Vestigia

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo maggio sveleremo il tema deciso da Cristiano Demicheli. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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daniele.mammana-torrisi
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Vestigia

Messaggio#1 » domenica 17 maggio 2020, 19:41

Vestigia

Una scia di barlumi purpurei illumina l’orizzonte della merlatura. Grida e avvertimenti si alzano alla rinfusa dalle spalle dei mezzi corazzati. Rimbalzano da una posizione all’altra dell’accerchiamento, si mischiano a mezz’aria, sono sovrastati dagli ordini e dalle prime scariche di controbatteria.
In quella confusione, un paio di mani guantate la spingono in basso, dietro lo scafo del suo incrociatore personale. Gesti sbrigativi, mossi da quella ruvida lealtà che i fantaccini hanno per lei. La vita di uno, cento o diecimila jungherii è sacrificabile. La sua, invece, no.
Sul corpo di guardia si abbattono il pesante tiro delle mitragliatrici magnetiche a nastro e le raffiche delle fucilerie. Un lamento di leghe in moto squarcia l’aria, accompagnando lo svirgolare in posizione di uno scorpione a rotaia. Rintona un forte tonfo dal basso verso l’alto e la spinta degli jungherii che la tengono accovacciata si rafforza.
«In via!» urla un decurione. Esplode una breve raffica, poi si ripara dietro l’arrugginita carcassa di un’automobile. «Giù!»
Accanto a lui sfreccia Fen, basso e curvo. Una selva di colpi gli taglia la strada, strappando pezzi d’asfalto, e una mezza dozzina di fantaccini cadono a terra, rantolando in mezzo al loro sangue. Lui li scavalca e la raggiunge.
La cannonata decolla con un grido supersonico, irrorando di blu il lungo della via maestra. L’arco di plasma illumina la strada, sprizzando una folata soffocante ai lati. Lungo i parapetti del corpo di guardia si accende, accecante e alto, un geyser di fiammata azzurra. Detriti e schegge piovono in basso come tanti grandi chicchi di grandine.
Il vento disperde le fiamme residue, scivolando in mezzo ad un momento di ritrovato silenzio. Tornata in piedi, Augustyne corruccia la fronte. Il bossolo espulso dall’obice dell’incrociatore rotola via, sfumando in mezzo alla pioggia.
«Cessate il fuoco!» ordina Fen. L’altro fronte, forse ancora ammutolito dalla cannonata, non sta più sparando. Il colpo ha dato loro una lezione? C’è da sperarlo. Prima finiscono quella storia e meglio sarà per tutti. Una regnante dovrebbe capire quando è sconfitta.
«Questo è il mio ultimo avvertimento.» Augustyne stringe gli occhi pizzicati dal fumo. Picchietta con la sinistra sullo scafo dell’incrociatore antigravità, allontana l’amplificatore vocale dalle labbra e soffoca un colpo di tosse. «Arrendetevi, Dama Kliòs. Cedetemi l’Aula dei Tesori senza ulteriori resistenze.»
Non avrebbe dovuto alzare la celata, ma nascondere il proprio viso nel mezzo di un’ambasceria è imperdonabile maleducazione. Hanno combattuto bene, non si meritano un simile affronto. E poi, prima che cali la sera saranno suoi sudditi. Gli piaccia o meno, quello è il loro futuro. Il Regno di Jenthala sarà restaurato e nessun’enclave può sottrarsi a tale destino. Il tempo delle città-stato è finito.
Scatti metallici echeggiano lungo il profilo fortificato della cittadella. Un alito di vento attraversa la strada maestra. È granuloso, rinsecchito delle scariche di fucileria laser. Il tanfo della carne che brucia lo impesta, accompagnato dagli acidi sbuffi dei mezzi corazzati.
Da orizzonte ad orizzonte, gonfiate dagli incendi, le nuvole coprono i distanti scintillii delle tre lune in orbita attorno a quel sasso dannato. Sopra al manto plumbeo s’intravedono i vasti anelli di Euphenesto. Agli occhi di quel gigante gassoso, e delle sue distanti quanto altezzose colonie orbitali, quanto sta accadendo deve sembrare un’esilarante insensatezza: ecco delle formichine guerriere che ne attaccano delle altre. Spingono e pressano per entrare nella cittadella, il formicaio di una regina rivale, con alle proprie spalle una metropoli lasciata in rovina, irta di edifici che bruciano.
Sono sacrifici necessari.
La sua nemica si affaccia dalla cima del corpo di guardia. È a portata dei tiratori scelti, ma Augustyne impone loro di non sparare con un gesto della mano; anche se le piacerebbe autorizzarli a procedere e cancellare dalla faccia di Dama Kliòs quell’espressione d’arrogante superiorità che è certa lei abbia, non violerà i sacri costumi antichi.
«Vattene, conquistatrice. Non hai già sprecato abbastanza vite?» Dichiara la signora della cittadella di Mnesynne, la sua voce ammantata da un riecheggio cristallino. Alza la pergamena, il simbolo del suo dominio su quella città, come se fosse una qualche lancia. «I tesori che cerchi non sono qui.»
«Sta mentendo, sorella.» Fen lascia cadere sull’asfalto una cella esausta. Ne spinge una fresca dentro il calcio del fucile d’assalto e toglie la sicura. «Non farti convincere. Ci servono.»
«Lo so» gli risponde Augustyne. L’Aula dei Tesori le è costata più di cinquantamila caduti, i loro corpi sparsi per la città a marcire in mezzo alle cortine tossiche, ma li vale tutti. Anzi, li varrebbe dieci volte di fila. Le loro vite sono proiettili che ha speso volentieri per arrivare fin lì. Al di là del cancello l’attendono ori, i gioielli e tutti i metalli preziosi che Dama Kliòs cova nella sua Aula dei Tesori. Stando alle voci che Augustyne ha sentito, lì dentro ha abbastanza ricchezza da finanziare le sue campagne per i prossimi anni. Cosa sono quei morti davanti alla prospettiva di dominare il continente, il pianeta, il sistema stellare in cui si trovano?
E poi, ancora, altri soli. Tante stelle, brandelli del regno di un tempo, che le appartengono di diritto.
«Ho vinto, Kliòs. Mentire non ti servirà a niente.»
La Dama scuote la testa. Il cinturino di pergamene dorate che porta sulla fronte luccica in mezzo al fumo. «Ciò che mi rattrista è vedere come ti sei convinta da sola.»
«So quali ricchezze custodisci.» Augustyne alza la testa per fronteggiarla, in tempo per vederla corrucciare la fronte con astio. Vestita d’una seta luminosa che scorre su una liscia pelle diafana, Dama Kliòs non è la regina che ha seguito l’assedio dalla prima linea. Non è sporca di fuliggine, polvere, sangue e cenere. Non ha meritato la vittoria. «Cedile e avremo pace.»
«A te?» Chiude la pergamena e arretra di un passo. «Non ne sei degna.»
Augustyne deve trattenersi dall’autorizzare i suoi soldati a folgorarla. «Sono la legittima regina di Jenthala, stupida. Nessuno è più degno di me di quelle ricchezze.»
Dama Kliòs sospira, poi le rivolge un cenno di sprezzo con la mano. «Molòn labé.»
Guardando Fen, Augustyne apre la bocca per dire qualcosa, ma si ferma prima. Cos’ha detto la sciocca? «Tu hai capito?» bisbiglia al fratellastro. I soldati si guardano l’un l’altro, confusi. Qualcuno si gratta la nuca, alcuni mormorano tra loro. Dama Kliòs scuote la testa, come se profondamente delusa.
«Neanche un po’. Sei tu quella istruita.»
Dev’essere stato un insulto, sì. L’ha canzonata in qualche dimenticabile proto-dialetto locale per prendersi due volte gioco di lei. Non la passerà liscia. «L’hai voluto tu, Kliòs.»
Colto il senso delle sue parole, Fen fa cenno ai corazzati di aprire il fuoco. Il frontone del palazzo è animato dalle luci di decine d’impatti, accompagnati da un sostenuto fuoco di sbarramento. Dalla seconda linea, alcune centinaia di metri arretrate rispetto al primo anello dell’assedio, i cannoni sonori si fanno sentire: le loro onde d’urto picchiano sui portoni della cittadella.
I marmi del bassorilievo che li decorano, un’astrusa composizione centrata su un vecchio barbuto che si allunga ad incontrare con la propria mano l’indice di un uomo nudo, si sgretolano in una cascata di rumorosi, sdentati frammenti. Il metallo dei portoni alza lancinanti lamenti mentre le cannonate sonore lo spingono all’interno, strappandolo dai suoi cardini.
Crolla all’indietro, alzando un muro di polvere. Affondando nella tempesta, gli incrociatori antigravità entrano nella breccia, tallonati dalla fanteria. Dal bailamme sorgono grida e lamenti, inframezzati dagli spari e dal tintinnare delle spade.
Quando il fumo si dissipa, Augustyne lascia la sicurezza del suo riparo per seguire l’avanzata. Al comando di una decina dei suoi veterani, Fen le viene dietro. I veterani dispongono in cerchio attorno a lei; procedono guardinghi al di là delle porte, descrivendo nervosi semicerchi con i fucili spianati. Le loro loriche scricchiolano borbottii di metallo ad ogni passo, sporche di fuliggine e dei lapilli della battaglia proprio come gli elmi. Il lerciume ha imbruttito i loro stemmi, macchiando le quattro eliche di DNA umano che sorgono come bracci uncinati da un singolo disco solare. È un simbolo antico e potente.
Scavalcando i morti, suoi e di Dama Kliòs, Augustyne resiste alla tentazione di mostrare una smorfia di disgusto.
Era ovvio, però. L’ultima guardia della sua stupida nemica non poteva che essere di automi-lich, bronzei costrutti senz’anima. I loro lineamenti frantumati sono la parodia dei lineamenti umani; alcuni sono maschere di bronzo che raffigurano un uomo barbuto, altri glabri visi di terracotta.
Non sono veri soldati, ma macchine decerebrate. Ne schiaccia una sotto il proprio tacco e avanza nella penombra della cittadella.

Due guardie le aprono i portoni dell’anticamera alla sala del trono di Dama Kliòs. Di certo si sarà rifugiata lì per montare un’ultima, suicida resistenza. La sua ostinazione le fa venire il voltastomaco.
Pochi passi dentro il corridoio e il tanfo dei rifugiati l’assale. Dozzine dei suoi jungherii tengono sott’occhio centinaia di esuli nullatenenti accalcati ai margini. Tra loro non ci sono soldati-automi. Uno sguardo a quella massa di disgraziati la disgusta. Pochi sono umani. Per la maggior parte sono vaykhiine dalla pelle blu e gli occhi rossi, ildari dai verdi capelli tentacolari, zurmi dai visi di medusa. Estranei dei quali ora deve decidere il destino.
I veterani di Fen aprono le porte della sala del trono e si dispongono a ventaglio con le armi spianate. La sala è vuota. Al di là di uno scranno d’oro, una porta dischiusa apre la via ad un altro corridoio. Salendo i gradini che portano al trono, Augustyne trova la pergamena e il cinturino di Dama Kliòs.
Ma lei dov’è?
Si china per raccoglierli. La sua mano attraversa la pergamena, finendo a grattare il pavimento. La ritira e l’oggetto, per un momento, si deforma. «Un ologramma…» mormora la regina vittoriosa, passando la mano dentro e fuori la pergamena. Alza la testa al suono di una risata cristallina, pregna di una sottile eco, e si ritrova a guardare l’assediata.
«Ti aspettavi qualcosa di solido, barbara?»
Fen e i suoi le scaricano addosso un caricatore intero. I loro dardi azzurrini la trapassano da parte a parte, esplodendo sul pavimento. Ogni foro si rimargina dopo un secondo, ricostituendo textures e colori come se nulla fosse successo. Dopo alcuni attimi, smettono di sprecare colpi e abbassano le armi.
«E così è questo quel che sei» esordisce Augustyne andandole incontro. Dama Kliòs annuisce piano. «Una macchina. Una Mente Abominevole.»
«Preferisco la dicitura Bibliotecaria Comunale» afferma l’ologramma, una nota di tristezza nella sua voce. «Era quella che avevo prima, quando c’era una civiltà per la quale valeva la pena essere una custode del sapere.»
Augustyne le sferra un pugno al viso. La sua mano l’attraversa senza colpo ferire, sbilanciandola in avanti. Si evita un’imbarazzante caduta e cerca di ricomporsi. «Non ascolterò le tue menzogne, Non-Anima.»
La Mente Abominevole stringe le spalle. «Ci perdi tu, non io. Hai vinto, no? Goditi il tuo trionfo, ma dimmi: cosa ne sarà degli abitanti?»
«Non devo rendere conto di niente ad un costrutto.»
«Volevi le mie ricchezze, non è così?» La Mente si avvicina e le mostra la porta aperta in fondo alla sala. «Sono lì. Ti prego di risparmiare la cittadinanza, però. Sono solo vittime della tua sete di conquista.»
Ignorandola, Augustyne tira dritto per l’Aula dei Tesori. S’infila nel varco lasciato aperto, seguita da Fen, e si appoggia con una mano alla parete. Davanti a lei si allunga una spianata di alabastro lucido alle cui ali, ordinate su due fila parallele, ci sono centinaia di teche.
Eccoli, infine! I tesori! Il carburante per la sua riconquista! Si spinge incontro alla prima teca sulla sinistra e preme le mani sul cristallo. Nel suo riflesso vede il sorriso dell’esaltazione scemare in una smorfia delusa. Che cos’è, quello?
Racchiusa in un campo di forza che la tiene sollevata a mezz’aria, facendola ruotare lentamente, c’è…
«Ecco a te, Regina delle Regine.» Ridacchia Kliòs, apparendo al suo fianco. «Il primo dei miei inestimabili tesori, un’antica medaglia sportiva della Mater-Terra. Su di una faccia reca l’arcaico stemma del numero uno, mentre sull’altra puoi ammirare…»
Quello che vede è un mutante. Un disgustoso mutante ad otto arti, quattro braccia e altrettante gambe. Un tempo la Mater-Terra lontana era dominata da loro? A che punto l’umanità pura era asservita al loro dominio, se li onorava sulle medaglie degli atleti? Augustyne abbandona quella teca con un moto di ribrezzo e si precipita alla seconda del lato opposto. Ci deve essere qualcosa di valore, lì!
Al di là del cristallo, steso su di un panno rosso, giace un insulso pupazzo. Sul suo sgualcito muso nero dominano due cerchi, uno mangiucchiato dal passare del tempo, Indossa un paio di calzoncini rossi e alza una mano al cielo, con un sogghigno inquietante. «Questo è un lare, oh signora della vittoria. Un antico patrono domestico dell’Era isneyca. Un tempo, ogni casa ne aveva uno e gli rendevano sacrifici votivi.»
Non può essere davvero quella la sua ricchezza. Si gira a fronteggiarla, chiudendo le mani. «Dove sono i tuoi tesori? L’oro? Le gemme?»
«Te l’ho detto, non sei degna. Non capisci il loro valore.»
In una teca riposa in pace una linea curva, spezzata in cima, simile ad un’ondina. Il tempo l’ha scolorita gradualmente, spogliandola della sua originaria tintura dorata. Accanto, invece, un’arcaica tavoletta da scriba espone, attraverso i tagli e la corrosione, l’effige di un frutto morsicato.
«Questo è pattume» mormora Augustyne, abbassando le spalle. Ecco uno schermo piatto, nel quale sfarfalla una videata di opzioni sulla quale domina, in alto a sinistra, un cerchio azzurro incrociato da due leve, una più lunga e una più corta, che separano due primitive grafico-espressioni.
In un’altra teca giace l’incrocio di due pezzi di legno ingioiellato che una targa, alla base della teca, attribuisce ad una passata religione di sei eoni prima. Poi viene una pittura in bianco e nero, con un gruppo di figure chine impegnate a reggere una bandiera su di un tetto.
«Questo, invece, è un reperto visivo della Seconda Guerra dei Mondi» gliela descrive Kliòs, passando la sua mano olografica al di là del cristallo. «Scommetto che non ne sai niente, regina.»
«Mai sentita nominare» ammette Augustyne a denti stretti. «E suppongo che al contrario, tu sia versata circa i suoi significati.»
«Certo.» Alza la testa, presa da un guizzo di fierezza. «Sono un’enciclopedia del passato. Qualcuno dovrà pure ricordarlo. Quando i precedenti signori di questa città sono morti, mi sono reinventata governatrice per non lasciare che il loro lavoro scivolasse nell’incuria. Era la scelta più logica, dal mio punto di vista.»
Fen fa un segno di scongiuro alla menzione di “logica”. Già una volta ha messo a repentaglio la specie. Sentirla nominare è come udire il concentrato dei fatti della Catastrofe.
«Ho trascorso secoli a riunire questo archivio delle antiche, pre-protostoriche memorie della nostra specie» continua Kliòs, allontanandosi. «In attesa di tempi migliori, di una genia in grado di apprezzare tesori come questo. Se penso a quante vite è costata quest’immagine del nostro passato, e quante ne hai spese per vincere la mia città…»
«Tu non sei umana.»
«I miei creatori la pensavano diversamente, sciocca.» Il suo viso s’indurisce. «Ma loro erano uomini d’altri tempi, ben superiori alla degenerata stirpe di cavernicoli regrediti che tu rappresenti. Siete così ignoranti che quasi vi compatisco.»
Augustyne si guarda attorno. Cinquantamila morti per quello, il ripostiglio di un robivecchi. Come ci finanzia le sue campagne con quella roba? Non ha valore. Non è rame, né oro. È solo un mucchio di polvere inutile, forse risalente a tempi passati di cui non sa che farsene.
«Lo sapevi che nella Seconda Guerra dei Mondi furono usate per la prima volta le armi atomiche?» la canzona Kliòs, avvicinandosi. «La Casata di Shingto le usò contro quella di ‘Hito, seguendo gli ordini del Cesare degli Uniti, l’Icaro Alexandròn Cro-Magnòn. Ma immagino sia come dare perle ai porci…»
Incrocia le braccia, sogghignando pian piano. Nella delicata penombra del salone, sembra non avere affatto perso la guerra.
«Tutte quelle vite perse e mi ritrovo a sentire le tue insensate sciocchezze…»
«Qualcuno verrà a conquistarti, di certo migliore, e sarò lì a raccogliere le tue vestigia. Rallegrati, è il mio dono per la tua vittoria; qualcuno ti ricorderà, un giorno. Se come l’ennesima sovrana tecno-barbarica o una sciocca, però, è da vedere.»

Fen si è mosso in avanti, di teca in teca, cercando qualcosa di prezioso. Non può essere quello il tesoro di cui parlavano le voci. Dev’esserci dell’altro. Avanza con il fucile spianato, incrociando con gli occhi lo sfilare di quelle custodie piene di niente.
Ecco un altro monile, lì. E sulla destra, una scatola piena di fogli con strani riquadri, uno solo dei quali segnato da una x. Più avanti, una vecchia mappa del cosmo di quando l’umanità sapeva soltanto navigare nella sua galassia d’origine.
Una coppia di tende rosse separa l’ultimo anfratto della sala dal lungo corridoio; lo attraversa con la baionetta inastata, strappando la tela con ampi fendenti. Incassa il calcio dell’arma contro la spalla e si guarda attorno, trattenendo il fiato.
Nessuna resistenza. Non c’è nessuno, ma perché fidarsi? È da quando ha undici anni che combatte le campagne di sua sorella, da una terra e da un pianeta all’altro. Siano umani o alieni, i suoi nemici gli hanno insegnato a non fidarsi delle apparenze.
Ovunque può nascondersi una pistola o una lama. E se lui dovesse morire, Augustyne si troverebbe senza il suo più fidato generale. Uno scalpiccio lo fa irrigidire; si volta di scatto, il dito sul grilletto, solo per trovarsi davanti a due dei suoi veterani. Abbassa il fucile e scioglie i muscoli delle braccia, esalando un sospiro di sollievo. Loro gli scambiano un cenno con la testa, lo stemma sulla calotta sale e scende, poi avanzano. Ricompostosi, Fen li segue a grandi passi.
Uno scintillio coglie la sua attenzione. È in fondo alla sala, al di là dei suoi sottoposti. Attira la loro attenzione con uno schiocco di dita e incede in avanti, pronto a combattere.
Due ampi gradini di marmo rialzano un padiglione bianco, sul quale campeggia una grande teca a taglio di campana. Al suo interno, deposto su tante granulose rocce bianche, giace abbandonato un pupazzetto di latta. Le sue spalle fronteggiano una placca stinta, dagli angoli corrosi. Un plinto si trova un paio di passi più in là, in rialzo sulle rocce.
Sfondata la campana, Fen avanza dentro la campana. Scavalca il pupazzetto. I suoi schinieri urtano la placca, che cade nella polvere. Si mette il fucile a tracolla e si gratta la nuca.
Sul plinto c’è una tavoletta di metallo, appena ricurva ai lati. È irta di scritte nere, ma non sa leggere né quella grafia, né la lingua in cui sono scritte. Ha due immagini in alto, perlomeno; cerchi vicini, che mostrano dei continenti divisi da un mare grigio. È una mappa, quindi?
La placca signoreggia su di una spezzettata freccia di metallo corrosa dal tempo, che l’ha sbiancata e stinta. La prende in mano e la rigira un paio di volte, agitandola.
Non sembra pericolosa.
Sul cristallo vede il riflesso di Dama Kliòs e si gira a fronteggiarla. «Tu, Mente Abominevole… cosa vuol dire NASA? Cosa sta scritto sulla placca?»
Kliòs sfoggia un sorriso triste. Su quella che un tempo era stata nota come la Placca Lunare, il suo riflesso è triste, sfocato. Come una memoria importante, anche se il perché le sfugge, che è stata spezzata troppe volte e rimessa assieme con la colla.
«Non lo so. Nessuno lo ricorda.»



di Torrisi Daniele



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daniele.mammana-torrisi
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Re: Vestigia

Messaggio#2 » martedì 19 maggio 2020, 21:27

Lo segno qui, avendo notato che non l'ho messo e non è possibile effettuare modifiche.


Bonus; 1) I personaggi non sanno qualcosa che il lettore sa (o viceversa) (-4 PUNTI)

NazarenoMarzetti
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Re: Vestigia

Messaggio#3 » domenica 24 maggio 2020, 13:48

Ciao
è la prima volta che mi capita di leggere un testo che vuole essere cantato. Buffo.

Bello come hai interpretato il tema: oggetti comuni della nostra epoca visti dagli occhi di uomini di un futuro talmente lontano che noi siamo per loro preistoria. Ottimo.

Lo stile non mi fa impazzire: frasi breve e ritmate, ogni tanto qualche ripetizione qua e la (rompe la campana e entra nella campana), ambienti descritti in modo troppo frettoloso tanto che è difficile immaginarseli nella mente. Anche i personaggi non hanno un aspetto e diventano ben presto anonimi e intercambiabili.

La storia è carina e ben strutturata. Una cosa manca: da dove nasce l'idea che quelle "cianfrusaglie" siano di valore? Da come scrivi, l'IA della biblioteca comunale governa la città in modo che i cittadini si prendano cura degli oggetti contenuti. Quindi si dovrebbe sapere che il tesoro è tale solo per chi apprezza il passato, non è una informazione nascosta a tutti.

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daniele.mammana-torrisi
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Re: Vestigia

Messaggio#4 » domenica 24 maggio 2020, 17:16

NazarenoMarzetti ha scritto:Ciao
è la prima volta che mi capita di leggere un testo che vuole essere cantato. Buffo.

Bello come hai interpretato il tema: oggetti comuni della nostra epoca visti dagli occhi di uomini di un futuro talmente lontano che noi siamo per loro preistoria. Ottimo.

Lo stile non mi fa impazzire: frasi breve e ritmate, ogni tanto qualche ripetizione qua e la (rompe la campana e entra nella campana), ambienti descritti in modo troppo frettoloso tanto che è difficile immaginarseli nella mente. Anche i personaggi non hanno un aspetto e diventano ben presto anonimi e intercambiabili.

La storia è carina e ben strutturata. Una cosa manca: da dove nasce l'idea che quelle "cianfrusaglie" siano di valore? Da come scrivi, l'IA della biblioteca comunale governa la città in modo che i cittadini si prendano cura degli oggetti contenuti. Quindi si dovrebbe sapere che il tesoro è tale solo per chi apprezza il passato, non è una informazione nascosta a tutti.


Ciao!

Temo di non aver colto cosa vuol dire "essere cantato", nel senso mi sfugge cosa significhi.
Però sono contento che la mia interpretazione ti sia piaciuta.
Questo futuro l'ho immaginato così lontano, e ambientando la scena in un pianeta extra-solare in un'altra galassia e dimensione, da rendere anche la presupposta enciclopedia del passato qualcuno con conoscenze vaghe, corrotte dal trascorrere del tempo e le sovrascritture di regime, la perdita di informazioni...

Insomma, è un caso di futuro imperfetto. Augustyne e Fen non li ho descritti molto, sì; di solito spargo qualche accenno e lascio che sia il lettore ad immaginare i miei personaggi come più vuole, senza imporgli un quadro troppo delineato.

Dal testo potete cogliere che sono fratelli, Fen è quello che combatte per lei da che è adolescente; è un qualche alto ufficiale del suo esercito, che da tempo sta muovendo una guerra di (forzata) unificazione per rifondare un regno collassato non sappiamo quanto tempo prima.
E' fattibile? Non lo è? Importa? Le loro guerre sono le guerre di qualsiasi società sia quella in cui vivono, così lontana e rimossa dalla nostra da rendere difficile giudicarla. Ma, tra il fatto che sembrano essere presi da una punta di luddismo (sono machinafobici) e che sugli elmi hanno quelle che funzionalmente sono svastiche fatte con eliche di DNA umano, ad occhio non sono esattamente il meglio del secchio. Oppure sono l'alternativa meno peggiore.
Il loro futuro deciderà.

Circa le cianfrusaglie, le rimanenze del nostro tempo, quella sala era probabilmente inaccessibile alla popolazione. Si può cogliere che la Bibiliotecaria spedisse regolarmente missioni per recuperare oggetti, ammesso siano veri e non delle riproduzioni sottratte a qualche altro museo, ma se Augustyne sapeva solo di una "Aula dei tesori", è probabile che l'IA non spiegasse cosa significassero. Si unisce al fatto che la scelta secondo lei più logica per salvarli fosse imporsi come regina sostanzialmente immortale.

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Polly Russell
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Re: Vestigia

Messaggio#5 » martedì 26 maggio 2020, 21:08

Vestigia di Daniele Mammana-Torrisi
Ciao Daniele. Un bel modo di interpretare il tema, mi ha sorpreso. Ho apprezzato moltissimo l’archeopaccottiglia di informazioni che la bibliotecaria da sul loro passato remoto, divertente e intelligente.
Sono rimasta un po’ spaesata nelle scene della battaglia, troppo confusionarie hai messo in mezzo troppe armi è troppo differenti. Per i primi minuti sono stata lì a chiedermi se fossimo nel futuro o nel passato, o se fosse una sorta di universo generato da pieghe del tempo. Armi al plasma, astronavi, asfalto e torri merlate.
Certo la conquistatrice appare un pelo ingenua, parte per una guerra in cui perde ingoiai a di uomini solo per aver sentito delle voci? Senza davvero sapere quale fosse questo tesoro? Detto questo però, ed esclusa la sovrabbondanza di armi, munizioni e mezzi corazzati che fanno perdere un po’ il filo del discorso, mi è piaciuto parecchio, dalla scoperta di cosa sia la conquistata, diviene gradevolissimo.
Attenzione la finale, non sapevano leggere né conoscevano la lingua dell’iscrizione, quindi non posso conoscere la parola NASA.
Forse Nazareno parla di pezzo cantato per il brano di Anastasio, che immagina il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli, sotto una folla festante di vandali. XD
Polly

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daniele.mammana-torrisi
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Re: Vestigia

Messaggio#6 » mercoledì 27 maggio 2020, 14:30

Polly Russell ha scritto:Vestigia di Daniele Mammana-Torrisi
Ciao Daniele. Un bel modo di interpretare il tema, mi ha sorpreso. Ho apprezzato moltissimo l’archeopaccottiglia di informazioni che la bibliotecaria da sul loro passato remoto, divertente e intelligente.
Sono rimasta un po’ spaesata nelle scene della battaglia, troppo confusionarie hai messo in mezzo troppe armi è troppo differenti. Per i primi minuti sono stata lì a chiedermi se fossimo nel futuro o nel passato, o se fosse una sorta di universo generato da pieghe del tempo. Armi al plasma, astronavi, asfalto e torri merlate.
Certo la conquistatrice appare un pelo ingenua, parte per una guerra in cui perde ingoiai a di uomini solo per aver sentito delle voci? Senza davvero sapere quale fosse questo tesoro? Detto questo però, ed esclusa la sovrabbondanza di armi, munizioni e mezzi corazzati che fanno perdere un po’ il filo del discorso, mi è piaciuto parecchio, dalla scoperta di cosa sia la conquistata, diviene gradevolissimo.
Attenzione la finale, non sapevano leggere né conoscevano la lingua dell’iscrizione, quindi non posso conoscere la parola NASA.
Forse Nazareno parla di pezzo cantato per il brano di Anastasio, che immagina il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli, sotto una folla festante di vandali. XD


Ciao, Polly!

Mi fa molto piacere vederti apprezzare la deriva che ho dato alla traccia. Per sanare qualcuno dei tuoi dubbi, svelo alcune delle trivia interne a questo scritto.
Allora, è ambientato nel futuro. Non tra 500 o 5.000 anni, ma -prendendo la dicitura sei eoni prima come una pindarica esagerazione- comunque da qualche parte tra i due o i tre milioni di anni rispetto a noi. Un lasso di tempo assolutamente enorme, nel quale può essere ed è successo chissà cosa.
Volendo dare un gusto comprensibile all'epoca in cui loro si trovano, è una sorta di alto medioevo. Prima del periodo carolingio, ma dopo le migrazioni. Non siamo nel Sistema Solare, anzi; non siamo nemmeno nella Via Lattea, o nella nostra dimensione. E' in un diverso piano dimensionale localizzato nelle pieghe di un'altra galassia, e non una delle immediate nostre vicine. Per quanto decaduta, l'umanità di questo tempo mantiene le capacità per fare simili meraviglie.

Circa le armi... in realtà, molte sono abbastanza mondane, solo chiamate diversamente e con meccanismi avanzati. L'incrociatore personale di Augustyne, che appare all'inizio, non è una nave spaziale, ma un carro armato. Solo, la nomenclatura è volutamente retrò.
I primi mezzi corazzati del 1916 erano chiamati "land battleship", anche in riferimento al fatto che responsabile del loro sviluppo era la marina. Un po' citazionistico, queste navi corazzate di terra si chiamano incrociatori. E considerando che "navigano" a mezz'aria grazie ad una qualche tecnologia anti-gravità, non è troppo assurdo.
Tante delle loro armi, comunque, sono o energetiche o magnetiche. Lo scorpione magnetico non è altro che come loro identifichino un obice.

Circa Augustyne... varie righe nel testo sono lì per darvi l'informazione che questa non è la sua prima campagna. Fen combatte per lei da quando è un ragazzino e in questa storia penso lui sia verso la tarda trentina. Da quel che ci dice la storia, Augustyne ha sentito voci e, in mancanza di meglio, ha ritenuto che questa città andasse bene come nuovo obbiettivo delle sue campagne.
Con tutta l'inerzia che ha una campagna di conquista, averne uno farlocco è comunque meglio di fermarsi e dover fare i conti con le spese sostenute. Conservi l'impeto e, per quel che poteva saperne, l'Aula dei Tesori era davvero qualcosa di prezioso e ottenerla le sarebbe stato utile.
Non è stato così, ma si riprenderà dall'insuccesso. E' uno smacco e danneggia le sue campagne per del tempo, ma recupera e torna alla carica. La sua bis-bis-bisnipote ha un regno stabile, 680 anni dopo, quindi non si è arenata per questo.

Ah, il finaleeeeeeeeeeh! >.<
In pratica, ho erroneamente caricato la versione non rifinita del testo, la sua ultima brutta copia. Avevo la versione rifinita, dove quel lapsus non c'era, ma era rimasto in "incolla" il formato precedente. Non me ne sono accorto ed ecco qui la versione beta.
Considerando che l'oggetto è in questione è la placca lunare e su quella non è scritto NASA, però, è probabile che sia scritto sul plinio in caratteri che Fen capisce. Ciò vorrebbe dire che tutti i primi passi dell'Uomo nello spazio, a distanza di ere intere, sono riassunti in una parola che nessuno capisce.
Il che è comunque un po' quel che volevo; anche la supponente IA colta ha solo una smanicata di informazioni erronee sul passato, malamente tradotte e peggio conservate. La nostra storia, il nostro secolo, è perso per sempre perché è passato talmente tanto in mezzo che anche quando vogliono tradurre bene, si trovano bloccati dal non avere la nostra mentalità, non conoscere i nostri significanti e vedere i nostri anni con la loro prospettiva.
In pratica, è il concetto di futuro imperfetto; più vai avanti, più perdi le basi con cui capire quel che è successo prima.


Beh, grazie per la lettura e per il commento! ^^

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Polly Russell
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Re: Vestigia

Messaggio#7 » mercoledì 27 maggio 2020, 15:57

Si, si, dopo poco la collocazione spazio temporale diventa chiara. Però, nonostante le spiegazioni continuo a pensare che armi e armamenti siano troppo, va anche detto però che io non ne capisco una cippa, quindi potrebbe essere un mio limite.
Polly

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