Semifinale Andrea di Hypnos

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo maggio sveleremo il tema deciso da Cristiano Demicheli. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Andrea di Hypnos

Messaggio#1 » mercoledì 27 maggio 2020, 23:48

Immagine

Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Cronache della Val Lemuria
Accedono in semifinale: Parallelismi casuali, di Polly Russell e Morte di un Dio, di Davide Di Tullio.

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: venerdì 29 maggio alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 29 maggio. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Davide Di Tullio
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Re: Morte di un Dio

Messaggio#2 » venerdì 29 maggio 2020, 21:21

Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!

Friedrich Nietzsche


Dove sono? Il riverbero della luce al neon mi acceca. Un uomo in divisa blu tiene d’occhio una coppia dietro una transenna di corda retta da due pali d’acciaio. La coppia mi guarda, bisbiglia, sorride. Li odio, ma non ho la forza per scacciarli.
Brandelli di memoria galleggiano sulla mia coscienza. Mi sento come il sognatore che si accorge di sognare. È il segno che la fine è vicina.


Affiorano i ricordi…

La mia casa. Un castello in cima al colle più alto della Murgia. Le mura riflettono i raggi del sole che illumina il dedalo di stanze, filtrando dalle bifore; luoghi forgiati per difendersi dall'arsura che arroventa queste terre.
Lì è accaduto qualcosa di terribile, di meraviglioso. È lì che vive la mia Medea. Riesco ancora vederla. Ogni notte mi offre il petto, sotto lo sguardo degli spiriti del bosco che accorrono per assistere al baccanale. Il suono di un flauto riecheggia tra le pareti. Riesco a sentire l'odore del suo sangue, ipnotico è il battito del suo cuore.


Ecco, ricordo ancora...

«Signore», nuda, Medea si prostra avvolta dalla luce della luna come da seta trasparente, «arrivano!». Gli occhi sbarrati, lucidi di pianto.
«Chi? Chi arriva?»
«Gli sciacalli, dalla città»
«Quando?»
«Domattina, al primo sole»
«Come lo sai?»
«Una raccomandata»
«Invochi il mio aiuto?».
Le mani di Medea si sollevano verso il soffitto circolare. Le travi nodose incombono come ragni giganteschi.
«Voi... Siete la mia unica speranza. Vegliate su questo castello da che ho memoria»
«Il bosco accorrerà»
«Il bosco sta morendo. Gli spiriti vagano senza meta. Nessuno ha più timore di loro. Posso sentire i loro lamenti. Invocano l'epifania!»
«E gli animali? La volpe che scruta l’orizzonte, la poiana che fende l'aria, la vipera che attende sotto il sasso. Loro arriveranno»
«No, signore. Gli sciacalli hanno invaso il nostro mondo. Hanno frantumato, sventrato, disboscato. Sono cani famelici. Il bosco non è più la casa degli animali, ma la loro tomba. Fuggiti, soccomberanno al nuovo mondo.
«Cosa desideri?»
«La vostra presenza ci rinvigorirà. Un’apparizione, una soltanto, e la catarsi si compirà»
«Il mondo che mi hai descritto non è fatto per le epifanie. Hai valutato le conseguenze? Gli sciacalli possiedono strumenti potenti»
Medea scrolla la testa. La chioma scompigliata le copre il viso. Un singhiozzo accompagna il suo lamento.
«Signore, dobbiamo tentare! La vita sta scivolando via da queste pendici. Presto il sole picchierà su una distesa brulla e il bosco sarà solo un ricordo»
«Il tuo pianto mi strazia, Medea. Per l'amore che nutro per te avrai l'epifania»
La donna solleva il capo. Le mani tremanti scivolano tra i capelli, per raccoglierli sulle spalle. Un sorriso le stringe gli occhi gonfi di pianto in un'espressione da bambina.
«Tutto il bosco dovrà offrirmi il suo tributo»
«Sarà fatto, mio signore». Medea congiunge le mani.
Da fuori, il cinguettio dei passeri mi ricorda che il sole si sta levando. Il profumo della resina pervade le stanze. È tempo di riposare, e Medea si ritira.

Una folla si accalca e, dietro le transenne, altri occhi curiosi si poggiano su di me.
Ancora sprazzi di memoria…


Il cielo riempie lo spazio sopra il cortile esagonale del castello. Le stelle sembrano raccogliersi per assistere al baccanale.
Un braciere arde, sputando scintille che si spandono come lucciole.
Sento il suono dei tamburi confondersi con il vocio della folla. Medea conduce il corteo dei musici in maschera. Suonano il flauto; sono travestiti da pantera, da cervo, da orso.
Il ritmo incalza, ne sento il trasporto. L'aria si scalda, sento le risa, scorgo le ombre fondersi sulle pareti vertiginose.
Riprendo forza. Sono la pantera, il cervo, l'orso. Sono Medea. Mani sfiorano la sua pelle. Posso sentirle, come se fossero su di me. L'eccitazione le scuote il corpo, rinvigorita dal vino che strabocca da crateri di terracotta. Siamo vicini, siamo uno.

Una donna si stacca dal gruppo. Tira fuori una macchina fotografica e comincia a scattare. Quel rumore... mi ricorda qualcosa...
…Sì, Medea parla con uno sconosciuto... L'uomo ha in mano un telefono. Scatta foto agli interni del castello.

«Non mi faccia perdere tempo, signora. Le ho già mostrato le carte della banca, spero le abbia lette».
«È inutile, non lascerò mai il castello. E la prego di smettere di fotografare!»
«Temo abbia frainteso. Questo immobile è di proprietà della banca. Suo padre le ha lasciato una montagna di debiti»
«Siete degli sciacalli!»
«Facciamo solo il nostro lavoro. Se mi permette, dovrebbe prendersela con suo padre che ha sperperato il suo patrimonio»
«Mio padre... è stato un grand'uomo. Ha usato i suoi soldi per curare il bosco. Ha protetto questo luogo lottando con le unghie contro la speculazione edilizia»
«Suo padre è stato un perdente. Se avesse accettato la permuta delle terre, ora non saremmo costretti a sfrattarla»
«Io non la conosco. Lei viene in casa mia con il suo doppiopetto da becchino a insultare la mia famiglia»
«Ha tempo una settimana per portare via la sua roba, altrimenti la trascineremo via con la forza»
Medea allunga un ceffone all'ospite. L'uomo perde gli occhiali che si infrangono sul pavimento.
«Lei è pazza! La denuncerò per aggressione!» Raccoglie gli occhiali e se li mette nel taschino della giacca.
«Non mi importa. Cosa farete del mio bosco?», piagnucola Medea, piegandosi sulle ginocchia.
L'uomo si sfiora la guancia. È rosso in volto.
«Mi risulta un progetto immobiliare in ballo. In quanto al castello, diventerà un resort di lusso». L'uomo sorride.
Medea si rialza. «Come osate spargere il vostro letame su questa terra sacra?»
«Terra sacra?»
«Qui, divinità antiche hanno trovato la loro dimora. È la divina natura che violate, non un misero bosco»
«Peccato vedere una bella signora come lei delirare»
«Lei è uno sciocco. Non sa quello che dice»
L'uomo si avvicina a Medea. «Mi ha aggredito e vaneggia di divinità che vivono in questi luoghi... Potrei sbatterla fuori a calci, farla rinchiudere! A meno che...»
«Cosa pensa di fare?». Lui è ha un passo da lei.
«Sia buona con me signora, e la tratteremo con i guanti»
Sento l'uomo su Medea, il pungente odore del dopobarba, l'alito caldo sul collo. Mani molli sfiorano i suoi fianchi. Sento il suo battito accelerare, la pelle fremere. Ha paura. Ho paura.
Siamo in un angolo. L'uomo le allarga le cosce, infila la mano sotto la veste. Sentiamo un dolore acuto al ventre, un terrore sconosciuto. Medea è supina. Si dimena. L'uomo la travolge. Pesa come un macigno. Sento il respiro mancarle.
Afferriamo il fermacapelli scivolato sul pavimento. Colpiamo l’uomo sotto la clavicola, che si rialza.
«Puttana, cosa fai?»
Lui ha gli occhi sbarrati. Medea gli è addosso. Gli gira intorno. Gli estrae il fermacapelli dalla schiena con uno strappo. Un altro colpo al collo. Un fiotto di sangue zampilla sulle pareti. L'uomo preme sulla ferita, ma il sangue continua a sgorgare. Scivola sul pavimento viscido. Un rantolo è l'unico suono che esce dalla sua bocca.
Medea è su di lui. L'uomo è supino, sembra implorarla alzando la mano. Ancora fendenti: al addome, in un occhio, sullo sterno. L'uomo respira a fatica. Medea è una furia. Medea rinasce.

***

«Cristo, è un bel macello!» Il poliziotto si guarda intorno tenendo un fazzoletto sulla bocca.
«Si sente bene, ispettore?»
«Sì, ora mi passa. Mia moglie insiste con il latte di soia. Sa', sono un po' sovrappeso»
«Prima volta?»
L'ispettore ha un attimo di esitazione. «Si vede tanto?»
«Ci farà l'abitudine». Il collega sorride.
«Non ci trovo nulla di divertente, maresciallo! Allora, com'è la faccenda?»
Il carabiniere torna serio. «Pare che la donna abbia reagito un tentativo di stupro»
«Pare?»
«È l'unica cosa che ci ha detto quando l'abbiamo interrogata. Era sconvolta. Le abbiamo somministrato un sedativo. La stiamo sottoponendo a una visita medica per accertamenti»
L'ispettore scuote la testa. «Come può una donna così minuta aver sopraffatto la vittima? Sì, insomma... quell'uomo è una specie di armadio. Avete pensato a un complice?»
«Sì, signore. A prima vista i fendenti sono stati inferti con forza, ma non abbiamo trovato tracce di una terza persona. Nella stanza ci sono solo le impronte della donna, e della vittima, naturalmente. Girava scalza. Lui indossa un paio di mocassini taglia 45. La dinamica è chiara. Un fermacapelli in metallo è l'arma del delitto»
«Deve essere bello grosso...»
Il Carabiniere aggrotta la fronte.
«Intendo il fermacapelli»
«Ah! Beh sì, un fermacapelli di rame, affilato come un coltello da caccia!»
«Non sono un cacciatore, ma capisco cosa intende. E dove lo avete trovato?»
«Proprio qui, tra le mani della donna». Il maresciallo si avvicina alla finestra, si china sulle ginocchia e indica un punto. «Lo teneva stretto al seno».
«Più facile di così...»
L'ispettore alza lo sguardo.
«E quello?»
L'altro gira la testa, rimettendosi in piedi. «Un quadro, signore»
«Questo lo vedo... Una stanza di sessanta metri quadri, imbrattata di sangue fino al soffitto, e il quadro non ha uno schizzo. Non le pare strano? Lo avete trovato coperto?»
«No, signore, lo abbiamo trovato così come lo vede»
«Forse è stato spostato dopo il delitto»
«Beh, sarebbe una spiegazione logica, ma avremmo dovuto trovare tracce di sangue fuori dalla stanza. Abbiamo già controllato, è tutto pulito.
«Ah! Davvero strano... E chi ha trovato la donna?»
«La signora delle pulizie. La porta era spalancata quando è arrivata, e ha descritto la scena nei dettagli. Pare che Il quadro fosse al suo posto quando si è affacciata nella stanza»
«Dov'è ora?»
«L'ho fatta accompagnare dal collega a prendere una boccata d'aria, in attesa che arrivaste. Era sotto shock»
«Comprensibile. Chiami i colleghi della scientifica, vorrei farlo analizzare. A proposito: chi è il tizio nel quadro?»
Il maresciallo si volta di nuovo verso la parete. «Mah! Non ha un'aria famigliare. Forse un parente della signora?»
L'ispettore sorride. «Un parente? Ma non dica sciocchezze... Sarà vecchio quanto ‘sto castello»
«Chiamerò la Pinacoteca per avere qualche informazione»
«Questa è una risposta sensata, maresciallo! Ora mi faccia parlare con la signora delle pulizie».
Il carabiniere esce dalla stanza. L’ispettore lo segue con lo sguardo, e si avvicina all'uscio. L'altro ritorna tenendo per un braccio una donna, poi si allontana e li lascia da soli sulla soglia.
«Lei cosa sa della presunta omicida»
«È terribile! Quella donna... signore, la conosco da che era bambina. Non avrebbe fatto male a una mosca». Il volto della signora si deforma in una maschera da tragedia. Ha il trucco sfatto. Si copre gli occhi con le dita artritiche.
«Ora si calmi. Sa da dove viene quel quadro?»
La vecchia alza gli occhi e fissa il dipinto.
«Sono trent'anni che frequento questo castello. L'ho sempre visto lì. Il padre della signora Medea... Era un tipo particolare. Collezionava oggetti bizzarri, come quel quadro»
«Cosa intende per bizzarro?»
«Non lo vede? Sembra che ci osservi»
L'uomo sposta lo sguardo sul dipinto, ma nessuna emozione traspare nei suoi occhi.
«Signora, è scossa. Le faccio portare dell'acqua»
«Per carità! Non bevo l'acqua del castello. È avvelenata»
«Avvelenata?»
«La signora Medea dice che sono stati quelli della banca. Hanno salato l'acqua della falda»
L'ispettore si affaccia fuori dalla stanza, fa un cenno e arriva il collega di prima.
«Faccia analizzare l'acqua del rubinetto»
«Sì, ispettore»
«Quelli vogliono mangiarsi il bosco...» La voce stridula della donna riecheggia nella stanza.
«Di chi parla?»
«La banca, il Sindaco e tutta quella cricca di farabutti»
L'ispettore guarda il collega.
«È una vecchia storia, signore», il carabiniere si gratta un orecchio, «Il Comune ha previsto una zona residenziale proprio sulle pendici di questo colle: villette a schiera, un campo da golf. Roba di lusso, insomma. Sembra che la moglie del primo cittadino abbia delle quote nella società che ha presentato il piano di lottizzazione»
«La solita storia». L'ispettore scuote la testa.
«Stavano facendo di tutto per espropriare il bosco»
«Li hanno tormentati per anni», interviene la signora, «erano brave persone, ma quelli hanno risvegliato gli spiriti di questo luogo, e loro si sono vendicati». La donna si commuove.
«Va bene, ora ha bisogno di riposare. Il collega l'accompagnerà a casa». L'ispettore fa un cenno all'uomo, che annuisce e porta via la donna dalla stanza tenendola per un braccio.
L'ispettore resta solo. Si guarda intorno, sospira.

Ricordo ancora il buio... il pallido bagliore dei fari delle auto baluginare, il rombo di un motore fuori dalle finestre serrate. Non sono nel mio castello. Poi, all'improvviso, la luce di una lampada...

«Signore, ho fallito», Medea è in ginocchio. «Con un gesto scellerato ho rovinato tutto», tira su con il naso. Le lacrime le bagnano la veste porpora, all'altezza delle cosce.
«Lo abbiamo fatto insieme. Io ti ho dato la forza per colpire quell'uomo»
«Voi... mi avevate messo in guardia. Non ho voluto ascoltarvi. Avrei dovuto controllarmi»
«Le cose sono andate come dovevano. Piuttosto, cosa ne sarà di te?»
«Vogliono farmi passare per pazza. Dicono che è per colpa del piombo nelle tubature del castello. Tutti sanno che è una menzogna: sono stati loro ad avvelenare la falda»
«E il bosco?»
Medea resta in silenzio, a capo chino.
«Dove mi trovo ora? Questa non è la nostra casa»
«Lontano... In un luogo sconsacrato»
«Allora è davvero tutto finito»
Medea solleva il viso e mi guarda. Vedo la vita scivolarle via dagli occhi acquosi. È finita per Medea, per gli spiriti del bosco. Medea si alza, mi dà le spalle, si allontana. Torna l'oscurità.

È terrore quello che provo. Questa folla, che si accalca dietro le transenne, ignora chi sono. Gli sguardi si voltano altrove e, di tanto in tanto, si posano su di me, ma solo per qualche secondo. Sono attimi vacui, distratti. Qualcuno si soffia il naso, altri guardano il telefono, e alzano la testa solo quando richiamati all'attenzione da un vicino che commenta. Questa calca è indegna. Detesto il suo odore. Se potessi, l'avvolgerei nelle fiamme. Ma qui, lontano dal bosco, sono solo forma, la copia di un sogno. Sto diventando nulla. Sono indifferente a tutto. Questa è la fine.

Ecco a voi la notizia del giorno: presso la Pinacoteca Nazionale, il famoso dipinto “Dioniso”, opera del pittore Michelangelo Maestri, è svanito di fronte a una folla attonita. Al suo posto la tela bianca, ancora incorniciata. L'opera era stata donata al museo dopo una confisca, e apparteneva al corredo artistico del Castel del Monte, balzato agli onori della cronaca per un efferato fatto di sangue avvenuto la scorsa estate. I guardiani, allertati dagli schiamazzi dei visitatori, non sono riusciti a spiegare l'accaduto. Gli esperti hanno interrogato i testimoni e visionato le telecamere a circuito chiuso, ma non sono riusciti ancora a venire a capo dello strano fenomeno.
E ora, la pubblicità!
Ultima modifica di Davide Di Tullio il venerdì 29 maggio 2020, 22:17, modificato 4 volte in totale.

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Polly Russell
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Re: Semifinale Andrea di Hypnos

Messaggio#3 » venerdì 29 maggio 2020, 21:33

Scivolo.
La parete liscia e fredda sembra scorrere sotto il mio corpo, ma sono io a cadere.
Spingo, mi aggrappo come posso, cercando di creare attrito con le pareti del budello metallico che mi avvolge. Non funziona e quando tocco il pavimento, rovino a terra. Una fitta dalle caviglie saetta su fino alle cosce. Rotolo un paio di volte e cerco di abbracciare le mie ginocchia accompagnando la capriola.
È buio, rimango a terra, abbracciato a me stesso. Mi massaggio gli arti, finché decido che per far cessare il dolore è meglio alzarmi. Mi accovaccio avendo la premura di schiacciare i piedi sul pavimento metallico. Cercando di far poggiare tutta la pianta e spingo. Il dolore diminuisce in pochi secondi e in un paio di minuti è cessato del tutto. Mi alzo.
Alzo il naso e mi sposto in avanti, mi volto e lo faccio di nuovo, cercando a tentoni di orientarmi. Sono in una specie di sfera, le pareti almeno sembrano curve. Mi avvicino a quella alla mia destra e continuo a tastare. Da qualche parte ho sentito che per uscire da un labirinto basta girare sempre a destra.
Credo che sia una stronzata, anzi ne sono sicuro, ma da qualche parte devo pur cominciare e questo è un modo come un altro per muovermi.
Un'apertura. A destra. Che sia vero?
Il buco nella parete è circolare, tasto tutto intorno; il bordo è gommoso. Una guarnizione sicuramente, forse un punto debole. Cerco di pizzicarlo, staccarlo. Infilo le dita tra il metallo e la gomma cercando di strapparla via, ma cazzo! L’unica cosa che si strappa in un lampo doloroso è l'unghia del mio indice.
Mi avvento contro quello schifo molliccio, lo mordo e la puzza di petrolio mi fa lanciare un gemito, un conato di vomito subito dopo.
Continuo a mordere, a strappare, ma i miei denti rimbalzano sulla superficie morbida, continuo finché la mascella non mi duole e anche dopo.
Non so nemmeno quanto tempo è passato, ma di certo è sufficiente a convincermi che se voglio uscire da qui, devo tentare un'altra strada. Le dita della destra sanguinano, le lecco per un po’ ma rinuncio presto, non riesco nemmeno a capire se abbiano smesso. Mi appoggio alla parete e continuo.
Sento quegli occhi azzurri fissarmi. Sento i suoi serpenti muoversi intorno a me, appena oltre queste pareti, li sento strisciare, percepisco la loro puzza, il loro sibilare, credo. No, questo probabilmente lo,sto solo immaginando. Non posso vederla ma sono sicuro che quella troia mi stia osservando. E si diverte da matti.

«Non e possibile che tu non sia capace di costruirlo, non ti va, è diverso!» La ragazza si ravviva i morbidi capelli biondi con entrambe le mani, poi se le passa sulle cosce.
Lui appare spazientito, ma lei sa che lo è meno di quanto vuole far sembrare. «Far ondeggiare quel caschetto alla Valentina, non mi farà venire voglia di continuare a saldare e incollare per tutto il pomeriggio.» Cammina avanti e indietro sollevando ripetutamente le braccia, lo sguardo al cielo si alterna alle imprecazioni. «Perché non ti trovi un passatempo normale, come tutte le altre persone?»
La bionda si sfila l'indice dalla bocca, poi vi rinfila solo l'unghia e la mordicchia. «Uh, e a quale passatempo vorresti che mi dedicassi?.» Un colpetto sotto al seno con entrambe le mani e le floride pesche ondeggiano appena. Si sposta verso l'uomo e gli cinge il collo con le braccia.
La lingua scava e vortica nell'orecchio. «E di cosa ti fa venire voglia, il mio caschetto alla Valentina?» Poi scoppia a ridere. «Sembro più la Carrà che Valentina!»
Lui la prende per la vita e la trae a sé con gesto forte, quasi rude. «Hai ragione, Valentina non ha questi fianchi torniti.» Le mani scivolano più in basso. «E soprattutto non è mia.» La prende in braccio strappandole un gridolino divertito. «Pensiamoci dopo alle tue bestiacce.»
Lei scivola di nuovo in piedi e si discosta appena. «Uh! Il mio vichingo! No, comunque dovrai aspettare, perché mi piacerebbe davvero tanto, tanto vederlo finito per stasera. Andiamo... solo per me.»
«Ti rendi conto che è maniacale?»
Gli afferra il pizzetto tra le dita e gli lecca le labbra. «Solo un pochino.» Gli concede una lunga carezza sulla guancia. «Ti porto qualcosa da mangiare, ok?»



Ho paura, sono qui da tanto tempo ma non saprei dire quanto. Ho fame e sonno.
Ho girato per ore, temo in tondo, o forse lo spero. Altrimenti vorrebbe dire che questo schifo di labirinto è pressoché infinito. La sento là fuori: muoversi, camminare, spiarmi,
Mi sta osservando, sta giocando con me e io non posso nemmeno vederla.
I rumori metallici sono cessati da un po', erano quasi una costante, lo sono stati a lungo, credo che stessero aggiungendo dei pannelli, dei componenti. Come se questo posto non fosse già abbastanza intricato. Non può averlo fatto da sola. Non è possibile.
Anche se non mi sforzo non riesco a ricordare, mi stava accarezzando, baciando forse? Ho mangiato qualcosa, sì, mi aveva dato qualcosa da mangiare, poi? Poi ero qui. «Fammi uscire maledetta puttana!» Urlo, certo che urlo, solo che che il mio grido echeggia e stride, rimbalza sulle pareti di metallo come unghie su una lavagna.
Sfioro la parete per l'ennesima volta, è liscia ma di un materiale diverso. Credo sia plastica.
Mi lancio con tutta la forza che mi resta, sbatto e cado all'indietro. La testa mi gira e mi duole la spalla.
Provo ancora.
Niente.
Vorrei sprofondare, cadere nel vuoto e addormentarmi.
Un rumore forte alla mia destra, mi volto di scatto e la luce mi ferisce gli occhi. È lei, so che è lei. Si diverte.

La donna bionda ha accarezzato la testa del pitone, ha lasciato che il serpente le avvolgesse il braccio tra le sue spire, poi lo ha riposto nella teca.
«Andiamo amor mio, è solo un gioco. Hai costruito il grattacelo più alto d'Europa, non puoi fare questa piccola, semplice cosuccia per me?»
Lui ha sollevato la lastra di plexiglas e l'ha adagiata, sconfitto sui cavalletti, «io l'avrò anche costruito ma sei tu che lo hai progettato, quindi potresti fare da sola. Passami quel seghetto.»
La ragazza cinguetta un “sì”e infila la spina nella presa accanto ai piedi dell'uomo.
«Marco sei un tesoro!»
«Sì, come no.» Borbotta, poi accende l'attrezzo. «Io dico soltanto che destinare un'intera area della villa a questo... Gioco perverso, è assurdo.»
L'elafe albino ha sibilato da una delle teche accatastate in fondo alla stanza e lei lo ha raggiunto subito, facendolo uscire.
Tra le sue braccia pare quasi essersi acquietato e socchiude gli occhi a mandorla, la lingua le saetta sulla pelle. «Papino non vuole giocare con voi, è cattivo papino! Ma ci giocherà, tranquilli, certo che ci giocherà.» Solleva il muso con la destra e lo avvicina al proprio viso, sorride quando la lingua le solletica le labbra. «E lui vi piacerà tanto.»
Ripone di nuovo l'elafe e si avvicina al computer, scrolla col mouse fino al progetto che le interessa. Scorre con l'indice tra l'intricato dedalo di passaggi, tunnel e botole. «Qui, Marco, vedi? In ogni apertura posizioniamo uno dei miei piccoli, mentre questa la lasciamo aperta. Verso il giardino, verso la libertà!»
Marco ha osservato il progetto, è un buon geometra, e anche un buon uomo.
«E che senso ha? A che serve questo labirinto gigante?»
«Ai miei piccolini piace giocare, e anche a me.»


Sono di nuovo al buio, ma non nel posto dove ero prima, almeno credo. O questo labirinto che si muove intorno a me, o sto perdendo del tutto l’orientamento. C'è della segatura qui sotto, la sento tra le dita. Ne raccolgo qualche ricciolo e l'annuso.
Segatura.
Certo, che speravo di trovare?
Un tonfo sordo proprio dietro di me, dove ho appena svoltato. Mi giro come se potessi vedere qualcosa, un altro tonfo. Uno dei suoi serpenti sta sbattendo contro la parete, mi cerca. Corro in avanti, arranco nella segatura che ormai mi arriva alle ginocchia, in fondo a questo tunnel sembra esserci una luce.

Marco incolla una lastra sull'altra a formare un angolo retto. «Manuela, non posso continuare senza la colla bicomponente e la mia è finita.»
Lei alza un momento lo sguardo dallo schermo, «va bene, certo. Te la vado a comprare io, voglio vedere il mio labirinto finito per stasera!»

I vicoli di Narni sono stranamente deserti, la zona del centro di solito brulica di vita e gente in movimento, ma oggi la cittadina medievale sembra disabitata.
Manuela si è arrampicata per la ripida salita che conduce alla società operaia, e al ferramenta lì a fianco. Sono quasi le otto deve sbrigarsi.
I suoi tacchi echeggiano per le strette vie lastricate, un arco che non ricordava di aver mai visto pare aprirsi alla sua destra.
«E questo?»
La direzione è quella del negozio che cerca, e la scalinata ripida le suggerisce possa essere una scorciatoia. «Diavolo! Sto perdendo l’orientamento!» Ridacchia.
Inizia a piovere e il dedalo di terrazzini e cornicioni della nuova stradina le tolgono ogni dubbio, offrendole riparo.
Cammina per qualche minuto a testa bassa.


E questo che diavolo è? Acqua? Ha deciso di affogarmi, no è sempre parte del suo gioco, questa cascata dovrebbe dissuadermi e farmi tornare indietro. Io invece andrò avanti.
Come avevo previsto, non sono così stupido mia cara. Solo poche gocce, scrollo la testa per togliermele dagli occhi. Ma devo strizzarli subito dopo, una lama di luce mi ferisce.
Plastica, plexiglas forse, comunque riesco a vederci attraverso, è solo una piccola apertura, ma è già qualcosa.
Qui fuori sembra esserci una camera. Una stanza enorme, credo. Almeno dalla porzione che io riesco a vedere.

Ha camminato a passo svelto finché la pioggia non ha iniziato a scrosciare. Si guarda intorno, non riconosce nulla. Né le case, né le insegne dei negozi ormai chiusi. Come se quello in cui si è persa non fosse nemmeno il suo paese. Si rifugia sotto un balconcino in pietra.
Appoggia la testa alla parete per offrire alle intemperie il meno possibile di se stessa, sospira pensando a cosa la attende a casa, e alla ferramenta che starà per chiudere. Una mano che sembra sbucare dal muro alle sue spalle la arpiona.
Manuela grida, ma l'urlo le muore in gola. Riesce a sfuggire alla presa ma sente la pelle della spalla stridere sotto le unghie dell'assalitore.
Inizia a correre senza voltarsi indietro.
Le vie sembrano farsi sempre più strette, più intricate.
Una svolta, un'altra e finalmente si gira. La stradina lastricata alle sue spalle sembra non avere fine, lo stesso è davanti. «Ma dove cazzo sono?»
Scivola in una pozzanghera e ci cade dentro. Bestemmia, erano anni che non lo faceva. Controlla in fretta la caviglia destra, il tacco è rotto e il malleolo sembra gonfio.
«C'è nessuno?»
Continua a voltarsi in ogni direzione, la sensazione di sentirsi braccata, di essere in trappola.


Sento strisciare, uno dei serpenti deve essere vicino. Di fronte a me, nella parete trasparente: una porta tonda. La gomma intorno sembra più leggera delle altre. Non ho altra possibilità, e non la lascerò godere della mia resa.
Mi lancio contro la botola con tutta la forza della mia disperazione.
Il tonfo è fortissimo, grave ma non sono io ad aver prodotto quel rumore, la porta non l'ho nemmeno raggiunta!
Ho appena il tempo di guardarmi attorno, mi manca il fiato. Provo a gridare ma dalla mia gola non esce nulla.
Sento il torace che si comprime, uno scricchiolio e il fiato mi manca. Riesco appena ad abbassare lo sguardo, due rivoli di sangue scivolano su una delle spire color smeraldo. Ha vinto, guardo fuori, oltre il plexiglas. Lei nemmeno c’è: puttana!

«Devo andarmene, quel pazzo potrebbe raggiungermi, potrebbe essere dietro di me,» Manuela ha paura, ogni fibra del suo corpo è in tensione, ogni muscolo contratto in un fremito incontrollato, mentre il paese sembra mutarle attorno. Deve uscire, non riesce a respirare, e non è soltanto l'aria umida. Non soltanto l'odore acre di cantina e di urina di ratto. Per respirare sa che deve trovare l'uscita. Si accovaccia al suolo, la schiena aderente alla parete mentre sente il fiato mancarle.
La vecchia che l'aveva toccata richiude la porta a scomparsa. Le avrebbe volentieri offerto un riparo o un tè caldo se non fosse scappata tanto in fretta, suo nipote la conosce bene anche se ormai, da quando era diventata un architetto famoso, non s’era più vista in paese.


Marco ha sentito il serpente scattare, ha sentito il tonfo sordo della sua testa contro la parete del labirinto.
Si avvicina sospettoso, nonostante sappia quanto le teche siano resistenti. Scruta attraverso l'unica che aveva ancorato alla costruzione che Manuela gli aveva commissionato. Il pitone è stretto nelle proprie spire, tanto arrotolato su se stesso da non sembrare grande come è in realtà. Del piccolo criceto che era stato liberato nel labirinto si intravedono solo le zampette posteriori.
Un fremito, le zampe sussultano un'ultima volta, poi la bestiola si arrende e il serpente inizia con calma ad allentare la presa.
«Poverino, ma non potrebbe darglieli congelati come fanno tutti?»
Polly

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Re: Semifinale Andrea di Hypnos

Messaggio#4 » giovedì 11 giugno 2020, 9:41

Sfidanti, ecco il responso del Vostro giudice:

VINCITORE: Morte di un Dio
Commento
Il tema della presenza del mito nel mondo moderno si intreccia in modo convincente con l’analisi della violenza dell’essere umano sulla Natura. Il racconto è ben scritto, riuscendo a creare una buona empatia con il personaggio femminile protagonista, al contempo vittima e carnefice.

Paralellismi casuali
Commento
La storia riesce nell’intento di comunicare nel lettore un profondo senso di claustrofobia e ineluttabilità, e interessante anche la costruzione del racconto e dei parallelismi che si vengono a creare. I personaggi risultano però piuttosto stereotipati, e la vicenda risulta a tratti farraginosa.

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