Colpa della luna

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo maggio sveleremo il tema deciso da Cristiano Demicheli. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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el_tom
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Colpa della luna

Messaggio#1 » domenica 17 maggio 2020, 17:59

COLPA DELLA LUNA

Isacco si svegliò lentamente.
Il sole penetrava debolmente le fronde della betulla sotto cui si trovava.
Alzò il capo e un mal di testa lancinante lo costrinse a richiudere gli occhi ed afferrarsi la testa.
In bocca sentiva un saporaccio, gli pareva di avere sabbia e sassi, sputò dei grumi rossi che sembravano carne cruda.
Aveva sete, tanta sete, come se non avesse bevuto un bicchiere d’acqua da giorni.
Si sforzò di aprire gli occhi e si guardò attorno, sgomento si rese conto di non sapere dov’era, non trovava nessun punto di riferimento scrutando l’ambiente.
Non sapeva nemmeno che giorno era né che ore fossero, fece per prendere il cellulare in tasca e vide che i suoi vestiti erano laceri, le tasche dei jeans strappate, del telefono nessuna traccia e nemmeno delle scarpe, i piedi erano incrostati di fango.
La t-shirt era sporca di terra, erba e chissà cos’altro, una scia rossiccia partiva dalla base del collo ed arrivava all’altezza dell’ombelico. Piccoli cardi, foglioline, sterpaglia di vario genere si era impigliata qui e la. Quando l’aveva acquistata, quella maglietta era bianca ma ormai quel colore era solo un ricordo.
Si costrinse ad alzarsi in piedi, il mal di testa colpì duro e si riportò le mani alla fronte, quando le allontanò vide che anche le sue mani erano in pessime condizioni, tagli ed escoriazioni non si contavano, le dita erano gonfie.
Gridò sperando che ci fosse qualcuno che potesse sentirlo e soccorrerlo, non udì risposta ai suoi richiami, nessuno lo avrebbe aiutato.
Doveva andarsene da li.
“Dove vado adesso?” si disse a voce alta.
Presto il sole avrebbe cominciato a scaldare il giorno.
Gli sembrò di udire un rumore d’acqua, sperò con tutte le sue forze di aver sentito bene.
Si mosse in direzione di quel suono assecondando i suoi bisogni e le sue speranze, gli sembrava di camminare sui vetri, gli facevano male le gambe e la schiena, come se lo avessero preso a calci.
Mano a mano che procedeva il rumore di acqua che scorre si fece più forte, le speranze si fecero certezze, un fiume.
Isacco sorrise, corse maldestramente quanto le sue membra doloranti gli permettevano e si precipitò sull’argine, immerse la testa nell’acqua gelida poi bevve avidamente.
Gli venne in mente un vecchio western con Giuliano Gemma: “Non c’è niente di meglio dell’acqua quando si ha sete”.
Sollevò la testa, l’acqua scese sul corpo, Isacco rise rumorosamente, rise come un folle.
Si lavò le mani ed i piedi e si sentì meglio, guardò come era ridotto, ruppe gli indugi e si tuffo nel fiume.
Le gelide acque diedero al suo corpo e alla sua volontà la sferzata finale, ora era lucido e pronto a cercare la sua strada.
Riemerse e, quando volse lo sguardo verso la riva, individuò una delle sue scarpe impigliata in un cespuglio.
Isacco sorrise e la prese in mano, la osservò ed il sorriso sul suo voltò svanì, la punta della calzatura era squarciata, sembrava quasi fosse esplosa dall’interno.
Un lampo gli attraversò la mente, frammento della notte precedente, una corsa sfrenata tra alberi, cespugli e rovi, lui che ansimava mentre correva nel buio, no, non era così buio e lui non ansimava, ringhiava, si, ringhiava.
“Cosa mi è successo?” si chiese sconsolato.
Indossò quel che restava della sua nike, era comunque meglio che camminare scalzo.
Proseguì seguendo il fiume mantenendo la direzione che aveva preso all’inizio, se aveva trovato li la scarpa voleva dire che era arrivato da quella parte.
La sua intuizione fu confermata poco dopo, il fiume voltava a destra e formava un ansa, sulla riva ripida e fangosa c’era l’altra sua scarpa che spuntava dal pantano, intorno delle impronte, le sue.
Non voleva sporcarsi nuovamente di fango ma le alternative erano poche, affrontare la fitta vegetazione nella parte più in alto sulla riva, senza una scarpa, o recuperare la calzatura e, inevitabilmente, insozzarsi.
Tolse la scarpa e fece il risvolto ai pantaloni prima di fronteggiare la melma.
Con il primo passo affondò fino oltre la caviglia producendo un rumore di liquame.
Isacco non si scompose, era un pescatore, aveva avuto a che fare con fango, melma, alghe e putridumi vari un’infinità di volte, sia sui fiumi che in mare, continuò imperterrito il suo cammino.
Esaminò la scarpa appena recuperata, anche questa era squarciata sulla punta, il fango era penetrato all’interno e ora ne usciva a grumi.
Sollevò gli occhi al cielo sospirando, quel gesto di sfogo gli fu utile, infatti vide il drappo rosso, la bandiera che veniva issata su un lungo palo e che sanciva l’inizio della festa paesana di S. Michele sul Carso, ora sapeva dov’era, doveva ancora chiarire come fosse arrivato li e perché.
Riprese il cammino, lo sciaguattare dei suoi passi nel fango gli stimolò la memoria, un altro flash, luci e ombre, un fuoco e dei volti deformati dall’incostante luce tremolante della fiamma, risate, no, urla, urla di terrore, una folla di voci che gridavano, forse il suo nome.
Voleva tornare a casa, doveva tornare a casa, scoprire cos’aveva fatto.
Una brutta sensazione lo avvolse come l’insopportabile calura d’estate, qualunque cosa fosse successa era sicuro che non era niente di buono.
Uscì dalla fanghiglia, si lavò i piedi e la scarpa dal pantano e si inoltrò nella boscaglia carsica, ora che sapeva dove si trovava aveva anche idea di quanto tempo sarebbe stato necessario per arrivare a casa, aveva di fronte almeno tre ore di cammino, forse quattro, dipendeva da quanto dritto sarebbe riuscito a tagliare da quell’ansa dell’Isonzo fino alla strada di Sdraussina.
Pensava che avrebbe avuto più difficoltà nell’avanzare invece non incontrò molta resistenza da parte della vegetazione, era come se qualcuno poco prima di lui avesse tracciato un sentiero, guardò meglio, trovò un pezzo di tessuto bianco che pendeva dal ramo di un cespuglio, apparteneva alla sua maglia, allora era passato di li la notte scorsa.
Alcuni minuti dopo vide una specie di bozzo lucido a terra.
“Che razza di bestiaccia è mai quella?” chiese a se stesso.
Avanzò cauto, gli mancava solo di essere morso da uno scarafaggio mutante radioattivo per completare la sua serie di sfortune.
Quando si fu avvicinato invece ne rimase positivamente sorpreso, un portafogli, il suo portafogli.
“Che culo, quando arrivo sulla strada posso anche fermarmi a bere una birra dal Sandro” e scoppiò in una risata amara.
La boscaglia lo proteggeva dalla luce diretta del sole, si stava proprio bene li, sarebbe stata una bella passeggiata se non fosse che i suoi vestiti erano ridotti a degli stracci, aveva le scarpe sfondate ed erano poche le parti del corpo che non gli dolevano, era certo che fosse solo una questione di tempo prima che anche quelle reclamassero la loro parte di attenzioni.
Mentre camminava i suoi pensieri vagavano, pensò al mese scorso, quando lui e suo padre erano usciti per una pesca notturna ed erano tornati a casa con una trota da tre kili, che mangiata avevano fatto il giorno dopo, lui sua moglie e i suoi genitori.
Ritornò con la mente a tutti i sabati mattina in cui si era svegliato alle quattro del mattino per andare a corbole, un badile, un secchio e i gabbiani che sembravano ridere dei suoi sforzi. Ma quando al mare offriva quelle stesse corbole e quello in cambio gli dava branzini, era Isacco a ridersela di gusto.
Ricordò quando, davanti all’osteria di Bepi Meo, una zingara gli aveva chiesto di regalarli dei cefali. Li aveva portato per scambiarli con l’oste, come faceva molto spesso, e quindi aveva rifiutato, in malo modo. La zingara allora si era infuriata e gli aveva gridato il suo sdegno, lo aveva insultato e, dopo aver recitato una bizzarra litania, aveva sputato per terra, cosa gli aveva detto?
“Tu ora maledetto stupido uomo”
Quel pensiero lo fece bloccare.
La zingara lo aveva maledetto.
Un altro flash, una scarica di ricordi, vide la luna della notte prima, luna piena.
Isacco si sentì male, ebbe un capogiro e si accasciò a terra.
La luna piena, la maledizione, le grida, il fuoco, quei volti da incubo, la maledizione, la luna piena, fiaccole, la corsa nel bosco, carne, sangue, urla, ululati, le scarpe sfondate, la luna piena.
I pensieri vorticavano nella sua mente, gli davano le vertigini. Gli venne la nausea, lo stomaco ebbe un sussulto e si strinse. Isacco, in ginocchio, si piegò in avanti e vomitò: carne immersa in un liquido rosso, carne e sangue.
Alzò gli occhi al cielo e gridò “Cosa sono? Cosa cazzo sono diventato?”
Cos’era successo quella notte? Cos’aveva fatto?
Una risposta gli balenò in mente ma non gli piaceva e si rifiutò di crederci.
Si mise a piangere.
Pianse e singhiozzò, a lungo.
Si svuotò dalla disperazione che lo attanagliava, si sfogò.
Raggiunta la calma, si rassegnò ad affrontare la realtà.
“Sono maledetto, sono un licantropo”
Cercò di ricordare qualcosa di più della notte precedente, da dov’era fuggito? Chi era quello che aveva appena vomitato?
L’artiglio gelido del terrore lo stritolò, era sua moglie?
Chi aveva divorato? Il solo pensarlo lo fece ripiombare nella disperazione, no, non lei, non poteva essere lei.
Chi allora? Qualunque fosse la risposta, non faceva differenza in fondo, Isacco viveva un incubo da sveglio, era un mostro, un mostro mangia uomini selvaggio e violento, una bestia indomabile che né lui né nessun altro avrebbe potuto controllare.
Cosa poteva fare?
Respirò a fondo, non voleva farsi dominare dal panico di nuovo.
Cercò di ragionare.
I licantropi si trasformano con la luna piena, avrebbe potuto farsi rinchiudere o legare da qualche parte, avrebbe chiesto a suo padre, lo avrebbe aiutato sicuramente, insieme avrebbero potuto far si che lui evitasse di seminare morte e disperazione.
Sempre se gli avessero creduto, avrebbero potuto credere che fosse uno scherzo o peggio, che fosse pazzo e forse sarebbe stato un bene, almeno fino alla prossima luna piena.
Come aveva potuto essere così stupido e sfortunato, avrebbe dovuto dare un paio di cefali a quella zingara e non sarebbe successo nulla.
Ora invece era maledetto, aveva ucciso ed aveva condannato anche la sua famiglia alla sofferenza.
Come avrebbero reagito i suoi genitori?Avevano già perso una figlia quand’era ancora piccola, ora avrebbero perso anche lui.
Quanto avrebbe sofferto sua moglie? lui non era un uomo cattivo ma sicuramente neanche un marito perfetto, gli piaceva andare a pescare e divertirsi, a volte esagerava con il bere ma sicuramente non era niente di grave rispetto a quello che gli era successo ora.
Respirò a fondo e si alzò in piedi, restare li, in mezzo al bosco non avrebbe risolto il problema, doveva andare ed assumersi le sue responsabilità, doveva farlo per proteggere i suoi cari ed i suoi amici.
Riprese il cammino deciso, lo sfogo, la presa di coscienza e la rassegnazione avevano portato pace nel suo spirito dilaniato dall’orrore e dal rimorso.
Camminava tenendo un ritmo sostenuto, respirando profondamente e godendo di ogni passo, era deciso a fare qualsiasi cosa fosse necessaria.
C’era qualcosa di sbagliato nei rumori del bosco, sentiva l’Isonzo in lontananza, il frusciare degli alberi nel vento, gli uccelli che cantavano e in fondo un ronzio intermittente e regolare, troppo regolare per essere un insetto.
Avanzò cercando di capire da dove provenisse quel suono, il volume aumentava ad ogni passo, stava andando dalla parte giusta.
Intuì un movimento alla base di un albero, capì subito cos’era e vi si precipitò, il suo cellulare stava vibrando, qualcuno lo stava chiamando. Afferrò l’oggetto, guardò il display e vi lesse sopra “Paola” poi la vibrazione s’interruppe e comparì la famigliare scritta Samsung, la batteria era finita e il cellulare si era spento.
Paola, sua moglie, lo stava chiamando, lei era viva, era viva e lo stava cercando, era preoccupata per lui.
Sorrise sollevato e riprese il cammino.
Si sentiva decisamente più leggero, certo gli dispiaceva per chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarlo la notte scorsa mentre era trasformato in uomo lupo ma non era sua moglie e gli sembrava una notizia meravigliosa.
Ormai non doveva mancare molto alla strada, ancora qualche sforzo ed avrebbe scoperto cos’era successo la notte precedente.
La consapevolezza data dalla recente scoperta lo aveva confortato e rinvigorito. Aumentò il passo, il sentiero era agevole e, nonostante i vari acciacchi, riusciva a camminare senza troppi dolori.
Cominciò a sentire i rumori del traffico, della cosiddetta civiltà, la strada era vicina.
Gli parve di sentire anche altro, come un lamento prolungato, si fermò e tese le orecchie, non era un lamento ma un nome, il suo, stavano gridando il suo nome, lo stavano cercando.
Si mise a gridare “Ehi, sono qui, sono qui!” mentre si muoveva verso la fonte del richiamo.
Uscì dalla boscaglia e si trovò in uno spiazzo, come ne emerse vide molti suoi amici, un fuoco da campo, delle tende, stavano campeggiando, lui era con loro la sera prima ma se lo era completamente dimenticato.
Anche loro lo videro e cominciarono a ridere.
“Oh eccolo qui il selvaggio, ti tocca bella ragazzo”
gli disse Mauro sorridendo.
Isacco ignorò le risate e le parole, si precipitò in mezzo al gruppo e abbracciò tutti i presenti, uno per uno.
“State tutti bene? Chi manca? Chi è lo sfortunato?”
Il gruppo rise ancora più intensamente dopo aver sentito quelle parole.
“Tu mancavi ,Tarzan!Hai trovato Cheeta nel bosco?”
Gli rispose Luca sghignazzando e sollevando una nuova ondata di ilarità.
Il gruppetto si zittì di colpo togliendo gli occhi dall’amico ritrovato e fissando qualcosa alle sue spalle.
Isacco sentì qualcuno picchiettargli su una spalla, si voltò, di fronte a lui trovò sua moglie.
“Paola, amore mio” proferì mentre gli occhi gli si allagavano dalla gioia.
Un ceffone improvviso gli fece voltare la testa.
“Amore mio un cazzo! Disgraziato! Guarda in che condizioni ti sei ridotto!” gli gridò in faccia la sua dolce metà.
“M-ma Paola, la luna, la besti…”
Un altro schiaffo lo interruppe brutalmente.
“Ma che luna, ma che bestia, te la do io la bestia!La scimmia che hai sulle spalle, ubriacone!Guardati, hai distrutto le scarpe, i pantaloni e la maglia, puzzi di carogna, sei pieno di graffi, sembra ti sia cresciuto il muschio sulla testa, ma dove stracazzo eri finito? Nel depuratore di Poggio?
Vedi li che striscia hai sulla panza, guarda che condizioni, disgraziato, criminale, farabutto!” inveiva la consorte ritmando il discorso a suon di sberloni e pugni.
“E’ sangue! Mi sono trasformato!Sono un licantropo!Una zingara mi ha maledetto perché non le ho regalato i cefali!”
I campeggiatori scoppiarono a ridere.
Mauro intervenne “Non è sangue, è cabernet!Avevi una mina furibonda ieri sera, ad un certo punto ti sei sfondato le scarpe con il coltello perché avevi caldo nei piedi e volevi una presa d’aria, hai deciso che dovevi trovare il tuo animale guida sul carso, sei corso via e non siamo riusciti a prenderti, ti sentivamo ululare nel bosco ma non siamo riusciti a trovarti, anche noi non eravamo proprio lucidissimi”
“M-ma, e la carne che ho vomitato?” chiese timidamente Isacco, mentre il dubbio si faceva strada prepotente nella sua mente.
“Abbiamo fatto la griglia con le bore, come ogni volta” gli rispose evidentemente divertito Stefano.
“E poi mi hai chiamata alle tre di mattina, in lacrime, che tu ti sentivi stretto nella vita che facevi, che dovevi tornare alla natura, che dovevo capirti” riprese Paola, mentre riprendeva anche a picchiarlo con pugni e calci questa volta.
“Quindi non sono un uomo lupo? Non ho ucciso nessuno?” domandò innocentemente Isacco.
“Si che hai ucciso qualcuno” gli rispose rabbiosa la moglie “La tua dignità! Coglione che non sei altro! Ma guarda li, hai quarant’anni, vai a fare una notte sul fiume con gli amici e ti devasti come i ragazzini e cosa vieni a raccontarmi poi? Sono un licantropo! Ti ho sposato che eri bello, sempre in ordine, lo sguardo vispo dei tuoi occhi azzurri, eri magro… adesso sembri una vescica, sei tutto sporco, guardati li. Cammina disgraziato! Vai! Pedalare!” e incitava il marito a calci nel sedere“Vai che a casa facciamo i conti per bene”
I campeggiatori, che avevano assistito al dramma familiare, se la ridevano di gusto.
Isacco fu colto da un atroce dubbio, pensò che forse sarebbe stato meglio essere un mostro indomabile, una selvaggia forza della natura piuttosto che aver a che fare con sua moglie, un’ancora più terribile e temibile furia scatenata.


Tom
Ultima modifica di el_tom il domenica 17 maggio 2020, 18:03, modificato 1 volta in totale.


La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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el_tom
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Re: Colpa della luna

Messaggio#2 » domenica 17 maggio 2020, 18:02

Bonus
Ambientato in Italia: zone carsiche isontine tra S.Michele e Sagrado.
Isacco viene descritto dalla moglie.
I personaggi non sanno dov'era finito Isacco e il lettore si.

Tema: racconto tratto da una storia vera
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

alexandra.fischer
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Re: Colpa della luna

Messaggio#3 » martedì 19 maggio 2020, 10:19

COLPA DELLA LUNA Di El Tom Isacco è lo sfortunato protagonista di una notte brava, dove perde una scarpa, il portafogli e il cellulare. Si ritiene maledetto da una zingara per averle negato dei cefali, si vede maledetto e trasformato in licantropo, ma il tutto è dovuto a una bevuta di troppo a base di vino. Il gioco degli spunti horror evocati, a partire dall’atmosfera del bosco e dalla ripresa di coscienza di Isacco, in apparenza vittima di chissà quale entità demoniaca (e poi terrorizzato dal suo stesso portafogli preso per uno…scarafaggio radioattivo) è interessante. Specifiche rispettate in pieno (vedi il riferimento alla festa patronale di San Michele sul Carso). La forma, però, è da aggiustare parecchio.


Attento a

qui e la (qui e là)
da li (da lì)
«Dove vado adesso?» (riscriverei, per evitare la ripetizione: «E adesso? Che strada scelgo?»
era passato di li (era passato di lì)
si stava proprio bene li (si stava proprio bene lì)
trota da tre kili (trota da tre chili)
una zingara di regalarli (regalarle)
Li aveva portato (li aveva portati)
ti tocca bella ragazzo (ti tocca bella, ragazzo)
Si che hai ucciso qualcuno (Sì, che hai ucciso qualcuno)
Ma guarda li (Ma guarda lì)
guardati li (guardati lì)
un’ancora (un ancora)

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Pretorian
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Re: Colpa della luna

Messaggio#4 » domenica 24 maggio 2020, 13:30

Ciao El-Tom e piacere di leggerti.
Negli scorsi mesi ho letto parecchi tuoi racconti e devo dire di averli sempre apprezzati, quale di più quale di meno, ma questo non sembra nemmeno scritto dalla tua mano. Da dove cominciare? Dalla sintassi, con virgole mancanti (una marea, soprattutto all'inizio), punti al posto di virgole e viceversa? Dalla narrazione lenta e pesantissima, con interi periodi che non aggiungono nulla alla storia e operano come un costante infodump? Dalle parti in cui Isacco parla da solo, che non esprimono nulla che non fosse già implicito dalle sue azioni?
Il plot twist finale, poi, funziona pochissimo: insomma, nel corso del racconto vediamo il protagonista ricordare benissimo molte cose della sua vita passata, utili o meno (dalla maledizione della zingara alla citazione di Giuliano Gemma, passando per la birra da Sandro e il suo lavoro da pescatore): possibile che si sia dimenticato proprio quello che è avvenuto la sera prima? E che il vuoto di memoria sia così pesante da farlo addirittura pensare alla licantropia (se siamo in un mondo normale, non dovrebbe essere questo il suo primo pensiero, troppo irreale)? Avresti potuto cavartela aggiungendo qualcosa del tipo "quel buontempone di Graziano ti ha messo il Roipnol nel vino", che ti avrebbe portato più vicino a "Una notte da leoni", ma così non ha senso. La sfuriata finale della moglie, con annessi calci in culo, è il colpo di grazia: lo so che il tuo intento era quello di essere umoristico, ma il tutto sembra preso di peso da una commediola italiana anni 70 (potevo immaginarmi il sonoro dei calci come quelli che si prendevano Bombolino e Venticello nei film di Er Monnezza).
Non ci siamo, Tom.

Alla prossima!

cristiano.saccoccia
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Re: Colpa della luna

Messaggio#5 » martedì 26 maggio 2020, 1:20

Ciao tom!

Mannaggia però, ti ho letto altre volte e mi hai sorpreso sempre.
Qui mi hai deluso abbastanza (ma ti voglio bene uguale), hai cannato diversi errori di sintassi e palesato poca cura nel dosare la punteggiatura.
Il racconto non mi è arrivato per niente, forse non eri davvero nel tuo habitat naturale e ti sei sentito spaesato e ciò si vede un po' in tutto il testo, a volte confusionario a volte carente di una vera "anima".
Peccato perché so che sai fare di meglio e ti invito rimodellare il racconto in futuro perché le idee non sono malvage.

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daniele.mammana-torrisi
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Re: Colpa della luna

Messaggio#6 » martedì 26 maggio 2020, 19:13

Ciao, Tom!

Allora... mi trovo un po' in difficoltà. Da un lato, lo voglio premettere, la vicenda per come si conclude è divertente. Come si è detto sopra, ha un senso da comica o da "Una notte da leoni" in zona isontina. E averla ambientata proprio in quelle aree boschive è molto carino.
Ma, ecco, la conclusione non vale il resto della storia. Ci sta l'elemento del normale visto come assurdo, per le condizioni in cui si trova, ma è tutto lì. Una volta arrivati al finale, la soluzione è mondana. Se scambi "sono diventato un licantropo" con "potrei aver investito qualcuno", la storia è funzionalmente la stessa.
Il che è un peccato. L'idea non è malvagia, anzi! Ha il suo spirito e penso che rivista e curata un po', sarebbe una bella storia con un finale divertente. Proprio lui, il finale, è la cosa migliore perché, pur svuotando tutto il resto con spiegazioni che portano il tutto nella normalità, è divertente.
Un po' fantozziano, ma fa sorridere. Però la stesura andrebbe rivista, con in essere la domanda "questo mi serve dirlo?" e usando qualche cura con la punteggiatura.

Alla prossima! ^^

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el_tom
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Re: Colpa della luna

Messaggio#7 » martedì 26 maggio 2020, 19:44

Eccoci qua, che dire, intanto grazie, le vostre critiche mi servono molto, mi pare più che evidente :-)
Un paio di spiegazioni dai.
Ho cercato di uscire un po', non troppo, da una sorta di comfort zone, un tentativo maldestro ma che reputo utile per capire come muovermi e siete voi che mi avete fatto capire un paio di cosette quindi ancora grazie.
La storia, per quanto per certi versi assurda, seguendo il tema, è in gran parte vera, certo ci ho ricamato sopra un po', il vero Isacco non è sposato... :-) ma é un personaggione che se ci scrivi un racconto sopra nessuno ci crede :-) una volta è sparito per i campi (ubriaco) alle 3 di mattina perché voleva farsi una frittata di asparagi selvatici, lo abbiamo trovato alle 7 che dormiva in un fosso.
Detto ciò mi prendo tutte le critiche e ne faccio tesoro ringraziandovi ancora.
Vi invito anche da qui, se avete tempo e voglia, a dare un paio di colpi di mazza anche a "di giorno leoni, di notte..." prima stesura non corretta (metto un po' le mani avanti dai) mi farebbe piacere, a mi servirebbe anche sinceramente.
Alla prossima :-)
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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Davide Di Tullio
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Re: Colpa della luna

Messaggio#8 » martedì 26 maggio 2020, 22:28

Ciao Tom, rieccoci qui a sfidarci ancora a singolar tenzone, tipo Highlander :-D
Ammetto di aver letto racconti più meditati da parte tua. Debbo riconoscere che questo non è tra i tuoi più riusciti. L´Incipit era partito bene, ma credo che ti sia un po' perso in certe digressioni e raccontati che appesantiscono la lettura. L´idea centrale non mi dispiace. Il grande fraintendimento. Uno stereotipo della narrativa horror trasformato in una farsa da commedia. L´ho trovata una bella intuizione, ma la resa forse è rimasta un po' a metà del guado. Secondo me snellendo di molto il plot e scegliendo un PDV coerente, oltre che costruendo meglio i dialoghi finali, potresti recuperarlo dandogli una forma definitiva e apprezzabile.
Ovviamente a ri-sfidarci!

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