Pollicina
Inviato: domenica 15 marzo 2020, 23:07
Thumby fece scivolare il dorso della mano sulla fronte per tergersi il sudore. Si pulì gli occhi strofinandovi le nocche e strinse la stoffa attorno alla zampa del massiccio coleottero. «Toad sei un gran bastardo...» sussurrò tra sé mentre la bestia, zampe all'aria, scalciava con le cinque ancora buone. «La cavalcatura migliore di tutto il deserto!» Disse a voce alta, imitando il tono stridulo e l'accento orientale del Jitzi a cui lo aveva rubato. Rabbrividì un istante pensando a quella pelle squamosa e si strinse nelle spalle. Le dita della destra scivolarono sulle tre lunghe cicatrici che le circondavano il braccio sinistro e la mente volò ad alcuni anni prima e alla prima volta che il Jitzi l'aveva presa. «Maledetto rospo.»
Poggiò entrambe le mani sul fianco rosso acceso dell'insetto e lo aiutò a rimettersi in piedi. Gli sfiorò il dorso con dolcezza. «Invece non sei buono nemmeno come tintura per tessuti.»
Raccolse la sacca da terra, la scosse per liberarla dalla sabbia e la issò sopra alla coccinella, lo stesso fece con le due bisacce. Raccolse i capelli color oro in una coda bassa e afferrò i finimenti. «Andiamo bestiaccia» gli disse con tono scherzoso, «cerca di arrivare in città.»
Una folata di vento la costrinse a chiudere gli occhi, si scostò da un lato per non farseli ferire dalla sabbia. Attese qualche istante per volgere lo sguardo a sud: di Los Angeles riusciva a scorgere solo un'alta colonna di fumo grigio perpendicolare alla linea d'orizzonte in un mare giallo e marrone.
«Almeno non si vede quel maledetto Jitzi, è già qualcosa.»
Si voltò indietro e strinse gli occhi. Sabbia e cielo dello stesso colore, distinti da escrescenze rocciose, sparse come pustole. «Dovremmo aver messo un bel po' di chilometri tra noi e quell’anfibio e sta per fare buio. Possiamo prenderci una pausa.» Diede una pacca alla cavalcatura. «Dai, arriviamo a quelle rocce laggiù e ci fermiamo per la notte.»
Le loro ombre si andavano allungando sulla distesa ormai scura. Le rocce a pochi minuti di marcia. «C'è odore di fuoco.» Tastò l'interno di una delle bisacce e ne estrasse una piccola balestra senza calcio.
La caricò e la fissò al supporto della polsiera di cuoio. L'anello dello scatto ben stretto sotto l'anulare.
Deglutì.
«E va bene, andiamo.»
Mano a mano che procedeva distinse lo scoppiettio della fiamma e un paio di grasse risate. Quando raggiunse le rocce aveva già ben chiaro in mente chi doveva aver avuto la sua stessa idea. Almeno tre uomini a giudicare dalle voci e un paio di carri trainati da artropodi dalle impronte sulla sabbia.
Lasciò la coccinella una trentina di metri prima e piantò le redini a terra con un picchetto. Estrasse il pugnale dalla cintura e si spostò verso l’accampamento.
La prima cosa che vide furono i due grossi ragni corazzati. Le mascelle ben serrate da museruole e le zampe legate l'un l'atra da un metro di corda.
Gli uomini erano solo due, ma erano parecchio rumorosi. Entrambi seduti accanto al fuoco, mangiavano avidi dalle gavette, una poltiglia grumosa.
Uno, il più giovane, era appoggiato a una cassa. Il volto coperto da un copricapo di pelliccia e la corporatura esile lo facevano somigliare a un grosso roditore.
L'altro, faccia simile, doveva avere il doppio degli anni del suo compagno oltre che essere due volte più grosso. Prese una manciata di piccoli lombrichi dalla gavetta e se li fece cadere in bocca. Il viso puntato verso il cielo.
«Ne avete anche per me? Posso pagare.» Thumby nascose entrambe le mani dietro alla schiena, prima di mostrarsi ai due viaggiatori. Mosse un paio di passi verso di loro ma si fermò a quella che riteneva una distanza di sicurezza. «Allora?» Incalzò, quando non ricevette risposta.
Il più giovane le fece cenno con la mano, senza smettere di masticare. «Vieni avanti, sorella. Che accidente fai in giro da sola?»
«Quello che fate voi, vado a Los Angeles.»
Infilò il pugnale sotto la cintura, ma non scaricò la balestra. Li raggiunse e si sedette sopra una sporgenza rocciosa.
«Sono lombrichi di prima scelta questi, ragazzina.» Disse l'uomo più grosso, poi fischiò tra i denti, per recuperare un pezzetto di carne che vi si era incastrato. «Quanto puoi offrire?»
Lei si alzò in piedi, un passetto per non perdere l'equilibrio e con la mano libera sollevò la maglietta logora fin sotto al collo. Si mosse appena, facendo sussultare i seni sodi. «Per una porzione te lo posso succhiare.» Sorrise e si leccò le labbra carnose.
Il ragazzo tossicchiò e si mosse verso di lei. «Per una porzione devi succhiarlo a tutti e due.»
«Va bene.» Acconsentì Thumby e lo lasciò avvicinare con un cenno del capo. Lui le afferrò un seno. Per un momento sembrò quasi soppesarlo. «Non scambio nulla, senza essere sicuro che non mi stai fregando.» Lo chiuse tra le dita nodose e lo strinse. L'altra mano si insinuò sotto alla cintura.
«Ehi, ho detto che ve lo avrei succhiato, per il resto dobbiamo accordarci.»
Il ragazzo dall'aspetto da roditore non le rispose, spinse la mano sotto ai calzoni di tela, fino a sfiorarle i peli del pube.
La punta del dardo poggiata alla gola lo bloccò un secondo più tardi.
Lei gli leccò le labbra. «Non ho detto di no.» Sussurrò. «Ho detto che dobbiamo accordarci.» Divaricò un po' le gambe per permettere al ragazzo di raggiungere la propria intimità. «Un figlio di puttana Jitzi mi da la caccia.» La voce divenne un sussurro caldo. «Ed ha un sacco di amici. Voi mi scortate fino a Los Angeles e mi date un po' di soldi, giusto per rimanerci qualche giorno. Io in cambio vi faccio godere per tutta la notte.»
«E come pensi di entrare in città? Non mi sembra tu abbia soldi sufficienti per il pedaggio.»
La ragazza spostò la balestra e si abbassò sulle ginocchia muovendosi sulle dita di lui. «Questo, se permetti: non é affar tuo. Abbiamo un accordo?»
Il secondo uomo si sfilò la cintura e lasciò scivolare per terra i calzoni color sabbia. «Si, si, abbiamo un accordo. Ora datti da fare.»
Come Thumby ebbe scaricato e poggiato a terra la piccola balestra la afferrò per i capelli e la strattonò, costringendola carponi. Le schiacciò il viso sulla propria erezione e prese a muoversi con forza, un cenno al ragazzo che la arpionò ai fianchi, i calzoni già abbassati. «Poi facciamo cambio.»
L’alba spruzzò di viola il cielo carico di fumo sopra Los Angeles, le torri più alte ormai visibili, sembravano strapparlo. Thumby aveva atteso sveglia le prime luci. Raggiunse in silenzio gli artropodi, si voltò verso i due uomini addormentati. La sella di uno dei ragni era ingombra di sacchi e bisacce. Sollevò il telo che li ricopriva. Una fenice era chiusa in una gabbia troppo piccola per permetterle di muoversi. «Meravigliosa.» Sussurrò. «Sei troppo bella per essere prigioniera.»
Sguainò il coltello e liberò le zampe dell’altro ragno, poi lo colpì con forza sull’addome. La bestia avrebbe gridato se non avesse avuto le fauci serrate, con un poderoso balzo si portò a decine di metri di distanza, lasciando dietro di sé un arabesco verdastro.
L’uomo corpulento emise un rumore simile a un rantolio che la fece sobbalzare. Thumby si portò la destra al petto e si concesse un profondo sospiro quando vide che stava ancora dormendo.
Aprì la gabbia liberando la fenice e saltò in groppa all’aracnide. L’uccello dispiegò le ali color fuoco, la osservò a mezz’aria per un istante prima di sparire all’orizzonte. «Vattene via, tu che puoi.»
Afferrò le redini e mosse la bestia in direzione della città.
Il fiato spezzato e il mondo si fece nero per un istante, quello successivo rotolava nella sabbia con una corda stretta attorno al collo.
«Ci stai rubando i ragni, maledetta puttana?» L’uomo più grosso la colpì con un calcio allo stomaco, sollevandola in uno spruzzo di sabbia e detriti. La ragazza ebbe appena il tempo di caricare la balestra, ma il secondo uomo spezzò ogni suo tentativo di ribellione insieme alle ossa della mano, schiacciandogliela. Le afferrò il polso e glielo torse dietro alla schiena, la tenne a terra con un ginocchio sui reni poi le sollevò il capo strattonandola per i capelli. «Vieni qui Tunnel!» Urlò al suo compare.
Come li ebbe raggiunti le assestò un calcio alla mascella: un fiotto di sangue seguì la traiettoria del colpo e andò a raggrumarsi sulla sabbia come mercurio. Sostituì la presa sui capelli e dopo un cenno al ragazzo la issò di peso. «Questa troia ha liberato la fenice, era la nostra unica possibilità di entrare!»
Thumby cercò di dire qualcosa ma riuscì solo a vomitare sangue e un rantolio sconnesso. Tunnel le strappò la maglietta con una zampata e gliene infilò i brandelli in bocca. Spinse con entrambi i pollici, le mani aperte sul viso, finché non la sentì in preda ai conati. «Dovrai farla bene la puttana, adesso. Perché dovrai scoparti tutta Los Angeles per pagarci l’ingresso.» Si allontanò di un passo. «Ora ci assicuriamo che tu non vada da nessuna parte.» Sollevò il piede sinistro e lo abbatté sul ginocchio della ragazza. Il rumore stonato della rotula che esce di sede fu l’ultima cosa che Thumby udì.
Si svegliò con la sensazione di avere una spugna calda in bocca. Si sfiorò le labbra senza riuscire a sentire il propio tocco. La guancia e lo zigomo erano un unico ammasso grumoso, un altro rigonfiamento sulla fronte le chiudeva l’occhio. La gamba destra era stata steccata alla meglio, riconobbe anche i brandelli della sua maglietta, stretti attorno ai due tubi idraulici arrugginiti che gliela tenevano ferma. Si rese conto che non era la sua testa a ondeggiare e il senso di vertigine era dato dal passo ciondolante dell’aracnide si cui era stata caricata. L’avevano messa nella gabbia della fenice e tra le sbarre spiccava un cartello con il prezzo. Un paio di monete per dieci minuti, in cui poter fare “qualsiasi cosa”.
I due carcerieri erano in groppa alla coccinella che zoppicava in modo più evidente, qualche metro più avanti. «Sei sveglia puttana?» Urlò il più giovane voltandosi indietro. «Siamo quasi arrivati, comincia a tirare fuori la mercanzia.»
Le mura della città degli Angeli sembravano non avere fine. Si ergevano maestose dalle baracche colorate. Una cascata di liquame sgorgava da una decina di tubi, uno sopra all’altro, sul lato ovest della cinta e andava a riversarsi su un’acquitrino in cui rovistavano frotte di ragazzini.
Una via abbastanza larga da permetter loro di passare si snodava tra le baracche fatte di materiale di scarto della vecchia epoca, automobili arrugginite e cumuli di immondizia. Decine di banconi, costruiti alla meglio, la costeggiavano offrendo in vendita le cose più disparate.
«Mi dispiace.» Sussurrò la ragazza con un filo di voce non appena si furono fermati. Tunnel l’aveva raggiunta e aveva iniziato a scaricare le casse dall’aracnide. «Ti dispiace? Non avremo mai i soldi sufficienti per entrare, nemmeno se dessi il culo fino alla vecchiaia.» Poggiò le mani su una grossa cesta di raffia. La voce aveva una sfumatura triste. «Il Demone è un collezionista, avrebbe apprezzato la nostra fenice e ci avrebbe permesso di varcare quel cazzo di portone, ora non abbiamo nemmeno i soldi per comprarci da mangiare.» Le passò una borraccia di pelle, tra le sbarre. «Come pensavi di entrare, tu?»
«Cantando.»
L’uomo scoppiò in una risata sdentata. «Sai quanta gente sa cantare? Non basta avere una bella voce per impressionare il Demone.»
Thumby fece forza sui gomiti e cercò una posizione più comoda. «Io non ho una bella voce. Sono una sferia: i maschi si innamorano di me se odono il mio canto.»
Tunnel richiamò il suo compare e si avvicinò di più alle sbarre, vi infilò i gomiti in mezzo per appoggiarsi. «Non ci credo, le sferie sono sparite da anni.»
«In questa regione, non da dove vengo io. È per questo che scappavo dal Jitzi. Mi ha sentito cantare, una notte. Ero affacciata da casa di mia madre. Non è riuscito più a ragionare e mi ha rapita.»
«E perché non hai cantato anche con noi? Sarebbe stato più semplice che venderti.»
«Certo, per avere anche voi alle calcagna oltre a Toad e alla sua gente. Tu non hai idea di quanto sia potente il canto di una sferia.»
Il più giovane poggiò a terra una sacca. «Bene, canta allora, seduci qualcuno qui intorno, noi ci tapperemo le orecchie.»
Lei si spostò ancora più indietro, poggiando le spalle sulle sbarre di bamboo. «Mi avete picchiata, razza di coglione! Non riesco ad aprire la bocca.»
Il ragazzo raccolse di nuovo la bisaccia e se la caricò in spalla. «Allora non ci servi a niente.»
Tunnel lo raggiunse qualche metro più avanti e lo afferrò per la spalla. Una donna corpulenta gridava dalla bancarella di fronte: un grosso ratto decorticato tra le mani. Spacciando il proprio per il migliore stufato della regione. «Aspetta Topo, aspetta un momento e se dicesse il vero?»
«Ma davvero vuoi fidarti ancora di lei?»
«Tanto così conciata non è buona nemmeno per scopare. Lasciamo che si rimetta un po’ e intanto spargiamo la voce che possediamo una sferia, al Demone potrebbe interessare comunque.»
«Secondo me ci fregherà di nuovo.»
Tunnel si grattò il ventre prominente. «E noi la pesteremo di nuovo. Alle brutte ce la teniamo. Scopa bene e io sto invecchiando, non mi dispiacerebbe qualcuno che faccia il lavoro duro al posto mio.»
Topo scosse la testa. «È un fuscello. Che vorresti farle fare?»
«Nell’ipotesi che non riuscissimo ad entrare a Los Angeles e dovessimo tornare indietro, potrà coltivare la terra e occuparsi di noi. Sai cucinare, accendere fuochi, lavare: quella roba lì. Ci basterà una catena lunga.» Scoppiò di nuovo a ridere. «Tanto non credo che quel ginocchio tornerà mai a posto, dove vuoi che scappi?»
La corazza della coccinella era stata trasformata in una capanna con discreto successo e la sua carne li nutriva da giorni, direttamente e indirettamente dato che erano riusciti a venderne più di metà. Un fuoco acceso davanti all’ingresso scoraggiava gli insetti più grossi e i ratti e la puzza della plastica che vi bruciavano dentro a cadenza regolare, era migliore di quella dell’acquitrino di liquame poco distante, in più teneva lontane le zanzare.
Il mercato fuori dalla porta di Los Angeles sembrava non dormire mai. Stessa confusione di giorno o di notte, stesso via vai di disperati, stesse risse, stessa miseria. Durante la notte dei fasci di luce, dalle mura, illuminavano a giorno la piana sottostante e ronde di militari attraversavano l’enorme baraccopoli in turni regolari, e quasi in ogni ronda una decina di disperati ventina uccisa: chi si avvicinava troppo alle mura o chi cercava di forzare l’ingresso.
Tunnel aveva appena tolto la pentola dal fuoco e aveva passato una scodella fumante a Thumby, seduta su una cassa. Una catena sul collo e una sul polso la ancoravano a un gancio piantato al suolo. Come se la gamba steccata le avesse permesso di muoversi. «Mangia, ragazza. Questa storia della sferia ci sta comunque fruttando bene. Ho una trentina di clienti in fila per poter usare la tua bocca, e a occhio e croce mi pare tu ti sia rimessa a sufficienza per soddisfarli. Hanno pagato più di quanto mi aspettassi. Se continua così, in un paio di mesi, potremmo entrare lo stesso. Almeno io e Topo.»
Lei trangugiò la poltiglia grumosa. «Dopo tutto mi lasceresti qui?»
«Se mi fai guadagnare i soldi per entrare saremo pari, e tu potrai farlo come avevi già pensato di fare da sola. Nessun rancore, solo affari.» Si alzò con una smorfia e si mise le mani sui reni inarcando la schiena. «Vado a contrattare col primo, sbrigati a mangiare.»
Thumby annuì, lo guardò lasciare la capanna e scomparire dietro al fumo nero del falò. Allentò le bende dalla gamba, abbastanza da sfilare uno dei tubi, si morse le labbra nel farlo. Lo infilò nel gancio piantato a terra e fece leva. Lo dissotterrò in pochi istanti e arrotolò la catena sul braccio. Si voltò di scatto, la risata di Tunnel appena fuori.
Usò lo stesso tubo per spaccare la corazza, ormai secca, e lo infilò di nuovo tra le bende poi le strinse. Dall’entrata giunse fragoroso, un boato. Saltellò fuori e afferrò un palo di bamboo per appoggiarsi. Di nuovo un boato, grida e raffiche di mitra. «Sono le guardie hanno armi da fuoco, che diavolo succede?» Sussurrò e scivolò da un lato, si sporse oltre la corazza e strizzò gli occhi. Un’intera pattuglia stazionava davanti al guscio-capanna. Tunnel era riverso in una pozza di sangue e urina e Topo frignava accovacciato in un angolo con la canna di un fucile puntata alla testa. «Allora rifiuto, dove diavolo è la sferia?»
Il ragazzo sollevò l’indice tra i singhiozzi e indicò la capanna, un istante più tardi il suo cervello ne affrescava la parete.
Thumby si schiacciò contro la corazza, una mano sulla fronte, poi sullo stomaco, di nuovo sulla fronte e il respiro sempre più corto. Espirò l’ultima aria dai polmoni, poi si erse in piedi. «Non riuscirei mai a scappare.» Disse più per se stessa, poi gridò. «Sono qui! Sono io la sferia.»
Le guardie la raggiunsero in pochi istanti, le divise di metallo lucido splendevano riflettendo i fari della muraglia. «Finalmente.» Sentenziò il primo che la raggiunse. «Il Demone desidera vederti, è stato informato che quei due pezzi di sterco ti stavano usando e ha voluto salvarti. Ti scorteremo all’interno.»
Thumby tirò un sospiro tanto profondo che le girò a testa, perse l’equilibrio anche e si appoggiò a uno dei soldati.
«Sei ferita?»
«Non posso camminare.»
«Non c’è problema.» Il militare slacciò le fibbie di cuoio che bloccavano il corpetto e lo sfilò. Aiutò la ragazza a calzarlo e lo strinse. Fece un giro di cinta in più, sulla mezza sfera che era nella parte posteriore e lo mosse, per assicurarsi che fosse bene fissato. «Ora attenta.» Afferrò la mezza sfera e ne sganciò il fermo: due enormi ali di metallo lucente si dipanarono sulle spalle esili della ragazza. «Per ora non avrai bisogno di sapere in che modo manovrare, dai le mani a due degli agenti, ti guideranno loro, noi vi raggiungeremo a piedi. Ci vediamo all’interno.»
«Sapete cosa vuole il Demone da me?» Nel dirlo si sistemò alla meglio i capelli, li lisciò tra le dita e li raccolse sulla spalla.
«So solo che avevamo ordine di cercarti e di portarti a palazzo a qualunque costo.»
«A palazzo? Al suo palazzo?» Cinguettò, le labbra distese in un sorriso.
«No, certo che no. Nel palazzo delle meraviglie, dove tiene la sua preziosissima collezione.» Sfilò dalla borsa appesa alla coscia un bavaglio in metallo e cuoio. «A proposito, apri la bocca.» Glielo spinse a forza tra le labbra e lo fissò dietro alla nuca. «Il demone sta facendo preparare una teca insonorizzata per te, ma nel frattempo è meglio non correre rischi.»
Poggiò entrambe le mani sul fianco rosso acceso dell'insetto e lo aiutò a rimettersi in piedi. Gli sfiorò il dorso con dolcezza. «Invece non sei buono nemmeno come tintura per tessuti.»
Raccolse la sacca da terra, la scosse per liberarla dalla sabbia e la issò sopra alla coccinella, lo stesso fece con le due bisacce. Raccolse i capelli color oro in una coda bassa e afferrò i finimenti. «Andiamo bestiaccia» gli disse con tono scherzoso, «cerca di arrivare in città.»
Una folata di vento la costrinse a chiudere gli occhi, si scostò da un lato per non farseli ferire dalla sabbia. Attese qualche istante per volgere lo sguardo a sud: di Los Angeles riusciva a scorgere solo un'alta colonna di fumo grigio perpendicolare alla linea d'orizzonte in un mare giallo e marrone.
«Almeno non si vede quel maledetto Jitzi, è già qualcosa.»
Si voltò indietro e strinse gli occhi. Sabbia e cielo dello stesso colore, distinti da escrescenze rocciose, sparse come pustole. «Dovremmo aver messo un bel po' di chilometri tra noi e quell’anfibio e sta per fare buio. Possiamo prenderci una pausa.» Diede una pacca alla cavalcatura. «Dai, arriviamo a quelle rocce laggiù e ci fermiamo per la notte.»
Le loro ombre si andavano allungando sulla distesa ormai scura. Le rocce a pochi minuti di marcia. «C'è odore di fuoco.» Tastò l'interno di una delle bisacce e ne estrasse una piccola balestra senza calcio.
La caricò e la fissò al supporto della polsiera di cuoio. L'anello dello scatto ben stretto sotto l'anulare.
Deglutì.
«E va bene, andiamo.»
Mano a mano che procedeva distinse lo scoppiettio della fiamma e un paio di grasse risate. Quando raggiunse le rocce aveva già ben chiaro in mente chi doveva aver avuto la sua stessa idea. Almeno tre uomini a giudicare dalle voci e un paio di carri trainati da artropodi dalle impronte sulla sabbia.
Lasciò la coccinella una trentina di metri prima e piantò le redini a terra con un picchetto. Estrasse il pugnale dalla cintura e si spostò verso l’accampamento.
La prima cosa che vide furono i due grossi ragni corazzati. Le mascelle ben serrate da museruole e le zampe legate l'un l'atra da un metro di corda.
Gli uomini erano solo due, ma erano parecchio rumorosi. Entrambi seduti accanto al fuoco, mangiavano avidi dalle gavette, una poltiglia grumosa.
Uno, il più giovane, era appoggiato a una cassa. Il volto coperto da un copricapo di pelliccia e la corporatura esile lo facevano somigliare a un grosso roditore.
L'altro, faccia simile, doveva avere il doppio degli anni del suo compagno oltre che essere due volte più grosso. Prese una manciata di piccoli lombrichi dalla gavetta e se li fece cadere in bocca. Il viso puntato verso il cielo.
«Ne avete anche per me? Posso pagare.» Thumby nascose entrambe le mani dietro alla schiena, prima di mostrarsi ai due viaggiatori. Mosse un paio di passi verso di loro ma si fermò a quella che riteneva una distanza di sicurezza. «Allora?» Incalzò, quando non ricevette risposta.
Il più giovane le fece cenno con la mano, senza smettere di masticare. «Vieni avanti, sorella. Che accidente fai in giro da sola?»
«Quello che fate voi, vado a Los Angeles.»
Infilò il pugnale sotto la cintura, ma non scaricò la balestra. Li raggiunse e si sedette sopra una sporgenza rocciosa.
«Sono lombrichi di prima scelta questi, ragazzina.» Disse l'uomo più grosso, poi fischiò tra i denti, per recuperare un pezzetto di carne che vi si era incastrato. «Quanto puoi offrire?»
Lei si alzò in piedi, un passetto per non perdere l'equilibrio e con la mano libera sollevò la maglietta logora fin sotto al collo. Si mosse appena, facendo sussultare i seni sodi. «Per una porzione te lo posso succhiare.» Sorrise e si leccò le labbra carnose.
Il ragazzo tossicchiò e si mosse verso di lei. «Per una porzione devi succhiarlo a tutti e due.»
«Va bene.» Acconsentì Thumby e lo lasciò avvicinare con un cenno del capo. Lui le afferrò un seno. Per un momento sembrò quasi soppesarlo. «Non scambio nulla, senza essere sicuro che non mi stai fregando.» Lo chiuse tra le dita nodose e lo strinse. L'altra mano si insinuò sotto alla cintura.
«Ehi, ho detto che ve lo avrei succhiato, per il resto dobbiamo accordarci.»
Il ragazzo dall'aspetto da roditore non le rispose, spinse la mano sotto ai calzoni di tela, fino a sfiorarle i peli del pube.
La punta del dardo poggiata alla gola lo bloccò un secondo più tardi.
Lei gli leccò le labbra. «Non ho detto di no.» Sussurrò. «Ho detto che dobbiamo accordarci.» Divaricò un po' le gambe per permettere al ragazzo di raggiungere la propria intimità. «Un figlio di puttana Jitzi mi da la caccia.» La voce divenne un sussurro caldo. «Ed ha un sacco di amici. Voi mi scortate fino a Los Angeles e mi date un po' di soldi, giusto per rimanerci qualche giorno. Io in cambio vi faccio godere per tutta la notte.»
«E come pensi di entrare in città? Non mi sembra tu abbia soldi sufficienti per il pedaggio.»
La ragazza spostò la balestra e si abbassò sulle ginocchia muovendosi sulle dita di lui. «Questo, se permetti: non é affar tuo. Abbiamo un accordo?»
Il secondo uomo si sfilò la cintura e lasciò scivolare per terra i calzoni color sabbia. «Si, si, abbiamo un accordo. Ora datti da fare.»
Come Thumby ebbe scaricato e poggiato a terra la piccola balestra la afferrò per i capelli e la strattonò, costringendola carponi. Le schiacciò il viso sulla propria erezione e prese a muoversi con forza, un cenno al ragazzo che la arpionò ai fianchi, i calzoni già abbassati. «Poi facciamo cambio.»
L’alba spruzzò di viola il cielo carico di fumo sopra Los Angeles, le torri più alte ormai visibili, sembravano strapparlo. Thumby aveva atteso sveglia le prime luci. Raggiunse in silenzio gli artropodi, si voltò verso i due uomini addormentati. La sella di uno dei ragni era ingombra di sacchi e bisacce. Sollevò il telo che li ricopriva. Una fenice era chiusa in una gabbia troppo piccola per permetterle di muoversi. «Meravigliosa.» Sussurrò. «Sei troppo bella per essere prigioniera.»
Sguainò il coltello e liberò le zampe dell’altro ragno, poi lo colpì con forza sull’addome. La bestia avrebbe gridato se non avesse avuto le fauci serrate, con un poderoso balzo si portò a decine di metri di distanza, lasciando dietro di sé un arabesco verdastro.
L’uomo corpulento emise un rumore simile a un rantolio che la fece sobbalzare. Thumby si portò la destra al petto e si concesse un profondo sospiro quando vide che stava ancora dormendo.
Aprì la gabbia liberando la fenice e saltò in groppa all’aracnide. L’uccello dispiegò le ali color fuoco, la osservò a mezz’aria per un istante prima di sparire all’orizzonte. «Vattene via, tu che puoi.»
Afferrò le redini e mosse la bestia in direzione della città.
Il fiato spezzato e il mondo si fece nero per un istante, quello successivo rotolava nella sabbia con una corda stretta attorno al collo.
«Ci stai rubando i ragni, maledetta puttana?» L’uomo più grosso la colpì con un calcio allo stomaco, sollevandola in uno spruzzo di sabbia e detriti. La ragazza ebbe appena il tempo di caricare la balestra, ma il secondo uomo spezzò ogni suo tentativo di ribellione insieme alle ossa della mano, schiacciandogliela. Le afferrò il polso e glielo torse dietro alla schiena, la tenne a terra con un ginocchio sui reni poi le sollevò il capo strattonandola per i capelli. «Vieni qui Tunnel!» Urlò al suo compare.
Come li ebbe raggiunti le assestò un calcio alla mascella: un fiotto di sangue seguì la traiettoria del colpo e andò a raggrumarsi sulla sabbia come mercurio. Sostituì la presa sui capelli e dopo un cenno al ragazzo la issò di peso. «Questa troia ha liberato la fenice, era la nostra unica possibilità di entrare!»
Thumby cercò di dire qualcosa ma riuscì solo a vomitare sangue e un rantolio sconnesso. Tunnel le strappò la maglietta con una zampata e gliene infilò i brandelli in bocca. Spinse con entrambi i pollici, le mani aperte sul viso, finché non la sentì in preda ai conati. «Dovrai farla bene la puttana, adesso. Perché dovrai scoparti tutta Los Angeles per pagarci l’ingresso.» Si allontanò di un passo. «Ora ci assicuriamo che tu non vada da nessuna parte.» Sollevò il piede sinistro e lo abbatté sul ginocchio della ragazza. Il rumore stonato della rotula che esce di sede fu l’ultima cosa che Thumby udì.
Si svegliò con la sensazione di avere una spugna calda in bocca. Si sfiorò le labbra senza riuscire a sentire il propio tocco. La guancia e lo zigomo erano un unico ammasso grumoso, un altro rigonfiamento sulla fronte le chiudeva l’occhio. La gamba destra era stata steccata alla meglio, riconobbe anche i brandelli della sua maglietta, stretti attorno ai due tubi idraulici arrugginiti che gliela tenevano ferma. Si rese conto che non era la sua testa a ondeggiare e il senso di vertigine era dato dal passo ciondolante dell’aracnide si cui era stata caricata. L’avevano messa nella gabbia della fenice e tra le sbarre spiccava un cartello con il prezzo. Un paio di monete per dieci minuti, in cui poter fare “qualsiasi cosa”.
I due carcerieri erano in groppa alla coccinella che zoppicava in modo più evidente, qualche metro più avanti. «Sei sveglia puttana?» Urlò il più giovane voltandosi indietro. «Siamo quasi arrivati, comincia a tirare fuori la mercanzia.»
Le mura della città degli Angeli sembravano non avere fine. Si ergevano maestose dalle baracche colorate. Una cascata di liquame sgorgava da una decina di tubi, uno sopra all’altro, sul lato ovest della cinta e andava a riversarsi su un’acquitrino in cui rovistavano frotte di ragazzini.
Una via abbastanza larga da permetter loro di passare si snodava tra le baracche fatte di materiale di scarto della vecchia epoca, automobili arrugginite e cumuli di immondizia. Decine di banconi, costruiti alla meglio, la costeggiavano offrendo in vendita le cose più disparate.
«Mi dispiace.» Sussurrò la ragazza con un filo di voce non appena si furono fermati. Tunnel l’aveva raggiunta e aveva iniziato a scaricare le casse dall’aracnide. «Ti dispiace? Non avremo mai i soldi sufficienti per entrare, nemmeno se dessi il culo fino alla vecchiaia.» Poggiò le mani su una grossa cesta di raffia. La voce aveva una sfumatura triste. «Il Demone è un collezionista, avrebbe apprezzato la nostra fenice e ci avrebbe permesso di varcare quel cazzo di portone, ora non abbiamo nemmeno i soldi per comprarci da mangiare.» Le passò una borraccia di pelle, tra le sbarre. «Come pensavi di entrare, tu?»
«Cantando.»
L’uomo scoppiò in una risata sdentata. «Sai quanta gente sa cantare? Non basta avere una bella voce per impressionare il Demone.»
Thumby fece forza sui gomiti e cercò una posizione più comoda. «Io non ho una bella voce. Sono una sferia: i maschi si innamorano di me se odono il mio canto.»
Tunnel richiamò il suo compare e si avvicinò di più alle sbarre, vi infilò i gomiti in mezzo per appoggiarsi. «Non ci credo, le sferie sono sparite da anni.»
«In questa regione, non da dove vengo io. È per questo che scappavo dal Jitzi. Mi ha sentito cantare, una notte. Ero affacciata da casa di mia madre. Non è riuscito più a ragionare e mi ha rapita.»
«E perché non hai cantato anche con noi? Sarebbe stato più semplice che venderti.»
«Certo, per avere anche voi alle calcagna oltre a Toad e alla sua gente. Tu non hai idea di quanto sia potente il canto di una sferia.»
Il più giovane poggiò a terra una sacca. «Bene, canta allora, seduci qualcuno qui intorno, noi ci tapperemo le orecchie.»
Lei si spostò ancora più indietro, poggiando le spalle sulle sbarre di bamboo. «Mi avete picchiata, razza di coglione! Non riesco ad aprire la bocca.»
Il ragazzo raccolse di nuovo la bisaccia e se la caricò in spalla. «Allora non ci servi a niente.»
Tunnel lo raggiunse qualche metro più avanti e lo afferrò per la spalla. Una donna corpulenta gridava dalla bancarella di fronte: un grosso ratto decorticato tra le mani. Spacciando il proprio per il migliore stufato della regione. «Aspetta Topo, aspetta un momento e se dicesse il vero?»
«Ma davvero vuoi fidarti ancora di lei?»
«Tanto così conciata non è buona nemmeno per scopare. Lasciamo che si rimetta un po’ e intanto spargiamo la voce che possediamo una sferia, al Demone potrebbe interessare comunque.»
«Secondo me ci fregherà di nuovo.»
Tunnel si grattò il ventre prominente. «E noi la pesteremo di nuovo. Alle brutte ce la teniamo. Scopa bene e io sto invecchiando, non mi dispiacerebbe qualcuno che faccia il lavoro duro al posto mio.»
Topo scosse la testa. «È un fuscello. Che vorresti farle fare?»
«Nell’ipotesi che non riuscissimo ad entrare a Los Angeles e dovessimo tornare indietro, potrà coltivare la terra e occuparsi di noi. Sai cucinare, accendere fuochi, lavare: quella roba lì. Ci basterà una catena lunga.» Scoppiò di nuovo a ridere. «Tanto non credo che quel ginocchio tornerà mai a posto, dove vuoi che scappi?»
La corazza della coccinella era stata trasformata in una capanna con discreto successo e la sua carne li nutriva da giorni, direttamente e indirettamente dato che erano riusciti a venderne più di metà. Un fuoco acceso davanti all’ingresso scoraggiava gli insetti più grossi e i ratti e la puzza della plastica che vi bruciavano dentro a cadenza regolare, era migliore di quella dell’acquitrino di liquame poco distante, in più teneva lontane le zanzare.
Il mercato fuori dalla porta di Los Angeles sembrava non dormire mai. Stessa confusione di giorno o di notte, stesso via vai di disperati, stesse risse, stessa miseria. Durante la notte dei fasci di luce, dalle mura, illuminavano a giorno la piana sottostante e ronde di militari attraversavano l’enorme baraccopoli in turni regolari, e quasi in ogni ronda una decina di disperati ventina uccisa: chi si avvicinava troppo alle mura o chi cercava di forzare l’ingresso.
Tunnel aveva appena tolto la pentola dal fuoco e aveva passato una scodella fumante a Thumby, seduta su una cassa. Una catena sul collo e una sul polso la ancoravano a un gancio piantato al suolo. Come se la gamba steccata le avesse permesso di muoversi. «Mangia, ragazza. Questa storia della sferia ci sta comunque fruttando bene. Ho una trentina di clienti in fila per poter usare la tua bocca, e a occhio e croce mi pare tu ti sia rimessa a sufficienza per soddisfarli. Hanno pagato più di quanto mi aspettassi. Se continua così, in un paio di mesi, potremmo entrare lo stesso. Almeno io e Topo.»
Lei trangugiò la poltiglia grumosa. «Dopo tutto mi lasceresti qui?»
«Se mi fai guadagnare i soldi per entrare saremo pari, e tu potrai farlo come avevi già pensato di fare da sola. Nessun rancore, solo affari.» Si alzò con una smorfia e si mise le mani sui reni inarcando la schiena. «Vado a contrattare col primo, sbrigati a mangiare.»
Thumby annuì, lo guardò lasciare la capanna e scomparire dietro al fumo nero del falò. Allentò le bende dalla gamba, abbastanza da sfilare uno dei tubi, si morse le labbra nel farlo. Lo infilò nel gancio piantato a terra e fece leva. Lo dissotterrò in pochi istanti e arrotolò la catena sul braccio. Si voltò di scatto, la risata di Tunnel appena fuori.
Usò lo stesso tubo per spaccare la corazza, ormai secca, e lo infilò di nuovo tra le bende poi le strinse. Dall’entrata giunse fragoroso, un boato. Saltellò fuori e afferrò un palo di bamboo per appoggiarsi. Di nuovo un boato, grida e raffiche di mitra. «Sono le guardie hanno armi da fuoco, che diavolo succede?» Sussurrò e scivolò da un lato, si sporse oltre la corazza e strizzò gli occhi. Un’intera pattuglia stazionava davanti al guscio-capanna. Tunnel era riverso in una pozza di sangue e urina e Topo frignava accovacciato in un angolo con la canna di un fucile puntata alla testa. «Allora rifiuto, dove diavolo è la sferia?»
Il ragazzo sollevò l’indice tra i singhiozzi e indicò la capanna, un istante più tardi il suo cervello ne affrescava la parete.
Thumby si schiacciò contro la corazza, una mano sulla fronte, poi sullo stomaco, di nuovo sulla fronte e il respiro sempre più corto. Espirò l’ultima aria dai polmoni, poi si erse in piedi. «Non riuscirei mai a scappare.» Disse più per se stessa, poi gridò. «Sono qui! Sono io la sferia.»
Le guardie la raggiunsero in pochi istanti, le divise di metallo lucido splendevano riflettendo i fari della muraglia. «Finalmente.» Sentenziò il primo che la raggiunse. «Il Demone desidera vederti, è stato informato che quei due pezzi di sterco ti stavano usando e ha voluto salvarti. Ti scorteremo all’interno.»
Thumby tirò un sospiro tanto profondo che le girò a testa, perse l’equilibrio anche e si appoggiò a uno dei soldati.
«Sei ferita?»
«Non posso camminare.»
«Non c’è problema.» Il militare slacciò le fibbie di cuoio che bloccavano il corpetto e lo sfilò. Aiutò la ragazza a calzarlo e lo strinse. Fece un giro di cinta in più, sulla mezza sfera che era nella parte posteriore e lo mosse, per assicurarsi che fosse bene fissato. «Ora attenta.» Afferrò la mezza sfera e ne sganciò il fermo: due enormi ali di metallo lucente si dipanarono sulle spalle esili della ragazza. «Per ora non avrai bisogno di sapere in che modo manovrare, dai le mani a due degli agenti, ti guideranno loro, noi vi raggiungeremo a piedi. Ci vediamo all’interno.»
«Sapete cosa vuole il Demone da me?» Nel dirlo si sistemò alla meglio i capelli, li lisciò tra le dita e li raccolse sulla spalla.
«So solo che avevamo ordine di cercarti e di portarti a palazzo a qualunque costo.»
«A palazzo? Al suo palazzo?» Cinguettò, le labbra distese in un sorriso.
«No, certo che no. Nel palazzo delle meraviglie, dove tiene la sua preziosissima collezione.» Sfilò dalla borsa appesa alla coscia un bavaglio in metallo e cuoio. «A proposito, apri la bocca.» Glielo spinse a forza tra le labbra e lo fissò dietro alla nuca. «Il demone sta facendo preparare una teca insonorizzata per te, ma nel frattempo è meglio non correre rischi.»