Gli Argini dell'Anima

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Puch89
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Gli Argini dell'Anima

Messaggio#1 » venerdì 27 settembre 2019, 18:59

Sapete, quando ci si sofferma ad osservare il vuoto in stato catatonico senza alcuna apparente motivazione, generalmente significa che, in maniera inversamente proporzionale, la mente in verità è colma fino a saturazione. Ma nonostante ciò, quel vuoto è preponderante, sopra ogni cosa. Una sorta di meccanismo di difesa autoindotto in forma puramente cosciente. Come se il sovraccarico raggiunto poco alla volta, improvvisamente esortasse con estrema esigenza un immediato distaccamento emotivo, come una sorta di riavvio; reso necessario dall'oppressione che, superato il punto di trabocco, pur di arginare quel fiume in piena si è costretti a costruirsi una diga raffazzonata in fretta e furia.
Il più delle volte gli argini reggono, ben saldi nonostante la forza prorompente cui sono costretti a misurarsi. Ma ci sono volte invece che non reggono affatto la pressione, e cedono. Cedono come fossero fatti di burro. Ed i suoi erano ceduti da un pezzo, marcescenti ed usurati dalle terribili intemperie quali erano sottoposti ogni giorno, costantemente. Non riuscivano più a contenere quella marea indomita piena zeppa di detriti, accumulati strappando di tanto in tanto un pezzo di qua, un pezzo di là, fino ad amalgamarsi in una poltiglia fangosa ed indistinta.
Ma come ci si aspetterebbe da un'ondata disastrosa del genere, non ci fu nessun allagamento, nessuna inondazione vera e propria. Piuttosto, una volta giunto il punto di rottura, fu tutto risucchiato via di colpo, come quando si stappa un lavandino ricolmo e lo scarico si porta giù ogni cosa, emettendo quel rumore gorgogliante solito dell'acqua insaponata che fluisce velocemente. Ecco, questo era tutto ciò che rimaneva di lei.
Un lavandino usurato e incrostato di vecchio calcare, con ancora alcuni residui di sapone che galleggiavano solitari, sarebbe servito un ultimo rivolo ma non c'era più nulla oramai, solo aridità.
E lei era lì, a contemplare il vuoto, seduta su quella vecchia sedia in vimini scricchiolante, dall'intenso odore di muffa e con i cordoncini in fibra che ormai spuntavano dappertutto e che la punzecchiavano sulle cosce fastidiosamente, ma non ci faceva caso.
Non faceva caso più a nulla.
Nessun artificioso costrutto mentale in grado di salvarla, nessun archetipo comportamentale da edificare frettolosamente come un'impalcatura su cui aggrapparsi.
Non aveva più voglia di questi gingilli psicologici, erano solo illusioni. Certo, illusioni utili alla sopravvivenza nella società, utili a coltivare una certa resilienza necessaria alla sopportazione degli altri e, soprattutto, di sé stessi.
Ma a cosa serviva ormai? Era davvero necessaria? Che importanza poteva avere?
Qualsiasi forma di interazione sociale le sortiva lo stesso ausilio che può fornire una goccia d'acqua in un vastissimo deserto dalle dimensioni di un intero pianeta.
Aveva lo sguardo spento, funereo, gravido di lacrime. Quelle ecco, ne aveva versate moltissime, fino a prosciugarsi come e più di quel deserto. Era quindi una gestazione difficile, ormai piena di problemi e non sapeva se sarebbe riuscita a portarla a termine, non senza complicazioni, questo era certo. Una livida chiazza informe gli adornava entrambi gli occhi fino agli zigomi, tanto che se qualcuno le avesse dato un'occhiata veloce avrebbe potuto giurare che quella ragazza fosse stata picchiata, e con una certa foga anche. Eppure, quelle erano soltanto le sue occhiaie già solitamente ben marcate, ma in quel momento erano di uno spaventoso bluastro smorto.
Il sonno era ormai un giaciglio dimenticato, un atavico rifugio cui ormai non poteva più fare affidamento da molto tempo. Un nascondiglio stanato dai lupi e dai famelici avvoltoi che l'avevano puntata, e lei aveva corso chilometri e chilometri per sfuggirgli.
La cacciavano da tempo tentando di coglierla di sorpresa ma lei non si era mai fatta trovare, era brava in questo genere di cose prima, quando c'era speranza, quando tutto aveva ancora un senso. Ma ora non si considerava più nemmeno una preda. Si era lasciata divorare, inerme ai suoi predatori e alle loro fauci, al sangue che sgorgava mentre muscoli e tendini le venivano strappati via voracemente. Era la carogna abbandonata di un animale morto da un bel pezzo, di cui ne rimaneva solamente la carcassa putrescente, sorvolata da mosche e ricolma di larve che ne avevano divorato le carni fino all'osso.
Non vi sarebbe stata sepoltura, nessun fugace rituale religioso, nessuna preghiera o festeggiamento o pasto frugale, com'è solito fare in alcune religioni. Nessuno avrebbe pianto ne gioito al suo capezzale, poiché la solitudine era l'unica compagnia che aveva maledettamente desiderato e ambito e che era riuscita ad ottenere; forse l'obiettivo più semplice da perseguire per chiunque fosse al mondo, un traguardo collettivo condiviso dall'umanità intera.
Sarebbe rimasta per sempre lì, inerme nelle intemperie logoranti del tempo, in attesa che facesse il suo insindacabile e coscienzioso dovere. Ecco, quella sarebbe stata l'unica sepoltura che gli spettasse. Nessun'altra. Niente e nessuno sa tumulare con la stessa efficacia del tempo che scorre silenzioso e indomito, l'unico cieco testimone che raccoglie le deposizioni di tutti gli individui che calpestano la terra di questo mondo profondamente corrotto e avvizzito. E con eguale premura, allo stesso modo tanta è la noncuranza con cui se ne disfa, consegnandole all'ineluttabile, spargendole al vento suo complice ignaro.
Quelle urla. Quelle piccole stridule urla continue, strazianti ed insopportabili. Le massacravano i nervi come null'altro avesse mai fatto in vita sua. Martellavano incessanti come il gigantesco rullante di un'orchestra di cui era l'unico perentorio strumento.
Poi inaspettatamente sopraggiunse il silenzio. Non ricordava il momento in cui tutto cessò così repentinamente, era accaduto ormai molto tempo fa, una ragguardevole quantità o forse appena pochi attimi, non ne era più certa, non ricordava più nemmeno quello. Osservava le sue mani avvizzite come i ricordi che le trasmettevano.
Ed era finalmente giunto tempo di assecondare quel vento, di farsi raccogliere e disperdere, senza gentilezza o voluttuosa accortezza, ma con la stessa brutalità che le era stata riservata per tutta la vita e che lei stessa aveva riservato ad essa a sua volta.
Era tempo di riabbracciare quell'unico inestimabile gioiello avesse mai avuto tra le mani e le fosse mai stato concesso. Quell'unico incomparabile dono, quel preziosissimo privilegio che le era stato riconosciuto, strappato a sé dalle sue stesse braccia con mostruosa violenza e crudeltà. Era sia la vittima che la carnefice.
Non avrebbe raggiunto la pace come tutti immaginano speranzosi di ottenere dopo tanta esasperazione, dopo tanta atroce sofferenza, no, non ambiva a quello, non riteneva di meritare tanta misericordia.
Era fermamente convinta che il suo dolore e la sua colpa, tanto erano indicibili, l'avrebbero seguita in qualunque remoto posto dell'universo fosse andata a finire.
A dimostrazione che ciò che si dice corrisponde a verità: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
E lei si sarebbe trasformata nel tormento straziante e ineffabile che affligge una madre che non solo perde una figlia, ma che di quella morte ne è la causa.
Un fardello impronunciabile e pesante come un’intera esistenza, quella negatale da lei stessa, quella cui aveva impedito di fiorire e consolidarsi nel tempo.
Ed avrebbe perdurato tra gli eoni, una testimonianza imperitura senza epilogo ne conciliazione o redenzione.
Una nebulosa forma intangibile di espiazione perpetua.
Era ormai tempo di raggiungere sua figlia.
Era tempo di espiare.
Era tempo di morire.



alexandra.fischer
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Re: Gli Argini dell'Anima

Messaggio#2 » domenica 29 settembre 2019, 10:11

Il racconto è incentrato sui sentimenti di un’infanticida (a quanto ne ho capito). Le immagini sono efficaci (vedi quella degli argini mentali e del lavandino), ma c’è poca azione. Ecco, forse dovresti spiegare: perché la madre è arrivata a tanto? Dove si trova? Magari alternando queste informazioni agli stati d’animo sotto forma di pensiero. Te lo scrivo perché la formula del racconto è di dosare informazioni mirate che portano a una rivelazione finale, il tutto fatto con periodi brevi. E non sarebbe male narrare il tutto dal punto di vista di lei (il lettore tende a identificarsi con il protagonista e con il Punto di Vista che usi tu non può farlo, c’è un resoconto molto freddo, per quanto ben scritto).

Attenzione:
gli adornava (le adornava)

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Il Dottore
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Re: Gli Argini dell'Anima

Messaggio#3 » venerdì 10 gennaio 2020, 11:54

Ciao Punch89.

Il racconto è fermo da quanto lo hai postato.
Che ne facciamo? Ci vuoi lavorare o lo mettiamo in archivio?
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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