Kité

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Eugene Fitzherbert
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Kité

Messaggio#1 » domenica 19 aprile 2020, 19:49

Kité
Di Eugene Fitherbert


'È un lavoretto di tutto riposo', dicevano.
'Vedrai, sarà una scampagnata lungo il fiume', dicevano. 'C'è un bel mucchio d'oro da arraffare, su alla tana del bigatto...'
Certo, come no? Una scampagnata...
Siete finiti in una valle dimenticata da Domineddio.
Vi hanno preso a bastonate i briganti, i tagliagole della Banda del Rospo e perfino le guardie.
Vi siete persi tra burroni e selve infestate di bestiacce.
Avete perfino svegliato il Bigatto in carne e ossa, che dormiva sul suo mucchio d'oro... Quel ramarro troppo cresciuto vi ha sbattuto via con due colpi di coda, facendovi disperdere in tutte le direzioni, e addio tesoro, addio missione di tutto riposo, addio anche ai tuoi compagni... Eh, ma il capo ti sentirà, quando ritornerai al covo! Gliene canterai quattro, sissignore... otto, perfino!
Sempre se ritornerai al covo...
A dire il vero, per adesso tale previsione non sembra molto realistica: hai perso la strada, la direzione e la sacca da viaggio, i tuoi compari sono morti o smarriti peggio di te, non hai il becco di un quattrino in tasca e sta per calare la notte.
Forse è meglio che trovi un posto tranquillo dove riposare le ossa ammaccate: lì davanti, oltre l'ultimo filare di alberi, intravedi qualcosa che sembra proprio fare al caso tuo...
Dopotutto, che altro potrebbe mai andare storto...?


Da lontano, la locanda La Coppola Rossa con la sua incomprensibile insegna ‘Produzione Propria’ sembrava una catapecchia buona solo per farne legna da ardere. Da vicino era chiaro che anche il fuoco si sarebbe rifiutato di attecchire. Per fortuna, Sparpagghia non era schizzinoso.
Controllò il suo coltello da assassino, strinse il suo ciondolo portafortuna, l’unico bottino di quella scorribanda finita male, ed entrò.
C’era un solo avventore, che scrutava il suo futuro gramo sul fondo di un boccale vuoto, con semi gialli sparsi sul tavolo come anni buttati al vento.
Sparpagghia si avvicinò al bancone.
«Ce vuè ‘na birra?» L’oste grasso dalla voce stridula parlava una strana lingua.
Sparpagghia aveva capito solo ‘birra’. «Un boccale. Senza troppa schiuma»
«St’arriva». E sparì nel retro.
Quando il bettoliere sbattè il suo boccale di birra sul bancone, l’uomo al tavolo si risvegliò: «Panzetta! Posso scendere?» chiese.
«’Spetta. Sta prepara.» Gli rispose Panzetta.
In quel momento, la porta sul fondo della Coppola Rossa si spalancò e ne venne fuori una donna vestita di viola. Del volto coperto da un velo si vedevano solo gli occhi verdi. «Puoi andare giù, Pisciarone, è tutta tua.»
Sparpagghia sfiorò il suo ciondolo.
La donna guardò lui e poi il suo portafortuna. «E tu chi sei e da dove sbuchi, straniero?» Gli chiese appoggiandosi al bancone.
«Il mio nome è Sparpagghia e ho perso la via. Potete aiutarmi?»
Panzetta non rispose.
«Dopo le colline c’è Scuoiatella», disse la donna. «Ma te la sconsiglio, se ci tieni alla pelle. Letteralmente. A un giorno di cammino, a Nord, troverai Collepazzo e poi Melengrugno.» Guardò ancora il suo ciondolo.
L’istinto da assassino risuonò: la ragazza ne era troppo interessata.
«Lu Kité?» Disse alle sue spalle Panzetta.
Sparpagghia si voltò. «Scusami, Panzetta, che cazzo stai dicendo?»
«Non preoccuparti per lui.» Si intromise l’altra. «Parla con me.»
«Bene. Il bue dall’eloquio creativo qui è Panzetta. E tu?»
«Mi chiamano Sprecamuerti. Mando avanti gli affari qui alla Coppola Rossa.»
Sparpagghia mandò giù tutta la birra. Era forte! Se la sentì risalire dallo stomaco nella testa, fino ad arrossargli gli occhi e sgocciolargli fuori dal naso. Lo sguardo rapace di Sprecamuerti non si staccava dal ciondolo. «Ti piace?» Le chiese. «È il mio portafortuna.» Lo girò tra le dita: il ghigno da una parte e il fiore dall’altra.
«Dove l’hai trovato?»
«È l’unica cosa che sono riuscito a prendere al Bigatto.» Scosse la testa. «Questa birra sembra piscio, ma è fatta con il fuoco.»
«Lu kité! Nlu pigghiamu?»
Sparpagghia sbottò: «Perdio, parli come se venissi da un altro mondo.»
«Non offendere chi ti ha offerto una birra.» Lo sgridò Sprecamuerti. «E comunque, il tuo medaglione mi piace. Potremmo barattarlo per una notte qui. E se vuoi c’è anche qualche divertimento speciale.»
Prima regola: non fare affari se non conosci il valore di un articolo.
«No, Signora Sprecamuerti. La strada per Melengrugno è lunga.» Si rivolse verso Panzetta. «C’è la latrina in questo posto?»
«Eh? Lu pitali?»
«È di sotto, signor Sparpagghia. Ti mostro la strada.» E si diresse dove era andato Pisciarone.
Era l’ingresso per la cantina.
«La latrina è in fondo alla scala a destra.» Sprecamuerti si spostò di lato per farlo passare. «Rinunci allo scambio?»
«Sì, voglio solo pisciare e andarmene verso Melengrugno. E il mio portafortuna non si tocca.» Sparpagghia scese il primo gradino.
Sentì un dito che si infilava veloce tra la pelle e la cordicella, e poi quella stronza di Sprecamuerti lo spinse giù.

Quando riaprì gli occhi, esclamò: «Sono vivo!» E poi: «Mi sono pisciato addosso!»
Ancora frastornato, riconobbe gli inequivocabili gemiti, sbuffanti e affrettati: Pisciarone ci stava dando dentro.
Ecco i divertimenti speciali della Sprecamuerti.
Si rimise in piedi, mentre il ritmo della cavalcata si stava facendo più serrato. Sentiva qualcosa di sgradevole anche, oltre a Pisciarone si stava davvero divertendo con la sua puttanella…
Poi capì: non sentiva gemiti femminili.
Trovò Pisciarone poco più in là che si rimetteva in piedi e si tirava su i calzoni. Sparpagghia vide riversa su un pagliericcio una ragazza di una ventina d’anni, immobile, stremata per la sgroppata. Complimenti al buon Pisciarone.
Il sorriso gli morì sulle labbra: vide la carnagione livida delle gambe della ragazza, le labbra bluastre, e gli occhi rovesciati all’indietro, vitrei e immobili come il petto.
«Ma che cazzo di schifo è questo?» Disse piano spostando lo sguardo verso Pisciarone. «Ti sei scopato una morta?»
«Ti conviene aspettare che Sprecamuerti ne trovi un’altra. Questa è troppo lavorata.» E si girò per andarsene.
L’assassino, con un movimento fulmineo, gli piantò la sua lama di venti centimetri nel collo. Tra i fiotti di sangue, Sparpagghia decise che avrebbe messo fine a questa storia di merda.
E si sarebbe ripreso il suo ciondolo portafortuna. Che non portava fortuna neanche per il cazzo.

Risalì le scale, e seguì le voci di Sprecamuerti e Panzetta fino al retrobottega.
«È propria lu Kité?» Stava dicendo Panzetta.
«Sì. Guarda.»
E dopo una piccolissima pausa: «Mortacci!» esclamò Panzetta.
«È proprio il caso di dirlo. Abbiamo il pezzo mancante del Kité, il gioiello che regola i due stati della carne. E i nostri affari saranno incontenibili. Potremmo offrire l’ebrezza del sesso senza confini. Eros, Thanatos e tutto quello che c’è in mezzo.»
«Bellu. Vué na birra?»
«No, grazie.»
«Ata rimanì cussì?»
«Certo, non avrai mica paura, no?»
«Noni. Mi fazzu na Birra.»
Sparpagghia aveva capito che si preparavano a uccidere altre persone per il loro bordello per necrofili. Ma che c’entrava il suo ciondolo e che cazzo era il Kité?
Aprì l’uscio: sotto la luce di due lampade a olio, vide un paio di sedie e un tavolo quadrato, ma neanche una botte di birra. Sprecamuerti gli dava le spalle, mentre Panzetta stava poco più in là con il grembiule stretto tra i denti. Sparpagghia aggrottò le sopracciglia.
Una proboscide grigiastra pendeva tra le gambe boviniformi di Panzetta. Ah cazzo, un Trimonio, demonio minore più schifoso che pericoloso.
Panzetta puntò la proboscide su un boccale di legno e sparò un getto di ‘birra’.
Ho bevuto quella birra, perdio! Devono morire tutti e due!
Ma Panzetta non aveva ancora finito. Si strizzò le chiappe e da alcuni bitorzoli tumescenti emersero dei semi gialli.
Produzione propria, pensò Sparpagghia, nauseato. Irruppe e fulmineo piantò il coltello nel collo di Sprecamuerti. Fu come affondare la lama in un cuscino pieno di segatura e paglia.
Sparpagghia attese che Sprecamuerti si accasciasse al suolo, ma quella stronza si girò verso di lui: gli occhi erano vitrei, e il volto, senza velo, mostrava una pelle incartapecorita, livida. Dietro il sorriso adornato da denti scheggiati si agitavano vermi bianchi.
«Volevi uccidermi?» Gli disse con la voce secca. «Come puoi uccidere chi è già morto? Ammira il potere del Kité» Sprecamuerti se lo scrollò di dosso e si sfilò il coltello dal collo. «Sei fottuto, bastardo, e continuerai a esserlo anche dopo che ti avrò tagliato la gola.»
Sparpagghia indietreggiò. Tra le tette rinsecchite di Sprecamuerti, vide, appesa a una funicella di cuoio, la faccia ghignante del suo ciondolo, alloggiato in un amuleto più grande: il Kité, che emanava un’aura violacea e malata.
«Sprecamuerti, tu hai preso l’ultimo bottino della mia squadra. Ridammelo.»
«Non se ne parla proprio: con il Kité potrò fornire alla mia clientela l’unico servizio di scopate con non morti! Diventerò ricchissima. Mi farò chiamare Madama Necrosys.»
Mentre la stronza era persa nelle sue follie, Sparpagghia calciò una sedia verso Sprecamuerti. Lei si spostò all’indietro e la collanina di corda si tese sospesa in aria. Sparpagghia l’afferrò, e la tese sul collo della donna.
Da vicino, si accorse che il suo ciondolo era incastrato nel Kité in due cardini: poteva ruotare e mostrare l’una o l’altra faccia.
«Lassala stari!» Panzetta afferrò una lampada a olio.
Sparpagghia ebbe un’intuizione.
I due stadi della carne.
Strinse il laccio con una mano sola, mentre con l’altra ruotò il ciondolo nel Kité.
L’amuleto fece la sua magia sentì la carne morta di Sprecamuerti fremere mentre cambiava stato e la pelle riacquistava colore, tensione e vita.
«Ora sono cazzi tuoi, stronza!» E strinse la morsa.
Panzetta stava abbassando la torcia, ma Sprecamuerti agitò la mano: «Fermati, mostro deficiente.»
Sparpagghia tirò ancora, ma fu sfortunato… con un schiocco secco, la fune cedette e lui fu catapultato all’indietro, oltre il tavolo.
«Ora!» Urlò Sprecamuerti.
Sparpagghia d’istinto si rifugiò dietro il tavolo che dopo pochi istanti fu investito da un getto di fuoco liquido.
«Ti pisciu sobbra! Mueri!»
Fottuto Trimonio: Panzetta stava incendiando il suo stesso piscio alcoolico e lui era rimasto senza armi a parte il Kitè.
Ebbe un’idea. Morto per morto!
Si legò al collo l’artefatto e ruotò nuovamente il ciondolo. Il bagliore malato si sprigionò e lui fu investito da un’ondata fredda. Muori per ora, piccolo uomo. Senti il freddo e la paura per un attimo, poi più niente. Kité morto!
Ci voleva pure il medaglione che gli diceva stronzate nella testa. Kité morto davvero!
Sparpagghia si alzò in piedi, e incurante avanzò attraverso la birra incendiaria fino al Trimonio.
«Non ci mori! Ce agghia fari?» Panzetta nel panico, continuava pisciacchiare sulla lanterna accesa.
Sparpagghia lo raggiunse. Fagli assaggiare i tuoi denti scheggiati ma affilati.
Niente male come idea. Sparpagghia afferrò Panzetta per la testa e lo morse. Non sentì nessun sapore, solo la sensazione liquida del sangue che gli penetrava nella gola e nel naso. Quando le urla sguaiate e incomprensibili di Panzetta cessarono, capì di avergli tolto la vita.
«E ora a noi due, Madama Necrofila.»
Si voltò, ma Sprecamuerti non c’era.
Uscì e una pioggerella sottile gli spense le fiamme che si portava addosso, ma non quelle che gli ardevano dentro.
Ruotò il ciondolo: Kitè vivo.
Il brivido della vita che rinasceva dentro di lui lo invase come un vento di primavera.
Ti troverò stronza. Nessuno può farmi bere del piscio e farla franca.
Ultima modifica di Eugene Fitzherbert il domenica 19 aprile 2020, 21:45, modificato 1 volta in totale.



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Eugene Fitzherbert
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Re: Kité

Messaggio#2 » domenica 19 aprile 2020, 19:55

Ed eccomi qua alla mia prima esperienza con lo spaghetti fantasy.
Ho attinto a piene mani dal folklore e dalla storia del mio paesino terronico, e ne ho inventato in parte la geografia:
Melegrugno è la versione spa/fa di Melendugno;
Collepazzo quella di Collepasso.
Scuoiatella esiste solo nella mia testa, e meno male.

Il Trimonio è un lesser demon, fondamentalmente innocuo e un po' idiota, più un animale da compagnia che un vero e proprio mostro, Però fa schifo. Ho messo dentro un po' di dialetto, solo per dare diverse voci ai personaggi: in così poco tempo e così poco spazio ho scelto la via più facile e meno elegante, ma sti cazzi.

Visto il fine del contest, ho cercato di mettere dentro cose che potrebbero essere inserite in eventuali partite: artefatti, armi, luoghi e soprattutto non ho completato l'avventura di Sparpagghia alla ricerca di Lady Necrosis, perché magari lo farà qualcun altro con i suoi amici...

Se ho fatto un casino, sti cazzi, perché almeno MI SONO DIVERTITO!

alexandra.fischer
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Re: Kité

Messaggio#3 » lunedì 20 aprile 2020, 20:01

KITE’ di Eugene Fitzherbert Mi piace la tua storia, è un fantasy d’azione pieno di elementi originali (dal demone produttore di birra e semi che fanno da stuzzichini con metodi…naturali) alla gestrice della taverna, una vampiressa che manda avanti un bordello di non morte. L’idea dell’amuleto Kitè, unico tesoro strappato al Bigatto dal Nostro Sparapagghia è davvero originale (ha le due facce Vita e Morte e da oggetto del contendere diventa l’arma che salva Sparapagghia da una brutta fine).Interessante l’uso dell’amuleto (che gli parla nella mente con lo stesso vernacolo dei personaggi)…ne volta la faccia mentre è appeso al collo dell’ostessa ladra (Sprecamuerti).

Attento a:
nella prima frase bigatto (Bigatto)

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lval21
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Re: Kité

Messaggio#4 » martedì 21 aprile 2020, 11:32

Talismani maledetti, necrofilia e risse da taverna! Di questo vero e proprio fantasy “di menare” ho apprezzato particolarmente l’atmosfera grandguignolesca: situazioni e personaggi sono tutti assolutamente sopra le righe, dalla matrona del necro-bordello al terrificante tridemone. L’amuleto del Kité è un’altra buona trovata e sarebbe a casa sua tra gli oggetti magici del prossimo gioco di ruolo. Bella prova, rigorosamente PG 18.

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Eugene Fitzherbert
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Re: Kité

Messaggio#5 » martedì 21 aprile 2020, 17:56

Ciao, Alexandra, grazie per il tuo commento, sempre molto preciso e centrato. Il dialetto è stato inserito visto l'evidente regionalità del progetto, e non poteva mancare un po' di sano vernacolo pugliese.

Ciao anche a te, Ival21. Il bollino VM18 non mi spaventa!
BTW, grazie per il commento e per i complimenti. Una cosa devo correggere al tuo commento: non si tratta di un TRIDEMONE ma di un TRIMONIO, crasi fra Trimon (o tr'mon) e Demonio. Il trimon (o tr'mon) in barese è letteralmente l'atto di autoerotismo maschile. In senso traslato, è l'equivalente del meneghino Pirla (grosso modo, le accezioni e le eccezioni sono tantissime). Quindi il Trimonio è un demone tr'mon, e spero che si evinca anche dal racconto...

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lval21
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Re: Kité

Messaggio#6 » martedì 21 aprile 2020, 18:48

Chiedo venia. Adesso che so il significato di “Trimonio” in barese, mi rendo conto che mai nome fu più appropriato!!

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Luca Nesler
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Re: Kité

Messaggio#7 » sabato 25 aprile 2020, 17:55

Ciao Eugene. Bravo. Sei molto consapevole del tuo lavoro scrittorio sotto ogni punto di vista e t'invidio molto. Anche stavolta hai centrato il bersaglio. Sebbene abbia trovato troppe stramaledette taverne in questa edition (ovvio, certo) la tua storia è ricca di trovate e spunti. I personaggi (specie il protagonista) è tridimensionale e la chiusa è soddisfacente anche se sospesa. Ho apprezzato l'ironia del gioco di parole del titolo (e amuleto), anche se, in un racconto normale spaccherebbe sospensione d'incredulità, ma qui ci sta bene. Mi piace come cerchi sempre di spingerti oltre la decenza. Ci riesci sempre bene.
Alla prossima!

Carondimonio
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Re: Kité

Messaggio#8 » domenica 26 aprile 2020, 9:07

Una storia molto originale, che scorre fluidamente grazie a una serie di sorprese che saltano fuori quasi ad ogni paragrafo; il dialetto simil barese contribuisce a delineare meglio i personaggi, che sono tutti molto originali e soprendenti.
Il racconto invece affronta bene delle tematiche horror molto spinte e disturbanti, insieme ad elementi farseschi che stemperano la tensione.
Un buon lavoro forse non è adatto a tutti (specialmente se cercate qualcosa di più leggero), ma che trasuda originalità da tutti i pori.

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daniele.mammana-torrisi
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Re: Kité

Messaggio#9 » domenica 26 aprile 2020, 13:19

Ciao, Eugene!

Che dirti, per cominciare? Con buona probabilità, questa è stata la mia storia preferita. Pur cogliendo il senso del genere spaghetti-fantasy, non posso dire che mi sia piaciuto fino ad ora, ma qui e in un'altra storia ho dovuto un po' ricredermi. Qui perché, anche con l'aroma di rozzo e scalcagnato che ci si aspetta, la storia ha un bel mix di pericolo e divertimento. Che ti sia divertito a scriverla, secondo me, ha aggiunto qualcosa alla narrazione stessa; non l'ho sentita pesante o spinta verso la conclusione, ma sciolta.
Filava, ecco, srotolando una trama che peraltro può proseguire. Il demone è onestamente schifoso, ma in un modo esilarante e va al tappeto come un sacco di patate, giustificando quello che il protagonista dice di lui. Madama Necrosys, la chiamerò così, rimane a piede libero e... è una villain interessante.
Delle sue losche trame, insomma, mi piacerebbe vedere di più. E per questo, i miei complimenti!

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