevale quel bestiario?


Ciao Marco, alzo le mani e mi arrendo :-D. Ero rimasto al mio retaggio di studi classici di liceo. Mi fido della tua fonte. allora per me i bonus sono 3 su 3

a rileggerci!

dreamscapers___
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Re: Un buon affare

Messaggio#17 » mercoledì 25 marzo 2020, 1:03

Ciao Marco,
Peculiare l'elemento mitologico del racconto. Pur avendo capito che il ragazzino aveva qualcosa a che fare con quel gran casino, inizialmente mi aspettavo che fosse un emissario di San Marco o San Marco stesso trasfigurato (in un punto del testo mi sembra che faccia un'allusione in tal senso) quindi la tua soluzione, peraltro suggerita, ben seminata nel testo, mi ha sorpreso. Il racconto inoltre è ben scritto, scorre che è una meraviglia e ha un epilogo semplice, chiaro, ma non per questo privo d'effetto. Sui bonus, mi sembra che siano tutti presenti e ben amalgamati. Bravo

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Mosaico
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Re: Un buon affare

Messaggio#18 » mercoledì 25 marzo 2020, 8:54

Grazie dreamscapers___,
sono contento che il racconto ti sia piaciuto.

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