Nani sulle spalle dei giganti

Le vecchie discussioni
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Jacopo Berti
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Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#1 » mercoledì 3 febbraio 2016, 8:59

Prendendo spunto dal post di Alberto Della Rossa sulla pagina facebook di MC, apro questa discussione e chiedo, a chi lo voglia, di postare (ed eventualmente commentare) un brano o un brevissimo racconto del suo scrittore preferito/della sua scrittrice preferita.
Probabilmente siamo tutti "lettori forti" e abbiamo una lunga lista di autori che ci piacciono. Ma forse a uno di essi dobbiamo più che ad altri la passione per la lettura e la scrittura, e ci sentiamo di dire, come Dante a Virgilio "tu se' lo mio maestro e 'l mio autore".
Chi è il gigante dalle spalle del quale noi, nani, cerchiamo di vedere e di dire il mondo?


«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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Angela
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Re: Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#2 » mercoledì 3 febbraio 2016, 11:42

Tempo fa mi ero messa in testa di partecipare a un premio letterario dedicato a Robert Louis Stevenson. Non era il mio autore preferito, anche se il suo "Dr Jekill and Mr Hyde" è sicuramente tra le mie letture preferite. Il concorso intendeva trovare un finale al libro che Stevenson non portò mai a compimento, perché morì durante la prima stesura. Acquistai l'incompiuto e cominciai a leggerlo. Leggevo e nel frattempo mi informavo su di lui, guardavo le fotografie dell'epoca, studiavo la sua biografia, entravo nel suo mondo. Per mesi ho cercato di interpretare il suo pensiero, di capire quale fosse il finale che aveva in mente. Scrivevo e la notte non riuscivo a dormire perché continuavo a pensarci sopra, pontificavo, rielaboravo le idee. Il risultato fu disastroso, fui sommersa dalle critiche, ma posso affermare senza ombra di dubbio che quello è stato il periodo più bello ed emotivamente coinvolgente nell'ambito della scrittura. Ho vissuto in una bolla che non era né di questo tempo né del suo, una simbiosi impossibile, ma affascinante. Stevenson amava viaggiare, ma era molto malato e la sua ultima destinazione fu la Polinesia che aveva un clima favorevole e lo aiutava a sopportare la tisi che lo stava uccidendo. Morì a Samoa e fu tumulato su una collina dalla quale si vedeva il mare. Molto bello l'epitaffio scritto di suo pugno; citerò solo quello, perché secondo me racchiude l'essenza di ciò che era, di ciò che amava.

Under the wide and starry sky,
Dig the grave and let me lie.
Glad i lived and gladly die,
And i laid me down with a will.
This be the verse you grave for me:
Here he lies where he longed to be;
Home is the sailor, home from the sea,
And the hunter home from the hill.

Sotto questo cielo grande e stellato,
scava la mia tomba e lasciami giacere
Felice Ho vissuto e felicemente muoio
e mi abbandono alla morte con una volontà.
Questi sono i versi che voglio incisi per me:
Qui Giace dove agoniava stare;
a casa è il marinaio, a casa dal mare,
Ed il cacciatore a casa dalla collina.
Uno scrittore è un mondo intrappolato in una persona (Victor Hugo)

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Andrea Partiti
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Re: Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#3 » mercoledì 3 febbraio 2016, 11:44

Io proporrò il brano che più mi ha fatto capire Guareschi, l'autore che ho portato come mio Autore nel post su facebook :)


Non si riesce a capire come, in quella fettaccia di terra che sta fra il grande fiume e la grande strada, ci sia stato un tempo in cui non si conosceva la bicicletta.
Difatti, alla Bassa, dai vecchi di ottant'anni ai ragazzini di cinque, tutti marciano in bicicletta.

E i ragazzini sono speciali perchè lavorano con le gambe di sbieco in mezzo al triangolo del telaio e la bicicletta cammina tutta di traverso, ma va.
I vecchi contadini viaggiano per lo più con biciclette da donna, mentre i vecchi agrari con pancione adoperano ancora le vecchie "Triumph" col telaio alto e montano in sella servendosi del predellino avvitato come dado al perno della ruota posteriore.

C'è davvero da mettersi a ridere vedendo le biciclette dei cittadini, quegli scintillanti arnesi di metalli speciali, con impianto elettrico, cambio di velocità, portapacchi brevettati, copricatena, contachilometri e altre porcherie del genere.
Quelle non sono biciclette, ma giocattoli per far divertire le gambe.

La vera bicicletta deve pesare almeno trenta chili.
Scrostata della vernice in modo da conservarne soltanto qualche traccia.
La vera bicicletta, tanto per incominciare, deve avere un solo pedale.
E dell'altro pedale deve essere rimasto soltanto il perno che, levigato dalla suola della scarpa, luccica meravigliosamente ed è l'unica cosa luccicante di tutto il complesso.
Il manubrio, privo di manopole, non deve essere stupidamente perpendicolare al piano della ruota, ma essere spostato a destra o a sinistra di almeno dodici gradi.

La vera bicicletta non ha parafango posteriore: ha soltanto quello anteriore in fondo al quale deve penzolare un buon pezzo di pneumatico d'automobile, preferibilmente di gomma rossa, per evitare gli spruzzi.
Può avere anche il parafango posteriore qualora dia fastidio al ciclista la striscia di fango che si viene a formare sulla sua schiena quando piove.
In questo caso, però, il parafango deve essere inclinato un bel pezzo in modo da permettere al ciclista la frenata all'americana che consiste appunto nel bloccare, con la pressione del fondo dei pantaloni, la ruota posteriore.

La vera bicicletta, quella che popola le strade della Bassa, non ha freno e i suoi copertoni devono essere debitamente sbudellati indi tamponati con trance di vecchie gomme, in modo da creare nel tubo pneumatico quei rigonfiamenti che poi permettono alla ruota di assumere uno spiritoso movimento sussultorio.

Allora la bicicletta fa veramente parte integrante del paesaggio e non dà neppure lontanamente l'idea che essa possa servire a dare spettacolo: come appunto succede con le biciclette da corsa che rispetto alle vere biciclette, sarebbero come le ballerinette da quattro soldi nei confronti delle brave e sostanziose donne di casa.

D'altra parte un cittadino queste cose non riuscirà mai a capirle perchè il cittadino, nelle questioni sentimentali, è come una vacca nella melica.
Questi cittadini che sono pieni fino agli occhi di porcherie morali, e poi chiamano "mucche" le vacche perchè, secondo loro, chiamare vacca una vacca non è una cosa pulita. E chiamano toilette o water closet il cesso, ma lo tengono in casa mentre, alla Bassa, lo chiamano cesso ma ce l'hanno tutti ben lontano da casa, in fondo al cortile. Quello del water nella stanza vicina alla stanza dove dormi o mangi sarebbe il progresso e quella del cesso fuori da dove vivi sarebbe la civiltà. Cioè una cosa più scomoda, meno elegante, ma più pulita.

Nella Bassa la bicicletta è una cosa necessaria come le scarpe, anzi più delle scarpe perchè mentre uno anche se non ha scarpe ma ha la bicicletta può andare tranquillamente in bicicletta, uno che ha le scarpe ma non ha la bicicletta deve andare a piedi.

Qualcuno magari osserva che questo può succedere anche in città: ma in città è un'altra cosa per via che c'è il tram elettrico, mentre nelle strade della Bassa, non ci sono rotaie ma soltanto, segnate nelle polvere, le righe diritte delle biciclette e dei barocci e delle moto, tagliate ogni tanto dal solco leggero e saettante che fanno le bisce quando passano da un fosso all'altro.

Zebratigrata
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Re: Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#4 » giovedì 4 febbraio 2016, 14:50

Se devo scegliere un solo autore è Dostoevskij. Tuttavia non ha tanto senso proporvi un brano in traduzione in questo contesto (e poi perché quello che mi piace di Dostoevskij viene fuori sul lungo e sul lunghissimo). Perciò ripiego sull'autore italiano che mi ha incantato col suo uso della prosa e l'uso della lingua: Andrea Vitali.

Il brano viene da "Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti": la sera prima del matrimonio tra Geremia (il figlio della Stampina) e una delle sorelle Ficcadenti, matrimonio che secondo tutti nasconde qualcosa di losco, probabilmente ai danni di Geremia, ma che nonostante tutti gli sforzi fatti in questo senso nessuno è riuscito ad impedire.

Era di quelli che duravano sette giorni, quel vento.
Vento del diavolo in tutti i sensi, perché era proprio dalla bocca del diàol che usciva.
Parlava un lingua di bestia sempre in caccia di qualcosa, versi come se stessero spellando un maiale vivo. Le anime dannate non avrebbero avuto scampo, quel vento le avrebbe schiacciate e annegate nel buco più fondo del lago.
Nella penombra della cucina, domenica sera, la Rebecca stava ripassando un discreto campionario di immagini infernali.
Gh'era pòc de fà!
Gli altri due seduti insieme con lei nella cucina erano altrettanto silenziosi.
Spetavano chissà che cosa!
Oramai...
El sciòr prevòst era seduto su una seggiola, con in gremb sempre quella copia del "Corriere dei Piccoli" che faceva finta di leggere nonostante il buio, manco avesse due lampadine al posto degli occhi.
E la stampina, seduta al tavolo, lo sguardo fisso alla parete di fronte, dove non c'era altro da guardare se non la fila di pentole di casa.
Poarèta!
La sèra pù de che part giràs, un'anima in pena.
Aveva suonato alla porta della canonica all'ora che andavano in giro solo i pensieri. Al suono del campanello son Pastore non aveva neanche fatto b', la Rebecca ormai lo sapeva a memoria: se era una delle due Ficcadenti bisognava darle il via, anda!
Circa il resto del mondo non aveva istruzioni, ma quando aveva visto di chi si trattava l'aveva fatta entrare perché era il ritratto dell'anima in pena e in quel momento il vento fischiava forte, come goloso di carne umana.
Tanto non aveva mica disturbato.
Appena seduta, s'era messa a caragnare.
Tra una caragnata e l'altra aveva confessato che lei non sapeva più cosa fare, cosa pensare. Col Geremia non si poteva più parlare anche perché, con la scusa di provare il vestito per il matrimonio, non stava in casa che il tempo necessario per mettere a letto il padre e poi spariva.
Ormai lo capiva anche lei, non si poteva fare più niente per evitare quel vergognoso matrimonio.
Ma almeno le sarebbe piaciuto che qualcuno le spiegasse cos'era successo al cervello di suo figlio.
Mai stato una cima, d'accordo anche lei! Ma almeno sincero e tranquillo, fino a che quelle due erano piombate in paese.
Cosa si poteva dirci a quella povera donna?
El prevòst era rimasto zitto, l'aveva lasciata sfogare.
Lei s'era morsicata la lingua, ma avrebbe voluto dire che bisognava cecare lo zampino del diavolo.
Poi quando la cucina s'era riempita di buio, che sembrava di essere in una caverna, e di sospiri, don Pastore ruppe finalmente il silenzio.
«I disegni del Signore sono imperscrutabili, Stampina.»
La Rebecca non lo metteva in dubbio.
Ma quelli del diàol?
Tacque per carità di patria.
E nel silenzio che ne conseguì il vento che continuava a menare sberle prese possesso del tempo e dello spazio.
Vento dispari, vento del diàol, come tutte le cose dispari del mondo, con buona pace della Santissima Trinità che era la sua bella eccezione alla regola.

Daniel Travis
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Re: Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#5 » giovedì 4 febbraio 2016, 22:54

Tanti eroi: Gaiman, senza il quale scriverei con meno felicità, King perché la Torre Nera, Pratchett e Adams perché hanno forgiato il mio umorismo e altre cose e David Wong perché ha sicuramente cambiato il modo in cui racconto, e il buon Tarenzi in persona per avermi mostrato un tipo di storia incredibilmente in sintonia con i miei gusti... E ancora, e ancora, e ancora.

Ma uno c'è che per me sarà sempre più di un eroe e maestro: Francesco Dimitri.

... Insomma, blatero troppo. Ecco la citazione, da L'Età Sottile.


“[...]È l’inizio di un’era terribile.”
Levi fece una pausa. “Tu non hai idea di che cosa sia in arrivo. Serve qualcuno che porti avanti la torcia, quando io non ci sarò più.”
“Eroi.”
“No” rispose Levi, nettamente. “Noi non siamo mai gli eroi. […] Noi siamo quelli che consigliano gli eroi, che fanno il loro lavoro sporco. Noi siamo la voce dietro al trono: sempre Merlino, mai Artù.”
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

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eleonora.rossetti
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Re: Nani sulle spalle dei giganti

Messaggio#6 » venerdì 5 febbraio 2016, 9:10

Cresciuta a pane e Stephen King... lo incontrai per la prima volta a 12 anni con IT durante una tediosa giornata di sciopero dei treni e conseguente abbarbicamento sulle scale della Stazione Centrale di Milano. L'ho divorato in meno di sei ore. Arrivata a destinazione, la sorte mi mise di fronte a una piccola fiera libraia dove comprai Il Talismano, dello stesso autore. E lì ci fu il colpo di fulmine, lì si cominciò a pensare ad altri mondi da raccontare. King mi stupiva: mi catturava il suo modo di parlarti, come se fosse di fronte a te. Andava oltre la narrazione, era un vero dialogo col lettore, ti scorticava con certe descrizioni e la sua invadenza nel narrato non era mai pesante. E io, che già allora adoravo creare storie, capii che se volevo emozionare come lui dovevo trovare un mio ritmo, un mio stile, importante come il timbro della voce. Nonché una storia coi controcavoli, qualcosa che potesse far dire "ehi, che roba, geniale!".

La citazione che scelgo è tratta da La Torre Nera:
"Quanto ai pistoleri, Roland", gli risponde Cuthbert, "io sono già qui. E noi due siamo gli ultimi."
Roland lo guarda, poi lo abbraccia sotto quel cielo feroce. Sente ardere il corpo di Cuthbert, sente la sua tremante magrezza suicida. Eppure ride ancora. Bert sta ancora ridendo.
"Va bene", dice Roland con la voce roca, guardando lo sparuto drappello dei compagni. "Ci lanceremo all'attacco. Senza quartiere."
"Sì, senza quartiere, assolutamente!" ribadisce Cuthbert.
"Non accetteremo la resa se ce la offriranno."
"In nessun caso!" gli fa eco Cuthbert ridendo più forte che mai. "Dovessero gettare le armi anche tutti i duemila."
"Allora suona quel cazzo di corno."
Cuthbert alza il corno alle labbra insanguinate e soffia uno squillo possente... l'ultimo squillo, perché quando un minuto dopo (o forse sono cinque, o dieci, il tempo non ha senso in questa battaglia finale) cadrà dalle sue dita, Roland lo lascerà nella polvere. Lo strazio e la sete di sangue gli faranno dimenticare il Corno di Eld.
"E ora, amici miei... hile!" "Hile!" grida l'ultima dozzina sotto quel sole scorticante. È la loro fine, la fine di Gilead, la fine di tutto, e Roland non ha più niente da perdere. L'antica furia rossa, folle e feroce, gli avvolge la mente, soffoca tutti i pensieri. Un'ultima volta, allora, pensa. Che così sia.
"A me!" grida Roland di Gilead. "Avanti! Per la Torre!"
"La Torre!" grida accanto a lui Cuthbert, vacillando. Leva verso il cielo il Corno di Eld in una mano, la rivoltella nell'altra.
"Niente prigionieri!" urla Roland. "NIENTE PRIGIONIERI!"
Uccidi scrivendo.

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