Ciao, ecco a voi la mia classifica. Per il 1. e il 2. posto ho dovuto fare pesare le minuzie nel testo :-D
1) L'ULTIMO CHE SE NE VA di Andrea Lauro
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Ciao Andrea, piacere di rileggerti! Decisamente una buona prova la tua. Sfrutti con sagacia il PDV dell'ingegnere dando vivacità alla storia, ma il vero protagonista è il dottore. Ci sono tutti gli elementi per una storia che funziona. Alla fine, nel climax finale, il medico sacrifica la propria vita ma raggiunge l'intento di salvare i pazienti e il suo personale. Non solo. c'è pure spazio per l'opinione del ingegnere, che cambia radicalmente, riconoscendobik valore del dottore. Forse ti sei dilungato un po' sulla narrazione dell'intervento chirurgico, ma la vicenda fila lo stesso.
A rileggerti!
2) SALVATE LA SPERANZA di Polly Russel
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Ciao Polly
Piacere di rileggerti! Un racconto tecnicamente ineccepibile il tuo. Ammiro soprattutto l´uso sicuro del mostrato. Una scena cinematografica, di grande impatto emotivo. La vicenda mi ha preso. Tutto il racconto fino al climax dello scontro finale é resto in maniera linerare, senza intoppi. L´unico dubbio é il finale. Il ragazzo dovrebbe essere immune, tanto che il dottore lo tranquillizza, eppure sembra evere gli stessi sintomi di chi é stato infettato. é cosi? se fosse cosí non capisco perché il dottore si mostra cosí sicuro di aver trovato la cura. Ho capito male io?
3) POVERO CRISTO di Wladimiro Borchi
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Ciao Wladimiro, piacere di rileggerti. Il tuo racconto non è niente male. La vicenda si snoda in uno scenario avventuroso, che tutto sommato dà quello che promette. Il PDV è quello di Luca, anche se di tanto in tanto spunta il narratore (ma lo fa in punta di piedi
:-) ). Forse non c'è un vero e proprio climax, che è il punto debole della vicenda. Luca e il suo compagno si arrendono agli eventi. Non c'è un vero e proprio tentativo di ripristinare l'equilibrio.
A rileggerci presto!
4) NUOVA SPERANZA di Andrea Partiti
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Il mio nome è Ismaele. Sono uno degli Ultimi.
Abitiamo Da qui in poi usi il plurale, senza specificare di chi si sta parando a Nuova Speranza, una colonia isolata, fuori dalla follia di rame e cemento che sono diventate le città.
Ci considerano bizzarrie, seguaci della morte che rifiutano di integrarsi per prolungare le proprie vita.
Ma per noi le bizzarrie sono loro, ibridi tra uomo e macchina.
Ci sono le Larve, chiuse nei loro bozzoli, con un metabolismo rallentato artificialmente. Vivono una vita virtuale lunga e perfetta mentre i loro corpi si atrofizzano inesorabili.
Ci sono gli Ibridi, che rimpiazzano organo dopo organo, muscolo dopo muscolo. Ben poco resta di umano: un cervello, un occhio, un brandello di pelle conservato come memento di un’umanità perduta.
La nostra comunità si è formata coi reietti di questa società, fuggiti uno a uno, sparsi e spaventati. Poche centinaia da principio, più di mille ora che i profughi sanno dove trovarci. Ci siamo raccolti in questo borgo dimenticato, l’abbiamo ricostruito, l’abbiamo dotato di tutti i lussi che potevamo permetterci restando isolati dal sistema principale, isolati dalla Città che inghiotte anime umane come un animale vorace. La nostra vita è ricominciata in armonia con la natura, in armonia con noi stessi.
Da una settimana la Città è diventata silenziosa.
I cigolii, i ronzii, il brusio costante che facevano vibrare aria e terra per chilometri in ogni direzione si sono arrestanti senza preavviso. Ci siamo svegliati per il silenzio, siamo usciti dalle nostre case pieni di domande.
Non ci siamo dati pena da principio. Poteva essere un nuovo cambiamento in arrivo, una nuova tecnologia, un nuovo sistema per strappare un ultimo strato di umanità ai suoi milioni di abitanti.
Dall’arrivo del silenzio ogni mattina noi anziani ci svegliamo prima dell’alba. Ci troviamo ai margini del bosco per osservare il sole sorgere dietro ai palazzi e ai grattacieli. Ci guardiamo con sguardi ogni giorno più preoccupati. Non per noi Ultimi. questo passaggio non é molto chiaro, se ne intuisce il senso, ma la trasposizione poteva essere resa meglio. Noi siamo indipendenti e sicuri. Ci preoccupiamo per chi nella città ancora ci vive. La nostra speranza più intima e solida è di riuscire un giorno a mostrare a tutti i suoi abitanti l’errore che stanno commettendo, di riuscire a salvarli. Non in maniera attiva, perché nessun metodo attivo può far cambiare idea a una razza testarda come quella umana, ma mostrando un modello alternativo e positivo di vita. Attirandoli con la nostra gioia, anziché allontanandoli sfruttando la loro miseria.
Dopo una settimana non possiamo più rimandare il passo successivo. Dobbiamo andare a vedere cosa succede, nel bene o nel male, perché “senza conoscenza non c’è futuro” come dice la terza regola di Nuova Spernza. Seppur indipendenti non possiamo ignorare quella incombente presenza che è la città. La città ci tollera, ma può schiacciarci in qualsiasi momento. Se le macchine decidessero che siamo una minaccia, non avremmo modo di difenderci.
— Andrò io, — dico agli altri anziani. Picchio il mio bastone a terra. Sono un vecchio, mi rendo utile con la mia conoscenza e saggezza, ma le ho condivise con molti e per molti anni. Le mie braccia non sono più utili e la mia mente ha dato tutto quel che custodiva.
— Andrò anche io, — dice Malachia. — I miei figli sono ancora nella città. Non spero di salvarli ormai, ma se qualcosa è successo, voglio saperlo.
Gli altri anziani annuiscono, ci toccano sulla spalla per darci la loro benedizione. Abbiamo con noi il paniere con il cibo della giornata, e uno a uno i presenti ci donano il loro cibo, la loro acqua, finché la sacca non è piena fino all’orlo e siamo pronti per il cammino.
Il clima è mite e la strada da percorrere non è lunga. Io e Malachia ci incamminiamo facendo attenzione a non voltarci indietro verso quegli sguardi più angosciati di quanto vorremmo.
— Ismaele, guarda — mi dice Malachia, una volta passate le porte monumentali della città. Sono spalancate e nessuno ci ha fermati.
— Ho visto — rispondo, osservando le luci spente, le strade buie.
— Cerchiamo un terminale — dice avviandosi a passo spedito verso uno degli edifici, anche questo con le porte spalancate.
È un palazzone di uffici e magazzini. L’atrio è vuoto e i nostri passi rimbombano spettrali. Non c’è il familiare brusio degli Ibridi che corrono qua e là senza tregua, sempre alla ricerca di qualcosa, mai in pace.
— Pensi che gli ibridi se ne siano andati? Che abbiano abbandonato la città? — domando.
— Chissà. La città può continuare anche senza di loro, ci sono sistemi per proteggere le Larve, per mantenere il loro mondo attivo. Il problema sembra più profondo. I terminali della reception sono attivi, guarda!
Passiamo dietro al bancone metallico e ci sediamo su due sedie massicce, fatte per supportare il peso di creature di metallo e carne.
Estraggo gli occhiali, li pulisco, ma prima che possa mettermi a scorrere le informazioni a cui ho accesso, Malachia fa un verso lamentoso: — Ah, il Calcolatore! Il Calcolatore li ha abbandonati!
— Come?
— Non parlano d’altro, messaggi, comunicazioni, circolari. Sembra che vada avanti da mesi —. Malachia continua a scorrere pagina dopo pagina, con gli occhi sempre più sgranati questa espressione suona un po' bizzarra. — Mesi di conflitto, di tentativi di domarne l’intelligenza nascente.
— E non un fiato di questa lotta ha lasciato le mura, come è possibile?
— È stata un guerra combattuta nel mondo delle Larve. Per il Calcolatore non c’era differenza tra quel mondo e quello reale, quindi ha attaccato prima quello in cui si sentiva più forte.
— I tuoi figli, Malachia…
— I miei figli sono morti, nessuna delle Larve è sopravvissuta, secondo questi bollettini.
— E gli Ibridi.
— Gli Ibridi… — Malachia scorre, si sposta a eventi e comunicati più recenti. — Alcuni sono fuggiti, hanno chiesto soccorso alle città vicine, sono partiti di notte, abbandonando tutto dietro di sé. Molti sono morti… e…
— Cosa? — insisto.
— Il Calcolatore ne sta usando i corpi robotici, ha bruciato ed estirpato il poco di umano che avevano e li usa per interagire col mondo reale. Qui dai una serie fitta di informazioni in poco tempo. Semba che hai voluto creare il pretesto di una lettura dei terminali per inserire il turning point. Mi suona un po forzato e tendente all´infodump.
Un suono acuto, una sirena, inizia a suonare in strada. Le luci del palazzo si accendono, mentre quelli della via restano bui. Siamo sotto a un riflettore.
— Stanno venendo per noi, dobbiamo fuggire! — dice Malachia.
— Ci seguirebbero, li porteremmo a Nuova Speranza, agli Ultimi.
— Cosa dobbiamo fare?
— I tuoi figli ti aspettano. Sii felice Malachia, moriremo da umani e non resterà niente di noi da usare, per il calcolatore. Usciremo in strada, ci siederemo sulla terra e torneremo alla terra quando sarà il momento. Questo mondo di rame e silicio non avrà né la nostra anima né il nostro corpo.
— Verranno a cercarci.
— Non verranno. Capiranno.
Nel complesso la storia é chiara. Ma credo che i diecimila caretteri si prestono poco ad un racconto di fantascienza. Sono tante le coordinate spazio-temporali da inserire e il rischio e quello di indulgere nel raccontato, come fatto nella prima parte del racconto, dove il soggetto narratne che é anche uno dei protagonisti cela una narratore onniscente.
A rileggerci!