L'ultimo che se ne va

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Andrea Lauro
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L'ultimo che se ne va

Messaggio#1 » sabato 20 giugno 2020, 15:36

Le pareti sono azzurre come la divisa che indosso. Non riuscirò mai a abituarmi alle sale operatorie, mi sento fuori posto. L’infermiere Magri è davanti a me, appoggiato alla zona di lavaggio. Ha la faccia bianca, mi fissa e le parole escono a singhiozzo.
«Ingegner Giusti. Secondo lei ce la faremo?»
Sospiro. Cerco di dare un’espressione rassicurante.
«Andrà tutto bene.»
Guarda un punto imprecisato dietro di me, annuisce.
Gli operai del Servizio Tecnico passano la fiamma ossidrica su una delle due porte di metallo, la bloccano. Quando verrà il momento, il varco sarà più stretto e quelle dannate cose entreranno con difficoltà. Una alla volta. Guadagneremo tempo, anche poco, ma ogni secondo sarà prezioso. La fiammella si spegne, hanno finito. Posano tutto, rumore di ferraglia che sbatte. Ci passano davanti, occhi bassi, attraversano la sala operatoria e imboccano l’uscita dalla parte opposta.
Se tutti passano di qua, addio sterilità degli ambienti.
Anche se è vero che non avremo bisogno di condizioni di sterilità assoluta. Ma di tempo, quello sì. Siamo rimasti in pochi.

Passi pesanti, eccolo che arriva. Io e l’infermiere ci scambiamo un cenno.
Il dottor Pasotti entra in sala di lavaggio. Vede i ferri che gli operai hanno lasciato a terra, li prende a calci.
«Cos’è questo schifo? Scansafatiche! Potevano anche levare ‘sta roba.»
Non è uno che si tira indietro, il dottor Pasotti: ha il pregio di dire quello che pensa. Un maledetto stronzo, insomma.
«Magri, ingegnere. Che fate qui?» Apre il lavello e comincia a passare le mani sotto il getto. «Perché non siete in sala?»
Magri mormora delle scuse e scappa dentro, gli sfugge un sissignore; io resto lì a guardare.
«Beh, dottore, mi han detto di venire e dare una mano. In caso le apparecchiature diano problemi. Fino a che, insomma—»
«Ma certo che è qui per quello. Sono io che l’ho fatta restare.»
Ah, ecco. Dunque è lui che devo ringraziare.
Smette di fregarsi le mani sotto il getto. Se le asciuga e infila i guanti.
«Le ho chiesto perché non è in sala operatoria.»
«Beh, io...»
«Quando arriveranno, questo locale sarà l'ultima barriera. Se sarà qui, cominceranno da lei.»
No, per carità. Qualcosa nello stomaco sta per risalire. Sta’ calmo, sta’ calmo. OK, è passato.
«Mi vesto subito.»
«Ecco, bravo il mio ingegnere.» Tira su la testa, grida al soffitto: «Sono pronto! Dentro il primo!»
Pasotti entra in sala. Mi infilo mascherina e cuffia e lo seguo.
In sala è tutto pronto, Magri sta disponendo cateteri e kit sul vassoio.
Entra l’infermiera, povera crista che faccia che ha, spinge il primo paziente sulla carrozzina. Lo fa alzare, lo aiuta a salire sul tavolo. Pasotti sbraita.
«Ingegnere! Faccia qualcosa, su. Mi avvicini l’ecografo.»
Cerco di essere utile e di dare il meglio di me. Ma so di sembrare un impedito.
Il paziente è sdraiato, l’infermiera è uscita.
Pasotti va alla parete e col gomito preme il bottone della ricetrasmittente. È stata attaccata alla buona, con un paio di fischer e nastro adesivo.
«Squadra! Come siamo messi, là sotto?»
Scarica elettrostatica. «Hanno sfondato le porte all'ingresso. Saliamo di un piano. Sbrigatevi.»
Pasotti mugugna qualcosa, va al tavolo operatorio e prende uno dei ferri. Magri gli gira attorno, il tizio al tavolo sta tremando. Pasotti gli ferma l’avambraccio.
«Lei come si chiama.»
Più constatazione che domanda. La constatazione che abbia ancora un nome e quindi sia vivo.
«Bertoldi Angelo.»
«Allora, Bertoldi, stia calmo. Andrà tutto bene. Ecco, respiri, su. Mi dica un po’, cosa farà una volta lontano da qui?»
Quello balbetta.
«Io, io non lo so.»
«Benissimo. Ecco, ora inserisco l’ago, sentirà un pizzicotto.»
Prende la sonda dell’ecografo. Sullo schermo in bianco e nero, vedo un pozzo senza fondo.
La vena brachiale.
La punta bianca della guida buca la superficie e ci si tuffa dentro.
«Ecco, Bertoldi, già fatto.»
Il dottor Pasotti sarà anche uno stronzo, ma nella chirurgia vascolare ha una mano che sono in molti a sognare.
L’infermiere Magri mi restituisce lo sguardo con un cenno del capo. Sta pensando la stessa cosa.
La voce del medico ci sveglia, ha posato la sonda.
«Magri! Fa’ qualcosa, cazzo, non dirmi che c’hai paura. Passami le forbici.»
In tre secondi taglia la guida e infila il catetere. Velocissimo.
«Perfetto. Mi sente, Bertoldi? Tutto bene, qui. Ora un ultimo sforzo e sarà un uomo libero.»
Un uomo libero. Come no.
«Ecco. Ora spinga, come se stesse andando al bagno.»
Riprende la sonda ecografica, la posiziona sul torace. Il cuore del signor Bertoldi appare palpitante dentro un film in bianco e nero. Il catetere è dentro.
«Ottimo. Magri, finisci tu, vado a prepararmi per il prossimo.»
In tutto, ci ha messo meno di dieci minuti, un impianto coi fiocchi. Io rimango lì come un manico di scopa, sono servito a ben poco.
Magri aiuta a scendere il Bertoldi, lo accompagna all’altra porta della sala, quella di uscita.
«Prosegua di qua. Tenga la mano premuta qui, sulla medicazione. Ecco, così.»
Bertoldi scompare alla vista. Abbiamo predisposto un percorso blindato: da quell’uscita della sala, la via è sicura fino al tetto. Lassù, l’ultimo elicottero sta aspettando per trasferirci. Non sappiamo con certezza dove. Per quanto mi riguarda, basta sia una struttura in grado di accogliere i nostri ultimi pazienti.

La voce di Pasotti erompe.
«Avanti un altro!»
L'infermiera spinge un’altra carrozzina, una donna dai capelli ricci.
«Quanti ce ne sono di là?»
L’infermiera trema.
«Ancora quattro.»
Cazzo.
Magri alza le mani al soffitto.
«Non ce la facciamo, non ce la facciamo!»
Pasotti gli si piazza davanti.
«Magri sta’ buono. Andrà tutto bene.» Appoggia il gomito alla trasmittente. «Squadra, come siamo messi?»
La voce arriva affannata.
«Stanno salendo, li teniamo a bada. Cristo, sono troppi.»
Sentiamo degli spari, vengono da sotto.
Anche a questa paziente serve un impianto, un accesso vascolare. Dicono che forse ci porteranno in Emilia, là forse è rimasto qualcosa. Là, senza un impianto, questi poveri cristi non riuscirebbero a fare un minimo di terapia. Una terapia qualsiasi: antalgica, nutrizionale, anche chemioterapica. Sarebbero spacciati.
Pasotti ha già preso le misure sull’avambraccio.
«Signora, benissimo così. Tranquilla. Mi dica un po’: cosa farà una volta fuori?»
«Oddio!» grida lei. «Voglio solo uscire, voglio solo uscire!»
«Brava, signora. Ora spinga come se dovesse andare di corpo. Bene, così.»
Altri spari. Un rumore di pareti sfondate.
Magri è uno straccio, apre e chiude i pugni. Pasotti solleva la testa.
«Perfetto, vada signora. Andrà tutto bene.»
Pasotti esce a lavarsi di nuovo.
Black-out. Non ci si vede più un cazzo. Ma non dovevano intervenire le batterie di piano?
Cinque secondi e i neon si riaccendono, sfarfallano.
Emerge la testa di Pasotti. «Ingegnere, che cazzo era?»
«È entrato il gruppo elettrogeno. Dev’essere saltata la linea di cabina.»
«Eccheccazzo. Voi, tecnocrati maledetti. E quanto tempo abbiamo?»
Oh, se è per quello, tutto il tempo del mondo.
Non è il gruppo elettrogeno a spaventarmi: il motore diesel ha carburante per tutta notte. Sono quelli di sotto, il problema.
«Vada tranquillo, dottore.»
Pasotti scompare e grida: «Avanti un altro!»
Entra l’infermiera. Il paziente sale sul tavolo.
Pasotti preme ancora.
«Squadra! Quanto abbiamo?»
Rumore statico. Nessuna risposta.
Magri si copre il volto.
«Oh cazzo oh cazzo oh cazzo.»
«Zitto, Magri.»
Pasotti fa un cenno all’infermiera.
«È stata brava.» Indica l’uscita dall’altra parte della sala. «Vada sul tetto, ha fatto abbastanza. E grazie, non lo dimenticherò. Prenda con sé gli altri, non posso operarli.»
L’infermiera squadra lui, Magri e me. Non le sembra vero. Si mette una mano sulla bocca, corre a prendere i tre disgraziati che se andranno senza impianto e dureranno meno degli altri. Questo è sicuro. Attraversano la sala senza fiatare.

Pasotti inspira a fondo.
«Ingegnere, butti qualcosa davanti alla porta. Così li fermiamo un attimo. Che c’è Magri? Vuoi andartene pure tu?»
Prima di mettermi al lavoro guardo l’infermiere. Si stropiccia le mani nel green, vorrebbe rispondere ma non può.
Pasotti sospira.
«Dai, Magri, ho capito. Vieni qui e aiutami.»
Mi butto sulla porta d’ingresso, vedo una scansia, la ribalto. Ho fatto bene? Lo saprò presto. La squadra è fottuta, non c’è più nessuno a parte noi.
Prendo una scrivania, la rovescio col computer e tutto. Ecco, una barricata fatta alla bell’e meglio.
Torno in sala.
Pasotti nemmeno usa l’ecografo, stavolta: impianta a mano libera.
So che ce la può fare, il bastardo. Per una vita intera ha trattato tutti come pezze da piedi, in ospedale. Ho sempre pensato che fosse uno stronzo. Ora è il nostro baluardo contro il caos. L’unico che ci ha saputi tenere in riga. Sarà l’ultimo a salire sull’elicottero, lo so, come i capitani sono gli ultimi a scendere dalla nave. Un applauso per il dottor Pasotti.
Un rumore. Un altro, vetri sfondati.
Sono al piano. Sono vicini.
Merda.
Pasotti rialza la testa, parla al paziente.
«Allora, faccia il bravo, eh. Qui tutto a posto. Salga sul tetto, faccia in fretta.»
Il paziente rotola giù dal tavolo, dall’avambraccio penzola il catetere venoso. Anche questo è salvo. Corre via.
Pasotti mi guarda.
«Ingegnere, che ci fa ancora qui? Se ne vada! E grazie.»
Grazie di cosa?
Faccio per andare.
Uno schianto. Sono arrivati.
Mi volto.
«Dottore, che fa?»
Ha appena staccato una bombola d’ossigeno dal carrello di emergenza.
«Che cazzo vuole, ingegnere? Si levi dalle palle. Magri! Tu che fai?»
Magri guarda me, gli vedo il bianco degli occhi.
Sta riflettendo veloce.
Non possiamo salvarci tutti. Qualcuno deve rimanere e tenerli a bada, come nei film.
Cazzo, come nei fottuti film.
Qualcuno deve infettarsi e diventare come loro.
La voce di Magri è stridula.
«Fanculo! Fanculo!»
La risata di Pasotti fa accapponare la pelle.
«E bravo Magri! Prendi quell’estintore. Usalo come una mazza.»
Si volta verso di me. Si è tolto la mascherina. Tiene il collare della bombola a due mani.
«Ingegnere! Si leva dalle palle o no?»
Do un’ultima occhiata. Di là dalla visiva, sagome scure si arrampicano sulla barricata. Rumore di lamiere.
Entro nel corridoio.
Verso il tetto, verso il tetto.
Corro.



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Davide Di Tullio
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#2 » martedì 23 giugno 2020, 22:36

Ciao Andrea, piacere di rileggerti! Decisamente una buona prova la tua. Sfrutti con sagacia il PDV dell'ingegnere dando vivacità alla storia, ma il vero protagonista è il dottore. Ci sono tutti gli elementi per una storia che funziona. Alla fine, nel climax finale, il medico sacrifica la propria vita ma raggiunge l'intento di salvare i pazienti e il suo personale. Non solo. c'è pure spazio per l'opinione del ingegnere, che cambia radicalmente, riconoscendobik valore del dottore. Forse ti sei dilungato un po' sulla narrazione dell'intervento chirurgico, ma la vicenda fila lo stesso.
A rileggerti!

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Andrea Lauro
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#3 » martedì 23 giugno 2020, 23:22

Davide Di Tullio ha scritto:Ciao Andrea, piacere di rileggerti! Decisamente una buona prova la tua. Sfrutti con sagacia il PDV dell'ingegnere dando vivacità alla storia, ma il vero protagonista è il dottore. Ci sono tutti gli elementi per una storia che funziona. Alla fine, nel climax finale, il medico sacrifica la propria vita ma raggiunge l'intento di salvare i pazienti e il suo personale. Non solo. c'è pure spazio per l'opinione del ingegnere, che cambia radicalmente, riconoscendo il valore del dottore. Forse ti sei dilungato un po' sulla narrazione dell'intervento chirurgico, ma la vicenda fila lo stesso.


Grazie mille Davide, lieto che i punti chiave siano stati colti.
A presto, a rileggerci!
andrea

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Pretorian
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#4 » mercoledì 24 giugno 2020, 14:27

Ciao, Andrea e piacere di leggerti.
Il racconto è una buona prova. Ci mostra la resistenza disperata di un gruppo di medici a "qualcosa", (ma di questo ne riparliamo) mentre tentano di portare in salvo i loro pazienti. Non sono eroi, sono uomini: sono spaventati, incazzati, nervosi, forse persino coraggiosi. Un ritratto magnifico, che fa dello "show don't tell" il suo punto di forza. Da questo punto di visita, ammetto di avere molto da imparare da questa narrazione. L'unica cosa che mi sento di suggerirti, è di rendere più esplicita la minaccia: cosa sono? Zombie? Demoni? Novax? Anche senza scendere nel dettaglio, penso che la storia ne avrebbe guadagnato a rendere più concreto il rischio che stavano correndo i medici.

Per il resto, tutto ok.

Alla prossima

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Andrea Lauro
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#5 » mercoledì 24 giugno 2020, 17:53

Pretorian ha scritto:Ciao, Andrea e piacere di leggerti.
Il racconto è una buona prova. Ci mostra la resistenza disperata di un gruppo di medici a "qualcosa", (ma di questo ne riparliamo) mentre tentano di portare in salvo i loro pazienti. Non sono eroi, sono uomini: sono spaventati, incazzati, nervosi, forse persino coraggiosi. Un ritratto magnifico, che fa dello "show don't tell" il suo punto di forza. Da questo punto di visita, ammetto di avere molto da imparare da questa narrazione. L'unica cosa che mi sento di suggerirti, è di rendere più esplicita la minaccia: cosa sono? Zombie? Demoni? Novax? Anche senza scendere nel dettaglio, penso che la storia ne avrebbe guadagnato a rendere più concreto il rischio che stavano correndo i medici.

grazie Agostino per il bellissimo complimento, qui con voi sto imparando tanto e chissà quanto c'è ancora da scopire.
sulla natura della minaccia hai ragione, pensa che sono stato combattuto fino all'ultimo se dare spiegazioni o meno... alla fine ha prevalso il mistero che -lo so, ne son consapevole- rompe sempre un po' le palle...
ma dopo aver letto il racconto di Eugene posso spoilerare che anche qui si tratta di zombie TdG!
a presto
andrea

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simone.marzola
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#6 » venerdì 26 giugno 2020, 15:03

Ciao Andrea,

Complimenti per il racconto: i personaggi caratterizzati benissimo che evolvono nella storia che ho trovato avvincente e con ottimo ritmo. Il tutto è molto umano e non è facile in un racconto di così poche battute.
Anche il fatto che la minaccia sia solo incombente e non presente, devo dire che non mi è pesata perché comunque dai dialoghi traspare il senso di urgenza e pericolo. Che siano zombie, infetti o altro non mi è sembrato importante, anche se...
...ho solo a cosa che non mi è chiara: Il tipo di intervento o impianto che il dottore deve inserire. Si tratta di flebo normali? O è qualcosa di diverso, relativo a ciò che sta succedendo intorno a loro?
Non è una cosa fondamentale, ma personalmente mi darebbe un elemento di ambientazione in più, che avrei apprezzato.
O forse è solo curiosità :)

A rileggerci!
Simone

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Andrea Lauro
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Re: L'ultimo che se ne va

Messaggio#7 » sabato 27 giugno 2020, 14:25

simone.marzola ha scritto:Ciao Andrea,

...ho solo a cosa che non mi è chiara: Il tipo di intervento o impianto che il dottore deve inserire. Si tratta di flebo normali? O è qualcosa di diverso, relativo a ciò che sta succedendo intorno a loro?
Non è una cosa fondamentale, ma personalmente mi darebbe un elemento di ambientazione in più, che avrei apprezzato.
O forse è solo curiosità :)


Ciao Simone e grazie mille per il commento, mi fa piacere.
Gli accessi vascolari sono cateteri impiantati nel sistema venoso centrale e sono di uso comune negli ospedali. Grazie a essi, il paziente si porta in giro più o meno temporaneamente (dipende dalle necessità) un tubicino (un accesso) al quale é possibile collegare quello che serve, sia esso una flebo, un farmaco ecc.
Sostanzialmente, eviti di fare iniezioni di continuo (con tutte le complicazioni del caso) su pazienti magari già fragili che hanno bisogno di cure continue.

Di qui l'urgenza, nel racconto, di preparare al meglio gli ultimi pazienti che necessitavano di un accesso per la prossima struttura che li avrebbe ospitati.
Grazie ancora!
Andrea

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