Il pianto nell'orto

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roberto.masini
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Il pianto nell'orto

Messaggio#1 » sabato 23 dicembre 2017, 0:21

Fausto Ballinari si era perso; non aveva voluto ascoltare il suo socio che gli aveva detto di usare il navigatore. Lui non era piemontese; non conosceva il Monferrato; era di Luino lui e, da Alessandria, doveva arrivare a Montaldo Bormida. Diluviava a tal punto che gli sembrava di guidare nella nebbia. Giunse in prossimità di un cimitero, dove vide l’indicazione del paese che avrebbe dovuto raggiungere. Svoltò a sinistra, costeggiando l’alto muro del camposanto e si trovò davanti a una strada stretta con una fortissima pendenza. Aveva appena cominciato a salire, quando lo scoppio della gomma posteriore sinistra lo bloccò. Riuscì a stento a fermarsi sul limitare di un sentiero. Sotto la pioggia battente scese per controllare il danno. Il gesto gli salvò la vita: un pesco selvatico colpito dal fulmine si abbatté sull’auto. Un ramo lo ferì al volto. Bestemmiando, si guardò intorno per cercare un rifugio e riordinare le idee. Proprio di fronte a lui un casolare abbandonato. Vi si precipitò.
Al riparo, sotto il rumore assordante dei tuoni, infilò la mano nella tasca zuppa della giacca; il cellulare non si era rovinato. Decise di chiamare il suo socio che l’avrebbe preso in giro per un anno intero e che d'altronde da tempo andava dicendo che lui era sfigato, anzi che la sfiga era la sua unica fidanzata: tutti sapevano che lui era single. Il fatto che si chiamasse anche Fausto era un’aggravante. Compose il numero, pensando alla sua sfortuna; naturalmente non c’era campo.
Mentre pensava al da farsi, sperando che almeno finisse di piovere, gli parve di sentire rumori provenire dalla parte opposta rispetto alla strada. Si affacciò a una finestra priva d’imposte.
Sotto di lui vide un orto e due persone che parlottavano; non riusciva, però, a distinguerle bene sotto la pioggia. Poi un lampo illuminò la scena.
Un uomo corpulento che indossava una cerata nera, armato di una spada di ferro, stava disegnando un cerchio in terra intorno a qualcosa. Accanto a lui una ragazza dai lunghi capelli rossi, nuda e infreddolita. I bagliori si susseguivano e la scena cambiava; l’uomo aveva disegnato per terra tre cerchi; poi aveva smosso la terra all’interno dei cerchi, versandovi il contenuto di una fialetta.
L’ennesimo lampo gli consentì di vedere la donna che si chinava, smuovendo la terra come se dovesse estrarre qualcosa; lei alzò lo sguardo e per un istante Ballinari credette di essere stato scoperto.
A quel punto, tra il fragore dei tuoni, si udì un lamento lontano, come quello di un neonato che piange.
La ragazza si portò le mani alle orecchie e poi crollò a terra. L’uomo scagliò la spada lontano e si chinò su di lei che si alzò e incominciò a correre verso la strada. L’uomo non la rincorse, estrasse una pistola; i boati dei tuoni coprirono i colpi e le grida.
La pioggia non smetteva e Ballinari non sapeva che fare. Vide che lo spadaccino si caricava la ragazza sulle spalle e si allontanava nel buio. Dove la terra era stata smossa, intravide una piantina piena di bacche rosse.
Ritentò di usare il cellulare per chiamare la polizia; continuava a non esserci campo.
Sbirciò di nuovo dalla finestra e lo squarcio di luce illuminò l’orto; l’uomo corpulento era tornato e non era solo: al guinzaglio tratteneva un grosso cane nero uggiolante. S’infilò qualcosa nelle orecchie, si fece tre segni della croce sulla pianta, scavò di nuovo attorno, versando il contenuto di un’ampolla. Poi dalla tasca estrasse una corda che infilò da una parte intorno alla pianta e dall'altra annodò al collo del cane. Aveva in mano anche una ciotola con del cibo. L’appoggiò per terra, poi si allontanò, fischiando. Il cane volse lo sguardo verso il padrone che si allontanava e si avventò sulla ciotola. La corda si tese e qualcosa fu strappato. Un grido lancinante e non umano si levò dall'orto, mentre il cane, intento a mangiare, crollava come se gli avessero sparato.
Gli sembrava d’impazzire, mentre vedeva il proprietario del cane armeggiare in prossimità della pianta. Si sporse dalla finestra e un lampo squarciò la notte: l’uomo e il suo cane erano spariti.
Esausto,inciampò nel buio, andando a sbattere contro la parete; svenne. Si svegliò di soprassalto: una lama di luce lo aveva colpito all'occhio destro. Supino sul pavimento intravide una porzione di cielo sereno e i raggi del sole.Toccandosi il bozzo sulla fronte, si alzò e si affacciò alla finestra che dava sulla strada. Sotto di lui un’autogru dell’ACI stava sollevando la sua auto, mentre il suo socio, che stava parlando con un poliziotto che tratteneva a stento un cane lupo, aveva alzato gli occhi verso di lui. Anche il poliziotto l’aveva scorto e aveva liberato il cane che in un baleno era nella stanza.
Scese sorretto dal suo socio che lo fissava divertito; uscendo dal casolare fatiscente, chiese di poter fumare una sigaretta, prima che fosse verbalizzata la sua disavventura. Si diresse con noncuranza verso l’orto maledetto: non vide nulla se non della terra smossa in prossimità di una strana pianta.
Non raccontò mai a nessuno quello che era successo quella notte.

Erano passati circa sei mesi da quell’orribile notte. Gianni Scapini, il suo socio, lo convocò, cercando di trattenere le risate: doveva recarsi di nuovo nei luoghi del suo incubo per un nuovo contratto da stipularsi sempre a Montaldo Bormida. Gli consegnò il solito incartamento e gli fece le solite raccomandazioni:
«Non ti perdere; usa la testa e il navigatore e… guarda, ho giusto qui per te questa zampa di coniglio che ti posso prestare; mi raccomando, non la perdere e, soprattutto, tienila sempre in tasca e toccala, ogni tanto!»
Mentre gli stringeva la mano, la loro segretaria si precipitava fuori dalla stanza in preda a risate parossistiche.
La sera, terminata la cena, si mise a guardare la televisione. Mentre stava facendo zapping alla disperata ricerca di qualcosa d’interessante, si bloccò su un canale che non conosceva: stavano trasmettendo un documentario di botanica. La pianta in primo piano con quelle bacche rosse era proprio simile a quella del suo incubo nell'orto. Apprese che si trattava della mandragora. Il commentatore mostrava le sue radici, caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricordava la figura umana, aggiungendo che, insieme alle sue proprietà anestetiche, questo fatto aveva contribuito a far attribuire alla mandragora poteri sovrannaturali in molte leggende. Il lungo elenco di miti cominciava ad annoiarlo; stava per spegnere il televisore, quando si sentì gelare le vene, ascolatndo la descrizione del modo di estirpare le radici della pianta fatto da Plinio il Vecchio. Era proprio quello che lui aveva visto quella notte: l’uso di una vergine o di un cane.
Il giorno dopo partì di buonora e raggiunse senza intoppi il paese di Montaldo; trovò però una sorpresa: il suo potenziale acquirente aveva avuto un impegno improvviso e sarebbe ritornato solo dopo due giorni. Decise di comunicare la faccenda a Scapini e concordò che si sarebbe fermato lì in attesa. Il suo socio gli indicò la vicina città di Acqui Terme, dove avrebbe potuto trovare un albergo decente.
La mattina seguente, su suggerimento del portiere, decise di fare un giretto per gustare il panorama del Monferrato.
Vagò senza meta tra paesi e castelli dai nomi sconosciuti come Trisobbio, Orsara; raggiunse Strevi e poi si diresse verso Rivalta Bormida in direzione di Cassine. Giunto in prossimità del cimitero, lo riconobbe e decise di seguire quella terribile strada. Girò a destra e incominciò a salire; individuò il luogo dell’incidente e il casolare abbandonato; continuando ancora, individuò l’orto nascosto da una siepe che fiancheggiava la strada. All'apice della collina fu raggiunto da un puzzo insopportabile; proprio sulla cima, davanti a lui, ci doveva essere una porcilaia.
Nonostante l’olezzo, decise di fermare l’auto; scese e vide che dalla cima della collina si poteva vedere sia il casolare dei suoi terrori che l’orto orrendo.
Voleva allontanare da sé il ricordo di quella notte ma nello stesso tempo era spinto dalla curiosità di sapere.
Si avvicinò al grande cancello di ferro battuto e suonò il campanello; nell’attesa levò gli occhi in alto e lesse l’insegna che, forse per tutto quello che era successo, lo fece rabbrividire; c’era scritto: Azienda Suina La Mandragora.
Gli venne ad aprire un omaccione dalla faccia rubizza e dalle mani enormi.
«Mi dica: ha bisogno?»
«Beh, mi scusi per l’intrusione ma... avrei bisogno di un’informazione. Io non sono di queste parti…»
«L’avevo capito!» grugnì il cerbero.
«Sì, ecco, volevo dire... circa sei mesi fa, su questa salita, proprio là in fondo» disse indicando il casolare abbandonato, «mi si è scoppiata una gomma, proprio sotto un diluvio universale; un albero si è abbattuto sull’auto ed io mi sono salvato per un pelo, rifugiandomi in quella cascina. Per farla breve, mi è sembrato di aver urtato un cane del quale però non ho trovato tracce il mattino dopo. Sa per caso se è stato trovato un cane ferito da queste parti?»
«No, guardi; tra l’altro su questa collina ci abitano poche persone ma ci conosciamo tutti e qui non succede mai niente: quindi anche se fosse stato un cane randagio, l’avremmo visto. Ho capito qual è stata la notte della pioggia torrenziale; me lo ricordo perché non ho potuto chiudere occhio. Comunque il cane deve proprio esserselo sognato!»
«Grazie di avermi tranquillizzato: amo molto gli animali e se avessi investito un cane, non me lo sarei perdonato.»
Pronunciò quella risposta tutta d’un fiato, portandosi un fazzoletto al naso.
«La puzza è terribile» rise divertito il custode, «ma se ama gli animali, per lei questa è una ghiotta occasione di vedere delle bellissime scrofe. Venga. Entri.»
Cercò di schermirsi, adducendo scuse d’impegni inderogabili ma alla fine si arrese alle insistenze del gigante che gli fece posteggiare l’auto all’interno e poi lo portò vicino a un abbeveratoio, dove si accalcavano decine di maiali dal colore scuro.
«Ma non sono rosa i maiali?»
«Si vede proprio che non se ne intende, dottore; questa razza è chiamata appunto Nero di Calabria! Lei la conosce la soppressata?»
«Sì, vagamente ma non l’ho mai mangiata.»
«Ma allora la deve assaggiare! Allora, la soppressata è un insaccato che...»
«Salvatore, non incominciare! Va be’ che sei calabrese ma non puoi annoiare i nostri ospiti con l’unica ricetta che conosci!»
Era comparsa dal nulla una bionda con due bellissime trecce dall’aspetto avvenente, dal fisico longilineo e dalla voce dolce e suadente che gli si avvicinò con la mano tesa.
«Mi chiamo Maria Izzo e sono la proprietaria di questo magnifico allevamento: un lascito di mio padre, che Dio lo abbia in gloria!»
«Piacere, Fausto Ballinari, assicuratore.»
Di solito si vantava di essere un eccellente conversatore ma quei profondi occhi grigi gli avevano tolto la parola. Per fortuna la donna aveva voglia di parlare e lo condusse a visitare altre zone dell’allevamento. Vide capannine adibite al parto e all'allattamento che ospitavano una singola scrofa; altri ricoveri per l’ingrasso erano pieni di lattonzoli e scrofette.
La signora Izzo lo prese per mano e lo condusse in un ambiente protetto da filo spinato elettrificato. Al centro del recinto un grosso verro stava montando una scrofa. La donna le indicò sorridendo il pene a cavatappi che all'uomo ricordava proprio la coda del maiale.
Alla fine della visita lo invitò a rimanere a cena e l’uomo accettò, pensando che non avrebbe potuto rispondere in un altro modo a quegli occhi ammaliatori.
Sotto un portico, mentre il sole stava tramontando e il puzzo circostante era stranamente sparito, fu imbandita una cena pantagruelica.
Sazio, non oppose alcuna resistenza all'invito della padrona di casa a passare lì la notte. Lo accompagnò in una sontuosa camera al centro della quale troneggiava un letto rotondo, girevole, laccato nero con le lenzuola di seta grigia. Gli stampò un bacio sulla bocca e se ne andò. Ballinari si guardò intorno; sul letto un elegante completo, vestaglia e pigiama di velluto alcantara blu; scostò la vestaglia, s’infilò il pigiama, si buttò sul letto e spense la luce. Stava per addormentarsi, quando udì un leggero ronzio e il letto cominciò a ruotare. Aprì gli occhi; nel vano della porta aperta il profilo nudo della Izzo con un telecomando in mano. Dopo un secondo la donna era sotto le coperte del letto che continuava a girare. Si amarono tutta la notte; l’uomo scoprì posizioni e tecniche che non avrebbe mai pensato fossero umanamente possibili. Era lusingato che una femmina così bella potesse essere attratta da lui; però, però c’era qualcosa di strano, di stonato. Lo percepì quando, inframmezzate da sospiri, ascoltò le domande sulla sua avventura avvenuta là sotto alcuni mesi prima. Mentre si strofinava su di lui, provocandone un’eccitazione parossistica, si stupì nel momento in cui le raccontò senza remore quello che aveva visto quella notte sotto l’uragano in quell’orto.
Si risvegliò in piena notte; era solo nel letto; il letto non girava più: girava solo la sua testa. Si alzò tutto sudato e andò al bagno; si lavò la faccia e ritornò sui suoi passi. Un flebile lamento che sembrava provenire dalle profondità della terra colpì il suo orecchio. Uscì dalla camera e percorse alcuni corridoi illuminati da torce. Cominciò a strisciare rasente il muro per paura di essere scoperto. Il lamento continuava e lo portò a scendere sempre di più fino a raggiungere le cantine. Ora, da una porta socchiusa udì che il lamento era in realtà un grido soffocato. Si avvicinò per sbirciare.Inorridito, gli sembrò di intravedere corpi torturati, fu raggiunto da un orrendo olezzo misto di sangue, vomito, piscio ed escrementi; poi un colpo alla testa e il buio.
Quando si risvegliò, aveva le manette intorno ai polsi ed era circondato da persone con un cappuccio nero calato sul volto. Uno invece aveva il cappuccio rosso e sembrava il capo. Quando cominciò a parlare, capì che si trattava di Maria Izzo.
«Mi dispiace che tu sia un ficcanaso; questo fatto ti porterà grossi guai!»
Fu sollevato in piedi da due energumeni che lo spinsero a seguire la rossa incappucciata che cominciò a descrivere tutto quello che c’era in quell'enorme sala sotterranea. Le machine da tortura più raccapriccianti stavano martoriando i corpi di giovani ragazze.Le tempie lo martellavano mentre era costretto a guardare.Chiuse gli occhi perché non voleva vedere chi stessero torturando e si schiacciò le mani contro le orecchie per non udire le urla strazianti. poi fu costretto nuovamente a vedre e sentire.

I due bruti lo spinsero fuori dalla camera delle torture e lo portarono all'esterno, vicino a un recinto illuminato da molte fiaccole. Pensò che gli avrebbero sparato seduta stante, risparmiandogli tutte le torture che aveva visto laggiù. Invece non accadde nulla di tutto questo, anche se poi avrebbe preferito morire. Infatti i suoi occhi furono costretti a vedere un gruppo di maiali che stava terminando un pranzo cannibalesco; della povera vittima non erano rimaste che poche ossa.
Dopo il macabro pasto suino fu condotto nello studio della padrona che accomiatò i suoi gorilla.
«Accomodati!» lo invitò indicandogli una poltroncina. «Ora saprai tutto quello che c’è da sapere. Purtroppo tu hai scoperto il mio segreto; sai che io mi procuro la mandragora per preparare i miei intrugli per i quali mi necessita anche molto sangue umano. Ma ho deciso di lasciarti andare, se non rivelerai a nessuno il mio segreto!»
Si avvicinò a un mobiletto e ne trasse un’ampolla che conteneva del vino; ne versò il contenuto in due calici finemente cesellati, Gliene porse uno e poi alzò il suo per fare un brindisi.
L’uomo capì che quella donna completamente pazza non l’avrebbe mai lasciato andare ma che l’avevano lasciata sola e che lui avrebbe potuto sopraffarla con facilità. Bevve d’un fiato e poi si precipitò su di lei, colpendola col calice vuoto. Svenne.
Uscì correndo dallo studio e si ritrovò in cortile. Un’auto era appena uscita e il cancello era aperto; non era vero che era sfigato, anzi era un uomo fortunato. Individuò la sua auto, si mise una mano in tasca e strinse le chiavi. Cominciò a correre ma si fermò quasi subito: dall'interno della casa voci concitate invocavano la padrona di casa. Riprese a correre ma si fermò di nuovo per un dolore lancinante alle orecchie: le toccò; si stavano appuntendo. Un'altra fitta lo colpì alla schiena così forte che fu costretto a cadere a quattro zampe. Non si rialzò più, mentre i pantaloni si bucavano per la presenza di un ricciolo di coda e alla fine tutti i suoi vestiti venivano strappati per lasciare il posto alla forma di un grosso maiale nero.
Era un maiale nel fisico ma non nella mente: poteva capire tutto quello che la Izzo con la testa fasciata gli urlava:
«Il mio vero nome è Circe e tu grufolerai tutta la vita ma non vivrai di sole ghiande!»
Alla sua mente suina sovvenne che in quella trasmissione televisiva che parlava della mandragora, avevano fatto un breve cenno all'Odissea e al vino che la maga Circe aveva dato ai compagni di Ulisse per trasformarli in maiali.

Sono passati alcuni mesi e i suoi tentativi di suicidio contro le reti elettrificate non sono mai andati a buon fine: la sua famigerata sfiga.
Quello che gli è successo non è credibile ma è successo proprio a lui. Pensa che nella vita non ci possa essere nulla di peggio di quello che gli è capitato.
È sera, sta annusando l’aria; Circe si sta avvicinando. Butta al di là della palizzata un tizio imbavagliato e ammanettato. Lui, insieme agli altri suoi compagni di sventura, si avventa sull'uomo per sbranarlo. Cade il bavaglio; è Gianni Scapini, il suo socio.
È arrivato il peggio: incontrare qualcuno che disprezzavate molto ma non al punto di averlo a cena.
Ultima modifica di roberto.masini il martedì 8 gennaio 2019, 18:28, modificato 5 volte in totale.



alexandra.fischer
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#2 » martedì 26 dicembre 2017, 10:13

La tua storia, molto ben scritta, è di horror mitologico (maga Circe, Mandragora), inserito peraltro in un contesto a me molto familiare (quello del Monferrato). L’assicuratore Fausto Bartoli scopre suo malgrado i segreti della maga Circe e finisce per essere trasformato in suino. Fin qui la storia. Originale il fatto che sia travestita da produttrice di soppressata. E poi mi è piaciuta l’immagine speculare del cane (quello sacrificato contrapposto al cane lupo del poliziotto nel cambio di scena). Molto bella anche la contrapposizione quotidiano-orrore (casolare dotato sì di sala da pranzo e stanza da letto adescatorie, ma con all’interno strumenti di tortura classici: culla di Giuda, Vergine di Norimberga, Toro di Falaride).

Chiedo l’ammissione alla vetrina

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#3 » martedì 16 gennaio 2018, 19:17

alexandra.fischer ha scritto:La tua storia, molto ben scritta, è di horror mitologico (maga Circe, Mandragora), inserito peraltro in un contesto a me molto familiare (quello del Monferrato). L’assicuratore Fausto Bartoli scopre suo malgrado i segreti della maga Circe e finisce per essere trasformato in suino. Fin qui la storia. Originale il fatto che sia travestita da produttrice di soppressata. E poi mi è piaciuta l’immagine speculare del cane (quello sacrificato contrapposto al cane lupo del poliziotto nel cambio di scena). Molto bella anche la contrapposizione quotidiano-orrore (casolare dotato sì di sala da pranzo e stanza da letto adescatorie, ma con all’interno strumenti di tortura classici: culla di Giuda, Vergine di Norimberga, Toro di Falaride).

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Grazie per i complimenti e per aver fatto affiorare elementi che io stesso non avevo preso coscientemente in considerazione, a riprova del fatto che il lector in fabula amplia i contenuti del racconto stesso o addirittura li modifica.

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#4 » sabato 10 marzo 2018, 23:08

Anche questo racconto di Roberto ha avuto solo un commento
Forza, pelandroni! Commentate
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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DandElion
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#5 » mercoledì 30 maggio 2018, 23:20

Boh, a me piace così. Non mi viene nulla che sia "da cambiare".

Chiedo l'ammissione in vetrina
#AbbassoIlTerzoPuntino #NonSmerigliateLeBalle
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#6 » lunedì 4 giugno 2018, 23:14

DandElion ha scritto:Boh, a me piace così. Non mi viene nulla che sia "da cambiare".

Chiedo l'ammissione in vetrina

Grazie:fa sempre piacere non essere emendato!

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DandElion
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#7 » lunedì 18 giugno 2018, 23:20

:) quando ce vo' ce vo' ;)
#AbbassoIlTerzoPuntino #NonSmerigliateLeBalle
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!

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roberto.masini
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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#8 » giovedì 5 luglio 2018, 23:40

Solo due richieste di Grazia! E' passato del tempo anche dopo le mie correzioni; ai sensi art. 7 del Regolamento del Laboratorio RICHIEDO IL GIUDIZIO DIRETTO DEL DOTTORE.

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#9 » lunedì 9 luglio 2018, 18:31

Perfetto, Roberto. Ti faccio sapere
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#10 » lunedì 16 luglio 2018, 14:54

Ciao, Roberto.

Trovo diversi difetti nella tua storia. Quello principale è la totale assenza di emotività. Leggendola mi trovo un lungo elenco di azioni che fa somigliare il tutto a una lista della spesa (fece questo, poi quell'altro e quell'altro ancora).
In qualche occasione provi a dire che emozione prova il protagonista, ma in maniera asettica (inorridì, si stupì).
La sensazione che ne riceve il lettore è strana: un personaggio vive delle avventure spaventose e sembra che tutto gli scivoli addosso. Questo in alcuni momenti diventa davvero stridente (di fronte a una scena di atroce tortura, il tipo si limita a stupirsi di fronte al toro di falaide?)
Quindi per prima cosa ti chiederei di rimettere mano a tutto il testo per proiettarci nella mente del protagonista facendoci vivere ciò che vive lui e facendoci davvero sentire il suo stupore, orrore, paura ecc. ("show don't tell" in alcuni casi può essere trascurato. Ma a seguire questa regola d'ora non si sbaglia mai).
Altro punto: il testo si perde in troppi dettagli secondari e lunghe spiegazioni (tutta quella della mandragola e della soppressata ma non solo). Ti suggerisco perciò di sforbiciarlo per bene, concentrandoti su ciò che è essenziale alla narrazione.
Inoltre il fatto che lei si presenti come Circe, rovina qualunque colpo di scena.
Attenzione a parole desuete come favella e satollo, che sono accettabili solo in un testo umoristico ormai (e zeppare che non ho capito che significa lo toglierei).
Infine per le E maiuscole accentate non usare l'apostrofò ma il carattere che esiste: È.

Buon lavoro :)
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#11 » giovedì 27 dicembre 2018, 9:42

Dottore,
ho sforbiciato e sforbiciato; speriamo bene. Buona lettura e Buon 2019!

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#12 » venerdì 4 gennaio 2019, 22:48

Ciao Roberto.

Adesso il racconto mi piace di più. E' pronto per la Vetrina.
Ti segnalo solo un refuso ("un’elegante completa" al posto di "un elegante completo").

E buon 2019 anche a te
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Re: Il pianto nell'orto

Messaggio#13 » martedì 8 gennaio 2019, 18:30

Il Dottore ha scritto:Ciao Roberto.

Adesso il racconto mi piace di più. E' pronto per la Vetrina.
Ti segnalo solo un refuso ("un’elegante completa" al posto di "un elegante completo").

E buon 2019 anche a te


Grazie!. Corretto il refuso... Alla prossima correzione!

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