La Chiave

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo maggio sveleremo il tema deciso da Cristiano Demicheli. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Pretorian
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La Chiave

Messaggio#1 » domenica 17 maggio 2020, 17:31

La Chiave

Quarto tavolo a sinistra partendo dalla cassa. È occupato: un uomo sulla quarantina, con occhiali scuri, lunghi capelli neri e la barba di qualche giorno.
La descrizione corrisponde. L’ospite si siede davanti a lui.
- Buonasera.
Rover non risponde. La mano continua a tamburellare sul tavolo seguendo un ritmo sconosciuto.
- Mi chiamo Andrea.
Ancora nessuna risposta. Andrea alza la mano per attirare l’attenzione di un cameriere.
- Due birre, per favore – dice, osservando di sottecchi la reazione dell’uomo. – Una bionda fresca per me e una rossa al doppio malto per il mio amico.
Pochi minuti dopo, il cameriere lascia i bicchieri davanti a loro.
Rover prende la sua rossa e la butta giù d’un fiato. Si asciuga la bocca con la manica della giacca di pelle.
- Bevi.
- No, grazie: sono astemio.
- Se un uomo ordina due birre, ci si aspetta che ne beva almeno una. Ora bevi.
Il suo tono di voce è distaccato, ma perentorio. Andrea sospira e cerca di buttar giù a piccoli sorsi. Impiega almeno un paio di minuti per finirla e rischia di vomitare due o tre volte, ma riesce a vuotare il bicchiere.
Rover è tornato a battere il ritmo misterioso con la mano.
- Chi ti ha mandato da me?
- Patrizio – gli risponde Andrea. – Sono risalito a lui raccogliendo informazioni su dei forum online.
Sul volto mal rasato compare un sorriso. L’uomo ferma la stessa cameriera che ha portato le birre e si fa portare una ciotola di noccioline.
- Cosa ti ha detto di me quello stronzo?
- Mi ha detto che sei in grado di procurarmi quello che cerco, perché…
- Voglio le parole esatte. So che te le ricordi.
Andrea sospira.
- “Lo trovi nell’unico pub dell’Infernetto, quarto tavolo a sinistra partendo dalla cassa. Non puoi sbagliarti: uno spilungone con l’aspetto di uno che ha passato l’ultima settimana a dormire nel cesso di una stazione e con una giacca di pelle più sgualcita della coperta di un barbone.”
Rover si lascia scappare una risata mentre mastica, quasi strozzandosi.
- Sempre il solito. Però direi che ci ha preso – si ricompone e si stravacca maggiormente sulla sedia. – Ti ha parlato anche del mio compenso?
Andrea annuisce, poi si guarda attorno. Quando è sicuro che nessuno stia facendo caso a lui, estrae dalla giacca una busta di carta e la passa a Rover. L’uomo la afferra con gesto esperto, guarda dentro per qualche secondo, poi la fa sparire.
- Quindi… siamo a posto?
Rover prende un’altra manciata di noccioline. Annuisce.
- Prima, però, spiegami perché.
- Perché, cosa?
- Perché hai bisogno della Chiave.
Andrea incrocia le braccia e si irrigidisce sulla sedia.
- Saranno fatti miei, no? A te cosa interessa?
- Curiosità - risponde Rover, alzando le spalle. – È sempre interessante sapere perché la persona che ho davanti cerca la Chiave.
Andrea lo scruta in silenzio per qualche istante. La piega corrucciata sul suo volto si scioglie lentamente, fino a lasciare solo un sorriso obliquo, pieno di imbarazzo.
- Certo ispirazione.
Il sopracciglio di Rover si alza così tanto da salire oltre le grandi lenti degli occhiali.
- Sono un artista, ma sento di non avere più idee – si affretta ad aggiungere Andrea. – Online ho letto che tu sei in grado di fornire esperienze… fuori dal comune e ho pensato che fosse il modo migliore per riaccendere le mie idee.
- Ispirazione… - mormora Rover, per poi scuotere la testa – cazzo, è la prima volta che devo dare la Chiave a Baudelaire!
Batte una mano sul tavolo: quando la toglie Adrea vede una grossa chiave color ruggine, tutta piena di graffi e ammaccature.
- È lei?
Rover annuisce.
- Dove…
- Il magazzino dall’alto lato della strada. Secondo piano. La porta in fondo al corridoio a sinistra. Non puoi sbagliarti.
Andrea si alza, Rover no.
- Pensavo che mi avresti accompagnato.
- Sarò più vicino di quanto tu possa immaginare – gli risponde l’uomo, versandosi nel palmo della mano le ultime noccioline. – Ma è meglio che tu vada da solo.
Andrea annuisce e fa per andarsene. Rover lo afferra per un braccio.
- Due cose. Te le devi stampare in mente, ok?
La sua stretta è irruente, ma l’inquietudine nella sua voce strozza sul nascere la protesta di Andrea.
- Primo: non lasciare mai la strada. Mai! Qualunque cosa accada, non ti azzardare a mettere nemmeno un’unghia fuori. Capito?
- V-va bene.
- Bravo – la presa sul braccio si stringe. – Secondo: non cercare il senso. Non provarci nemmeno.
- Il senso di cosa?
- Lo capirai – gli risponde l’uomo, lasciandolo andare. – Lascia scorrere tutto senza chiederti il perché. Non farti troppe domande, o il cervello comincerà a colarti fuori dal naso. È già successo.
Andrea si immobilizza. Apre la bocca, come per dire qualcosa, ma Rover è già tornato a stravaccarsi sulla sedia.
- Cosa aspetti? Forza: va a cercare la tua ispirazione – gli dice, scacciandolo con la mano. – Non si accettano ripensamenti.

La porta è anonima. Non si distingue in nulla dalle altre che Andrea ha visto in quel corridoio, tranne per il colore rosso carmino. Guardando bene, il giovane si accorge che anche la serratura è diversa: quelle delle altre porte sono inserti sottili da due soldi, del tipo che il giovane ha visto negli alberghi di quart’ordine. Quella porta rossa, invece, ha una massiccia placca d’ottone, piena di arabeschi e zigrinature.
Andrea inserisce la chiava nella toppa e la gira. Il cigolio dei cardini riempie il silenzio del vecchio albergo abbandonato. La luce dei lampioni sulla strada non arriva oltre la soglia, così il giovane estrae il cellulare dalla tasca e punta la luce della torcia davanti a sé.
Vuoto. Un cubo di cemento senza finestre e senza nemmeno una sedia come mobilia.
- Ma che…? – Andrea strabuzza gli occhi, scruta la stanza per alcuni istanti ed entra. La lama di luce che porta con sé squarcia il buio solo, per rilevare altre pareti grigie.
- Mi ha fregato! – sbotta, calciando il muro. – Niente ripensamenti un corno: ora vado a dirgliene quattro!
Si volta. Una luce lo acceca. Allunga un braccio per non perdere l’equilibro, ma non trova nulla e cade a terra rovinosamente.
- Merda! – mastica imprecazioni mentre rotola su un fianco. Si mette a sedere e apre gli occhi.
Resta senza fiato.
Non c’è più il palazzo. Non c’è più l’Infernetto.
Sotto un cielo cremisi, un oceano (ma come fa a sapere che è un oceano?) agitato infrange le sue onde su una scogliera di pilastri calcarei. Due soli gemelli sorgono (o calano?) nelle acque, illuminando la costa fin dove lo sguardo del giovane riesce a vagare, fino a una citta di guglie e torri.
Solo la porta è rimasta, spalancava verso il nulla al centro della sua visuale. Dalla sua base, Andrea vede che parte una sorta di pista di sampietrini, che nulla sembrano avere a che fare con il panorama circostante. Lui è sdraiato giusto davanti, più o meno nella posizione che avrebbe dovuto avere nella stanza buia.
Si alza in piedi. Si guarda attorno. Da quel lato la porta sembra non portare da nessuna parte. Andrea osserva la linea di sampietrini scomparire oltre la soglia e viene colto da una vertigine. Si avvina timidamente e allunga la mano verso la porta. La sente solida e ruvida sotto le sue dita, così come i piedi nelle scarpe percepiscono la forma sconnessa dei sanpietrini.
Guardandosi indietro, vede il sentiero allungarsi oltre la scogliera calcarea e proseguire fin dietro una collina sormontata da una corona di alberi alti come sequoie, ma con lunghi viticci che calano dai rami fin quasi a terra.
- “Non lasciare mai la strada. Mai!” – mormora il giovane, massaggiandosi il volto glabro. – Beh, sembra che io non abbia molta scelta.
Comincia a camminare. La strada sale, si inerpica tra le colline che costeggiano la scogliera. Le osserva: sono tutte di forma bizzarra, quasi tondeggiante, sempre sormontate da una corona di albero-viticcio e con pilastri di basalto disposti in modo fin troppo regolare. In una curva del sentiero, si accorge che il colle alla sua sinistra ha un’apertura. Osservandone le ombre, percepisce un formicolio alla base del collo e prova l’impulso di entrare a vedere cosa ci sia all’interno. È un pensiero bizzarro, quasi estraneo al filo dei suoi ragionamenti e deve faticare non poco per scrollarselo di dosso. Si allontana, cercando di ignorare il suono che raggiunge le sue orecchie non appena la strada fa una nuova svolta.
Sembrerebbe un pianto, ma deve essere solo il vento che scorre tra gli alberi.
Prosegue il cammino. Si lascia alle spalle le colline di forma bizzarra e segue il sentiero che costeggia la scogliera. La strada in salita: arrivato in cima, il giovane ansima ed è costretto a fermarsi. Prende respiri profondi. L’odore di mare gli penetra nelle narici, forte come ad Ostia non l’ha mai sentito. Quando il rimbombo del cuore affaticato rallenta, Andrea si accorge anche del rumore della risacca, il cui eco risuona tra le falesie. Si volta: da quel punto la città che aveva visto in precedenza è nascosta, ma ha uno sguardo molto più ampio del mare sottostante. Fin dove riesce a posare lo sguardo, le onde si gonfiano nelle acque agitate, crescono fino a divenire cavalloni furibondi e si schiantano sulle scogliere. Può sentirne il rumore e può persino percepirne la lieve vibrazione nel terreno, ma non può vederlo: anche mettendosi al limite del sentiero e curvandosi fin quasi a perdere l’equilibrio, la base della falesia sfugge alla sua vista e riesce solo a vedere la spuma bianca dei cavalloni gonfiarsi nei metri che precedono le rocce.
È tentato. Stavolta è genuina curiosità, anzi, necessità di completezza estetica: la percezione che manchi un pezzo al quadro d’insieme lo urta in maniera quasi fisica. Le parole di Rover rimbombano nella sua testa, ma il rombo dei cavalloni picchia ai bordi della sua coscienza in maniera anche più assordante.
Sta quasi per mettere un piede fuori, quando il ribollire delle acque cresce d’intensità e un’ombra scura compare tra le onde. La superficie del mare sembra esplodere e qualcosa di immenso ne emerge.
Si innalza in altro, ben al di sopra della rupe da cui il giovane sta osservando, poi ripiomba in acqua, sollevando una violentissima ondata di schiuma. Pochi istanti e tutto torna prima, senza che rimanga una sola traccia che tutto ciò sia davvero avvenuto, tranne le gocce d’acqua salmastra sollevate dal vento.
Andrea ha visto la creatura solo per pochi secondi e la sua mente ne è stata così confusa da non riuscire ad averne un ricordo complessivo. Tutto ciò che riesce a ricavare è la vaga impressione di qualcosa di immenso, più grande della più grande delle balene e infinitamente più maestoso. Immagini frammentarie di occhi fin troppo coscienti e di grandi pinne rostrate galleggiano nella sua memoria, senza che lui sia davvero in grado di dire nemmeno se siano veri ricordi o solo illusioni nate dalla tensione.
Resta immobile per molti minuti ad osservare il mare, un po’ sperando che l’apparizione si ripresenti, un po’ temendone la ricomparsa. Le acque restano agitate e indifferenti, senza che nulla turbi nuovamente le loro correnti. Dopo un tempo indefinibile, Andrea riesce a recuperare sufficiente presenza di spirito da allontanarsi. Non sente più il bisogno di scoprire l’infrangersi delle onde sugli scogli.
Riprende il cammino.
I soli gemelli sono nella stessa posizione in cui li aveva visti in precedenza, anche se è sicuro che siano trascorse alcune ore. A parte il moto delle onde e l’ondeggiare dei viticci degli alberi, tutto il resto del paesaggio è immerso in una quiete quasi irreale. Andrea cerca di ricordare quello che ha letto online, le esperienze di chi ha usato la Chiave prima di lui, ma non trova niente di anche solo vagamente simile a ciò che sta vivendo.
- Scrivo una pagina bianca – dice, aspirando l’odore silvano proveniente dei boschi che lambiscono i bordi delle falesie. – Qualcosa che solo io posso raccontare…
La prospettiva lo eccita e lo spaventa in egual misura. Accelera il passo mentre immerge i suoi sensi nel mondo che lo circonda, aspirando ogni sensazione come una spugna.
Il sentiero curva verso l’interno e si incunea nella penombra di un bosco. L’odore di sottobosco e d’umidità si intensifica, mentre il rumore della risacca si fa via, via più flebile, sostituito da una miriade di suoni difficili da identificare.
La prima impressione è che quel bosco non sia poi tanto diverso dalle pinete di Ostia, ma è un pensiero che viene contraddetto ad ogni dettaglio che i suoi sensi scoprono. Come gli insetti bluastri che si arrampicano sugli alberi e suggono la linfa densa che cola dai tronchi. Ognuno di loro è grosso come un pollice ed hanno toraci tozzi e larghi: ogni volta che passa vicino a un loro gruppo, Andrea ha l’impressione che smettano di nutrirsi per fermarsi ad osservarlo, seguendolo con i grandi occhi compositi finché non si è allontanato. Anche i fiori che vede crescere nel sottobosco sarebbero alieni nella periferia romana: corolle di sei petali di colori diversi che circondano otto infiorescenze per stelo. Approfittando del fatto alcuni crescono ai bordi della pista di sampietrini, Andrea si inginocchia per annusarli: il vento (ma è davvero il vento?) li sospinge verso il suo volto, inondandolo di un aroma asprigno e sconosciuto. Il giovane cerca di definire la sensazione, di dargli un nome, ma non ci riesce. Come ogni cosa, quel profumo si estende appena al di fuori dalle sue conoscenze, sufficientemente vicino da non essere incomprensibile, ma sufficientemente lontano da non appartenere al suo mondo.
Un canto.
Andrea si alza in piedi e si guarda attorno. Non è il rumore prodotto dal vento, né il verso di uno degli uccelli con sei ali che vede planare da un ramo all’altro: è una voce quella che sente, modulata in lingua e toni sconosciuti.
- C’è nessuno? – dice, cercando di individuare l’origine della voce. – Chi è che canta?
Il tono di voce cambia, acquisisce una musicalità diversa, più lenta. Ascoltando bene, il giovane intuisce che proviene vagamente dall’interno della foresta e riprende il cammino.
Il sentiero segue la direzione giusta, eppure ad Andrea sembra di non avvicinarsi di un passo, come se il misterioso cantante lo precedesse passo dopo passo.
- Non scappare! – urla. – Resta con me!
Il sentiero curva: la voce la voce è alla sua sinistra.
- Fatti vedere, per favore. Voglio vederti!
Senza alcun preavviso, la voce si sposta alla sua destra.
- Le parole! – urla ancora, seguendola. – Devo capire cosa stai dicendo!
Un altro passaggio. Andrea sente la voce alle sue spalle, forte, come se stesse cantando aggrappata alla sua schiena.
Il giovane si gira di scatto, così bruscamente da prendere l’equilibrio.
La caduta lo intontisce per qualche secondo, si rimette in ginocchio a fatica.
C’è silenzio. La voce ha smesso di cantare e tutti i mille suoni del sottobosco si sono chetati d’improvviso. Il battito del suo cuore accelera, mentre il suo istinto gli segnala improvvisamente il suo essere solo e vulnerabile in un mondo sconosciuto.
È solo in quel momento che se ne rende conto: è ruzzolato fuori dal sentiero e le sue ginocchia affondano nel terreno. Si ritrae distinto, cercando di tornare indietro, ma non ci riesce. La fanghiglia nascosta appena sotto il manto erboso comincia a cedere e il suo corpo affonda.
- No!
Andrea allunga le braccia. Cerca con gli occhi qualcosa a cui aggrapparsi e individua un viticcio a portata di mano. Lo afferra e comincia a tirate, con tutta la forza di cui il suo corpo è capace. Il suo cuore batte come un tamburo impazzito. I suoi muscoli si gonfiano e dolgono per lo sforzo. Urla.
Per un istante, sente la sua discesa arrestarsi e regredire, poi ha la chiara percezione di qualcosa che si stringe sui piedi e comincia a strattonarlo verso il basso.
Andrea urla di nuovo, tira con tutte le sue forze, ma è inutile. Le ginocchia affondano sotto il manto erboso, mentre il terreno comincia ad agitarsi tutt’attorno a lui.
- Aiuto! – urla, mentre il viticcio si tira fino alla sua massima elasticità – Qualcuno mi aiuti!
Nessuno risponde. L’intera foresta sembra aver cessato di vivere, mentre la luce si spegne e il terreno si trasforma in una pozza di melma ribollente.
Le cosce sprofondano nel terreno, poi è la volta del bacino. Qualunque cosa sia a tirarlo giù si fa sempre più forte. Portando lo sguardo verso il basso, al giovane sembra di vedere il fango scuotersi al passaggio di qualcosa, mentre qualcosa che potrebbe essere un braccio o un tentacolo emerge dalla superficie per stringersi attorno al suo ventre e aggiungere ancora più pressione.
- Salvatemi!
Il viticcio si spezza con uno schiocco secco. Mentre Andrea affonda istantaneamente nel fango puzzolente, ha ancora la presenza di spirito per rendersi conto che se esso avesse resistito, sarebbero stati i suoi tendini a squarciarsi. Una magra consolazione mentre nuove disgustose appendici lo afferrano per il torace e per le spalle. L’ultimo urlo soffoca, mentre fango e sporcizia invadono la sua bocca, lasciando sulla lingua il sapore di putrescenza e di cose morte.
Il naso affonda subito dopo, poi è il turno degli occhi di perdere la loro luce. Solo il braccio sinistro resta fuori, mentre in più punti del suo corpo comincia a sentire il tocco di cose affilate.
Qualcuno afferra la sua mano e comincia a tirare verso l’alto. Le cose (o la cosa?) in agguato nel fango, lottano, tirano, ma non riescono a resistere. Andrea torna ad emergere nel dolore e nel pianto, come se fosse stato partorito una seconda volta. Privo di forze, cieco e quasi soffocato, crolla a terra, sputando fango e sangue.
- Ci sei ancora? Sei ancora tra i vivi? – Rover lo afferra sotto l’ascella e cerca di aiutarlo ad alzarsi. – Dai, non puoi creparmi adesso!
Andrea si agita, scivola, poi riesce a toccare qualcosa di solito. Fa forza sulle gambe tremanti per assumere una posizione quasi eretta e si pulisce il volto dal fango con la mano libera.
Respira e strabuzza gli occhi. Vede la luce di una lampadina appesa un filo rimbalzare su mattonelle grigiastre e sulla ceramica di un lavandino che ha conosciuto giorni migliori.
- Dove…
- Nel cesso del Cinghiale Allegro – gli fa Rover, sorreggendolo. – E ringrazia: se non era per me, a quest’ora staresti in un posto molto, molto peggiore.
Andrea appoggia entrambe le braccia su quella che scopre essere una delle pareti divisorie dei gabinetti. Il pavimento è ingombro di una quantità inverosimile di fango e lerciume vario.
- Che ti avevo detto, eh? Dovevi restare sul cazzo di sentiero, ma era così difficile? – sbotta Rover, passandogli della carta igienica. – Non hai idea di quello che avresti potuto vedere se fossi arrivato fino in fondo.
- C’erano due soli – mormora Andrea. – Un grande mare. Una foresta. Una voce che cantava…
- Lo so, lo so. So tutto.
- Ma perché? Cosa…
- Non chiedertelo – lo interrompe Rover. – Te l’avevo già detto, ricordi? Non farti domande su quello che è successo. Non reggeresti alle risposte.
Andrea scivola lentamente contro la parete, fino a finire seduto. Ha smesso di tremare: nel suo corpo non è rimasta energia nemmeno per quello.
- Tu lo sai, vero? – chiede, alzando gli occhi verso l’uomo in giacca di pelle. – Sai qual è il significato di tutto. Sai come funziona quella dannata chiave…
Rover fa spallucce. Da una tasca interna della giacca tira fuori un pacchetto di Malboro mezzo schiacciato. Picchietta fuori una sigaretta e se la mette in bocca, poi offre il pacchetto al giovane. Andrea lo guarda di sbieco, poi ne prende una e la infila a fatica in bocca.
- Certo che so tutto. Non farei questo mestiere se non sapessi esattamente la merce che offro – accende il tabacco con un’usa e getta, poi offre la fiammella ad Andrea. – La differenza, è che io sono in grado di resistere alla verità. Fidati, farei a cambio con te anche subito, se potessi.
Il giovane scorge per un istante gli occhi dell’uomo oltre gli onnipresenti occhiali scuri. Li vede spenti, circondati da occhiaie grigie e da rughe precoci. I due cominciano a fumare in silenzio, in mezzo al puzzo e al fango.
- Almeno ne è valsa la pena, Baudelaire? Ti è tornata l’ispirazione?
Il giovane muove lentamente la testa verso l’uomo davanti a lui.
- Si, penso di si – dice, mentre con gli occhi fissa il vuoto. – Forse mi è venuta un’idea.


di Agostino Langellotti
Ultima modifica di Pretorian il domenica 17 maggio 2020, 17:33, modificato 1 volta in totale.



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Re: La Chiave

Messaggio#2 » domenica 17 maggio 2020, 17:33

Dunque:

1) A differenza del lettore, Rover conosce il senso del mondo oltre la porta;

2) Parte del racconto è ambientato all'Infernetto, un quartiere periferico di Roma;

3) la descrizione di Rover fatta da Patrizio.

NazarenoMarzetti
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Re: La Chiave

Messaggio#3 » domenica 24 maggio 2020, 13:47

Ciao. Anche te qui?

Il racconto è meraviglioso e sognante, ma... il tema? A questo punto mi viene il dubbio che ho sbagliato io ad interpretarlo perché tu racconti un mondo meraviglioso da occhi normali e non quello che dovrebbe essere il contrario.

Sul racconto di per se non ho veramente nulla da dire. C'è tutto e in giuste dosi, da scrittore consumato quale sei. Complimentoni.

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Re: La Chiave

Messaggio#4 » martedì 26 maggio 2020, 20:30

La chiave di Agostino Langellotti
Ciao Ago! Non ci staremo incontrando un po’ troppo spesso, noi due? Alla fine mi toccherà invitarti a cena! XD
Il racconto è buono, anche se io non sono una grande estimatrice dei finali sospesi, non sono proprio contenta di non sapere cosa cacchio apra davvero quella chiave, no, a questo posso arrivarci, ma non posso arrivare al come. E mi sarebbe piaciuto, invece.
La descrizione del mondo oltre la tana del bianconiglio è davvero buona, anche se hai sovrabbondato con i possessivi, tanto per fare un esempio se dici “tese la mano e arcuò le sue dita” certo che sono le sue, mica può arcuare quelle di qualcun altro. O quando dici, “sua testa”, “sua coscienza”: insomma c’è solo lui li!
L’ambientazione italiana è tirata per i capelli, nel senso che l’ambientazione non c’è. È tutto dentro il bar, nel suo gabinetto e nella tana del bianconiglio. Gli unici riferimenti all’Italia li fa il narratore, dicendo che quel vento è simile al vento di Ostia, o giù di lì. Anche quando descrive petali con sei corolle e non so quanti colori, dicendo che Andrea non li aveva mai visti ad Ostia, pare tu l’abbia messo lì per poter fare un paragone. Nel senso, in nessun posto può aver visto fiori a sei corolle.
Detto questo, i dialoghi buoni, caratterizzano alla perfezione i personaggi, anche la narrazione è buona, ti trascina. In conclusione un buon lavoro.
Polly

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Re: La Chiave

Messaggio#5 » mercoledì 27 maggio 2020, 22:30

NazarenoMarzetti ha scritto:Ciao. Anche te qui?

Il racconto è meraviglioso e sognante, ma... il tema? A questo punto mi viene il dubbio che ho sbagliato io ad interpretarlo perché tu racconti un mondo meraviglioso da occhi normali e non quello che dovrebbe essere il contrario.

Sul racconto di per se non ho veramente nulla da dire. C'è tutto e in giuste dosi, da scrittore consumato quale sei. Complimentoni.


Ciao, Naz. Guarda, l'idea era di un mondo fantastico che si compenetrasse con quello reale. Poi, ammetto di non essermi posto più di tanto il dubbio: il tema era complesso e, se hai notato, anche nei miei commenti ho preferito non valutare questo elemento.

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Pretorian
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Re: La Chiave

Messaggio#6 » mercoledì 27 maggio 2020, 22:40

Polly Russell ha scritto:La chiave di Agostino Langellotti
Ciao Ago! Non ci staremo incontrando un po’ troppo spesso, noi due? Alla fine mi toccherà invitarti a cena! XD
Il racconto è buono, anche se io non sono una grande estimatrice dei finali sospesi, non sono proprio contenta di non sapere cosa cacchio apra davvero quella chiave, no, a questo posso arrivarci, ma non posso arrivare al come. E mi sarebbe piaciuto, invece.
La descrizione del mondo oltre la tana del bianconiglio è davvero buona, anche se hai sovrabbondato con i possessivi, tanto per fare un esempio se dici “tese la mano e arcuò le sue dita” certo che sono le sue, mica può arcuare quelle di qualcun altro. O quando dici, “sua testa”, “sua coscienza”: insomma c’è solo lui li!
L’ambientazione italiana è tirata per i capelli, nel senso che l’ambientazione non c’è. È tutto dentro il bar, nel suo gabinetto e nella tana del bianconiglio. Gli unici riferimenti all’Italia li fa il narratore, dicendo che quel vento è simile al vento di Ostia, o giù di lì. Anche quando descrive petali con sei corolle e non so quanti colori, dicendo che Andrea non li aveva mai visti ad Ostia, pare tu l’abbia messo lì per poter fare un paragone. Nel senso, in nessun posto può aver visto fiori a sei corolle.
Detto questo, i dialoghi buoni, caratterizzano alla perfezione i personaggi, anche la narrazione è buona, ti trascina. In conclusione un buon lavoro.


Per la cena sono sempre favorevole ;-)
Guarda, ammetto il mio fallo: avrei potuto descrivere maggiormente Ostia. Diciamo che, da un lato, i caratteri non mi permettevano molta libertà- Dall'altro... beh, ho ambientato tutto all'Infernetto perché ci sono stato per due anni, ma il posto non offre molti margini di manovra (leggi: è il nulla in forma urbanizzato).

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