Gherardo e la fata
Inviato: venerdì 17 aprile 2020, 13:50
Toc toc toc.
“Nhggg.” Un gemito e uno sbuffo erano li unici signali che facevano intendere che la giovane canaglia sbracata sul pavimento fosse ancora viva.
Toc toc toc.
“Madre, ancora uno momento..”Gherardo sollevò con lentezza la mano portandola al volto, grattandosi il grugno, stropicciandosi gli occhi e diede uno sguardo all'ovile abbandonato dove la sera prima aveva trovato ricetto. Era ancora buio, solo alcuni raggi di luna piena entravano dalle fessure tra le assi di legno marcio. “Ma che diamine..”
TOC TOC TOC.
“Per le brache di San Fiorello!” Oramai sveglio Gherado scattò in piedi e, sistematosi alla bell’e meglio i calzoni, aprì la malandata porta del capanno.
Inanzi ad esso non v’era nessuno. “Se questa l’è una birbonata non l’è gradevole!”
Un fruscio di cespugli ad una decina di cubiti dall'ovile attirò l’attenzione del Gherardo. “Chi v’è là?” Dalle frasche emerse il leggiadro volto d’una donzella, evidenziato dai raggi di luna che riflettevano l’auree della sua chioma.
“Celestiale.” L’unico pensiero che riusciva a mettere d’insieme Gherardo era la purezza della creatura che si trovava dinanzi ad egli.
Una risata cristallina e la donzella scomparve nuovamente tra le fronde del bosco.
“Aspettate mia Signora!” Senza indugio o preoccupazione alcuna, Gherardo si addentrò tra le fronde, tentando di seguire i passi velati della fanciulla e inoltrandosi sempre più nella selva. Ogni qualvolta il sentiero pareva smarrito uno scoppio di risa dava nuovo vigore alla cerca, nel buio della fitta vegetazione, ancora inanzi, incessantemente verso il profondo della foresta.
Col respiro affannoso e il volto sgraffiato dalle ramaglie, tutt’un tratto il ragazzo sbucò in una radura illuminata da sora Luna, grossa e tonda come un lucido paiolo d’argento. Dal lato opposto la fanciulla sedeva di spalle, la chioma dorata e le vesti candide svolazzavano appena, smosse da un refolo di vento primaverile.
A passo ora accorto, sforzandosi di attutire ogni possibile baccano, Gherardo si avvicinò alla figura dinanzi. Nel mentre la divorava con lo sguardo beato: il collo fine, le curve del corpo evidenziate dalla veste, le gambe affusolate nude e umide dall'argentea rugiada sull'erba.
“Avvicinati Gherardo, siedi con me.” Un dolcissimo sorriso illuminò il viso della fanciulla mentre si voltava verso l’omo che, senz'alcun indugio, s’affrettò a prendere posto sul prato di fianco alla giovane.
La canaglia balbettava estasiata “Chi siete mia Signora? Come conoscete il mio nome?”
“Non curarti di ciò Gherardo, vieni da me, cullati nelle mie braccia..” La giovane fissò il ragazzo negli occhi e sussurrò “accarezza i miei seni,prendimi! Fammi tua!”
Il suo profumo inebriava l’aria, i suoi capelli avevano l’odore dell’erba fresca, la sua bocca sapeva di rugiada, la sua pelle fresca e morbida come acqua di fonte.
Come in un sogno (e diamine se non pareva tale!) la testa Gherardo veleggiava estasiata mentre ogni bacio lo portava a nuove vette di beatitudine, le unghie di lei graffiavano la sua schiena ad ogni spinta mentre lei gemeva, muovendosi sinuosa e fissandolo negli occhi, incatenandolo ad ella sempre più, sempre più, fino al culmine del piacere.
“Riposa ora mio tesoro.” Le sue parole, come una malia, fecero sprofondare il Gherardo nel sonno più piacevole e grato che egli avesse avuto da quando era solo un fanciullo. Nulla poteva nuocergli mentre ronfava sereno in quella radura benedetta, stretto a quella grazia che lo aveva reso uomo.
Si svegliò nelle tenebre, rannicchiato come un feto nelle vesti lacere mentre il vento ululava tra le chiome spettrali degli alberi che lo circondavano. La testa gli doleva e la schiena bruciava come mille punture di vespa. Si tastò le terga e la mano tornò umidiccia e appiccicosa, con un odore metallico quando avvicinò essa al grugno per cercare di capire.
“Ma che diamine.. San Fiorello che succede!” Per la seconda volta nella stessa sera la canaglia invocò il suo Santo protettore.
Dal buio un rumore, sordo ma terribile nel silenzio della radura. D’improvviso due occhi ferali, gialli e spaventosi accompagnati da un rugghio infernale.
Le vesti già umide dal sangue del giovane si bagnarono di tiepida orina, sgocciolante fino ai calzari, che riempi l’aria già colma di paura del fetido odore del piscio.
“Chi v’è là? Mia Signora siete voi?”
“Non avere paura Gherardo” la voce della fanciulla era ora aspra, gracchiante “Tra poco sarà tutto finito, non sentirai più dolore o paura.. dopo che sarai morto!” In un baleno gli occhi gialli furono addosso al giovane, lo atterrarono con una zampata e ne dilaniarono le carni tra le grida disperate del ragazzo, ora uomo, fino a che l’unica cosa che spezzava il silenzio furono i rumori dei denti della bestia che banchettava sullo stomaco del povero Gherardo.
“Sono gravida mio amato” disse la fata alla bestia “Per la fine dell’estate avremo un figlio tutto nostro." sospirò. Guardando il cadavere riverso a terra in una pozza di sangue, sorrise "Gherardo è un bel nome.”
“Nhggg.” Un gemito e uno sbuffo erano li unici signali che facevano intendere che la giovane canaglia sbracata sul pavimento fosse ancora viva.
Toc toc toc.
“Madre, ancora uno momento..”Gherardo sollevò con lentezza la mano portandola al volto, grattandosi il grugno, stropicciandosi gli occhi e diede uno sguardo all'ovile abbandonato dove la sera prima aveva trovato ricetto. Era ancora buio, solo alcuni raggi di luna piena entravano dalle fessure tra le assi di legno marcio. “Ma che diamine..”
TOC TOC TOC.
“Per le brache di San Fiorello!” Oramai sveglio Gherado scattò in piedi e, sistematosi alla bell’e meglio i calzoni, aprì la malandata porta del capanno.
Inanzi ad esso non v’era nessuno. “Se questa l’è una birbonata non l’è gradevole!”
Un fruscio di cespugli ad una decina di cubiti dall'ovile attirò l’attenzione del Gherardo. “Chi v’è là?” Dalle frasche emerse il leggiadro volto d’una donzella, evidenziato dai raggi di luna che riflettevano l’auree della sua chioma.
“Celestiale.” L’unico pensiero che riusciva a mettere d’insieme Gherardo era la purezza della creatura che si trovava dinanzi ad egli.
Una risata cristallina e la donzella scomparve nuovamente tra le fronde del bosco.
“Aspettate mia Signora!” Senza indugio o preoccupazione alcuna, Gherardo si addentrò tra le fronde, tentando di seguire i passi velati della fanciulla e inoltrandosi sempre più nella selva. Ogni qualvolta il sentiero pareva smarrito uno scoppio di risa dava nuovo vigore alla cerca, nel buio della fitta vegetazione, ancora inanzi, incessantemente verso il profondo della foresta.
Col respiro affannoso e il volto sgraffiato dalle ramaglie, tutt’un tratto il ragazzo sbucò in una radura illuminata da sora Luna, grossa e tonda come un lucido paiolo d’argento. Dal lato opposto la fanciulla sedeva di spalle, la chioma dorata e le vesti candide svolazzavano appena, smosse da un refolo di vento primaverile.
A passo ora accorto, sforzandosi di attutire ogni possibile baccano, Gherardo si avvicinò alla figura dinanzi. Nel mentre la divorava con lo sguardo beato: il collo fine, le curve del corpo evidenziate dalla veste, le gambe affusolate nude e umide dall'argentea rugiada sull'erba.
“Avvicinati Gherardo, siedi con me.” Un dolcissimo sorriso illuminò il viso della fanciulla mentre si voltava verso l’omo che, senz'alcun indugio, s’affrettò a prendere posto sul prato di fianco alla giovane.
La canaglia balbettava estasiata “Chi siete mia Signora? Come conoscete il mio nome?”
“Non curarti di ciò Gherardo, vieni da me, cullati nelle mie braccia..” La giovane fissò il ragazzo negli occhi e sussurrò “accarezza i miei seni,prendimi! Fammi tua!”
Il suo profumo inebriava l’aria, i suoi capelli avevano l’odore dell’erba fresca, la sua bocca sapeva di rugiada, la sua pelle fresca e morbida come acqua di fonte.
Come in un sogno (e diamine se non pareva tale!) la testa Gherardo veleggiava estasiata mentre ogni bacio lo portava a nuove vette di beatitudine, le unghie di lei graffiavano la sua schiena ad ogni spinta mentre lei gemeva, muovendosi sinuosa e fissandolo negli occhi, incatenandolo ad ella sempre più, sempre più, fino al culmine del piacere.
“Riposa ora mio tesoro.” Le sue parole, come una malia, fecero sprofondare il Gherardo nel sonno più piacevole e grato che egli avesse avuto da quando era solo un fanciullo. Nulla poteva nuocergli mentre ronfava sereno in quella radura benedetta, stretto a quella grazia che lo aveva reso uomo.
Si svegliò nelle tenebre, rannicchiato come un feto nelle vesti lacere mentre il vento ululava tra le chiome spettrali degli alberi che lo circondavano. La testa gli doleva e la schiena bruciava come mille punture di vespa. Si tastò le terga e la mano tornò umidiccia e appiccicosa, con un odore metallico quando avvicinò essa al grugno per cercare di capire.
“Ma che diamine.. San Fiorello che succede!” Per la seconda volta nella stessa sera la canaglia invocò il suo Santo protettore.
Dal buio un rumore, sordo ma terribile nel silenzio della radura. D’improvviso due occhi ferali, gialli e spaventosi accompagnati da un rugghio infernale.
Le vesti già umide dal sangue del giovane si bagnarono di tiepida orina, sgocciolante fino ai calzari, che riempi l’aria già colma di paura del fetido odore del piscio.
“Chi v’è là? Mia Signora siete voi?”
“Non avere paura Gherardo” la voce della fanciulla era ora aspra, gracchiante “Tra poco sarà tutto finito, non sentirai più dolore o paura.. dopo che sarai morto!” In un baleno gli occhi gialli furono addosso al giovane, lo atterrarono con una zampata e ne dilaniarono le carni tra le grida disperate del ragazzo, ora uomo, fino a che l’unica cosa che spezzava il silenzio furono i rumori dei denti della bestia che banchettava sullo stomaco del povero Gherardo.
“Sono gravida mio amato” disse la fata alla bestia “Per la fine dell’estate avremo un figlio tutto nostro." sospirò. Guardando il cadavere riverso a terra in una pozza di sangue, sorrise "Gherardo è un bel nome.”